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CONCILIO DI CALCEDONIA



1. Motivazioni del Concilio
Nonostante gli accordi sul documento del 433, negli anni successivi si verificò nella Chiesa d'Oriente una situazione di crescente confusione, sia sul piano dottrinale che su quello disciplinare. Uno pseudoconcilio fu tenuto a Efeso nel 449, che però venne rifiutato dalla Chiesa e che passò alla storia con la denominazione di Latrocinio di Efeso. In questa incresciosa situazione l'imperatore Marciano decise di convocare un concilio da tenersi a Calcedonia (Bitinia) presso la chiesa di Santa Eufemia. Il Papa Leone Magno diede la sua approvazione e nominò i suoi legati; cosicché l'8 Ottobre del 451 i seicento vescovi presenti poterono riunirsi per la prima assemblea conciliare. Il problema principale di cui dovevano occuparsi i padri conciliari era quello di affrontare la minaccia che l'eresia monofisita, a causa dell'ostinata predicazione e della propaganda da parte di Eutiche, sostenuto da molti monaci, veniva a costituire per la fede ortodossa. Le decisioni dello pseudo-concilio del 449 furono respinte dalla Chiesa per l'illegittimità della sua convocazione e per l'eterodossia delle sue conclusioni, orientate verso le tesi eutichiane. La dottrina di Eutiche insegnava un errore cristologico che si collocava all'estremo opposto del nestorianesimo. Se questo tendeva ad affermare l'esistenza di due persone in Cristo e quindi di due Figli, il monofisismo negava al Cristo la realtà di una vera natura umana, dal momento che questa sarebbe stata assorbita dalla natura divina al momento dell'unione ipostatica nel mistero dell'Incarnazione. Con questo errore veniva gravemente compromessa la dottrina della salvezza perché, come insegnavano i Padri, poteva essere salvato solo ciò che era stato assunto dal Verbo redentore. Il concilio si concludeva riconoscendo come suoi atti propri il Tomus ad Flavianum e una Definitio fidei in cui è presente il riferimento a Maria, e una lista di trenta canoni riguardanti materie ecclesiastiche e disciplinari.

2. Il Tomus ad Flavianum

Questo scritto è praticamente una lettera inviata dal Papa Leone Magno all'allora patriarca di Costantinopoli Flaviano, nella quale il romano pontefice condanna il monofisismo di Eutiche. La lettera, inserita tra i documenti conciliari e come tale approvata e fatta sua dal concilio, rivela grande chiarezza di esposizione e sicurezza di pensiero. Non contiene verità nuove, ma semplicemente condanna l'errore di Eutiche e ribadisce la dottrina tradizionale della Chiesa in materia di Incarnazione. A proposito di Cristo, il Tomus afferma: «Sempiterni Genitoris Unigenitus sempitemus natus est de Spiritu Sancto et Maria virgine, quae nativitas temporalis il nativitati divinae et sempitemae nihil minuit, nihil contulit, sed totam se reparando homini, qui erat deceptus, impendit, ut et mortem vinceret et diabolum, qui mortis habebat imperium (cf. Heb 2,14), sua virtute destrueret». Il passo ritorna sulla condizione di immutabilità della natura divina nella generazione temporale da Maria e la finalità soteriologica dell'Incarnazione. E così il Verbo si è fatto carne ed è nato dall'utero della Vergine per assumere delle forme assolutamente umane. Sarebbe errato pensare che l'intervento dello Spirito Santo avesse avuto come conseguenza che il corpo di Gesù fosse diverso dal nostro. Lo Spirito ha inciso unicamente sul modo del concepimento, non sul risultato. Più avanti propone la dottrina della verginità perpetua di Maria: «Conceptus quippe est de Spiritu Sancto intra uterum virginis matris, quae illum ita salva virginitate edidit quemadmodum salva virginitate concepit». In questo passo il tema della verginità di Maria viene considerato nei due momenti fondamentali del mistero, ossia nel concepimento e nel parto di Gesù. La verginità nel concepimento è garantita dall'intervento dello Spirito Santo, secondo la testimonianza del vangelo; quanto alla verità del parto verginale, si sottintende che è trasmessa dalla tradizione ecclesiale. Su questo mistero Leone fa ampio ricorso alla Scrittura, citando Rm 1,1-3; Gn 22,18; Gal 3,16; Is 7,14; Is 9,16. Il Pontefice inoltre precisa che, se la nascita carnale è la dimostrazione della vera e reale natura umana del Verbo Incarnato, il parto verginale è una manifestazione della potenza divina intervenuta nell'evento. Il testo di Leone Magno si esprime con una chiarezza e una proprietà di termini non del tutto usuali nelle controversie dottrinali della Chiesa orientale.

3. La Definitio Fidei

Con questo documento il concilio fa suo l'insegnamento del Tomus di Papa Leone, di cui sembra riprodurre la chiarezza e l'incisività dello stile, e ripete sotto forma di proclamazione dogmatica la dottrina della Chiesa sul Verbo Incarnato, nel cui ambito appare chiarita ed esposta in termini ortodossi anche la dottrina sulla persona e sul ruolo della Vergine Madre di Dio nel mistero dell'Incarnazione. Il documento parte dal solito ricorso alla tradizione della Chiesa, autorevolmente attestata dai concili precedenti di Nicea, Costantinopoli ed Efeso, esplicitamente nominati. In questo contesto viene ufficialmente proclamato il simbolo niceno-costantinopolitano e proposto come formula di fede ecclesiale. Las formula di per sé sarebbe sufficiente e adatta ad esprimere la vita di fede e di pietà dei credenti; ma siccome sono state diffuse delle interpretazioni false ed eretiche a proposito della verità dell'Incarnazione e della correttezza dogmatica del termine Theotokos, il concilio si è sentito in dovere di intervenire per condannare l'errore di Eutiche e dei suoi seguaci, i quali insegnavano che in Cristo la carne e la divinità erano unite in una sola natura. L'errore di Eutiche di per sé non metterebbe in pericolo la legittimità del termine Theotokos né la funzione che esso significa, anzi sembrerebbe enfatizzarla. Questo però avverrebbe a spese della chiarezza dei rapporti tra il Figlio e la Madre sua; e infatti una umanità così intesa, che con l'unione ipostatica sembrava svanire nella natura divina, non rischiava forse di lasciare intendere una certa ingerenza nella vita trinitaria da parte della Theotokos? Dopo la confutazione degli errori, la Definitio Fidei si avvia alla conclusione con una sintesi magistrale della dottrina della fede, che dà ulteriore chiarezza e forza al simbolo niceno-costantinopolitano. Circa la Vergine santa ripete che ella può essere detta giustamente Theotokòs, anche se ha generato Cristo solo secondo la carne, perché nella persona del Figlio la natura umana è unita a quella divina. L'unione della divinità con l'umanità in Cristo, su cui si fonda teologicamente la maternità divina, è predicata con quattro avverbi che ne definiscono esattamente la natura: è un'unione senza confusione, senza mutazione, senza divisione e senza separazione. La Vergine santa pertanto ha generato una natura umana che non si è mutata nell'Incarnazione e che, pur non confondendosi con la natura divina e conservando tutte le sue proprietà, non è da questa né separata né divisa; per cui le due nature sono unite in un'unica persona e in un'unica sussistenza. Su questa base cristologica si fonda il titolo di Theotokos che il Concilio di Efeso aveva riconosciuto alla Vergine santa venti anni prima. Dietro un'impostazione così limpida dei dati del problema e una soluzione altrettanto incontestabile si nasconde il genio latino di Papa Leone che nel Tomus ad Flavianum aveva già delineato un percorso di riflessione che il Concilio di Calcedonia ha voluto seguire fedelmente e si potrebbe dire anche docilmente. Non è semplice ipotizzare quale tipo di autorità il vescovo di Roma esercitasse allora concretamente sulle chiese orientali; tuttavia non si può ignorare che in occasione del Concilio di Calcedonia l'autorità o perlomeno il prestigio di Papa Leone si rivelarono in tutta la loro portata. Gli stessi Padri conciliari lo ammisero nella Definitio, dichiarando di riconoscersi nella dottrina espressa dal Tomus di Leone Magno, perché in linea con la confessione di fede dell'Apostolo Pietro, e definendo detta dottrina come un comune baluardo di difesa contro le eresie e di conferma delle verità dogmatiche. Così le dichiarazioni di Calcedonia sulla Theotokos sono la conferma definitiva di quelle di Efeso e si fondano su una cristologia che ha toccato vertici impressionanti di solidità e di sicurezza.

Bibliografia

GAMBERO L., Riferimenti mariologici nei documenti dei primi quattro concili ecumenici, in Theotokos XII (2004), n. 1-2, pp. 3-23; SCHWARTZ E., Acta Conciliorum Oecumenicorum, t. II, 2 voll., Berolini-Lipsiae 1933-1938; BACHT A., Das Konzil von Chalkedon, 3 voll., Wurzburg. 1951-1954; SELLERS R. V., The Council of Chalcedon, London 1953; GRILLMEIER A., Christ in Christian Tradition, London 1972; LIBBART J., L'Incarnation, I. Des Origines au Concile de Chalcédoine, Paris 1966, pp. 209-222. SÒLL G., Storia dei dogmi mariani, Roma 1981, pp. 129-170; MEO S., La maternità salvifica di Maria: sviluppi e precisazioni dottrinali nei concili ecumenici, in Il Salvatore e la Vergine Maria, Roma 1981, pp. 203-212.

VEDI ANCHE:
- CONCILIO COSTANTINOPOLITANO I
- CONCILIO COSTANTINOPOLITANO II
- CONCILIO DI EFESO
- CONCILIO DI NICEA
- CONCILI ECUMENICI
- CONCILIO VATICANO II






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