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PRINCIPIO PETRINO E PRINCIPIO MARIANO


1. Il senso del principio petrino nella struttura della Chiesa cattolica
Il ministero petrino in quanto tale non deve essere visto nella Chiesa in modo isolato, ma che esso è inserito nella struttura ministeriale della Chiesa e che deve essere anche spiegato solamente da questa totalità. Perciò si può ritenere fondamentale la coscienza che nel ministero petrino si esprima e si concentri con particolare chiarezza qualcosa che fa parte della struttura essenziale della Chiesa cattolica, vale a dire l'esistenza del ministero apostolico. Il senso interno di questo ministero, corrisponde al senso generale della Catholica e che è ad essa commisurata. Perciò non ci sarà neppure alcuna difficoltà a constatare la differenza, nel ministero apostolico, fra Pietro e gli apostoli. In modo relativamente facile si potrebbe chiarire, storicamente e sostanzialmente, questa distinzione, benché la sua possibile applicazione venga subito ricuperata tramite il principio della collegialità nel ministero apostolico e inserita nell'insieme. Il senso del ministero nella Chiesa non può essere determinato in primo luogo da ragioni di utilità, ma neanche in uma prospettiva funzionale, cioè rispetto alla necessità di certi compiti e funzioni in un'associazione umana che sono essenzialmente indipendenti da determinate persone. La fondazione del ministero deve essere vista essenzialmente in modo personale, cioè più precisamente personale in senso cristologico, in rapporto con la persona di Gesù Cristo e in dipendenza da Lui, come afferma già Clemente Romano: «Gesù Cristo fu inviato da Dio, gli apostoli da Cristo, e questi istituirono le loro primizie, i vescovi e i diaconi». Il senso teologico o cristologico del ministero che qui si esprime, deve essere tuttavia fondato ancora più profondamente che in questa testimonianza della tradizione la quale esprime solo il fatto della continuazione della missione di Cristo, così come avviene nel classico passo neotestamentario di 2 Cor 5,20, dove si dice degli apostoli: «Siamo ambasciatori per Cristo». Il fondamento teologico va stabilito mediante la constatazione che il ministero apostolico deve rappresentare Cristo come il capo mediatore dell'umanità, e che lo deve mostrare storicamente nel mondo umano. Visto in quest'ottica, il ministero apostolico possiede nella Chiesa un carattere di segno che si potrebbe chiamare persino quasi-sacramentale. Deve rappresentare in un'immagine la mediazione di Cristo verso l'umanità, e portarla a compimento con questa rappresentazione. Una tale fondazione, che accentua il carattere cristologico di segno nel ministero apostolico, oggi può subire la critica di essere mistica e sacrale. Ma una tale critica può dimostrarsi ingiustificata, se si fa giungere il ragionamento in maniera più profonda alla mediazione di Cristo stesso; nella sua persona divino-umana tutto questo è già fondato come sacramento primordiale. La critica dovrebbe iniziare con Gesù Cristo e la sua stessa mediazione. Questo infatti avviene già oggi in tutti quei casi, nei quali si nega una funzione mediatrice salvifica e redentrice di Gesù, presentandolo solo - in modo pelagiano - come esempio di un'esistenza umana più intensa. Inevitabilmente ne consegne che anche in Gesù il carattere sacramentale e simbolico della sua esistenza viene a cadere, e sorge una concezione del tutto diversa del cristianesimo e della Chiesa che, in ultima analisi, non può costituire alcun oggetto di discussione in un dialogo ecumenico. Ciò che può essere qui accettato come presupposto, sta nella constatazione che nella concezione del ministero apostolico si impone solo la struttura permanente dell'ordine salvifico, legata originariamente a Cristo quale capo mediatore. Il legame della struttura salvifica con questa mediazione doveva rimanere nel segno. A questa motivazione è naturalmente legata da una parte con il ministero e con il ministro una grande esigenza di autorità; dall'altra parte, considerando in modo più accurato il contesto, il senso per il sacro potere e per l'autorità viene inserito in una impostazione teologico-cristologica. Non si può negare l'autorità del ministero nella continuazione della missione di Cristo, un'autorità fra l'altro non diminuita neppure dal fatto che il ministero viene chiamato servizio (quale ministero infatti non sarebbe allo stesso tempo anche servizio?). Ma tale potere deve essere presentato come autorità di Cristo, di Cristo quale capo mediatore, e non come autorità del ministro in quanto tale. Qui ancora una volta si rivela il senso del ministero apostolico, ma sotto mi altro aspetto, vale a dire in rapporto al credente bisognoso e in cerca della salvezza. Certamente si potrebbe pensare un ordine in cui l'evento salvifico individuale si svolga solamente nell'immediatezza fra Dio e la persona, fra Dio e l'anima. D'altra parte, in un tale ordine non si potrebbe nemmeno collocare adeguatamente l'evento mediatore di Cristo. Il mediatore mette in discussione, con tutta la sua esistenza, la cosiddetta immediatezza a Dio come legge fondamentale per la storia della salvezza e contraddice una tale legge. Siccome la situazione dell'uomo di fronte a Dio essenzialmente non cambia e non può essere vista in maniera diversa, la continuazione nel segno di questa posizione mediatrice nel singolo si mostra come l'unica realtà conveniente e corrispondente ai bisogni dell'uomo. Se non ci fosse dato il ruolo mediatore del ministero apostolico, l'uomo sarebbe orientato a una immediatezza verso un Cristo puramente spirituale, rimanendo però soggetto anche alle incertezze della sua soggettività e della sua coscienza. La posizione simbolica di mediatore e capo non caratterizza soltanto i portatori del pieno potere apostolico nella Chiesa che sono i vescovi; essa è da attribuire in modo analogo a tutti gli autentici ministri dotati del potere dell'Ordine e della giurisdizione. Perciò il Vaticano II dichiara, riguardo a tutti i sacerdoti, che essi operano nel loro ministero "in persona di Cristo" (Lumen gentium 10; 28). Qui si vede che il ministero petrino, contemplato nell'insieme della Chiesa mediatrice di salvezza, non rappresenta niente di strano e di eccezionale. Esso è radicato nella legge della mediazione che emana da Cristo, e che viene concretizzata nella Chiesa. Ovviamente al ministero petrino spetta di fatto nell'organismo della Chiesa una posizione di preminenza e differenziata rispetto agli altri ministri. La differenza è simile a quella fra Pietro e gli apostoli. Nel suo contenuto, una tale differenza si può dedurre dal privilegio che nel ministero di Pietro il ministero nella Chiesa è portato ad una massima concretezza e ad una validità universale. Il ministero petrino esprime ancora una volta in una sola persona quello che gli apostoli erano insieme. Questa espressione può essere ritenuta doverosa rispetto all'unità necessaria della Chiesa, un'unità ultimamente non garantita da un collegio, eccetto che da un collegio che possieda in sé ancora una volta un principio personale d'unità che può esistere solo in un ministro unico. Anche se in tal modo si integra il principio ministeriale nell'ordine salvifico e nella Chiesa, non si potrà dimenticare che esso è riservato a favore della Chiesa nella sua struttura visibile, del sacro potere, dell'autorità nella mediazione della salvezza. Tutto ciò deve indicare l'attività e la causalità dell'evento salvifico che continua. Questo risultato ci orienta ora alla posizione e all'importanza diversa del principio mariano nella Chiesa.

2. Posizione e importanza del principio mariano

Un'interpretazione teologica del ministero nella Chiesa è necessariamente legata a Cristo stesso, origine della salvezza che deve continuare nella Chiesa. Ma la Chiesa quale comunità di uomini non è soltanto origine della salvezza per questi uomini, ma allo stesso tempo riceve questa salvezza che deve accogliere e trasmettere per aiutare a compiere la realizzazione della salvezza nella storia. Qui si trova la differenza essenziale fra Cristo e la Chiesa: Egli in quanto capo è l'unico autore della salvezza, mentre la Chiesa è, come corpo, in quanto pluralità di membri bisognosi di salvezza, colei che riceve la salvezza. Per una realizzazione della salvezza pienamente umana che coinvolge l'uomo, una tale prontezza alla ricezione e la sua attuazione hanno un'importanza enorme. La ricettività non chiarisce soltanto, in una direzione più negativa, che la Chiesa è creatura, creatura Verbi, che non può generare la salvezza, ma che il Salvatore si trova sempre sopra di essa o di fronte ad essa. D'altra parte si può anche mostrare che l'atteggiamento dell'accoglienza, l'atto della ricezione e della dedizione è essenziale per l'avvento definitivo della salvezza. Nel rapporto con il Salvatore, l'accettazione è qualcosa di passivo; quindi non può fare concorrenza in nessun modo all'autorità divina, e non significa mai una partecipazione per esempio con un diritto uguale. Vista in sé e riferita al termine dell'evento salvifico nell'umanità e nell'uomo singolo, questa ricettività significa qualcosa di positivo e persino qualcosa di attivo. Quest'atteggiamento è paragonabile alla mano aperta del mendicante che rimane passiva di fronte al donatore dell'offerta, ma che con la sua mano aperta e la posizione connessa svolge comunque un'attività. In un certo senso è teologicamente comprensibile che la Chiesa come unità umana di membri sotto il capo Gesù Cristo abbia bisogno di un tale atteggiamento, perché altrimenti non si potrebbero spiegare l'avvento della salvezza e, relativamente alla proprietà umana, la fecondità della grazia che non può essere imposta all'uomo con la forza. Il ministero, o il principio petrino, è il garante del fatto che l'uomo non può raggiungere la salvezza con le proprie forze. La sovranità e la provenienza della salvezza rimangono sempre dalla parte di Dio in Gesù Cristo. Si presuppone sempre una realtà di fronte ai fedeli, che non li umilia ma che serve alla consapevolezza più profonda della loro salvezza. Ma in un ordine di salvezza e in una Chiesa che non spengono la proprietà umana, occorre evidentemente anche una corrispondenza a questo "essere di fronte" del ministero da parte del destinatario umano della salvezza. Ci vuole una corrispondenza, una potenzialità o ricettività umana che si trova di fronte al principio divino, cioè a Cristo che continua a manifestarsi nel segno del ministero. L'esigenza di questa ricettività da parte di una Chiesa fatta di uomini non è un postulato esterno. Essa trova il suo fondamento interno e necessario nella comprensione cattolica del rapporto fra grazia e natura, un rapporto in cui la natura possiede anche una potenzialità, anche se si interpretano diversamente la sua origine e la sua intensità. In tale contesto è inoltre importante sapere che questa potenzialità, corrispondente al ministero di Cristo e alla sua continuazione nel ministero apostolico, non può essere caratterizzata di nuovo da una proprietà ministeriale. Ogni realtà ministeriale nella Chiesa si trova dalla parte della struttura visibile, della costituzione esteriore, del diritto, dell'autorità e del sacro potere, che deve essere percepibile empiricamente e capace d'essere istituito. La corrispondenza a questa realtà - pensata per interiorizzare, per realizzare vivamente e per accogliere spiritualmente la salvezza - non può essere dotata del carattere ministeriale, strutturale e formale, perché si tratta proprio di una interiorizzazione e di un'incarnazione della salvezza in una comunità umana. Ne risulta la conseguenza che questa corrispondenza teologicamente necessaria debba avere il carattere del non-ministeriale, ovvero, detto in termini positivi: deve avere la proprietà della realtà viva, del contenuto interno, della realtà spirituale e dell'abito interiore che sia diverso di una costituzione e struttura ministeriale, vale a dire una dotazione e disposizione interiore. È una corrispondenza che può essere intesa con un'analogia approssimativa secondo l'immagine del rapporto fra l'organismo e la sua vita, oppure fra corpo e spirito in un corpo animato. Ciò che viene inteso e formulato qui come potenzialità della Chiesa, formata da individui umani in corrispondenza alla realtà istituzionale e all'autorità del ministero, si riferisce a Maria e al principio mariano nella Chiesa. Sarebbe superfluo chiederci se potremmo o avremmo potuto raggiungere questa comprensione anche indipendentemente dall'esistenza della figura mariana storica, la madre verginale di Gesù. Tutto parla in favore del fatto che non avremmo raggiunto questa comprensione senza l'esistenza e senza l'azione di una tale figura storica. Tuttavia questa figura e la sua azione non sono solo un esempio morale per la Chiesa, bensì esse portano a una capacità, a una disposizione interiore che può essere chiamata l'impronta mariana della Chiesa. Sarebbe inoltre auspicabile concretizzare il contenuto indicato come impronta mariana della Chiesa. Questo si può dimostrare in modo ottimale con la figura mariana stessa e la sua azione nella storia della salvezza, il che proietta allo stesso tempo una nuova luce sulle intenzioni della mariologia cattolica. G. Ebeling affermò una volta, con un appropriato sguardo all'essenziale, che la mariologia sarebbe «il punto d'incrocio centrale di tutte le linee del dogma cattolico», soprattutto «della cristologia e dell'ecclesiologia». Occorrerebbe precisare questa valutazione, nel senso che la mariologia non rappresenta e non esprime tutta l'opera di Cristo e della Chiesa, ma lo fa solo in un'unica direzione e dimensione, vale a dire nella direzione della ricettività (radicata nell'evento salvifico come legge fondamentale), della concausalità e della prontezza da parte dell'uomo ad aprirsi. Intesa così, Maria è il principio della Chiesa come partoriente materna-ricevente di Cristo, come ancella del Signore che serve, come mediatrice della salvezza, ma nell'ordine dei membri, cioè non come capo. Ella ha realizzato questa legge nel suo assenso, al momento dell'accettazione dell'Annunciazione, l'ha trasmesso nella sua dedizione di fede, che caratterizza la sua intera vita, e nella apertura che accompagna e suscita l'azione di Cristo (come alle nozze di Cana: Gv 2,1-11), e infine nel suo stare sotto la croce. In questo suo significato che prefigura la Chiesa bisogna anche inserire i suoi privilegi personali di grazia, e trasferirli con una certa abbondanza alla Chiesa come compagna di Cristo la quale ascolta, riceve e accoglie: la sua pienezza di grazia, la sua radicale libertà dal peccato, la sua purezza verginale nella fede, la sua trasfigurazione perfetta come prima redenta e pienamente redenta. La figura mariana vista così, l'excellentissimum membrum ecclesiae, rappresenta l'immagine di una Chiesa che non è una realtà sociologica per ricordare la "richiesta di Gesù", ma il terreno verginale-materno in cui entra il seme del Verbo e dell'essere di Cristo, il grembo in cui viene portata e sempre di nuovo nasce la vita mistica. di grazia di Gesù, il vaso vivente che ricevendo trasmette la salvezza di Cristo. In tal modo può diventare visibile che Maria è inserita nel mistero di Cristo e della Chiesa come tipo della ricettività dotata di grazia per la salvezza, oppure come l'archetipo della "passività attiva" per l'azione di grazia di Dio verso l'umanità. Dopo aver descritto ambedue i principi, si arriva spontaneamente all'intento di determinarli nel loro carattere di coprincipi, cioè di sviluppare più precisamente il loro rapporto reciproco nella Chiesa.

3. Il "petrino" e il "mariano" quali coprincipi della Chiesa

Già in precedenza sono state fondate e preparate la correlazione e la reciprocità dei due principi. Sotto un aspetto più esteriore, si potrebbe descrivere il rapporto fra il principio ministeriale petrino e il principio mariano vitale della ricettività secondo lo schema di attività e passività. Ma queste designazioni e determinazioni risultano inadeguate, perché i ministri nella loro funzione ministeriale non sono semplicemente attivi di fronte a Cristo e perché i fedeli, rappresentati da Maria, non possono essere classificati semplicemente come passivi. Il rapporto viene raggiunto in modo più adatto nella corrispondenza fra autorità della donazione della salvezza e spontaneità interiore, ovvero apertura vivente alla salvezza. La classificazione più indicata sembra, però, quella legata ai concetti della "paternità" della generazione di salvezza e della "maternità" della ricezione di salvezza. Queste determinazioni potrebbero essere percepite come riduttive, perché si presentano sotto forma di immagini e di simboli. Tuttavia occorre rilevare che nelle determinazioni teologiche non possiamo fare a meno delle designazioni di tipo immaginativo-simbolico. Bisogna soltanto tenere conto del fatto che qui si tratta di simboli reali che esprimono una realtà. Il vantaggio di queste immagini reali si trova, d'altronde, anche nella loro radice neotestamentaria. Per il ministero caratterizzato come paternità nel Nuovo Testamento, tale radice viene per esempio accennata nel brano in cui Paolo si definisce padre nei confronti della sua comunità, dicendo: «Vi ho generato in Cristo Gesù mediante il vangelo» (1 Cor 4,15). La designazione della Chiesa, che riceve la salvezza e continua ad operare per essa sotto la forza generatrice di Cristo, come "madre" e con nomi corrispondenti, come "donna", "sposa" o "vergine", è un'idea comune nella Bibbia, prefigurata quale prototipo già in Eva e negli altri personaggi femminili dell'Antico Testamento. Anche la patristica ha sviluppato questo simbolismo reale della Chiesa come donna e madre, accentuando ancora più fortemente nella teologia sulla Chiesa la posizione di Maria quale madre. Quest'immagine appare in una nuova variante nella lettera agli Efesini nel faccia a faccia fra Cristo, il Signore e capo, e la Chiesa, quale donna a lui sottomessa, o quale donna il cui redentore e santificatore è Lui. Se si vede nel ministero apostolico una continuazione e una permanenza rappresentativa della posizione maschile di Cristo come capo nell'evento salvifico o, detto diversamente, come principio della disposizione autorevole della salvezza, si può vedere rappresentato in Maria il principio della disponibilità vivente e spirituale della Chiesa quale ricevente e distributrice della salvezza. Lei è il principio della prontezza umana illimitata per la salvezza, il principio che abbraccia la salvezza, il principio cooperatore e dotato di compassione. Siccome una semplice creatura come Maria e la comunità di uomini nella Chiesa da lei rappresentata possono ricevere questa ricettività solo da un effetto speciale della grazia e dello Spirito e non da se stesse (un fatto su cui si può fondare la consacrazione speciale di Maria allo Spirito e la sua dotazione dello Spirito), il principio mariano può essere riconosciuto anche come quello della vita spirituale e dell'amore nella Chiesa, mentre il principio ministeriale è quello del sacro potere, dell'autorità e anche del potere giudiziario. Ma la questione del rapporto dei due principi e della loro coordinazione non è ancora pienamente chiarita. Subito, comunque, si nota già che i due principi non si trovano in contrapposizione fra di loro e neanche in un rapporto di polarità. Dall'analisi dei due principi fatta finora si potrebbe arrivare all'ipotesi che si tratti qui di una distinzione, come da molti viene stabilita nella contrapposizione fra Chiesa di diritto e Chiesa di amore, fra istituzione e vita interiore, oppure fra corpo e anima. Infatti qui ci si avvicina ad un'analogia che potrebbe vedere in Maria quale donna e madre il principio che anima la Chiesa. Questo è senz'altro possibile, ma il rapporto con il principio ministeriale difficilmente può essere stabilito secondo il modello di corpo e anima. Nella realtà della Chiesa, si trova una compenetrazione reciproca di ambedue i principi, che non trova analogie in situazioni naturali. È vero infatti che l'intera Chiesa è allo stesso tempo petrina e mariana. Questa compenetrazione reciproca non vale per esempio nel modello corpo-anima relativamente al rapporto del corpo con l'anima. Se si mantiene l'idea della compenetrazione reciproca, quindi una specie di pericoresi, si arriva a conseguenze teologicamente importanti, sia per il ministero nella Chiesa sia per la Chiesa quale corpo vivente. A causa della compenetrazione del ministero con il principio mariano, tutto quello che è potente, autorevole e gerarchico nel ministero deve essere vivificato dallo spirito e dall'atteggiamento del fiat di Maria. Questo è più di quanto solitamente viene detto oggi parlando del carattere di servizio nel ministero. È quasi una tautologia dire che il ministero disponga di un carattere di servizio. Ma che un ministero con la sua autorità originaria venga vivificato dalla fede, dall'amore e dalla ricettività orientata a Cristo, che venga svolto nell'atteggiamento dell'umiltà, della dedizione e dell'apertura sempre maggiore a Cristo, non rappresenta nessuna tautologia. Questo non può derivare dal concetto di servizio, che può essere inteso puramente in modo funzionale. L'impronta e la compenetrazione mariana conferiscono al ministero una nuova qualità e una nuova dedizione sia a Cristo sia ai fedeli, vale a dire la formazione tramite la fede, l'umiltà e l'amore. Viceversa la compenetrazione significa per la Chiesa quale comunità dei fedeli - formata anzitutto dal principio mariano, al cui vertice si trova Maria come excellentissimum membrum - che il principio petrino nella Chiesa, concretamente il ministero, non possa essere da essa percepito come una realtà estranea e autoritaria, ma solo come la struttura necessaria che deve sostenere la vita interiore di grazia in un mondo umano sensibile. In altre parole: il principio petrino deve rimanere nell'ambito del visibile, se non si vuole che la vita della grazia si dissolva in un puro soggettivismo. Tuttavia quest'immagine della pericoresi fra principio petrino e mariano nella Chiesa non sembra essere l'ultima parola riguardo a Pietro e a Maria. Se si intende quello mariano come un principio della cooperazione interiore e vitale alla salvezza, si può concedere a questo principio della vitalità di grazia, da un certo punto di vista, persino la precedenza, oltre alla pericoresi tra le due realtà. Questa precedenza appare come un tempore prius. Non si può negare che la Chiesa sia esistita in Maria (evidentemente sotto il capo Cristo) prima che negli apostoli e nel ministero istituzionale. L'assenso fedele, ricevente e vivente di Maria precede l'origine della Chiesa come istituzione visibile con ministero e potere sacro. Qui non si constata soltanto una precedenza temporale del principio mariano, ma anche una precedenza interiore e qualitativa. Si può dedurre che il principio mariano - in quanto principio della fede vissuta, dell'atteggiamento esistenziale e pratico - sia quello più interiore, più radicato qualitativamente e più radicale nei confronti del ministero esteriore. Anche il ministero, assunto ed esercitato correttamente, dipende da questa qualità interiore, spirituale e vitale e dovrebbe sempre disporre di essa. In questo modo si spiega anche l'idea che la qualità interiore della fede compiuta nell'amore non è soltanto la forza vitale che vivifica il ministero, ma è anche, rispetto al ministero, la realtà più ampia; infatti si può constatare che il ministero è limitato a pochi, mentre la forma esistenziale di vita è una proprietà o dovrebbe esserlo per l'intera comunità dei credenti, di cui evidentemente fanno parte anche i ministri. Così si può capire che la forma spirituale di vita nella Chiesa, rappresentata da Maria, abbraccia é include il ministero. Invece non si può affermare che il ministero includa tutti i membri della Chiesa, perché esso può essere esercitato per la sua destinazione e la sua essenza solo mediante persone individuali; nel caso del ministero petrino persino solo da un'unica persona nella Chiesa. Se si parla di una universalità di ambedue i principi nella Chiesa, bisogna ammettere che l'universalità del principio mariano nella Chiesa è praticamente illimitata, mentre quella del ministero ha bisogno di una limitazione personale. Da qualunque parte si guardi il rapporto di questi coprincipi, si arriva sempre ad un risultato fondamentale, che può essere formulato in modo conclusivo nei seguenti termini: Il principio mariano è la disposizione vitale universale per l'intera realtà ecclesiale, che diventa ad un livello ulteriore la proprietà della Chiesa quale comunità dei fedeli. Il principio ministeriale o petrino invece presuppone sempre questa disposizione, ma la porta anche in sé come principio vivificante. Dopo aver così circoscritto il rapporto dei principi e delle realtà che ne derivano, si può finalmente affrontare la questione circa l'importanza del legame fra il principio petrino e quello mariano per l'unione delle chiese.

4. L'intreccio dei principi come aiuto per l'unione dei cristiani

Si poteva sviluppare e strutturare il tema, visto sotto questo aspetto, in modo diverso, per esempio iniziando con argomenti positivi a sostegno del ministero petrino e dell'idea mariana come strumenti per favorire l'unità. Ma iniziando in questo modo ci sarebbe il pericolo che non venga argomentato con ragioni primarie e più profonde, ma con ragioni secondarie. Una tale fondazione potrebbe procedere rispetto alla verità mariana nel modo seguente: naturalmente Maria non rappresenta alcun ostacolo sulla via verso la riunificazione perché, come interceditrice materna, ella potrebbe soltanto favorire questo scopo sublime della storia salvifica della cristianità. Ma poi verrebbe richiesto troppo nei confronti della figura mariana: nel dialogo ecumenico dovrebbe essere prima chiarito, per esempio, come Maria possa arrivare ad un tale ruolo di mediazione e come si possa collocare correttamente la forza che le viene attribuita. Similmente sarebbe soltanto un argomento superficiale per il principio petrino, se si dicesse per esempio: evidentemente il ministero di Pietro, creato soprattutto per l'unità della Chiesa, può essere inteso solamente come impulso per l'unità delle confessioni, perché tutti desiderano l'unità. Anche qui non sarebbe esaurita la problematica, e nemmeno la fondazione consistente nell'inserimento organico del ministero di Pietro e il suo orientamento al principio mariano. Soprattutto un'affrettata fondazione della positività del ministero di Pietro e del principio mariano non avrebbe potuto chiarire il carattere particolare del legame fra i due, un carattere fondato sull"e'. Dopo aver dimostrato il carattere di questo legame, stabilito necessariamente nell'ordine della salvezza e nella Chiesa (benché non si tratti di una necessità metafisica), si può rispondere a mo' di principio e in maniera relativamente sintetica alla domanda se Pietro e Maria siano ostacoli oppure forze favorevoli all'unità. Per la risposta (evidentemente positiva), si può partire dal fatto che il pensiero protestante nel suo insieme (se si rinuncia ad una differenziazione più precisa), sospetta in ambedue i fattori una possibile contraddizione rispetto al principio del solus Christus. L'autorità attribuita al ministero di Pietro viene considerata come possibilità che mette in pericolo la forza autorevole di Cristo. Nell'esempio concreto dell'interpretazione della Scrittura, pare obbligatorio «quello che favorisce la richiesta di Cristo», ma non quello indicato come obbligatorio dalla Scrittura tramite il giudizio del ministero petrino. Anche la precedenza attribuita nella Chiesa a Maria, con tutte le conseguenze, viene percepita come pericolo e come oscuramento della precedenza di Cristo quale unico mediatore fra Dio e l'uomo. Di fronte a questi timori bisognerebbe spiegare più precisamente ciò che è stato detto sulla coesistenza di ambedue i principi: il ministero petrino, vivificato dal principio mariano, non può intendersi come istanza di dominio sulla fede e sui fedeli, ma deve usare la sua autorità, che principalmente risale a Cristo, nell'atteggiamento del fiat di Maria, cioè in modo subordinato alla Parola. Maria invece, intesa come potere spirituale di vita - malgrado le conseguenze nel culto e nella pietà che possono sembrare ipertrofiche ad un pensiero protestante - non costituisce alcuna istanza che sia in concorrenza con Cristo. In termini sistematici, si potrebbe dire: se la posizione e l'azione di Maria non fanno la minima concorrenza al ministero nella Chiesa, ma vivifica (per così dire) il ministero, essa ovviamente non può fare concorrenza a chi si trova all'origine del ministero, cioè a Gesù Cristo. Ella può solo offrire una disposizione importante da parte della comunione della Chiesa dei credenti per continuare l'opera di Cristo, legata visibilmente al ministero ecclesiale.

Bibliografia
SCHEFFCZYK L,, Maria, crocevia della fede cattolica, Eupress, Lugano 2001, pp. 154-164; ID., Il ministero di Pietro. Problema, carisma, servizio, Torino 1975; ID., Die Mairiologie als Aufgabe und Impuls der Ökumene, in ZIGENAUS A. (Ed), Maria in der Evangelisierung. Beiträge zur mariologischen Prägung der Verkündigung, in Mariologische Studien, IX (1993), Regensburg 1993, pp. 151-168; ID., Maria. Vorbild der Frau und Urbild der Kirche, in Kirche heute, 9 (1996), pp.17-18ss; ID., Das "Marianische" asl Gestaltprinzip christlichen Glaubens in der Neuzeit nach Romano Guardini (1885-1968), in AA. VV., De cultu mariano saeculis XIX-XX. Acta congressus mariologici-mariani internationalis in sanctuario maiano Kevelaer anno 1987 celebrati, Vol. I, Roma 1991; CATTANEO E (A cura di), I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Milano 1997; EBELING G., Zeitschrift für Theologie und Kirche (1930) 390 s.
 






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