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DEUS CARITAS EST


Lettera enciclica di papa Benedetto XVI del 25 dicembre 2005.

1. Maria, icona e testimone dell’amore di Dio

a) Maria canta l’amore.
Benedetto XVI parla di Maria in riferimento all’amore anche nella sua Enciclica Deus caritas est negli ultimi due numeri (41-42). Mostrando che non vi è altra meta per un discepolo di Gesù se non quello di somigliargli nella carità, vocazione e destino di grazia dell’uomo (cfr. Ef 1,4), Benedetto XVI giunge ad additare la carità vissuta dai Santi, e in modo del tutto singolare dalla «Madre del Signore e specchio di ogni santità». Così, la teoria dell’amore, svolta nella prima parte dell’Enciclica, diventa la pragmatica dell’amore quanto, nella seconda parte, Papa Ratzinger dal livello della conoscenza dell’amore nel disegno della creazione e della redenzione, declina la conoscenza con l’esperienza d’amore vissuta da Maria. Il discorso del Papa sul binomio Maria-amore è subito concreto: egli non discetta anzitutto sull’implicazione della Vergine della storia dell’amore di Dio, ma ce la presenta impegnata in un atto di carità: «Nel Vangelo di Luca – egli scrive – la troviamo impegnata in un servizio di carità alla cugina Elisabetta, presso la quale resta “circa tre mesi” (1,56) per assisterla nella fase terminale della gravidanza ». È un’icona quella che il Papa pone dinanzi agli occhi credenti, prima di ogni altra considerazione che sviluppa in seguito. I tratti dell’icona sono: itineranza, presenza, lentezza, cura della vita nascente. Maria anzitutto ha lasciato la sua casa per rendere un «servizio di carità» dove c’è bisogno. È un tratto distintivo dell’amore: l’intraprendenza, il lasciare e l’andare: questo perché l’amore è estroverso, è espansivo, mentre chiama al decentramento da se stessi. Maria, dimenticando le sue cose, esce dalla sua casa e va alla casa di Elisabetta per soccorrerla. La visita a lei non consuma il suo senso nell’ambito di un gesto di particolare carità, ma assurge a valore simbolico. Quella visita è solo un’occasione in cui si manifesta e si esplicita lo stile caritativo della Vergine che si pone come tipo nell’esercizio della virtù regina del cristianesimo, che è la sua costante regola di vita, il punto prospettico della sua esistenza, come sottolinea Papa Benedetto: «“Magnificat anima mea Dominum”, dice in occasione di questa visita – “L’anima mia rende grande il Signore” – (Lc 1,46), ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo – solo allora il mondo diventa buono». Alla luce dell’opera di Dio Salvatore, ella ha trovato il “suo” posto nella storia del mondo, affidatole dall’Onnipotente, e lo occupa con generosa corrispondenza d’amore, prestata anima e corpo: «Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio». Maria testimonia l’amore di Dio perché tipico di chi ama è fare spazio alla persona amata, favorirla, porla in evidenza, assicurarle il primo posto. Il suo proposito è «non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo – solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cfr. Lc 1, 38. 48)».
b) Maria e il tripode delle virtù teologali.
L’esperienza virtuosa di Maria è non solo vasta, ma piena: è totalmente virtuosa perché totalmente santa. Maria è adatta a noi perché è adatta a Dio: conforme al massimo alla forma di santità creaturale, può svolgere nei nostri confronti la funzione di icona e di esempio di vita virtuosa.
c) Maria è la lettera su cui Dio non ha scritto quello non siamo e quello che non diventeremo mai, ma ha scritto chi siamo, più ancora, chi dovremo essere per piacergli.
È su questo sfondo totalmente virtuoso che vanno viste le tre luci delle virtù teologali che Dio ha acceso nel modo più vivido nell’esistenza di Maria. Ad esse si riferisce Benedetto XVI, soffermandosi, alla fine, in modo particolare sulla carità. «È una donna di speranza – afferma Papa Benedetto e spiega –: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l’angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse». L’affermazione di Benedetto è importante: Maria è stata scelta come Madre del Figlio a motivo della sua speranza. Dotata della capacità di credere alle promesse divine è in grado, altresì, di attendere con pazienza la salvezza d’Israele Maria può ricevere l’Annunciazione con quello che significa. Maria ha condiviso con gli uomini non solo il pellegrinaggio della fede, ma anche il pellegrinaggio della speranza: questo non è il prosieguo dell’esperienza credente, come se si trattasse della seconda tappa del cammino religioso dei cristiani; è piuttosto un pellegrinaggio nel pellegrinaggio, un cammino duplice, un procedere complesso: si direbbe che i cristiani avanzano verso il volto di Dio attivando due passi, quello della fede e quello della speranza. Maria mostra che «la speranza non delude» (Rm 5,5): ella si qualifica come donna di speranza decisa e motivata. E in questo anche la Vergine è profetica: annuncia che la storia di grazie dentro cui Dio l’ha inserita, con un ruolo fondamentale e decisivo, si regge sull’infinita pazienza di Dio e sulla virtuosa pazienza degli uomini.
d) Essa è una donna di fede
“Beata sei tu che hai creduto”, le dice Elisabetta (cfr Lc 1,45)», afferma poi Benedetto, che già aveva come incastrato la virtù della fede nell’affermazione sulla speranza di Maria, avendola chiamata una donna che «crede alle promesse di Dio». La fede che in Maria fu tale da definire la sua identità, tanto da essere chiamata «la credente» (Lc 1,45). Maria non è la Credente soltanto perché ha sempre creduto, ma perché ha perfettamente creduto: «La Chiesa venera in Maria la più pura realizzazione della fede». La prospettiva è dunque quella iconica: la fede va vista incarnata nella persona di Maria, sviluppata nella sua esistenza, nel suo continuo sforzo di adesione al progetto messianico del Figlio. Più che parlare della fede della Vergine, è preferibile parlare di Maria, come la «Credente» per antonomasia: «La Vergine Maria realizza nel modo più perfetto l’obbedienza della fede». Nell’icona della Credente si fa visibile l’onnipotenza del Deus absconditus. Anzi, in essa si fa vivida la traccia di Dio nella storia: «Ella è l’esempio vivente del modo di agire di Dio nella storia della salvezza». La storia della Credente, più che parallela, è interna alla storia di Cristo: nella storia neotestamentaria della salvezza laddove c’è il Messia, c’è anche Maria, quale «Socia del Redentore» e quale «nuova Eva» al fianco del nuovo Adamo. Maria è la generosa compagna di Cristo nell’opera di Redenzione; è una singolare «compagnia della fede», quella che Maria ha reso a Gesù nel farsi, nello svolgersi e nel compiersi del suo evento messianico. Conoscere questa «compagnia» vissuta dalla «Credente» con Cristo è fondamentale, poiché «l’evento Cristo non si è compiuto senza Maria» (A. Müller). Maria «è il caso più perfetto di cristianesimo», e lo è proprio grazie alla sua fede materna e alla sua maternità credente: «Maria è la perfetta rappresentazione di ciò che è un cristiano, poiché con l’assenso della sua fede e nella concretezza fisica della sua maternità divina ha ricevuto colui che è la salvezza di tutti, Gesù Cristo, nostro Signore».
e) Maria è una donna che ama
Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, ella non può essere che una donna che ama». Maria è una donna che ama perché è una donna che spera e che crede. L’amore di Maria, per Papa Benedetto, è dunque il pensare e il volere secondo Dio, ossia il suo essere religiosa. La sua affermazione è sottile e raffinata: l’amore per Maria è affermato come un postulato: «Come potrebbe essere diversamente?», si chiede Papa Ratzinger. Il postulato non va provato, ma va confermato ex post. Ama per credere e crede nell’ubbidienza: pensa ciò che Dio pensa e fa ciò che Dio le comanda. Infine, va ricordato che Maria è stata la prima a decidersi così, per Cristo, in risposta a Dio. Ella è l’esempio migliore di quello che il cristiano è chiamato a vivere: l’opzione fondamentale di «fede-speranza-carità », aperta alla prudenza e protesa alla comunione fraterna. Oltre le virtù teologali, Maria è stata impregnata di tante altre virtù, di quelle discepolari, ad esempio. Con la pratica di esse Maria si pone di fronte a tutti i fedeli come modello di virtù:-«Si tratta di virtù solide, evangeliche: la fede e l’accoglienza docile della parola di Dio; l’obbedienza generosa; l’umiltà schietta; la carità sollecita; la sapienza riflessiva; la pietà verso Dio, alacre nell’adempimento dei doveri religiosi, riconoscente dei doni ricevuti, offerente nel tempio, orante nella comunità apostolica; la fortezza nell’esilio, nel dolore; la povertà dignitosa e fidente in Dio; la vigile premura verso il figlio, dall’umiliazione della culla fino all’ignominia della croce; la delicatezza previdente; la purezza verginale; il forte e casto amore sponsale... La Chiesa cattolica, basandosi sull’esperienza di secoli, riconosce nella devozione a Maria un aiuto potente per l’uomo in cammino verso la conquista della sua pienezza. Ella, la donna nuova, è accanto a Cristo, l’uomo nuovo, nel cui mistero solamente trova vera luce il mistero dell’uomo, e vi è come pegno e garanzia che in una pura creatura, cioè in lei, si è già avverato il progetto di Dio, in Cristo, per la salvezza di tutto l’uomo».

2. Maria, interprete dell’amore di Dio
a) L’amore di Maria nei «gesti silenziosi» verso il Gesù dell’infanzia.
Nell’ultimo numero della Deus caritas est Benedetto XVI attiva un registro delicatissimo nel parlare di Maria come donna che ama: l’intuizione. È come un aguzzare l’occhio interiore per scrutare oltre i gesti e le parole. D’altra parte questo è un registro quanto mai necessario per fare mariologia, dal momento che, a peso di carta, sono poche le cose che si dicono di Maria, soprattutto poche sono le cose da lei dette. «Lo intuiamo – scrive finemente Benedetto XVI – nei gesti silenziosi, di cui ci riferiscono i racconti evangelici dell’infanzia». Penetrare con intuizione nei «gesti silenziosi» di Maria porta a vederla accudire in modo amoroso Gesù bambino insegnandogli: gli atti dell’autonomia (camminare, bere, mangiare, vestirsi), gli atti della comunicazione (interrogare, rispondere, esprimere i propri desideri), gli atti della gentilezza (sorridere, salutare, ringraziare), gli atti della pietà (leggere la Parola, ricordarla, pregare). Questi gesti educativi di Maria Maestra vanno intuiti come gesti posti nell’amore materno più tenero e delicato, più premuroso e attento.
b) L’amore di Maria nell’«attenzione» nell’Ora di Cana.
Questo stesso amore, con colore diverso, Maria mostra nella vita di Gesù adulto: «lo vediamo – continua Papa Benedetto – nella delicatezza con la quale a Cana percepisce la necessità in cui versano gli sposi e la presenta a Gesù». L’attenzione è segno d’amore per eccellenza perché è il preoccuparsi degli altri, l’esporsi sulla vita degli altri per proteggerla, dimenticando la propria: è il tendere in, è l’intendere a, è l’attendere: sono tutti movimenti d’allontanamento da sé, d’apertura all’altro, di deconcentrazione da sé e di concentrazione sugli altri (sposi, commensali), di disponibilità alla vicenda del banchetto nuziale, che in fondo era al di là di lei, dedicandosi ad essa, alla soluzione di un suo problema (le giare vuote), attendendo che siano riempite d’acqua dai servi e trasformata in vino da Gesù, cosicché, quando questa vicenda di nozze arriva a soluzione, la sua attenzione è premiata. L’attenzione di Maria a Cana è amore attento, amore guardingo perché venisse salvaguardata la gioia degli sposi. Esempio preclaro dell’attenzione cristiana, che sa stabilire il rapporto più fecondo tra tensione adorante verso Dio e tensione caritativa verso gli uomini, è dato da Maria di Nazaret. Soprattutto a Cana la sua attenzione emerge in tutta la sua profondità di credente e nella sua delicatezza di madre messianica e di donna sensibilissima (cfr. Gv 2). Ella, utilizzando un carismatico ‘dono di scienza’, osserva, intuisce e tace: rompe il suo sostanziale silenzio con un’informazione a Cristo sugli sposi («Non hanno più vino»: Gv 2,4) e con un consiglio ai servi degli sposi («Fate quello che vi dirà»: Gv 2,5). Maria alle nozze di Cana non mostra solo la competenza della madre, ma anche la sensibilità d’una donna d’attenzione. Sono due competenze d’amore, due forme d’esercizio d’amore raffinato. Ad aprire ulteriormente la virtù dell’attenzione, vi si scorge una ricerca amorosa della presenza di Dio nell’altro. L’attenzione mostrata da Maria a Cana è, dunque, un complesso atto d’amore che la porta a cercare Dio nella trama – annodatasi – di un pranzo nuziale: è perciò missione (perché è un suo andare anche oltre l’attesa dell’Ora messianica), è umiltà (perché le impone l’arretramento rispetto al fatto increscioso della carenza del vino, rispetto a Cristo che solo può risolvere il caso), è penitenza (perché l’impegna in una dura fatica spirituale tra sposi, servi e Cristo), è fede (perché l’incammina alla ricerca dell’invisibile Dio nel suo figlio, che ai suoi occhi umani gli appare solo un uomo), è ascesi (perché le impone di aspettare l’ubbidienza dei servi, il sì di Cristo, l’accadimento miracoloso), è preghiera (perché, scoprendo la presenza di Dio nell’evento nuziale, rivolge la preghiera d’intercessione al suo figlio da lei trattato come Messia del Padre), è adorazione (perché riconosciuto il Signore nella sua limpida fede, gli chiede di entrare nella vicenda degli sposi, inginocchiandosi spiritualmente alla sua misteriosa presenza), è – infine – carità, doppia carità (perché ricerca il bene e la gioia degli sposi, perché ricerca l’Amato perché le dimostri ricambio d’amore).
c) L’amore di Maria nell’umile presenza discepolare alla vita di Cristo.
L’interpretazione dell’amore da parte di Maria si ha ancora – afferma Benedetto XVI – nella maniera umile con cui ha vissuto la sua presenza di Madre messianica al fianco del Figlio durante la sua missione pubblica. Quell’amore «lo vediamo nell’umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù». Perciò, come i «gesti silenziosi» sono il tramite dell’amore materno attorno a Gesù infante e nell’età evolutiva, come «l’attenzione » è la virtù che media la manifestazione dell’amore a Cana, nell’Ora messianica anticipata, così «l’umiltà» è la forma virtuosa con cui la Vergine Madre sta accanto a Gesù come discepola, che segue il Cristo e non le fa mai da schermo, mettendosi davanti a lui. Perciò, – conclude Benedetto XVI – il suo amore «lo vediamo nell’umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù (cfr Gv 2,4; 13,1)». L’umiltà prepara il rapporto d’amore e di benevolenza con gli altri in modo essenziale e necessario, tanto da poter dire che, senza umiltà non c’è amore. Gli inviti di san Paolo: «rivestirsi di umiltà nei rapporti reciproci» (1 Pt 5,5; Col 3,12), a «stimare gli altri, con tutta umiltà, superiori a se stessi» (Fil 2,3) come non interpretarli come esortazioni ad amare? Maria ha fatto coincidere le due virtù: l’amore l’ha portata ad essere umile; l’umiltà l’ha portata ad amare.
d) L’amore di Maria nella vita della Chiesa.
L’esperienza cristiana è una dimostrazione del realizzarsi di una doppia vicinanza: quella a Dio e quella agli uomini. Si tratta di due vicinanze che si realizzano non parallelamente e indipendentemente, ma con legame causale fra di loro: «chi va verso Dio – nota il Papa – non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino. In nessuno lo vediamo meglio che in Maria». Questa osservazione di Papa Ratzinger non è marginale, ma di una grande impellenza: ci si è divisi per qualche decennio, appena il Concilio, fra cristiani impegnati nel sociale e cristiani religiosi, fra cristiani dediti alla declinazione dell’amore anche nella forma politica e cristiani dediti alla contemplazione. La sintesi mariana è grandiosa e dinamica: più si ha tempo per Dio più si ha tempo per l’uomo: più si ama Dio più si può amare l’uomo. Maria dimostra una combinazione importante, che sarà confermata da tutta la storia cristiana. La sua carità non è mai solo verso gli uomini, ma anzitutto verso Dio, che orienta agli uomini: Maria insegna che gli uomini si amano davvero se li si ama in Dio. Nell’osservare l’amore prismatico di Maria, Papa Benedetto scorge, per così dire, un altro riflesso di colore che s’irradia dal suo essere luminoso per la lucentezza della grazia. Egli scrive: «Alla sua bontà materna, come alla sua purezza e bellezza verginale, si rivolgono gli uomini di tutti i tempi e di tutte le parti del mondo nelle loro necessità e speranze, nelle loro gioie e sofferenze, nelle loro solitudini come anche nella condivisione comunitaria». L’attrazione della bontà e della bellezza di Maria è la più alta apologetica del cristianesimo: a Cristo si va anzitutto per la forza attrattiva della bellezza del suo mistero realizzato nell’esistenza. Ora, nessuno più di lei, ha tanto assorbito la bellezza dell’amore di Cristo da rifletterla più di lei sull’esistenza degli uomini. La carica di amore che ella possiede è un’inesauribile riserva di grazia di cui i cristiani di tutti i tempi si nutrono e vivono: «E sempre sperimentano il dono della sua bontà, sperimentano l’amore inesauribile che ella riversa dal profondo del suo cuore». L’esperienza dell’amore di Maria, che si esprime in tante forme di vicinanza materna, è percepita in modo vasto e concorde: «Le testimonianze di gratitudine, a lei tributate in tutti i continenti e in tutte le culture, sono il riconoscimento di quell’amore puro che non cerca se stesso, ma semplicemente vuole il bene». Questa esperienza d’amore è, alla fine, una traccia per andare a Dio e per parlare di lui. È la via amoris, che insieme alla via pulchritudinis, oggi siamo invitati a percorrere in modo particolare, perché, quando, sull’infinita realtà di Dio, il pensiero diviene debole e la parola farfuglia, quelle sono le strade che restano aperte per andare all’Altissimo e parlare dell’Ineffabile con il codice linguistico silenzioso della testimonianza: «La devozione dei fedeli – aggiunge infine il Pontefice – mostra, al contempo, l’intuizione infallibile di come un tale amore sia possibile: lo diventa grazie alla più intima unione con Dio [...]. Maria, la Vergine, la Madre, ci mostra che cos’è l’amore e da dove esso trae la sua origine, la sua forza sempre rinnovata». Con questi pensieri e questi sentimenti, Papa Benedetto XVI chiude la sua enciclica Deus caritas est, affidando a Maria la Chiesa e la sua missione a servizio dell’amore, e invocando il suo aiuto «perché possiamo anche noi diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato».

Bibliografia
MASCIARELLI M. G., La Vergine Maria nell'Enciclica "Deus caritas est" e nel contesto del magistero di Benedetto XVI, in AA. VV., Maria, testimone e serva di Dio Amore, Centro di Cutlura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2007, pp. 9-37; ID., Maria «la Credente» in AA.VV., Maria nel Catechismo della Chiesa Cattolica, a cura di E. M. Toniolo, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 1993; RATZINGER J., Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971; ID., La figlia di Sion. La devozione a Maria nella chiesa, Milano 1978; ID., Maria Chiesa nascente, Roma 1998; GUARDINI R., La Madre del Signore. Una lettera, Brescia 19972; PERRELLA S. M., Percorsi teologici postconciliari: dalla «Lumen gentium» ad oggi, in AA.VV., Maria nel Concilio. Approfondimenti e percorsi, Centro di Cultura mariana «Madre della Chiesa», Roma 2005; ID., Non temere di prendere con te Maria (Matteo 1,20). Maria e l’ecumenismo nel postmoderno, Cinisello Balsamo 2004; PANIKKAR R., Dimensioni mariane della vita, Vicenza 1972; BENEDETTO XVI, Deus caritas est, lettera enciclica del 25 dicembre 2005, in AAS 98 (2006) pp. 217-252.

VEDI ANCHE:
- BENEDETTO XVI
- MARIA CHIESA NASCENTE






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