Marialis cultus [3] - 3
Esortazione Apostolica del 2 febbraio 1974
3. Indicazioni circa i pii esercizi dell Angelus e del Rosario


40. Abbiamo indicato alcuni principi, atti a dare nuovo vigore al culto della Madre del Signore; ora è compito delle conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali, delle varie famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine, assecondare l’impulso creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità pastorale, desiderano dare vita a nuove forme. Tuttavia, ci sembra opportuno, sia pure per motivi diversi, trattare di due pii esercizi, molto diffusi in occidente e dei quali questa sede apostolica si è occupata in varie occasioni: l’"Angelo del Signore" e il rosario o "corona" della beata vergine Maria.

41. La nostra parola sull’Angelo del Signore vuole essere solo una semplice, ma viva esortazione a mantenere consueta la recita, dove e quando sia possibile. Tale preghiera non ha bisogno di restauro: la struttura semplice, il carattere biblico, l’origine storica, che la collega alla invocazione dell’incolumità nella pace, il ritmo quasi liturgico, che santifica momenti diversi della giornata, l’apertura verso il mistero pasquale, per cui, mentre commemoriamo l’incarnazione del Figlio di Dio, chiediamo di essere condotti " per la sua passione e la sua croce alla gloria della risurrezione ", fanno sì che essa, a distanza di secoli, conservi inalterato il suo valore e intatta la sua freschezza. È vero che alcune usanze, tradizionalmente collegate con la recita dell’"Angelo del Signore", sono scomparse o difficilmente possono continuare nella vita moderna; ma si tratta di elementi marginali. Immutati restano il valore della contemplazione del mistero dell’incarnazione del Verbo, del saluto alla Vergine e del ricorso alla sua misericordiosa intercessione; e, nonostante le mutate condizioni dei tempi, invariati permangono per la maggior parte degli uomini quei momenti caratteristici della giornata - mattino, mezzogiorno, sera -, i quali segnano i tempi della loro attività e costituiscono invito ad una pausa di preghiera.

Indicazioni per il "rosario"

42. Vogliamo ora, fratelli carissimi, soffermarci alquanto sul rinnovamento di quel pio esercizio, che è stato chiamato " il compendio di tutto quanto il vangelo ": la corona della beata vergine Maria, il rosario. Ad essa i nostri predecessori hanno dedicato vigile attenzione e premurosa sollecitudine: ne hanno più volte raccomandata la recita frequente, favorita la diffusione, illustrata la natura, riconosciuta l’attitudine a sviluppare una preghiera contemplativa, che è insieme di lode e di supplica, ricordata la connaturale efficacia nel promuovere la vita cristiana e l’impegno apostolico. Anche noi, fin dalla prima udienza generale del nostro pontificato (13 luglio 1963), abbiamo dimostrato la nostra grande stima per la pia pratica del rosario, e in seguito ne abbiamo sottolineato il valore in molteplici circostanze, ordinarie alcune, gravi altre, come quando, in un’ora di angoscia e di insicurezza, pubblicammo l’epistola enciclica "Christi matri" (15 settembre 1966), perché fossero rivolte supplici preghiere alla beata Vergine del rosario, per implorare da Dio il bene supremo della pace; appello che abbiamo rinnovato nella nostra esortazione apostolica "Recurrens mensis october" (7 ottobre 1969), nella quale commemoravamo il quarto centenario della lettera apostolica "Consueverunt romani pontifices" del nostro predecessore s. Pio V, che in essa illustrò e, in qualche modo, definì la forma tradizionale del rosario.

43. Il nostro assiduo interesse verso il tanto caro rosario della beata vergine Maria ci ha spinto a seguire molto attentamente i numerosi convegni, dedicati in questi ultimi anni alla pastorale del rosario nel mondo contemporaneo: convegni promossi da associazioni e da persone che hanno profondamente a cuore la devozione del rosario, ed ai quali hanno partecipato vescovi, presbiteri, religiosi e laici di provata esperienza e di accreditato senso ecclesiale. Tra questi è giusto ricordare i figli di s. Domenico, per tradizione custodi e propagatori di così salutare devozione. Ai lavori dei convegni si sono affiancate le ricerche degli storici, condotte non per definire con intenti quasi archeologici la forma primitiva del rosario, ma per coglierne l’intuizione originaria, l’energia primigenia, la essenziale struttura. Da tali convegni e ricerche sono emerse più nitidamente le caratteristiche fondamentali del rosario, i suoi elementi essenziali e il loro mutuo rapporto.

44. Così, per esempio, è apparsa in più valida luce l’indole evangelica del rosario, in quanto dal vangelo esso trae l’enunciato dei misteri e le principali formule; al vangelo si ispira per suggerire, movendo dal gioioso saluto dell’angelo e dal religioso assenso della Vergine, l’atteggiamento con cui il fedele deve recitarlo; e del vangelo ripropone, nel susseguirsi armonioso delle Ave Maria, un mistero fondamentale - l’incarnazione del Verbo contemplato nel momento decisivo dell’annuncio fatto a Maria. Preghiera evangelica è, dunque, il rosario, come oggi forse più che nel passato amano definirlo i pastori e gli studiosi.

45. È stato, altresì, compreso più facilmente come l’ordinato e graduale svolgimento del rosario rifletta il modo stesso con cui il Verbo di Dio, inserendosi per misericordiosa determinazione nella vicenda umana, ha operato la redenzione: di essa il rosario considera, infatti, in ordinata successione i principali eventi salvifici che si sono compiuti in Cristo: dalla concezione verginale e dai misteri dell’infanzia fino ai momenti culminanti della pasqua - la beata passione e la gloriosa risurrezione - ed agli effetti che essa ebbe sia sulla chiesa nascente nel giorno di pentecoste, sia sulla vergine Maria nel giorno in cui, dopo l’esilio terreno, ella fu assunta in corpo e anima alla patria celeste. Ed è stato ancora osservato come la triplice partizione dei misteri del rosario non solo aderisca strettamente all’ordine cronologico dei fatti, ma soprattutto rifletta lo schema del primitivo annuncio della fede e riproponga il mistero di Cristo nel modo stesso in cui è visto da s. Paolo nel celebre inno della lettera ai Filippesi: umiliazione, morte, esaltazione ( Fil 2,6-11).

46. Preghiera evangelica, incentrata nel mistero dell’incarnazione redentrice, il rosario è, dunque, preghiera di orientamento nettamente cristologico. Infatti, il suo elemento caratteristico - la ripetizione litanica del " Rallegrati, Maria " - diviene anch’esso lode incessante a Cristo, termine ultimo dell’annuncio dell’angelo e del saluto della madre del Battista: " benedetto il frutto del tuo seno " (Lc 1,42). Diremo di più: la ripetizione dell’Ave, Maria costituisce l’ordito, sul quale si sviluppa la contemplazione dei misteri: il Gesù che ogni Ave, Maria richiama, è quello stesso che la successione dei misteri ci propone, di volta in volta, Figlio di Dio e della Vergine, nato in una grotta di Betlemme; presentato dalla madre al tempio; giovinetto pieno di zelo per le cose del Padre suo; Redentore agonizzante nell’orto; flagellato e coronato di spine; carico della croce e morente sul Calvario; risorto da morte e asceso alla gloria del Padre, per effondere il dono dello Spirito. È noto che, appunto per favorire la contemplazione e far corrispondere la mente alla voce, si usava un tempo - e la consuetudine si è conservata in varie regioni - aggiungere al nome di Gesù, in ogni "Ave Maria", una clausola che richiamasse il mistero enunciato.

47. Si è pure sentita con maggiore urgenza la necessità di ribadire, accanto al valore dell’elemento della lode e dell’implorazione, l’importanza di un altro elemento essenziale del rosario: la contemplazione. Senza di essa il rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di contraddire all’ammonimento di Gesù: " Quando pregate, non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità " (Mt 6,7). Per sua natura la recita del rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano all’orante la meditazione del misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze.

48. Dalla riflessione contemporanea sono stati, infine, compresi con maggior precisione i rapporti intercorrenti tra liturgia e rosario. Da una parte, è stato sottolineato come il rosario sia quasi un virgulto germogliato sul tronco secolare della liturgia cristiana, per il quale gli umili venivano associati al cantico di lode ed alla universale intercessione della chiesa; dall’altra, è stato osservato che ciò è avvenuto in un’epoca - il declino del medioevo -, in cui lo spirito liturgico era in decadenza e si verificava un certo allontanamento dei fedeli dalla liturgia in favore di una devozione sensibile verso l’umanità di Cristo e verso la beata Vergine Maria. Se in tempi non lontani poté sorgere nell’animo di alcuni il desiderio di vedere annoverato il rosario tra le espressioni liturgiche ed in altri, per la preoccupazione di evitare errori pastorali del passato, una ingiustificata disattenzione verso il medesimo rosario, oggi il problema si può facilmente risolvere alla luce dei principi della costituzione "Sacrosanctum concilium": le celebrazioni liturgiche e il pio esercizio del rosario non si devono né contrapporre né equiparare. Ogni espressione di preghiera riesce tanto più feconda, quanto più conserva la sua vera natura e la fisionomia che le è propria. Riaffermato quindi il valore preminente delle azioni liturgiche, non sarà difficile riconoscere come il rosario sia un pio esercizio che si accorda facilmente con la sacra liturgia. Come la liturgia, infatti, esso ha un’indole comunitaria, si nutre della sacra scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della liturgia e la memoria contemplativa del rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici compiuti da Cristo. La prima rende presenti, sotto il velo dei segni ed operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra redenzione; la seconda, con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli stessi misteri alla mente dell’orante e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita. Stabilita questa sostanziale differenza, non è difficile comprendere come il rosario sia un pio esercizio che dalla liturgia ha tratto motivo e, se praticato secondo la ispirazione originaria, ad essa naturalmente conduce, pur senza varcarne la soglia. Infatti, la meditazione dei misteri del rosario, rendendo familiari alla mente e al cuore dei fedeli i misteri del Cristo, può costituire un’ottima preparazione alla celebrazione di essi nell’azione liturgica e divenirne poi eco prolungata. È, tuttavia, un errore, purtroppo ancora presente in qualche luogo, recitare il rosario durante l’azione liturgica.

49. La corona della beata vergine Maria, secondo la tradizione accolta dal nostro predecessore s. Pio V e da lui autorevolmente proposta, consta di vari elementi, organicamente disposti: a) la contemplazione in comunione con Maria di una serie di misteri della salvezza, sapientemente distribuiti in tre cicli, che esprimono il gaudio dei tempi messianici, il dolore salvifico di Cristo, la gloria del Risorto che inonda la chiesa; contemplazione che, per sua natura, conduce a pratica riflessione e suscita stimolanti norme di vita; b) l’orazione del Signore, o Padre nostro, che per il suo immenso valore è alla base della preghiera cristiana e la nobilita nelle sue varie espressioni.

c) la successione litanica dell’Ave, Maria, che risulta composta dal saluto dell’angelo alla Vergine (cf. Lc 1,25) e dal benedicente ossequio di Elisabetta (cf. Lc 1,42), a cui segue la supplica ecclesiale "Sante Maria". La serie continuata delle "Ave, Maria" è caratteristica peculiare del rosario, e il loro numero, nella forma tipica e plenaria di centocinquanta, presenta una certa analogia con il salterio ed è un dato risalente all’origine stessa del pio esercizio. Ma tale numero, secondo una comprovata consuetudine, diviso in decadi annesse ai singoli misteri, si distribuisce nei tre cicli anzidetti, dando luogo alla corona di cinquanta Ave, Maria, la quale è entrata nell’uso come misura normale del medesimo esercizio e, come tale, è stata adottata dalla pietà popolare e sancita dai sommi pontefici, che la arricchirono anche di numerose indulgenze; d) la dossologia Gloria al Padre che, conformemente ad un orientamento comune alla pietà cristiana, chiude la preghiera con la glorificazione di Dio, uno e trino, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose (cf. Rm 11,36).

50. Questi sono gli elementi del santo rosario. Ognuno di essi ha la sua indole propria che, saggiamente compresa e valutata, deve riflettersi nella recita, perché il rosario possa esprimere tutta la sua ricchezza e varietà. Detta recita, pertanto, diventerà grave e implorante nell’orazione del Signore; lirica e laudativa nel calmo fluire delle Ave, Maria; contemplativa nell’attenta riflessione intorno ai misteri; adorante nella dossologia. E ciò deve avvenire nelle varie forme, in cui si è soliti recitare il rosario: o privatamente, quando l’orante si raccoglie nell’intimità con il suo Signore; o comunitariamente, in famiglia o tra fedeli riuniti in gruppo, per creare le condizioni di una particolare presenza del Signore (cf. Mt 18,20); o pubblicamente, cioè in assemblee nelle quali è convocata la comunità ecclesiale.

51. In tempi recenti sono stati creati alcuni pii esercizi, che traggono ispirazione dal rosario. Tra essi, desideriamo indicare e raccomandare quelli che inseriscono nello schema consueto delle celebrazioni della parola di Dio alcuni elementi del rosario della beata Vergine, quali la meditazione dei misteri e la ripetizione litanica del saluto angelico. Tali elementi acquistano così maggior risalto, essendo inquadrati nella lettura di testi biblici, illustrati con l’omelia, circondati da pause di silenzio, sottolineati con il canto. Ci rallegra sapere che tali esercizi hanno contribuito a far comprendere più compiutamente le ricchezze spirituali del rosario stesso ed a rivalutarne la pratica presso associazioni e movimenti giovanili.

52. Vogliamo ora, in continuità di intendimenti con i nostri predecessori, raccomandare vivamente la recita del rosario in famiglia. Il concilio Vaticano II ha messo in luce come la famiglia, cellula prima e vitale della società, "grazie all’amore scambievole dei suoi membri e alla preghiera a Dio elevata in comune, si riveli come il santuario domestico della chiesa". La famiglia cristiana, quindi, si presenta come una chiesa domestica, se i suoi membri, ciascuno nell’ambito e nei compiti che gli sono propri, tutti insieme promuovono la giustizia, praticano le opere di misericordia, si dedicano al servizio dei fratelli, prendono parte all’apostolato della più vasta comunità locale e si inseriscono nel suo culto liturgico; ed ancora, se innalzano in comune supplici preghiere a Dio: ché, se non ci fosse questo elemento, le verrebbe a mancare il carattere stesso di famiglia cristiana. Perciò, al recupero della nozione teologica della famiglia come chiesa domestica, deve coerentemente seguire un concreto sforzo per instaurare nella vita familiare la preghiera in comune.

53. Conformemente alle direttive conciliari, i principi e norme per la liturgia delle ore giustamente annoverano il nucleo familiare tra i gruppi, a cui si addice la celebrazione in comune dell’ufficio divino: " È cosa lodevole (...) che la famiglia, santuario domestico della chiesa, oltre alle comuni preghiere celebri anche, secondo l’opportunità, qualche parte della liturgia delle ore, inserendosi così più intimamente nella chiesa ". Nulla deve essere lasciato intentato, perché questa chiara e pratica indicazione trovi nelle famiglie cristiane crescente e gioiosa applicazione.

54. Ma, dopo la celebrazione della liturgia delle ore - culmine a cui può giungere la preghiera domestica -, non v’è dubbio che la corona della beata vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci " preghiere in comune ", che la famiglia cristiana è invitata a recitare. Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l’incontro familiare diventa tempo di preghiera, il rosario ne sia espressione frequente e gradita. Siamo ben consapevoli che le mutate condizioni della vita degli uomini non favoriscono, ai nostri giorni, la possibilità di riunione tra familiari e che, anche quando ciò avviene, non poche circostanze rendono difficile trasformare l’incontro della famiglia in occasione di preghiera. È cosa difficile, senza dubbio. Ma è pur caratteristico dell’agire cristiano non arrendersi ai condizionamenti ambientali, ma superarli; non soccombere, ma elevarsi. Perciò, le famiglie che vogliono vivere in pienezza la vocazione e la spiritualità propria della famiglia cristiana, devono dispiegare ogni energia per eliminare tutto ciò che ostacola gli incontri in famiglia e le preghiere in comune.

55. Concludendo queste osservazioni, testimonianza della sollecitudine e della stima di questa sede apostolica per il rosario mariano, vogliamo raccomandare, tuttavia, che nel diffondere così salutare devozione non ne vengano alterate le proporzioni, né essa sia presentata con inopportuno esclusivismo; il rosario è preghiera eccellente, nei riguardi della quale però il fedele deve sentirsi serenamente libero, sollecitato a recitarlo, in composta tranquillità, dalla sua intrinseca bellezza.


Conclusione: Valore teologico e pastorale del culto della B. Vergine Maria

56. Venerabili Fratelli, al termine di questa nostra esortazione apostolica desideriamo sottolineare in sintesi il valore teologico del culto alla Vergine e ricordare brevemente la sua efficacia pastorale per il rinnovamento del costume cristiano.

La pietà della chiesa verso la vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano. La venerazione che la chiesa ha reso alla Madre di Dio in ogni luogo e in ogni tempo - dal saluto benedicente di Elisabetta (cf. Lc 1,42-45) alle espressioni di lode e di supplica della nostra epoca - costituisce una validissima testimonianza che la norma di preghiera della chiesa è un invito a ravvivare nelle coscienze la sua norma di fede. E, viceversa, la norma di fede della chiesa richiede che, dappertutto, si sviluppi rigogliosa la sua norma di preghiera nei confronti della Madre del Cristo. Tale culto alla Vergine ha radici profonde nella parola rivelata e insieme solidi fondamenti dogmatici: la singolare dignità di Maria, " Madre del Figlio di Dio e, perciò, figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito santo; per il quale dono di grazia straordinaria precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri "; la sua cooperazione nei momenti decisivi dell’opera della salvezza, compiuta dal figlio; la sua santità, già piena nella concezione immacolata e pur crescente via via che ella aderiva alla volontà del Padre e percorreva la via della sofferenza (cf. Lc 2,34-35; 2,41-52; Gv 19,25-27), progredendo costantemente nella fede, nella speranza e nella carità; la sua missione e condizione unica nel popolo di Dio, del quale è insieme membro eccellentissimo, modello chiarissimo e Madre amorosissima; la sua incessante ed efficace intercessione per la quale, pur assunta in cielo, è vicinissima ai fedeli che la supplicano ed anche a coloro che ignorano di esserne figli; la sua gloria, che nobilita tutto il genere umano, come mirabilmente espresse il poeta Dante: " Tu sé colei che l’umana natura / nobilitasti sì, chél suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura ". Maria, infatti, è detta nostra stirpe, vera figlia di Eva, benché esente dalla colpa di questa madre, e vera nostra sorella, la quale ha condiviso pienamente, donna umile e povera, la nostra condizione.

Aggiungiamo che il culto alla beata Vergine ha la sua ragione ultima nell’insondabile e libera volontà di Dio, il quale, essendo eterna e divina carità (cf. 1Gv 4,7-8.16), tutto compie secondo un disegno di amore: egli l’amò ed in lei operò grandi cose (cf. Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò anche per noi; la donò a se stesso e la donò anche a noi.

57. Cristo è la sola via al Padre (cf. Gv 14,4-11). Cristo è il modello supremo al quale il discepolo deve conformare la propria condotta (cf. Gv 13,15), fino ad avere gli stessi suoi sentimenti (cf. Fil 2,5), vivere della sua vita e possedere il suo Spirito (cf. Gal 2,20; Rm 8,10-11): questo la chiesa ha insegnato in ogni tempo e nulla, nell’azione pastorale, deve oscurare questa dottrina. Ma la chiesa, edotta dallo Spirito e ammaestrata da una secolare esperienza, riconosce che anche la pietà verso la beata Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore ed in connessione con essa, ha una grande efficacia pastorale e costituisce una forza rinnovatrice del costume cristiano. La ragione di tale efficacia è facilmente intuibile. Infatti la molteplice missione di Maria verso il popolo di Dio è realtà soprannaturale operante e feconda nell’organismo ecclesiale. E rallegra considerare i singoli aspetti di tale missione e vedere come essi siano orientati, ciascuno con propria efficacia, verso il medesimo fine: riprodurre nei figli i lineamenti spirituali del Figlio primogenito. Vogliamo dire che la materna intercessione della Vergine, la sua santità esemplare, la grazia divina, che è in lei, diventano per il genere umano argomento di speranze superne.

La missione materna della Vergine spinge il popolo di Dio a rivolgersi con filiale fiducia a colei, che è sempre pronta ad esaudirlo con affetto di madre e con efficace soccorso di ausiliatrice. Esso, pertanto, è solito invocarla come consolatrice degli afflitti, salute degli infermi, rifugio dei peccatori, per aver nella tribolazione conforto, nella malattia sollievo, nella colpa forza liberatrice; perché ella, che è libera dal peccato, a questo conduce i suoi figli: a debellare con energica risoluzione il peccato. E tale liberazione dal peccato e dal male (cf. Mt 6,13) è - occorre riaffermarlo - la premessa necessaria per ogni rinnovamento del costume cristiano.

La santità esemplare della Vergine muove i fedeli ad innalzare " gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti ". Si tratta di virtù solide, evangeliche: la fede e l’accoglienza docile della parola di Dio (cf. Lc 1,26-38; 1,45; 11,27-28; Gv 2,5); l’obbedienza generosa (cf. Lc 1,38); l’umiltà schietta (cf. Lc 1,48); la carità sollecita (cf. Lc 1,39-56); la sapienza riflessiva (cf. Lc 1,29-34; 2,19.33.51); la pietà verso Dio, alacre nell’adempimento dei doveri religiosi (cf. Lc 2,21,22-40.41), riconoscente dei doni ricevuti (cf. Lc 1,46-49), offerente nel tempio (cf. Lc 2,22-24), orante nella comunità apostolica (cf. At 1,12-14); la fortezza nell’esilio (cf. Mt 2,13-23), nel dolore (cf. Lc 2,34-35.49; Gv 19,25); la povertà dignitosa e fidente in Dio (cf. Lc 1,48; 2,24); la vigile premura verso il Figlio, dall’umiliazione della culla fino all’ignominia della croce (cf. Lc 2,1-7,; Gv 19,25-27), la delicatezza previdente (cf. Gv 2,1-11); la purezza verginale (cf. Mt 1,18-25; Lc 1,26-38); il forte e casto amore sponsale. Di queste virtù della Madre si orneranno i figli, che con tenace proposito guardano i suoi esempi, per riprodurli nella propria vita. Tale progresso nella virtù apparirà conseguenza e già frutto maturo di quella forza pastorale che scaturisce dal culto reso alla Vergine.

La pietà verso la Madre del Signore diviene per il fedele occasione di crescita nella grazia divina: scopo ultimo, questo, di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare la Piena di grazia senza onorare in se stessi lo stato di grazia, cioè l’amicizia con Dio, la comunione con lui, l’inabitazione dello Spirito. Questa grazia divina investe tutto l’uomo e lo rende conforme all’immagine del figlio di Dio (cf. Rm 8,29; Col 1,18). La chiesa cattolica, basandosi sull’esperienza di secoli, riconosce nella devozione alla Vergine un aiuto potente per l’uomo in cammino verso la conquista della sua pienezza. Ella, la Donna nuova, è accanto a Cristo, l’Uomo nuovo, nel cui mistero solamente trova vera luce il mistero dell’uomo, e vi è come pegno e garanzia che in una pura creatura, cioè in lei, si è già avverato il progetto di Dio, in Cristo, per la salvezza di tutto l’uomo. All’uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l’angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, turbato nell’animo e diviso nel cuore, con la mente sospesa dall’enigma della morte, oppresso dalla solitudine mentre tende alla comunione, preda della nausea e della noia, la beata vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte.

Sigillo della nostra esortazione e ulteriore argomento del valore pastorale della devozione alla Vergine nel condurre gli uomini a Cristo, siano le parole stesse che ella rivolse ai servitori delle nozze di Cana: " Fate quello che egli vi dirà" (Gv 2,5); parole, in apparenza, limitate al desiderio di porre rimedio a un disagio conviviale, ma, nella prospettiva del quarto evangelo, sono come una voce in cui sembra riecheggiare la formula usata dal popolo di Israele per sancire l’alleanza sinaitica (cf. Es 19,8; 24,3,7; Dt 5,27), o per rinnovarne gli impegni (cf. Gios 24, 24; Esd 10,12; Ne 5,12), e sono anche una voce che mirabilmente si accorda con quella del Padre nella teofania del monte Tabor: "Ascoltatelo!" (Mt 17,5).

58. Abbiamo trattato diffusamente, venerabili fratelli, di un elemento che è parte integrante del culto cristiano: la venerazione verso la Madre del Signore. Lo ha richiesto la natura della materia, che è stata oggetto di studio, di revisione e, talora, di qualche perplessità in questi ultimi anni. Ci è di conforto il pensiero che il lavoro compiuto, in adempimento delle norme del concilio, da questa sede apostolica e da voi stessi - in particolar modo, la riforma liturgica - sia valida premessa per un culto a Dio, Padre e Figlio e Spirito, sempre più vivo e adorante, e per la crescita della vita cristiana nei fedeli. Ci è motivo di fiducia la constatazione che la rinnovata liturgia romana costituisce, anche nel suo insieme, fulgida testimonianza della pietà della chiesa verso la Vergine. Ci sostiene la speranza che le direttive, emanate per rendere tale pietà sempre più limpida e vigorosa, saranno sinceramente applicate. Ci allieta, infine, l’opportunità che il Signore ci ha concesso di offrire alcuni spunti di riflessione per rinnovare e confermare la stima verso la pratica del rosario mariano. Conforto, fiducia, speranza, letizia sono i sentimenti che, unendo la nostra voce alla voce della Vergine - come implora la liturgia romana -, vogliamo tradurre in fervida lode e ringraziamento al Signore.

Mentre auspichiamo, pertanto, che grazie al vostro impegno generoso, fratelli carissimi, ci sia nel clero e nel popolo, affidato alle vostre cure, un salutare incremento della devozione mariana con indubbio profitto per la chiesa e per la società umana, impartiamo di cuore a voi ed a tutti i fedeli, cui è rivolto il vostro zelo pastorale, una speciale benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 2 febbraio 1974, festa delle presentazione del Signore, anno undicesimo del nostro pontificato.





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