La «Piena di Grazia»
Omelia del Card. Dionigi Tettamanzi del 8 dicembre 2006
DUOMO DI MILANO



Carissimi,
la solennità liturgica dell’Immacolata ci fa riascoltare una pagina notissima del vangelo di Luca, sempre straordinariamante bella e affascinante: quella dell’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, che così la saluta: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Luca 1,28).
Queste stesse parole sbocciano oggi, come del resto in ogni giorno dell’anno, nel cuore e sulle labbra di milioni e milioni di fedeli sparsi in tutto il mondo. E la Chiesa nella sua liturgia oggi riprende queste medesime parole e le ripronuncia con una precisa intenzione: quella di dire a tutti la sua fede, la fede nella pienezza di grazia da Dio donata a Maria, la vergine di Nazaret. Una fede, quella della Chiesa, che nel tempo ha preso coscienza sempre più luminosa e certa che tale pienezza di grazia si è espressa con un dono singolarissimo e unico, elargito nell’intero corso della storia dell’umanità solo a Maria, e che tale pienezza di grazia ha comportato per questa creatura umana la massima comunione possibile con Dio (quella della maternità divina) e insieme la totale esenzione da ogni peccato, a cominciare dal peccato originale, e questo sin dal concepimento, dal primo istante di vita.

Maria, donna unica al mondo!

Maria è, dunque, una creatura “tutta splendore”. Ed è “donna unica” al mondo con un simile pieno splendore. Infatti, l’esperienza umana universale è ben diversa da quella di Maria: è l’esperienza che ci è stata presentata dalla prima lettura (Genesi 3,9-15.20). Il libro della Genesi, infatti, ci parla di Adamo e di Eva che fuggono pieni di paura dallo sguardo di Dio: fuggono dopo il loro peccato, dopo aver disobbedito al comando del Signore di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male; fuggono mentre Dio maledice il serpente tentatore, con parole durissime, che insieme però aprono uno squarcio di luce e fanno risuonare un messaggio di speranza: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Genesi 3,15).

La Chiesa vede in questa donna, vittoriosa sul serpente, la figura luminosa di Maria santissima: mentre tutti quanti i discendenti di Adamo ed Eva saranno contaminati dalla loro colpa e dunque saranno vittime dell’opera tentatrice di Satana, lei sola, la vergine di Nazaret, non verrà raggiunta, neppure per un istante e neppure nella forma più piccola, da questo contagio di male. Lei è l’Immacolata. E tale è Maria non certo per un suo merito, ma per un dono assolutamente libero e gratuito di Dio. Proprio come dice il testo sacro: «Io porrò inimicizia tra te e la donna». Quell’”io” è il Signore, che così testimonia la sua potenza: una potenza tutta intessuta e vibrante di amore e di benevolenza.
Questa piena gratuità dell’amore di Dio nei riguardi di Maria trova la sua testimonianza più splendida e forte in quella grazia che supera tutte le altre, la grazia di essere chiamata a divenire la madre del Figlio eterno di Dio, che in lei si fa carne umana, carne imparentata con la carne di tutti gli uomini. Una vita, questa, che sboccia nel grembo verginale di Maria per l’opera dello Spirito Santo e per la potenza di Dio, come dirà l’angelo Gabriele: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Luca 1,35). E Maria è la prima ad essere consapevole e riconoscente che in lei tutto è grazia: la maternità divina e l’immacolata concezione. Canterà nel Magnificat: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo il suo nome» (Luca 1,49).

Contemplare le meraviglie dell’amore di Dio

Da parte sua la liturgia, nel salmo responsoriale, oggi canta: “Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore”. Così la Chiesa e noi tutti nella Chiesa.
Ma è anzitutto Dio stesso a contemplare, con infinito compiacimento, l’opera meravigliosa, il frutto splendido del proprio amore. La bellezza divina, che non ha pari alcuno in tutto il mondo, Dio la vede riflessa in modo compiuto e perfetto nella bellezza di una creatura umana. Il suo disegno d’amore si compie in Maria, la piena di grazia, la tota pulchra, la Tutta Santa!

Dunque la contemplazione riguarda il disegno del Signore che si realizza in modo singolarissimo in Maria. Ma questa stessa contemplazione si dilata e si distende ad altri aspetti del disegno di Dio e del suo amore. Anche la Chiesa, di cui Maria è figura e modello, è termine di contemplazione e di compiacimento da parte di Dio. Egli vuole farla comparire davanti a sè – così leggiamo nella lettera agli Efesini - «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Efesini 5,27). E’ la stessa contemplazione che la liturgia della Messa d’oggi canta con le parole: “In lei (Maria), creatura di intatto splendore, trova inizio la Chiesa, sposa di Cristo, senza macchia e senza ruga”.

Ma la contemplazione del disegno dell’amore di Dio ci tocca ancora più da vicino e ci coinvolge in modo sorprendente. Maria e la Chiesa non sono lontane da noi, non sono estranee a noi e alla nostra vita, perché c’è un legame straordinario e profondo che vincola ciascun credente – in un certo senso ciascun essere umano – all’immacolata Madre di Dio e alla santa Chiesa, alla loro bellezza spirituale. E’ l’apostolo Paolo che, richiamando alla nostra mente e al nostro cuore l’eterno disegno di Dio su di noi, ci invita a benedire il Padre per il destino che ci riserva e che ci porta a condividere la grazia elargita a Maria santissima, l’immacolata. Riprendiamo le parole di Paolo con lo stupore e la gratitudine del suo stesso cuore: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Efesini 1,3-6).

Sì, al di là di ogni nostro limite e ancor più dì ogni nostra miseria morale, Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ci ama con un amore inimmaginabile e ci stima in un modo del tutto sorprendente, chiamandoci a essere suoi figli adottivi e destinandoci a essere “santi e immacolati”: con una simile dignità e destinazione veniamo quanto mai avvicinati a quella pienezza di grazia, a quella santità e immacolatezza che rifulgono nel cuore di Maria, madre di Cristo e madre nostra.

La sua festa d’oggi diviene – deve divenire – anche la nostra festa
, un tempo cioè di gioia grande, di profonda gratitudine, di contemplazione attonita per l’amore totalmente libero e gratuito di Dio che ci fa partecipi della sua bellezza infinita.

Dalla celebrazione alla vita

La liturgia d’oggi ci chiede di entrare più convinti e decisi nel vissuto concreto delle nostre giornate. Infatti, la celebrazione della solennità dell’Immacolata ci chiede non soltanto di confessare la nostra fede nella verità di Maria concepita senza peccato e ripiena di santità, non soltanto di contemplare stupiti e gioiosi l’opera unica che Dio ha compiuto guardando all’umiltà della sua serva (cfr Luca 1,48), non soltanto di rendere grazie a Dio per il destino di santità per il quale ci ha scelti dall’eternità, ma anche di vivere il disegno di Dio, di inciderlo questo stesso disegno nei nostri pensieri e sentimenti,  nelle nostre decisioni e scelte, nei nostri comportamenti e gesti di vita.

Sì, siamo chiamati a passare dalla celebrazione alla vita, o meglio a rendere questa celebrazione vita, ossia anima e forza della nostra esistenza quotidiana. Del resto, è la stessa liturgia della Chiesa che, con le sue preghiere, ci sollecita a tradurre il mistero confessato e celebrato nella vita vissuta. Così, ad esempio, a conclusione della liturgia della parola la Chiesa prega Dio che “ha donato a Maria la grazia di essere l’unica, tra i figli di Adamo, preservata da ogni macchia”, di “lavarci dalle nostre colpe” così da “poter offrire a Dio una vita immacolata”.

 Se ora però passiamo dalla festa liturgica alla realtà quotidiana del mondo, se diamo uno sguardo alla situazione concreta della società nella quale siamo inseriti, dobbiamo riconoscere che a dominare il costume diffuso è una cultura che non apprezza, anzi disistima i valori morali e spirituali, e quindi la bellezza dell’anima, che è quella più vera e profonda, quella sola che può pienamente saziare il nostro insopprimibile anelito alla “Bellezza di ogni bellezza”, cioè il mistero stesso di Dio e del suo amore. La nostra è piuttosto una cultura che ci sollecita a ricercare in modo spasmodico i piaceri materiali come se questi fossero la fonte infallibile della gioia, di cui ha fame e sete il nostro cuore.

Ma c’è di più: rischiamo di essere tutti culturalmente contagiati dalla perdita del senso del peccato: le categorie di bene e di male – come categorie fondamentali e irrinunciabili della moralità – vengono fissate in modo soggettivo e strumentale, il più delle volte smarriscono i loro precisi confini e giungono sino a confondersi tra loro, come già diceva l’antico profeta ponendo sulle labbra del Signore questa condanna dell’insensibilità morale di Israele: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (Isaia 5,20).
In questo contesto sociale e culturale diviene ancora più urgente per noi credenti, discepoli del Signore essere “nel” mondo ma non “del” mondo, ossia essere e vivere secondo il disegno – cioè il cuore – di Dio, che ci vuole “santi e immacolati”, avvicinandoci così alla bellezza di grazia che fa risplendere in modo pieno l’anima di Maria, la Tutta Santa.

Siamo invitati ad avere una grande delicatezza di coscienza, che significa l’impegno a evitare anche le colpe più piccole, anzi a prevenirle non esponendoci alle occasioni di peccato e vincendo le tentazioni che ci possono insidiare; e poi l’impegno a rendere più viva e vigile la nostra sensibilità morale, e soprattutto a lasciarci condurre dalla forza soave dello Spirito di Dio che ci spinge alla perfezione dell’amore e ad andare decisamente oltre la mediocrità della vita e i piccoli compromessi con il male.

La festa d’oggi è tutto un invito alla fiducia e alla generosità. Accogliamo questo invito, sapendo che Maria senz’altro ci aiuterà, con il fascino irresistibile della sua bellezza di grazia e di santità, ad essere “santi e immacolati” al cospetto di Dio nella carità. E così porteremo il nostro piccolo ma prezioso contributo alla santità della Chiesa e offriremo la nostra umile ma decisa testimonianza di vita perché si elevi il tono morale e spirituale della stessa nostra società.                                             +

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano





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