Testimoni di Gesù con Maria, la Vergine della Visitazione
Omelia del Card. Dionigi Tettamanzi del 31 maggio 2004
CATTEDRALE DI ZAGABRIA



1. «Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sofonia 3, 14). Carissimi, l’invito del profeta Sofonia ci introduce subito nel clima gioioso di questa celebrazione. È la gioia dei fedeli e dell’intera città di Zagabria perché, dall’incendio che aveva distrutto quanto si trovava nell’antica torre della “Porta di pietra” (Kamenita vrata), si salvò prodigiosamente l’immagine della Madonna col Bambino, che ancora oggi veneriamo. È un segno evidente che il Signore non abbandona mai il suo popolo, ma è sempre in mezzo ad esso come salvatore potente (cfr. Sofonia 3, 17). La stessa gioia è vissuta oggi dalla vostra Chiesa e dalla vostra Città, che celebrano questa festa e che, ogni giorno, vedono non pochi fedeli sostare in preghiera davanti a questa immagine miracolata e miracolosa. Di questa gioia anch’io sono reso partecipe. Ringrazio, perciò, il vostro Arcivescovo, il carissimo cardinale Josip Bòzanic, che mi ha invitato a celebrare con voi questa Eucaristia. Con lui, saluto i Vescovi Ausiliari, gli altri Arcivescovi e Vescovi presenti, le Autorità e tutti voi, presbiteri, consacrati e fedeli laici di questa gloriosa Chiesa di Zagabria. Vi saluto con grande affetto sincero e fraterno. E con voi desidero vivere intensamente questo momento di grande devozione a Maria, la madre di Gesù, della Chiesa e di ciascuno di noi.


2. Contempliamo insieme Maria nel mistero della sua Visitazione, quale icona vivente della Chiesa in missione. In lei, nella Vergine Maria che va a visitare la parente Elisabetta, riconosciamo l’esempio più limpido e il significato più vero del nostro cammino di credenti e del cammino della Chiesa stessa. La Chiesa – quella che vive in Croazia, come quella che vive in Italia, in Europa e nel mondo intero – ha come suo unico scopo di essere missionaria, di annunciare il Vangelo dappertutto e sempre, di trasmettere la fede a ogni uomo e donna e in ogni cultura. E il Sinodo diocesano che state vivendo è un’occasione veramente privilegiata per rinvigorire e rendere più splendente il volto missionario della vostra Chiesa. Lo affidiamo, questo Sinodo, a Maria, lasciandoci spronare da lei a “prendere il largo” – come ci invita a fare il Santo Padre –, per vivere con un dinamismo nuovo la grande e affascinante avventura dell’evangelizzazione (cfr. Novo millennio ineunte).


3. «In quei giorni, Maria – scrive l’evangelista Luca – si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda» (Luca 1, 39). Lei, giovane fanciulla, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo, esce dalla sua casa, lascia Nazaret e si mette in viaggio. Va verso la montagna e raggiunge in fretta il villaggio dove abitava Elisabetta. Quello che Maria vive è un autentico viaggio missionario. È un viaggio che la conduce lontano da casa, la manda nel mondo, la porta in luoghi sconosciuti, la fa arrivare, in un certo senso, ai confini del mondo da lei raggiungibile. Sta proprio qui, anche per tutti noi, il segreto della nostra vita di uomini e di cristiani. La nostra, di singoli e di Chiesa, è un’esistenza tutta proiettata al di fuori di noi. Come era già avvenuto per Abramo, ci è chiesto di “uscire” da noi stessi, dai luoghi delle nostre certezze, per “andare” verso gli altri, in luoghi e ambiti diversi, forse addirittura sconosciuti. Ci è chiesto di andare in tutto il mondo per predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Marco 16, 15). È il Signore stesso che ce lo chiede: «Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra» (Atti 1, 8). Ed è lo stesso Signore che, in questo cammino, ci mette accanto Maria quale compagna di viaggio, quale guida e madre premurosa. Ed è lei che ci rassicura, perché ci ricorda che con noi c’è il figlio suo Gesù, che ha promesso di essere con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28, 20).


4. Maria – l’abbiamo ascoltato nel Vangelo – «raggiunse in fretta» la meta del suo viaggio ed «entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta» (Luca 1, 39-40) Se questo avvenne, se Maria «raggiunse in fretta» il villaggio di Ain Karim, non lo dobbiamo solo alla sua giovinezza e al suo slancio di attenzione e di amore verso una parente bisognosa. A spingerla, quasi a “farla volare” verso la meta, era un fuoco che le bruciava di dentro, era una forza che le veniva donata. Era la forza dello Spirito Santo, che il Signore Gesù avrebbe un giorno promesso e inviato ai suoi Apostoli. Su Maria, infatti, come aveva annunciato l’angelo Gabriele, era sceso lo Spirito Santo (cfr. Luca 1, 35). Ed era questo stesso Spirito, che l’aveva resa feconda, a infondere in lei quel dinamismo missionario che la spingeva ad andare per offrire il suo aiuto a chi era nel bisogno e per portare in dono lo stesso Figlio che viveva nel suo grembo e nel suo cuore di madre. È così anche per la Chiesa di tutti i tempi e per ciascuno di noi. La sorgente e la forza di ogni cammino missionario sta sempre e solo qui: nello Spirito di Dio che ci viene donato. È il mistero stesso della Pentecoste, che ieri abbiamo celebrato, a rivelarlo. La Chiesa – che per sua intima natura non può non essere missionaria – nasce proprio a Pentecoste, sotto il potente soffio dello Spirito. Maria, la Vergine della Visitazione – che poi, con gli Apostoli, attese in preghiera la venuta dello Spirito (cfr. Atti 1, 14) –, continui a chiedere per ciascuno di noi, per la vostra Chiesa e per tutta la Chiesa sparsa nel mondo il dono dello stesso Spirito, perché il nostro viaggio missionario raggiunga ogni angolo della terra e ogni ambiente di vita e non si arrenda mai di fronte a nessuna difficoltà o contrarietà.


5. «Maria rimase con lei circa tre mesi» (Luca 1, 56). Queste semplici parole dicono lo scopo più immediato del viaggio di Maria. Aveva saputo dall’Angelo che Elisabetta aspettava un figlio e che era già al sesto mese (cfr. Luca 1, 36). Ma Elisabetta era anziana. La vicinanza di Maria, ancor giovane di età, poteva certo esserle utile. Per questo Maria la raggiunge e rimane con lei circa tre mesi, verosimilmente fino al momento del parto, per offrirle quella vicinanza affettuosa, quell’aiuto concreto e tutti quei servizi quotidiani di cui aveva bisogno. Elisabetta diventa così il simbolo di tutte le persone anziane e malate, anzi di tutte le persone bisognose di aiuto e di amore. E quante ce ne sono anche oggi nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nelle nostre Città! E Maria – lei che si era proclamata «la serva del Signore» (Luca 1, 38) – si fa serva degli uomini. Più precisamente, serve il Signore che incontra nei fratelli. Così è di ogni cammino missionario autentico. È proprio la testimonianza della carità il modo più concreto ed efficace, un modo che tutti possono immediatamente comprendere, per essere missionari, per vivere la sfida dell’evangelizzazione. È il nostro amore generoso e fattivo – quale partecipazione e rivelazione dell’amore stesso di Dio – a rivelare a tutti la “buona notizia” dell’amore provvidente e misericordioso di Dio. È la carità concreta e operosa, una carità che si apre alla comunione e alla condivisione, la legge, anzi l’anima stessa della missione. Lo ha detto Gesù: ci ha comandato di amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi (cfr. Giovanni 15, 12) e ha pregato affinché fossimo una cosa sola «perché il mondo creda» (Giovanni 17, 21).


6. La carità di Maria, però, non si ferma all’aiuto concreto, ma raggiunge il suo vertice nel donare Gesù stesso, nel “farlo incontrare”. È ancora san Luca a sottolinearlo: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo» (Luca 1, 41). La riprova di questo incontro apportatore di salvezza è che «Elisabetta fu piena di Spirito Santo» (ivi). Siamo così al cuore e al culmine della missione evangelizzatrice. Siamo al significato più vero e allo scopo più genuino di ogni cammino missionario: comunicare-donare agli uomini il Vangelo vivente e personale che è lo stesso Signore Gesù. Ed è, quella di Gesù, una comunicazione e una donazione che – come attesta Elisabetta – riempie il cuore di gioia: «Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Luca 1, 44). Gesù, dunque, è il vero e, in un certo senso, unico tesoro che noi abbiamo da dare all’umanità (cfr. Atti 3, 6). È lui ciò di cui gli uomini e le donne del nostro tempo hanno profonda nostalgia, anche quando sembrano ignorarlo o rifiutarlo. È lui ciò di cui hanno grande bisogno la società in cui viviamo, l’Europa, il mondo intero. A noi è affidata questa straordinaria responsabilità. Viviamola con gioia e con impegno, perché la nostra sia davvero una civiltà in cui regnano la verità, la giustizia, la libertà e l’amore, pilastri fondamentali e insostituibili di una vera convivenza ordinata e pacifica. Viviamo questa responsabilità rimanendo assidui nell’ascolto della Parola di Dio, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. Atti 2, 42). Sono atteggiamenti, questi, da vivere sempre, ma che possono e devono conoscere una loro espressione privilegiata ogni domenica, nel “Giorno del Signore”. Riscopriamo, perciò, e rilanciamo con decisione il senso più vero e più bello della domenica e adoperiamoci perché, anche a livello culturale e sociale, venga rispettata la sacralità di questo giorno della settimana, anche come giorno di festa e di riposo a servizio dell’uomo e per il bene delle nostre famiglie e dell’intera società (cfr. Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa per le famiglie a Rjieka [8 giugno 2003], n. 3).


7. Carissimi, mossi dallo Spirito di Dio, andiamo per le strade di questa Città. Con passo più spedito, percorriamo le strade del mondo. Poveri e liberi, umili e coraggiosi, andiamo dappertutto per “far vedere” e “far incontrare” Gesù, per testimoniare e annunciare il Vangelo! In questo cammino di evangelizzazione, ci sono vicini e ci accompagnano i santi, i più veri e perfetti testimoni della fede e della carità. Della loro innumerevole schiera mi piace ricordare una giovane madre di famiglia della Diocesi di Milano, il cui messaggio è conosciuto e diffuso anche in Croazia, che Giovanni Paolo II ha proclamato santa lo scorso 16 maggio. È Gianna Beretta Molla, una donna che – nella vita cristiana ordinaria e fino ad immolare la sua esistenza perché non fosse violato il mistero della vita che portava nel grembo – è stata testimone del Vangelo come giovane, sposa, madre e medico. Santa Gianna – il cui sogno era quello di avere tanti bambini, bravi e sani – ci invita a riconoscere nei figli una benedizione del Signore e a rispettare sempre il valore della vita di ogni persona. Ci ricorda che anche la famiglia cristiana è chiamata a prendere parte attiva, in modo proprio e originale, alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Ci insegna a fidarci di Maria, a confidare in lei e ad affidarsi a lei, nella certezza che, «senza l’aiuto della Madonna, in Paradiso non si va». Con profonda ammirazione, qui, presso la sua tomba sempre circondata da grande affetto e venerazione, desidero soprattutto ricordare il beato cardinale Luigi Stepinac, un grande ed eroico testimone della fede della nostra epoca, il «più illustre personaggio» della Chiesa croata, come l’ha definito Giovanni Paolo II. La sua è una testimonianza da non dimenticare, che rifulge nella Chiesa e la fa crescere, perché ha in sé la forza e la fecondità proprie del martirio. Ben conosciamo il ruolo che Maria ha avuto nella vita di questo vostro amatissimo Arcivescovo. In particolare, ci è noto quanto gli fosse cara la piccola immagine della Madre di Dio, Ausiliatrice dei cristiani, che ancora oggi può essere ammirata a Krasic, nella sua camera da letto. Da lui riascoltiamo l’esortazione che leggiamo nel suo testamento: «Sarebbe difficile la vita in famiglia, se non ci fosse la madre. La Chiesa è la grande famiglia di Dio. Dio ha dato una madre a questa sua grande famiglia, cioè la beata Vergine Maria, Madre di Dio e madre di tutti noi. Miei cari fedeli… i nostri antenati riponevano in Lei la loro fiducia in tutte le ore difficili della loro vita personale e nazionale. Mantenete la luminosa tradizione dei nostri padri!». Sì, manteniamola questa tradizione! E continuiamo a guardare a Maria, la quale, nell’affascinante viaggio missionario che tutti ci coinvolge, cammina “con” noi e “davanti” a noi. A lei, modello incomparabile e perfetto della vita e della missione della Chiesa, affidiamo noi stessi, le nostre famiglie, la nostra Chiesa, la nostra Città, l’intera Nazione croata. Lo facciamo con le parole che il Santo Padre ha pronunciato un anno fa, nel suo ultimo viaggio in questa vostra terra (Omelia nella Celebrazione della Parola al Forum di Zadar, 9 giugno 2003, n. 5):
«Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra…
prega per noi
e sii nostra Patrona ora e sempre.
E a Te, che sei pure
Madonna del Grande Voto Battesimale Croato,
la Regina del Santo Rosario,
affidiamo oggi noi stessi,
tutta questa terra,
e l’intero popolo Croato».


+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano





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