Una preghiera sempre possibile
Lettera sul Rosario di Mons. Marcello Semeraro del 13 maggio 2003
DIOCESI DI ORIA



Il Papa, voi lo sapete già fratelli e figli carissimi, con la sua lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae ci ha come riconsegnato il Rosario, offrendocelo quale preghiera contemplativa. “Senza contemplazione - aveva già scritto Paolo VI - il Rosario è corpo senz’anima”. Giovanni Paolo II spiega che esso è “uno dei percorsi tradizionali della preghiera cristiana applicata alla contemplazione del volto di Cristo”.

Il Rosario appartiene da secoli alla nostra tradizione spirituale. A noi esso è ancora più caro perché legato alla santa memoria del beato Bartolo Longo. Nativo della nostra Latiano e fondatore della “nuova Pompei”, egli ne fu il grande apostolo. Ed ecco che, quasi amplificando l’insegnamento del Papa e in coincidenza con il pellegrinaggio diocesano al Santuario di Pompei, vi affido alcuni brevi pensieri sul metodo proprio del Rosario, piccola semplice preghiera basata su di una ripetizione alimentata di continuo dal desiderio della sempre più piena conformazione a Cristo.

Nella preghiera del Rosario ci sono enormi ricchezze: l’evocazione dei misteri di Cristo, la preghiera del Padre nostro, la recita dell’Ave Maria, la lode alla Trinità... Di fronte a queste autentiche perle, il ripetere per dieci, venti volte... sempre le stesse parole è certo l’elemento più povero, si direbbe la sezione meno intelligente del Rosario, perché la più meccanica. Eppure c’è una ricchezza spirituale – e non solo – anche in questo perché la ripetizione è parte integrante della nostra vita, la struttura ed anzi nei suoi momenti più belli è ciò che vorremmo per sempre.

Non siamo, forse, tutti immersi in una ripetizione, che è davvero creativa se è creativo il fu sera e poi fu mattina del racconto della Genesi? È ripetitiva pure la primavera, ogni anno, e la sveglia al mattino, che ogni volta ti dice: sei vivo e puoi ricominciare, perché non tutto è perduto, non tutto è finito. Ripetitivo è anche il tuo cuore che pulsa ed è per questo che il sangue ti gira nelle vene; così è pure il respiro, sicché i tuoi polmoni sono ricchi d’ossigeno e tu vivi. Ripetitivo, non da ultimo, è il tuo bisogno di amore e di amare. Per questo, alla persona che ami non ti basta mai dire una volta soltanto ti amo. Anche tu, questo soffio di frase, desideri sentirtelo dire più volte. È la dinamica psicologica dell’amore. Il Papa spiega che la Corona del Rosario può essere intesa come espressione di un amore che mai si stanca di tornare alla persona amata con effusioni che, pur simili nella manifestazione, sono sempre nuove per il sentimento che le invade. L’amore – diceva Lacordaire - non ha che una parola e pur dicendola continuamente, non si ripete mai. Cosa, dunque, ha di tanto prezioso il Rosario, preghiera possibile in ogni ora, in ogni luogo e con chiunque? È una palestra per chi ama.

Non è, poi, la ripetitività, caratteristica propria dei bambini? Non amano, loro, ascoltare mille volte le medesime storie e, magari alla sera prima di addormentarsi, le richiedono sempre con le stesse parole? Daccapo, comandano... e guai a sbagliare una parola, o dimenticare qualcosa! Non lo fanno perché privi d’inventiva. I bambini, infatti, immaginano aerei con un pezzo di latta. Lo fanno perché hanno il cuore semplice e conservano intatto il gusto della vita. Chissà, allora, che la ripetizione del Rosario non riesca a ottenerci il cuore semplice, a farci conservare l’appetito dell’infanzia! Forse a ritrovarlo, o almeno ad averne nostalgia con la fiducia che ci possono essere storie antiche le quali, quando sono sempre narrate, acquistano la forza delle storie nuove.

Ci sono preghiere, ha scritto Romano Guardini proprio riguardo al Rosario, in cui la parola è come il letto di un fiume sul quale scorre la preghiera, e la forza che la tiene in moto. Per questo, forse, talvolta mi accade di pensare che la preghiera, muovendosi sui ritmi del Rosario, se pure si distrae dal suo corso riesce in ogni caso a tornare nell’alveo. Così il Rosario è una preghiera sempre possibile anche per menti povere e per lingue ancora legate, per uomini e donne che ce la fanno solo a gridare: Ohimè, Signore, io non so parlare! Preghiera possibile anche per uomini e donne dal cuore stanco, che neppure un’ora sanno vegliare con il loro Signore. Che importa? Su quelle Ave Maria continuerà a scorrere ugualmente la vita.

Così fu per santa Teresa di Gesù Bambino, che ammise candidamente: “Da sola (ho vergogna di confessarlo), la recita del rosario mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza. Sento che lo dico così male. Ho un bell’impegnarmi nel meditare i misteri del rosario, non arrivo a fissare il mio spirito. Per lungo tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi meravigliava. Ora me ne cruccio di meno, penso che la Regina dei Cieli è mia madre, vede certo la mia buona volontà e se ne accontenta”. Così la santa di Lisieux inseriva nella sua “piccola via” la piccola preghiera del Rosario e collocava nel mistico clima dell’infanzia spirituale una preghiera che di proprio ha pure la semplice, disarmante ripetitività dei bambini.

Santuario di Pompei, 13 maggio 2003
+ Marcello, vescovo





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