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PIETÀ MARIANA NEL POST-CONCILIO


1. Il ritorno del vissuto affettivo
Nel post-concilio, in sintonia con il post-moderno, si sperimenta «il ritorno del vissuto affettivo in primissimo piano», che implica «una sorta di congedo da quell'eccessiva mentalità razionalistica, tipica dell'età moderna». La dimensione affettiva è oggi ritenuta necessaria per l'identità e la felicità della persona umana: «L'uomo crede vero ciò che appare sotto la forma dell'amore perché l'amore rappresenta lo stesso essere dell'uomo e in esso ci si può dunque riconoscere; nell'amore, dunque, l'uomo non si sente minacciato e può scoprire una possibile strada per la propria felicità». Carlo Rocchetta, rispondendo ad un appello di Heinrich Böll (1917-1985) per «una teologia che possa acquisire la tenerezza e che ne usi nel linguaggio», elabora, nel 2000, una Teologia della tenerezza, in cui lega questo sentimento alla vita: «Fra tutti i sentimenti che l'uomo ha sviluppato durante la sua storia, non ne esiste uno che superi la tenerezza come qualità tipicamente umana e umanizzante». La tenerezza è classificata soprattutto dalla parte del pathos o del sentimento: «La tenerezza non appartiene all'ordine del mero cogito, ma a quello della sensibilità, una sensibilità carica di affetto e di partecipazione, una dilectio che appella alla mobilitazione di tutta la persona e guarda all'agàp, alla carità teologale, come al suo paradigma e vertice di realizzazione». Più che formulare una teologia della tenerezza, Rocchetta preferisce interrogarsi «sulla teologia che sorge dalla tenerezza evangelica divenuta "impegno politico"». Alla tenerezza possiamo collegare la prospettiva di Maria «volto materno di Dio», lanciata da Puebla e proseguita da altri autori. Circa il rapporto tra sentimento, ragione e vita, andiamo incontro ad una molteplice soluzione che avrà i suoi risvolti anche in campo mariano.
a) Autonomia del sentimento.
Innanzitutto c'è chi, con Heinrich Böll, ritiene che il sentimento è un mondo a sé, con le sue leggi e i suoi oggetti, diversi da quelli della ragione. Il suo oggetto specifico, verso il quale si proietta con intenzionalità, è il valore, considerato come realtà ultima e assoluta. Esiste un «ordine del cuore» (B. Pascal) e una «logica dei sentimenti» (T. Ribot) differenti dalla logica razionale, la quale deve percorrere la sua strada, senza arrogarsi il diritto di giudicare gli affetti umani nella loro autonomia. In realtà, intervenire intellettualisticamente nella lingua amoris, che si compiace in espressioni esagerate in pieno conflitto con un dettato razionale («Tu sei tutto per me... Senza dite non posso vivere... Ti amo con tutte le forze dell'animo...»), significa non capirla, mortificarla ed infine condannarla. Ogni controllo in questo orizzonte è considerato un'intrusione.
b) Subordinazione della ragione al sentire
Ma poiché l'intreccio del sentimento con tutta la vita psichica dell'essere umano è inevitabile, data l'unità della persona umana, c'è chi come Mario Perniola vede «nella sostituzione dell'ideologia con la sensologia [ ... ] una vera e propria subordinazione del pensare e del fare al sentire, il quale acquista il potere di conferire ai pensieri e alle azioni una dimensione effettuale che da soli non riescono a raggiungere». A questa corrente appartiene la spiritualità affettiva «che dà più importanza agli affetti invece che alle considerazioni dottrinali». Essa non disprezza la dottrina, ma «il suo scopo immediato è di toccare il cuore, di far germogliare il sentimento che spingerà all'azione»: «Essa si sforza di aumentare l'amore di Dio nell'anima e non di dissertare sulla natura di questo amore. A tal fine mette in rilievo gli aspetti commoventi e consolanti della religione cristiana. Le piace ispirare il desiderio dell'unione mistica, senza cercare di spiegare la natura ditale unione». S. Teresa di Gesù (1515-1582) tende a privilegiare l'amore sul pensare, perché proprio l'amore costituisce un grande propellente verso gli stadi più alti della mistica: «Per fare grandi progressi in questo cammino e salire a queste dimore che sono oggetto dei nostri desideri, l'essenziale non è di pensare molto ma di amare molto: così dunque aderite di preferenza a ciò che infiammerà di più il vostro amore».
c) Integrazione dell'affettività nel progetto spirituale
Muovendo dalla spiritualità, André Bernard affronta la questione dell'affettività in vista del superamento della consuetudine teologica, che le riserva poco spazio o ne tratta in senso negativo. Tenendo conto dell'esplorazione del campo affettivo da parte della psicanalisi e della fenomenologia, occorre valorizzare l'istanza affettiva in tutta la sua ampiezza e applicarla alla vita spirituale. Pur ammettendo che «la modalità sentimentale è molto importante perché non solo non disturba l'agire razionale, ma gli dà forza e lucidità», così che «l'affettività è sempre una ricchezza», Bernard è convinto che la maturità affettiva esige un'integrazione dell'affettività «sotto il controllo della ragione», illuminata dalla fede e quindi armonizzata con il progetto personale di vita spirituale. Ne scaturisce una necessaria «disciplina ascetica» per subordinare le pulsioni o le passioni ai valori spirituali, evitando però l'apàtheia degli stoici e i processi di rimozione e di repressione. Contro la separazione delle due sfere del ragionare e dell'amare, il Progetto culturale della CEI si pronuncia per una loro integrazione, necessaria ma certo non facile a raggiungere: «Nella cultura dell'insensatezza l'esperienza vissuta nasce divisa; in particolare, intelligenza e affettività sono scisse e la separazione tra razionalità calcolante e vissuto emotivo è ricorrente. ( ... ) La razionalità, dunque, è concepita come un freddo potere analitico e organizzatore, mentre l'affettività (vissuta a livello emotivo: sentire e sentirsi) è avvertita come relazione calda con gli altri e con il mondo, ma al di fuori dell'orizzonte della ragione. E chiaro che questo vissuto rende l'intelligenza tutta protesa all'oggettività esteriore e alla gestione della vita, ma arida e disinteressata all'esperienza vissuta e alle questioni di senso; mentre il vissuto affettivo si riduce alla reattività emozionale, estranea alla vita dell'intelligenza, e perciò spontaneistica e incontrollata, cioè sempre più povero di valore simbolico. Si perde così il centro unitario di una personalità capace di mettersi in cammino verso la propria maturità. Manca anzitutto l'esperienza di una razionalità affettiva e di un'affèttività ragionevole, il cui vissuto sia fin dall'inizio unitario e perciò costruttiva di una personalità equilibrata!». In sostanza, i sentimenti spaventano per «il loro potere "invasivo"», per «la loro tendenza ad espandersi e ad essere totalizzanti» e per la loro «imprevedibilità», tuttavia essi non possono essere eliminati, né visti necessariamente «in contrasto con la razionalità»: la collaborazione tra vita affettiva e razionalità «è la finalità auspicabile». Anzi, per il neurobiologo portoghese A. Damàsio il sentimento sarebbe «una parte integrante del modo di operare della ragione». S'impone una conclusione dagli effetti salutari: «I sentimenti non costituiscono dunque un optional o, peggio, un impaccio inutile, essi sono invece un aiuto prezioso per la stessa facoltà razionale, perché il cervello non è un computer, ma un organismo vivente, affettivo, che opera affettivamente».

2. Risonanze affettive nel culto di Maria

Queste tre posizioni circa il vissuto affettivo sono inconsciamente applicate al culto mariano da alcuni teologi o mariologi del post-concilio, senza giungere però ad uno studio completo ex professo.
a) Distinzione delle sfere della ragione e del sentimento e «metro obiettivo della ratio» (J. Ratzinger).
La riflessione di Joseph Ratzinger su Maria affronta la problematica del rapporto tra ragione e sentimento, razionalità e affetto, preservando o liberando il cristianesimo e la devozione mariana dagli scogli dell'intellettualismo e del sentimentalismo, ambedue sterili. Nel Rapporto sulla fede (1985) egli distingue e unisce la sfera dell'intelletto e quella del cuore: «La corretta devozione mariana garantisce alla fede la convivenza dell'indispensabile «ragione» con le altrettanto indispensabili «ragioni del cuore», come direbbe Pascal. Per la Chiesa l'uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l'unione di queste due dimensioni. La testa deve riflettere con lucidità ma il cuore deve essere riscaldato: la devozione a Maria («esente da qualunque falsa esagerazione ma anche da una grettezza di mente che non consideri la singolare dignità della Madre di Dio», come raccomanda il Concilio, assicura alla fede la sua dimensione umana completa». La motivazione esplicita cui si riferisce Ratzinger è certamente di natura antropologica: «l'uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l'unione di queste due dimensioni». Ma poiché il loro rapporto è in se stesso conflittuale o almeno in tensione, ragione e sentimento non solo devono restare uniti, ma devono interagire, penetrandosi una nell'altro come in pericoresi.Così spiega Ratzinger in un'ulteriore riflessione (1998): «[La pietà mariana] si manterrà sempre nella tensione tra razionalità teologica e affettività credente. Ciò è nella sua essenza e si tratta quindi di non lasciare atrofizzare nessuno dei due aspetti: non dimenticare nell'affettività il metro obiettivo della ratio, ma anche non soffocare nell'obiettività di una fede in ricerca il cuore che vede spesso più in là del semplice intelletto». In tal modo - secondo Perrella «la proposta mariologica ratzingeriana» si distanzia «sia dagli eccessi devozionistici che dall'aridità teoretica, in quanto il Papa sa bene quanto sia importante armonizzare le esigenze dell'intelligenza credente con quelle della cordialità credente».
b)
Priorità pedagogica dell'affetto nella pietà popolare.
A differenza dell'ideologia razionalista, la cultura popolare sottolinea il sentimento o le emozioni, in una parola il cuore. Questo vale per la relazione devota con Maria, che «possiede una carica fortemente emotiva» e viene così descritta da Clodovis Boff: «Riguardo a Maria santissima, la pietà del popolo cattolico è veramente «viscerale» o «sviscerata». I devoti trattano Maria con estremo affetto. Parlano in termini di «Madre amata» e anche «Madrina del cielo» [in Italia «Mamma celeste»]. Altri modi di parlare, che denotano intimità, sono l'uso del diminutivo ( ... ). Lo stesso vale per l'uso del pronome «mia» ( ... ). Vi è una spontaneità e una sincerità veramente commoventi della pietà che il popolo umile rivolge alla Madre di Cristo». Ora una mariologia popolare dovrà tenere conto di un principio metodologico di grande valore pratico, che nella Chiesa latino-noamericana viene così formulato: «Una pietà mariana puramente tipologica non ha valore formativo; è un'illusione pastorale. Non basta dire: la Vergine è esempio di fedeltà alla parola, di fortezza nel dolore.., perciò dobbiamo imitarla. Se non si coltiva il legame, l'amore, l'affetto sano alla persona di Maria, l'esigenza di imitazione di un prototipo è un puro imperativo categorico. Per rendere fecondo il carisma di Maria bisogna fare in modo che il legame mariano (che ha la priorità pedagogica) conduca all'atteggiamento mariano (che ha la priorità entitativa)». Clodovis Boff accetta pienamente questa tesi, che imposta il discorso su Maria a partire dall'amore viscerale per lei, in cui «giocano forze inconsce, in buona parte indisponibili alle argomentazioni teologiche o alle determinazioni amministrative, per politiche che siano»: «È, infatti, controproducente, oltre che irrispettoso, disprezzare questo dato elementare, di carattere psicosociale, della religiosità popolare, per conferire il primato al momento riflessivo. Questa è un'illusione. E necessario, prima, poggiare sull'affetto religioso la relazione pastorale, come sul terreno originario e sulla base umana della stessa religiosità popolare, al fine di sviluppare in seguito, e soltanto in seguito, il significato etico sociopolitico della stessa». Si può allacciare a questa corrente quanto propone Salvatore M. Perrella nel saggio Marie, la foi et la raison, circa il ruolo della ragione in rapporto alla fede, ambedue in necessario dialogo in nome dell'incarnazione, che riunisce l'umano e il divino. Poiché il Dio «ineffabile e vicino» è «l'Amore, il Bene, il Bello», non deve essere trovato e dimostrato «con speculazioni intellettuali, forti o deboli esse siano», ma attraverso la via Amoris e quella della Kenosi. Seguendo J. R. R. Garcia-Paredes, che propone una mariologia elaborata «a partire dalla ricostruzione dei frammenti, e non dalla presuntuosa deduzione metafisica», afferma che «la mariologia della nostra epoca moderna è chiamata anche a percorrere la via biblica e cristologica paradossale e scandalosa». Esula certo dalle intenzioni dall'autore lo scardinamento della ragione, di cui afferma l'indispensabile ruolo critico ma teme l'isolamento e la tracotanza, invitandola a stupirsi dinanzi alle meraviglie operate da Dio nella storia della salvezza ed insieme a inserirsi nell'orizzonte dell'amore, divenendo «intelletto d'amore»: «Dans la stupeur de la raison, dans la gretitude do coeur, dans l'engagement de la foi face à la splendeur du plus grand Bien, qui a accompli pour nous des merveilles en Marie, se trouve le noyau d' une tradition d'«intellect amour», la mariologie, qui demande à continuer de servir».
c) La via dell'integrazione tra ragione e sentimento
Nella linea dell'integrazione, che parla di una «razionalità affettiva» e di un'«affettività ragionevole», si propone quel «mutuo e fecondo contatto» che deve unire liturgia e pietà popolare. Questa impostazione di reciproco influsso esige che la ragione tralasci di considerarsi autosufficiente e si apra alla possibilità di ricevere qualcosa dal sentimento; viceversa il sentimento ha tutto da guadagnare qualora sia purificato, moderato e arricchito dalla ragione illuminata dalla fede. Si era posto sii questa linea, già nel 1954, il teologo E. H. Schillebeeckx nel suo prezioso libro Maria Madre della redenzione, dove assume una «difesa - moderata - delle manifestazioni periferiche della vita religiosa popolare». Egli mette in guardia dal condannarle troppo alla svelta, poiché «nessun intellettualismo potrà mai eliminarle», per il semplice motivo che «la religione non dice soltanto riferimento a un piano del tutto interiore, né un fenomeno totalmente razionale». Non si tratta di essere entusiasti di queste «manifestazioni periferiche del sentimento religioso popolare, ma d'ammetterne almeno la fondatezza. Eliminarle dalla vita religiosa per motivi puramente razionali d"autenticità" sarebbe assurdo: equivarrebbe ad atrofizzare mortalmente la sensibilità popolare e ad abolire indirettamente quella categoria primitiva del sacro che in esse si cela». Naturalmente tali manifestazioni devono essere sensibili al «vibrante richiamo del profetismo» e sottoposte «al controllo del dogma». Questa linea continua con due vescovi benemeriti nel campo della pietà popolare: Giuseppe Agostino, arcivescovo di Crotone-Santa Severina, che propone tra l'altro «un itinerario di purificazione, di consolidamento e di elevazione» della medesima; Francesco Tortora, vescovo di Gerace-Locri, nell'ammirata lettera pastorale Per una devozione popolare autentica verso la Madre di Dio (1981), dopo aver tracciato con penetrante analisi le caratteristiche del culto della Madonna nel popolo della Locride, propone una ricentrazione di esso alla luce della rivelazione. Può forse offrire una soluzione al nostro problema una recente scoperta della neurocardiologia, veicolata nel libro di Annie Marquier, Il cervello del cuore, secondo cui le informazioni vengono elaborate dal cervello limbico, dalla corteccia e infine dal cervello del cuore: un vero e proprio cervello che ha sede nell'organo cardiaco, dotato di circa 40.000 neuroni e di uno straordinario campo magnetico. Tre cervelli e tre circuiti rappresentano globalmente tre stadi evolutivi della coscienza umana. Il cuore non è più ridotto ad una pompa del sangue, perché al suo interno troviamo un centro di conoscenza: il cervello cardiaco. Inserire il cervello nell'affetto filiale verso Maria non vuol dire raffreddano o intellettualizzarlo, cioè ridurlo nei limiti della ragione e praticamente distruggerlo nella sua originalità. Il sentimento deve rimanere tale con tutta la sua forza propulsiva d'intenzionalità verso il valore, che nel nostro caso è la persona di Maria come viene sperimentata nella vita quotidiana e come appare nella sua editio typica trasmessa dalla rivelazione biblica. La ragione illuminata dalla fede è necessaria per tracciare il limite fuori dal quale il sentimento può slittare verso l'adorazione di Maria, quasi fosse una dea, o verso forme sterili di devozione tagliate dalla liturgia e dall'etica cristiana, come sarebbe la devozione presuntuosa, denunciata da S. Luigi Maria di Montfort e dal vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini. La ragione è chiamata a lasciare le vie di un freddo e intollerabile razionalismo, per sentire ed accogliere l'affetto di pietà filiale verso la madre dei fedeli, riconducibile ad un'espressione di ciò che è centrale nel cristianesimo: l'amore.

Bibliografia
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VEDI ANCHE:
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- IMMAGINE FOLKLORISTICA DI MARIA
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- PIETÀ MARIANA
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