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POST-MODERNITÁ


1. Dalla secolarizzazione alla "post-modernità"
Nel 1996 Jaroslav Pelikan, professore emerito di storia del cristianesimo all'università di Yale (USA), pubblicò un bel libro su Maria intitolandolo «Mary through the centuries» (Maria nei secoli). In quest'opera veniva analizzata la ricca comprensione e accoglienza di Maria nelle varie culture del mondo e nelle diverse stagioni della storia della Chiesa. È una delle tante risposte e conferme di indole storico-teologica a quanto la stessa Beata Vergine aveva profeticamente cantato nel suo Magnificat: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). Anche questa nostra generazione cosiddetta post-moderna loderà, quindi, Maria e anche a questa generazione postmoderna Maria ha qualcosa da dire. Ma anzitutto chiariamo il significato e il contenuto della parola «post-modernità», osservando che, se una decina di anni fa si parlava di società secolarizzata, oggi si deve parlare di società «post-moderna». La società occidentale, infatti, sta velocemente passando dalla secolarizzazione alla post-modernità. La secolarizzazione era la rivendicazione dell'autonomia ontologica ed epistemologica dell'uomo nei confronti del trascendente, di Dio, della rivelazione cristiana. La post-modernità, invece, si presenta come un nuovo orizzonte di pensiero, dai molteplici elementi.

2. Post-modernità come novità

La post-modernità è un «novum» che prende posizione di fronte alla modernità, di fronte al passato: lo può migliorare, lo può cambiare, lo può contestare, ma non lo può ripetere semplicemente? A questo punto si pone una domanda: la post-modernità è la fine della modernità oppure il suo compimento? La risposta non è semplice. Per alcuni «la "condizione post-moderna" (J.-F. Lyotard) sarebbe la "fine della modernità" (G. Vattimo) e la "fine dell'utopia" (H. Marcuse); sarebbe l'avvento del "pensiero debole" (G. Vattimo - P. A. Rovatti) e quindi la "crisi della ragione" (A. Gargani)». Per altri, invece - ad esempio, per J. Habermas - non si tratterebbe affatto della fine della modernità e dell'inizio di una nuova- era, ma il mezzogiorno .di un'alba rimasta incompiuta nel Rinascimento, quando non si realizzò la sintesi tra il meglio della tradizione e il meglio dell'innovazione, ma si accrebbe la divaricazione tra fede e ragione. Sarebbe stato il Rinascimento (sec. XVI) la vera svolta epocale, l'autentico novum in contrapposizione all'antico e cioè al medioevo, operando il passaggio da una visione teocentrica, religiosa e soprannaturale a una visione antropocentrica, terrena e naturalistica. Da questa «modernità» sarebbero scaturite le quattro grandi rivoluzioni: .quella culturale (illuminismo), con l'opposizione radicale tra ragione e fede; quella scientifica; con la scoperta dileggi fisiche deterministiche; quella politica, con la fondazione e la legittimazione del potere nel popolo e non più in Dio; quella industriale, con l'invenzione di macchine sempre più perfezionate e sofisticate. Tuttavia, la modernità, che sembrava poter sconfiggere ogni limite, ogni male e ogni ingiustizia (povertà, malattie, ignoranza, oppressione politica...), entra in crisi nel secolo ventesimo, con l'avvento di guerre, di regimi autoritari di destra e di sinistra, di terrorismo planetario, di ricerca scientifica, che, oltre ad aprire orizzonti sempre più ampi nel campo della medicina e della tecnica, fornisce anche le conoscenze indispensabili per produrre armi di morte e prodotti di distruzione o di manipolazione antiumana. Ciò ha provocato la caduta del mito della ragione come unica fonte di luce, inducendo allo scetticismo intellettuale,, al nichilismo etico e alla tendenza a perseguire il maggior benessere individuale possibile e non a ricercare la verità e a motivare adeguatamente i valori. Se tutto ciò rappresenti una specie di «scoria» necessaria per affermare una migliore sintesi della modernità - armonizzare fede e ragione, trascendenza e immanenza, etica e politica - o se, invece, sia la fine della modernità è una «quaestio disputata» e non è di grande interesse per noi. L'essenziale è che ci troviamo di fronte a una condizione culturale e spirituale nuova, chiamata «post-modernità», che merita grande attenzione. La post-modernità è come un cielo nuvoloso che copre il sole o come la notte oscura di San Giovanni della Croce. Diceva San Bernardo: «Habet mundus iste noctes suas et non paucas» ("Questo mondo ha le sue notti che non sono poche").

3. La sfinge della post-modernità

Oggi le sfide culturali e religiose non provengono solo da singoli pensatori o da gruppi di pensiero, ma si presentano come convinzioni diffuse nell'ambiente e come mentalità comune, trasmesse soprattutto dal continuo martellamento dei mezzi di comunicazione sociale. Questa mentalità diffusa è nutrita di presupposti e pregiudizi di varia natura che costituiscono un ostacolo all'accoglienza e alla comprensione dell'annuncio della salvezza cristiana. Essa non ha un volto preciso: è una sfinge dai mille significati. Ne segnaliamo alcuni:
a) la convinzione che la verità divina non possa essere afferrata ed espressa nella sua globalità nemmeno dalla rivelazione cristiana e quindi un atteggiamento relativistico e storicistico nei confronti della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri o ciò che è vero in un determinato tempo non lo sarebbe in altri (spesso questo atteggiamento porta a scambiare l'attualità per la verità);
b) il soggettivismo razionalistico di chi considera la ragione come unica fonte di conoscenza e quindi diventa incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per accogliere una verità e una salvezza trascendente, divina, soprannaturale;
c) il pragmatismo di chi, nel fare le sue scelte, esclude il ricorso a valutazioni fondate sa principi etici e religiosi, e subordina le proprie decisioni morali alle deliberazioni via via assunte dagli organi istituzionali;
d) l'eclettismo di chi assume idee derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la verità e la salvezza cristiana;
e) il nichilismo di chi cancella ogni riferimento ideale a valori supremi umani o religiosi, che diano significato alla persona umana e al suo destino: è l'eliminazione di ogni perché;
f) l'idolatria di chi assolutizza una realtà creata - come, ad esempio, la ricchezza, il potere, lo stato, il sesso, o qualsiasi altra creatura di Dio - e attinge da questo «idolo» o «mito» le norme della propria azione.
Tutto ciò si ritrova nel cosiddetto pensiero debole della «post-modernità», che ritiene irrimediabilmente passato il tempo delle certezze, per cui l'uomo dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole. In base a tali presupposti, vengono anche elaborate proposte teologiche, in cui la rivelazione cristiana e il mistero di Gesù Cristo e della Chiesa perdono il loro carattere di verità assoluta e di universalità salvifica, o almeno si getta su di essi un'ombra di dubbio e di insicurezza: «Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso ''non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa».

4. Post-modernità e fede cristiana

In questa situazione, non pochi cristiani provano smarrimento e confusione. Altri rivelano un preoccupante analfabetismo religioso. Altri ancora vivono una vera e propria eclissi del senso religioso e morale, attestandosi su posizioni lontane dal vangelo e in contrasto con la tradizione cristiana. Non si possono tacere, però, molti segni positivi: il desiderio di autenticità di molti giovani; il sorgere di numerosi e vivaci movimenti ecclesiali; il desiderio di prossimità, di solidarietà e di caritas cristiana di molti fedeli; la fedeltà ai pastori e al loro magistero; la pietà popolare eucaristica e la fiducia nel Cuore misericordioso di Gesù; la devozione a Maria, invocata come regina della pace e ausiliatrice dei cristiani in questo momento difficile della storia della Chiesa. In ogni caso, la catechesi della Chiesa, la formazione permanente intesa come comprensione e testimonianza della fede nella nostra cultura attuale, non può ignorare questo nuovo e complesso orizzonte. E il suo compito rimane quello di riaffermare e rimotivare alcuni dati fondamentali della fede cristiana, contrastando alcuni «pregiudizi culturali», propri della mentalità «post-moderna». I cristiani, cioè, sono chiamati a essere figli della luce, sale della terra e maestri di futuro per i figli del nulla della post-modernità. Di fronte alla mentalità relativistica, occorre riannunciare che la fede cristiana, fondata sulla rivelazione soprannaturale di Dio in Gesù Cristo, rivendica il carattere di «verità e di certezza assoluta», superiore a ogni altra verità, sia razionale, sia scientifica: «La Verità, che è Cristo, si impone come autorità universale». Nei confronti della mentalità soggettivistica, occorre ribadire che la fede cristiana è «oggettiva» in un duplice senso. Come depositum fidei, non è frutto di conoscenza umana, ma dono di rivelazione divina. In secondo luogo, la salvezza cristiana non è sforzo umano, ma opera della Trinità. L'uomo accoglie nella fede questo dono, nella convinzione che da solo non è capace di salvarsi dal peccato, dalla morte e dal male. Alla mentalità sincretistica e neopagana, bisogna rispondere sottolineando il fatto che la fede cristiana è «globale», dal momento che offre un quadro organico di verità dottrinali, di comportamenti morali, di atteggiamenti esistenziali che formano un «unicum» inscindibile, in armonia tra fede e vita. La fede, cioè, è un'idea forte che illumina e sorregge tutta l'esistenza dell'uomo. Per liberarsi dal pensiero debole e dal nichilismo morale, occorre ribadire il pensiero forte della ragionevolezza della fede cristiana, che ha salde motivazioni razionali per essere accolta: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità». Per superare il futuro breve della post-modemità, con le sue previsioni a breve termine sempre cangianti e contraddittorie, occorre affidarsi al futuro lungo della fede cristiana, che vede l'umanità in cammino verso Dio, sostenuta dalla sua misericordiosa e benefica Provvidenza. Si deve abbandonare il cinismo di una vita senza giudizio finale e riscoprire invece la novità entusiasmante del futuro escatologico, del «Principio Speranza», che è Gesù Cristo, principio e fine della nostra esistenza. I cristiani, insomma, devono riaccendere la luce della loro fede per rischiarare l'oscurità della notte post-moderna.

5. Salvezza cristiana oggi: «Duc in altum» (Lc 5,4)

I compiti per il terzo millennio possono essere riassunti da tre linee di azione.
a) Anzitutto quella indicata da Giovanni Paolo II con il motto «duc in altum» (Lc 5,4), nella lettera apostolica «Novo Millennio Ineunte»: bisogna cioè spingersi al largo, nelle acque profonde e limpide della fede, avere fiducia e speranza in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo. Occorre ripartire da Cristo, e corrispondere alla sua grazia con la testimonianza della santità, della preghiera, dell'eucaristia domenicale, dell'ascolto e dell'annuncio della parola, e soprattutto della testimonianza dell'amore. In questa testimonianza della carità deve prevalere la spiritualità della comunione e non della divisione.
b) La seconda linea proviene dagli orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il primo decennio del terzo millennio (29 giugno 2001). Sotto il titolo molto significativo, «Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia», la Chiesa italiana propone i seguenti orientamenti per il riannuncio oggi della salvezza cristiana:
- Anzitutto, occorre «dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l'umanità intera»;
- In secondo luogo, occorre anche proporre «esperienze di vita, personali e comunitarie, fortemente ancorate al Vangelo per dare un avvenire alla trasmissione della fede in un mondo in forte cambiamento. Abbiamo bisogno di cristiani con una fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il Vangelo. Ma ciò è possibile soltanto se nella Chiesa rimarrà assolutamente centrale la docile accoglienza dello Spirito, da cui deriva la forza capace di plasmare i cuori e di far sì che le comunità divengano segni eloquenti a motivo della loro vita «diversa». Ciò non significa credersi migliori, né comporta l'esigenza di separarsi dagli altri uomini, ma vuoi dire prendere sul serio il Vangelo, lasciando che sia esso a portarci dove noi forse non sapremmo neppure immaginare e a costituirci testimoni». Per imprimere un adeguato impulso missionario, occorre rievangelizzare la comunità cristiana soprattutto attraverso la partecipazione all'eucaristia domenicale, vissuta come incontro rigeneratore di grazia e di comunione con il Signore e con il prossimo.
- Infine, bisogna allargare lo sguardo a un dato culturale significativo dell'ambiente occidentale oggi, il pluralismo religioso. Di qui l'urgenza della missio ad gentes, rivolta a coloro che non credono in Gesù Cristo: «Una Chiesa che dalla contemplazione del Verbo della vita si apre al desiderio di condividere e comunicare la sua gioia, non leggèrà più l'impegno dell'evangelizzazione del mondo come riservato agli «specialisti», quali potrebbero essere considerati i missionari, ma lo sentirà come proprio di tutta. la comunità. D'altro canto, l'allargamento dello sguardo verso un orizzonte planetario, compiuto riaprendo il «libro delle missioni», aiuterà le nostre comunità a non chiudersi nel «qui e ora» della loro situazione peculiare e consentirà loro di attingère risorse di speranza e intuizione apostoliche nuove guardando a realtà spesso più povere materialmente, ma niente affatto tali a livello spirituale e pastorale».
La salvezza, sperimentata in Cristo, viene così condivisa con tutta l'umanità, secondo il comando del Signore: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

6. Sicuri, con Maria, nel mare in tempesta

Ma c'è una terza linea di azione pastorale: quella mariana. Maria, madre della Chiesa, non può abbandonare il corpo mistico di Cristo in un naufragio verso il nulla. Come mediatrice del Figlio ella, l'Immacolata Glorificata, è chiamata a essere odigitria, a segnare il cammino della Chiesa di Cristo nell'odierno mare in tempesta. San Giovanni Bosco, il grande educatore cristiano, è conosciuto come l'uomo dei «sogni». In uno dei suoi sogni-, visione, chiamato il sogno delle due colonne (raccontato da lui il 30 maggio 1862), narra di aver visto una grande distesa di mare tempestoso pieno di navi armate di cannoni e di armi di ogni genere. Queste navi avanzano contro una nave molto più grande e alta di tutte, tentando di urtarla, di incendiarla, di affondarla. E la nave della Chiesa assalita dai suoi numerosi nemici. Ed ecco apparire, in mezzo a questo mare tempestoso, due robuste colonne, altissime, poco distanti l'una dall'altra. Sopra di una vi è una statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: «Auxilium Christianorum»; sull'altra, che è molto più alta e grossa, sta un'Ostia di grandezza proporzionata alla colonna, e sotto un altro cartello: «Salus credentium». Nonostante gli attacchi furiosi dei nemici, che talvolta causano degli squarci alla fiancata, il capitano, il Papa, guida con sicurezza la grande nave verso le due colonne e con la catena che pende a prora la lega alla colonna dell'Ostia e con la catena che penda a poppa la fissa alla colonna della Vergine Immacolata Ausiliatrice. A questo punto tutte le navi nemiche fuggono, disperdendosi, urtandosi a vicenda, affondando. E Don Bosco aggiunge alcune spiegazioni: le due colonne ovviamente sono la devozione all'Eucaristia e la pietà mariana della Chiesa. Le navi nemiche sono le persecuzioni che la Chiesa subisce nella storia, ma che non la vinceranno se essa si ancora con fermezza a Gesù eucaristia e a Maria. Questo sogno di Don Bosco il Beato Ildefonso Schuster, il grande cardinale di Milano, lo ripeteva spesso nelle sue omelie, ricordando come la Chiesa e il popolo cristiano supereranno ogni difficoltà con queste due devozioni: l'Eucaristia e Maria. Sicuri di questa reale ed efficace intercessione di -Maria presso Gesù a nostro favore, intendiamo qui approfondire due linee di azione ispirate a Maria: speranza e consolazione.

7. Maria, segno di sicura speranza

Il Concilio Vaticano II afferma: «La Madre di Gesù [...] sulla terra brilla come un segno di sicura speranza ("signum certae spei") e di consolazione per il popolo di Dio in marcia, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cf. 2P.t 3,10)» (LG n. 68). Quasi a commento di queste affermazioni conciliari, il Cardinale Anastasio Ballestrero scriveva ai suoi fedeli di Torino: «L'imitazione di Maria può caratterizzarsi prima di tutto e soprattutto per una partecipazione alla sua fede, ma anche per una partecipazione alla sua speranza: quella speranza incrollabile, perseverante, paziente, silenziosa, capace di nutrire lunghe attese, giorni desolati, eventi tragici come la croce. La speranza di Maria è tipo, piena di fecondità, anche per la nostra speranza di creature in questo mondo. Contemplare questa madre della beata speranza può diventare per noi un cammino che rende tante nostre strade meno aspre, meno impervie, meno disperate. C'è la luce del suo cuore di Madre e c'è anche la fermezza della sua speranza di credente che può e deve diventare viatico per la nostra vita». Afferma Bonifacio Fernandez in uno stupendo studio su Maria e la speranza: «La speranza dà apertura al cuore umano, gli dà fiducia nel futuro e confidenza nel triste presente, gli dà capacità di protesta e di ribellione. Grazie alla speranza si può mantenere l'atteggiamento di lotta e di resistenza contro la negatività dell'esistenza personale e collettiva. Grazie alla speranza la vita umana si fa vivibile e amabile. Nell'attesa di un mondo migliore si diventa capaci di solidarietà, di felicità e di dolore». L'inculturazione della speranza nel mondo non si realizza parlando della speranza, ma ponendo gesti di speranza: «La speranza è come l'amore. Vive e cresce nel profondo di ogni esistenza. Ma si espande subito verso l'esterno. Non diciamo la nostra speranza con parole sapienti. La diciamo inventando con coraggio eradicalità gesti concreti di speranza. Quali siano questi gesti... non li posso dire io "a parole"». Facciamo degli esempi. Vivere nella speranza è vivere in un nuovo rapporto con le cose: avere le cose non significa possederle in modo egoistico, ma condividerle. La condivisione non è la perdita delle cose ma un loro possesso più forte e più ampio. Vivere nella speranza inaugura anche un nuovo modo di relazione con le persone. Si passa dall'egoismo alla comunicazione, al riconoscimento, al dono, al perdono, all'accettazione. Si crea così una cultura della comunione e della condivisione. Vivere nella speranza è accogliere, difendere, proteggere e offrire la vita. In questo l'esperienza di Maria è stata esemplare. In un mondo che sembra disprezzare, rifiutare, umiliare e uccidere la vita, Maria accoglie e protegge la vita, dando a tutti noi un grande esempio di speranza nella provvidenza divina. È il Papa a proporci Maria come maestra di speranza e di tutela della vita nella sua recente enciclica Evangelium Vitae (1995).21 Maria è la madre che a nome di tutti e a vantaggio di tutti accoglie Gesù, Vita dell'umanità: «Maria [...] ha quindi legami-personali strettissimi con il Vangelo della vita» (EVi n. 102). Generando la vita del Verbo incarnato ella ha rigenerato la speranza dell'umanità, che così è stata sottratta alla condanna della morte definitiva ed eterna.

Bibliografia
AMATO A., Maria e la post-modernità, in AA. VV., Maria, guida sicura in un mondo che cambia, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa, Roma 2002, pp. 19-31; PELIKAN J., Maria nei secoli, Città Nuova, Roma 1999;  COTTIER G. M., Le salut dans le monde de la sécularité, in La salvezza oggi, Pontificia Università Urbaniana, Roma 1989, p. 101-126; LAKELAND P., Postmodernity. Christian Identity in a Fragmented Age, Fortress Press, Minneapolis 1997: Editoriale, in «La Civiltà Cattolica» 143 (1992) IV; HUIZINGA J., La crisi della civiltà, Einaudi, Torino 1978; SÀNCHEZ MONGE M., Postmodernidad y nueva evangelizaciόn, in «Revista de Espiritualidad» 51 (1992) p. 119-136; QUINZÀ X., Leer los signos de Dios en la posmodernidad, in «Revista Espagnola de Teologia» 51(1991) pp. 429-473; SOBRINO J., Gesù Cristo Liberatore, Cittadella, Assisi 1995, pp. 315-318; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia del 29 giugno 2001; 8 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus lesus del 6 agosto 2000; BALLESTRERO A., La Chiesa torinese in cammino con Maria. Lettera pastorale per l'anno mariano, Elle Di Ci, Leumann 1987; FERNÀNDEZ D., Maria de la esperanza, in «Ephemerides Mariologicae» 35 (1985) p. 162ss; TONELLI R., Diventare uomini e donne di speranza nello stile della spiritualità salesiana, in I sentieri della speranza nella spiritualità salesiana, SDB, Roma 1994; PERRELLA S. M., La Madre di Gesù nella teologia. Percorsi mariologici dal Vaticano II a oggi, Aracne, Ariccia 2015, pp. 85-104 e pp. 261-276.






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