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JE VOUS SALUE, MARIE



Un film del regista francese Jean-Luc Godard del 1985.

1. Valori e limiti del film "Je vous salue, Marie"
A proposito di questo film scrive A. Bourlout nel suo articolo Dall'attualizzazione allo scandalo: «il regista non irride il racconto biblico ed affronta seriamente l'Immacolata concezione. Certo il suo punto di vista è radicalmente attualizzante: si chiede, infatti, che cosa possa voler dire per una ragazza (e per un'adolescente del mondo d'oggi) scoprire di essere in attesa di un figlio che è Figlio di Dio. Indubbiamente, per un credente, l'effetto straniante è violento (da Maria, figlia di un benzinaio e pallavolista, a Giuseppe, taxista e lettore di testi psudoscientifici, all'angelo rozzo e manesco) così come sono molti gli elementi di amplificazione narrativa che non trovano riscontro nel testo originale. Abbiamo già visto [ ... ] come non possa essere questo della superficie narrativa il livello di fedeltà da valutare e come ci sia invece una fedeltà più profonda che riguarda il progetto comunicativo del testo. E da questo punto di vista più profondo il film di Godard non può essere considerato altro che un tentativo serio di capire quanto l'intervento del Dio della Bibbia possa essere sconvolgente (e meraviglioso) per quelli che lo vivono, Je vous salue, Marie è in realtà un film intriso di spiritualità e il problema mi sembra sia più di chi ha sentito il bisogno di rosari riparatori, forse perché incapace di vedere nel film altro che alcune scene di nudo, per altro belle e abbastanza rispettose (anche se effettivamente troppo compiaciute). Insomma, ci pare che sia stato più che altro l'occhio dello spettatore (integralista) velato dai suoi pregiudizi a non saper vedere un film ricco (pur con tutti i suoi limiti). Fra l'altro anche i nuclei narrativi aggiunti rispetto alla fabula evangelica (soprattutto la storia parallela di Eva e della sua relazione tutta corporea e senza speranza) non solo servono ad evidenziare l'assoluta purezza dell'esperienza di Maria, ma possono essere considerati giustificanti anche dal punto di vista biblico (in base al principio ermeneutico tradizionale della Bibbia che legge sé stessa), come rilettura della figura di Maria in quanto nuova Eva ... Insomma, davvero questo film, visto con occhi biblicamente e cinematograficamente maturi, può essere motivo di riflessione, ma non giustifica lo scandalo del credente! Je vous salue, Marie è una raffigurazione della sacralità del corpo e della natura riflessi in una visione laica del mistero mariano. Come un pittore, il regista dipinge la Madonna nelle sembianze di una ragazza come tutte. La ricorrente frase: «in quel tempo» sospende la dimensione temporale del film in un assoluto: il miracolo della maternità si identifica con il miracolo delle origini, evocato dall'immagine di una superficie d'acqua su cui si disegnano cerchi ed anelli. L'infinitamente piccolo del mondo di Maria è sempre sottoposto all'infinitamente grande, rappresentato dai corpi celesti che si stagliano in tutta la loro immanenza. Il sole è una metafora divina (coperto dalle nubi o dalle colline, si vede e non si vede) Esso è la fonte di ogni energia (energia ripresa poi dai segni luminosi pulsanti sui rettilinei autostradali)». Godard è certamente l'unico regista capace di far diventare azione i fondamenti stessi del linguaggio cinematografico. li cinema è atto linguistico estremo, contraddizione testuale, insieme esaltazione e cancellazione dell'oggetto, evento metafisico che ribalta l'analogia nell'artificio, proiezione di referenti trascesi dall'espressione.

2. L'immagine "corporea"di Maria nel film di Godard

In tale prospettiva, Maria, nonostante le scene di nudo, non può essere considerata un soggetto erotico; anzi Godard attraverso le immagini filmiche esprime quasi una vera e propria teologia del corpo. La figura di Maria si proietta in piani, che sono sensazioni, affettività. Il cinema diviene così l'unico modo per accostare Maria così intimamente, così profondamente; diviene l'unico modo per avvicinarsi alla sua corporeità senza tuttavia toccarla. Rappresenta l'unico sguardo che può violare questa sfera di intimità, poiché è fatto di rappresentazione e quindi è portatore di una distanza necessaria. La macchina da presa insistendo proprio sulla corporeità e prendendo atto quasi della «disperazione del corpo», in un certo senso spiritualizza Maria nel suo essere profondamente donna, mentre nello stesso tempo ne svela l'intimità e scopre l'emozione «naturale» della femminilità e della disposizione materna. La «violenta intrusione» dell'occhio meccanico guarda all'esistenza di Maria con una sorta di pudore e cerca affannosamente di trasmettere attraverso la materialità delle immagini la follia, ma anche l'infinita bellezza e potenza di un atto d'amore e di un atto di fede totale, e assoluto. Il rifiuto fisico verso Giuseppe, verso tutti, è la volontà di vivere pienamente un evento eccezionale, che, comunque, non la allontana dalla sua condizione di donna. Il concepimento del bambino la rende profondamente sola, poiché è un'esperienza comprensibile solo alla luce della fede; la sua paura diviene palpabile nella visibilità dell'immagine più che nelle parole.

3. La costante visiva delle immagini di Maria
L'annunciazione dell'angelo è stata violenta, crudele. Maria è spaventata dall'essere per forza in rapporto col trascendente; la sua vita è sconvolta e inutilmente cerca di spiegare con la ragione ciò che le sta accadendo. Ella è costretta a rientrare nella propria interiorità e a dialogare con sé stessa e con quel Dio che ha fatto irruzione nella sua vita. È quasi soffocata da ciò che le sta accadendo. Nell'impossibilità di comprendere il mistero, si affida allo sguardo di un essere superiore e alla gioia dell'offerta di sé e il corpo sembra perdersi, annullarsi nell'imposizione della maternità e nell'atto di fede. Per trasmettere tutto ciò allo spettatore il regista utilizza in modo molto particolare lo strumento della macchina da presa. Le immagini di Je vous salue, Marie hanno una costante visiva: sono del tutto prive di profondità di campo. Esse sono internamente spezzate; i piani a fuoco sono ora ravvicinati, ora intermedi, ora lontani. La ripetitività del fenomeno induce a cercare significati, che vanno al di là del semplice rilievo, o privilegio, di alcune figure rispetto al contorno. Qui è investita la natura stessa dell'immagine cinematografica; l'analogia viene disdetta, la «fedeltà» fotografica contraddetta. In realtà il film di Godard trascende il pericoloso obbligo del riferimento e si offre come «introspezione» dialettica, come riflessione (grandiosa in senso speculativo) sulla sostanza della riproducibilità cinematografica. I due poli rimangono sempre la realtà come immagine precostituita e come infarcimento ideologico e la rappresentazione come supporto del meccanismo artificiale e della strutturazione del linguaggio audiovisivo. Ma il percorso si complica per effetto sia della rottura della linearità percettiva interna al prodotto filmico (la continuità del racconto cinematografico, lo svolgimento prevedibile della narrazione), sia della rottura della legittimità intrinseca del dominio formale (l'affermarsi del significante come costruzione coerente). Se Godard «trascura» la realtà, sia essa storia o presente, anche se solamente come contenuto imprescindibile, egli non esita a scombinare un apparato formale, che comunque gli consentirebbe di sublimare i limiti scenici. Il cinema di Godard non è risolutivo; non supera, pur negando una tradizione, il dissidio con l'intrusione del possibile, non è soddisfatto della propria autonomia linguistica, della propria evidenza formale, che può diventare essa stessa un fatto visivo, un oggetto di lettura. Il cinema è un luogo dell'incertezza; come il reale si smaterializza, si trasfigura quando trapassa nell'immagine, così questa mostra l'impossibilità a costituirsi in assoluto per sostituzione. Quello di Godard è un formalismo problematico, una sorta di razionalismo critico trasfuso nel montaggio. Tutto questo si traduce in un cinema concreto, dove la coscienza dello strumento va di pari passo con l'insicurezza dei componenti. Un montaggio interno, di origine meccanica, denuncia la variabilità, la precarietà della costruzione, l'arbitrio linguistico. Una caratteristica «primordiale» del montaggio è la selezione, la frantumazione spaziale e temporale in funzione di una continuità che ristabilisce un certo ordine, un richiamo alla continuità «tradita». In Godard, invece, c'è un'esaltazione della discontinuità: le inquadrature non si raccordano, si intromettono; le sequenze si disperdono L'immagine mostra una leggerezza, una debolezza che sospende il senso di appropriazione. Le immagini sembrano sempre sul punto di svanire, di cambiare composizione e disposizione. Sul piano teorico, ciò significa intensificare le possibilità dell'espressione. Sul piano emotivo ciò porta ad un aumento di fascinazione, per la realizzazione dello svelamento: le immagini sono profondamente umane, ma, paradossalmente e ambiguamente, soprattutto nei primi piani di Maria, esse sono spirituali, ma di una spiritualità estratta dalle cose. L'immagine diventa così in Godard una zona di forte pressione semantica. E una concretizzazione della tensione materia-spirito, un'espressione metafisica all'interno di una produzione formale. Godard agisce come un pittore che dipinge Maria in un quadro; solo che non utilizza la tecnica di Raffaello e Botticelli, ma piuttosto con quella di Picasso, sezionando la realtà per penetrarne gli aspetti più profondi e nascosti e poi cercando di ricostruirne la visione per aprirsi a prospettive nuove senza però riuscire ad accettare che, senza il filtro della fede, tale realtà resta in qualche modo «percettibile nella visione artistico-metafisica» ma di per sé sempre insondabile e misteriosa.

Bibliografia
CARNICELLA M. C.,  Incontro con Maria "per viam pulchritudinis" con il linguaggio del cinema, in Theotokos XIV (2006), n. 2., pp. 550-553; BOURLOUT A., Dall'attualizzazione allo scandalo, in Bibbia e cinema, Milano 1998; CHIESI R., Jean-Luc Godard, Roma 2003; FARASSINO A., J. L. Godard, Milano 1996; SIGNORELLI A., Je vous salue Marie, in Cineforum 7 (1985) 245ss.

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