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COMBONI DANIELE



1. Cenni biografici e presenza di Maria nella vita del Comboni
a) Nato a Limone, sulla riva bresciana del Lago di Garda, il 15 marzo 1831, da una famiglia di poveri e onesti giardinieri, si era trasferito ancora ragazzo a Verona, alla scuola di don Nicola Mazza, un sacerdote dai grandi ideali missionari che, nel 1842, aveva aperto presso la chiesa di San Carlo un Collegio per giovani studenti, privi di mezzi materiali ma ricchi di fede e d’ingegno. Comboni vi era entrato nel 1843, a soli dodici anni. Ordinato sacerdote a Trento il 31 dicembre del 1854, tre anni dopo aveva aderito con slancio alla proposta di Don Mazza di partire con altri cinque compagni missionari, quattro sacerdoti e un laico, per il Sudan. Alla fine del 1859 tre di essi sono già morti, due rifugiati al Cairo. A Verona torna, sfinito, solo lui, il sesto. Un insuccesso così bruciante avrebbe scoraggiato chiunque dal compiere nuove imprese in terra di missione. Chiunque, forse, ma di certo non il giovane e volitivo Daniele Comboni. L’Africa era la sua missione, la sua passione divorante, quasi una "idea fissa". E lui avrebbe realizzato il suo progetto ad ogni costo, ed in un modo piuttosto originale, per quei tempi. Nel Settembre del 1864 Daniele Comboni, allora trentatreenne, stava pregando sulla tomba di San Pietro nella Basilica Vaticana, quando ebbe un’idea. Una intuizione fulminante, che poi si affrettò subito a mettere su carta, inchiodandosi al tavolino per ben sessanta ore di seguito. Nasceva in questo modo il suo famoso "Piano per la rigenerazione dell'Africa", il cui contenuto si poteva sintetizzare in queste poche e semplici parole: "Salvare l’Africa con l'Africa". Era un’intuizione a dir poco straordinaria, che nasceva dalla riflessione sulla sua esperienza "africana" e sul vissuto di altre persone che come lui avevano sperimentato la realtà del "Continente nero": la missione esigeva un radicale cambiamento di metodi. Se il clima micidiale e le condizioni ambientali non consentivano ai missionari europei una penetrazione diretta, era assolutamente necessario preparare gli stessi Africani in località costiere, "dove l’africano vive e non si muta e l’europeo opera e non soccombe". Ciò significava, in termini più concreti, che la salvezza dell'Africa andava realizzata per mezzo dell'Africa stessa. Il Pontefice Pio IX ed il Cardinale Prefetto di Propaganda Fide, dopo aver esaminato attentamente il suo "Piano", incoraggiarono il missionario veronese a metterlo in pratica. Ma Comboni non poteva certo fare tutto da solo, aveva bisogno di essere affiancato nel suo lavoro, come scriveva, di "Missionari e Suore davvero santi, ma non col collo storto, perché in Africa bisogna averlo diritto; ma anime ardite e generose che sappiano patire e morire per Cristo e per gli Africani". Così nel 1867 viene creato l'Istituto dei "Missionari Comboniani del Sacro Cuore di Gesù", a cui si sarebbe aggiunto nel 1872 quello delle "Missionarie Comboniane Pie Madri della Nigrizia". "Il missionario – diceva egli ai suoi figli spirituali – dev’essere disposto a tutto. La nostra vita è un misto di dolore e godimenti, di affanni e di speranze, di patimenti e conforti. Si lavora con le mani e con la testa, si viaggia a piedi o in piroga, si studia, si suda, si soffre, si gode: ecco quello che vuole da noi la Provvidenza". Il 12 agosto 1877 Daniele Comboni viene consacrato Vescovo a Roma. Gli restavano soltanto quattro anni di lavoro intenso, segnati da croci, persecuzioni, abbandoni, morti. "Io domando al Signore ogni giorno: 1°, delle croci, necessarie per pianificare bene e fecondare le opere di Dio; 2°, personale maschile e femminile, investito dello Spirito di Gesù Cristo; 3°, mezzi pecuniari e materiali per mantenere l'Opera sua. La bontà divina – scriveva – è sommamente amorosa nell’accordarmi specialmente la prima grazia".
b) Ma per superare le difficoltà, che erano molte e spesso invalicabili, faceva affidamento sulla preghiera e soprattutto su Maria. "Ed ora a Voi finalmente mi rivolgo, o pietosa "Regina della Nigrizia" – scriveva in una delle sue preghiere più belle –, acclamandovi nuovamente Madre amorosa del Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale, commesso alle mie cure, oso supplicarvi di ricevere amorevolmente me e tutti i miei figli per custodirci dal male e dirigerci al bene. O Maria, Madre di Dio, il grande popolo dei neri dorme per la più parte ancora nelle tenebre e nell'ombra della morte. Affrettate l’ora della loro salvezza, spianate gli ostacoli, disperdete i nemici, preparate i cuori ed invitate nuovi apostoli a quelle remote contrade tanto infelici e bisognose…". Affidato alle cure di Maria, Comboni era così sicuro di giungere ogni volta nel porto sereno della volontà di Dio, anche in mezzo alle più tremende tempeste. "Ho un'immensa fiducia nel Sacro Cuore di Gesù e di Maria", egli scriveva. E accanto a Gesù e Maria, c’era Giuseppe, per cui Comboni aveva una devozione e un affetto singolari. Lo chiamava "Beppo", affettuoso nomignolo che lasciava intravedere la grande confidenza che nutriva nello sposo della Vergine, che egli chiamava anche "padre dell’Africa", precursore degli evangelizzatori del continente, in virtù della sua storia di permanenza in Egitto con il Figlio di Dio e sua Madre. Per Comboni San Giuseppe era anche l’economo delle sue opere, un economo molto solerte per i tanti debiti da onorare, come egli scriveva nelle sue lettere: "San Giuseppe mi otterrà il ‘pareggio’. ‘Beppo’ fu povero per provvedere agli altri. Egli non mi ha mai negato nessuna grazia temporale. Il tempo e le sciagure passano, noi diventiamo vecchi, ma San Giuseppe è sempre giovane, ha buon cuore e testa diritta e ama sempre il suo Gesù e gli interessi della sua gloria; e la conversione dell'Africa Centrale interessa vivamente e sempre la gloria di Gesù". Nel luglio 1881, di ritorno da un faticoso viaggio da El Obèid, Comboni fu colto per la strada da un violento temporale, che lo costrinse a rimanere coricato per più di cinque ore su un materassino fradicio. Raggiunse Khartùm, prostrato dalle febbri. Così la sera del 10 ottobre 1881, il Vescovo missionario lasciava questa terra, a soli cinquant’anni di età. Oggi circa quattromila uomini e donne – sacerdoti, fratelli, suore, missionarie secolari e laici – provenienti da più di trenta nazioni del mondo, incarnano il carisma e la passione di Daniele Comboni per i più poveri ed abbandonati sui campi della missione ad gentes, in più di quaranta Paesi di quattro Continenti. Sono i figli spirituali, che continuano il suo sogno.Comboni è consapevole di essere membro e quindi inserito nella Comunione dei Santi. Per questo conta con l’intercessione dei Santi, con la preghiera dei suoi amici e prega per essi: «Torniamo a noi; dicea, che io confido in Dio, in Maria, in S. Giuseppe, e nei buoni cattolici, e nella carità cristiana, perché quantunque sieno grandi le miserie d'Europa, dell'Italia, e dei buoni Napoletani, è però più grande la carità cristiana e cattolica» (S 5440). Nella sua vita di preghiera Comboni vive un rapporto prioritario e peculiare con la Vergine Maria e con san Giuseppe. Daniele Comboni è stato canonizzato da San Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003.

2. La Vergine Maria nella preghiera di Comboni

Il culto alla Madonna ha avuto in Daniele Comboni varie sfumature, secondo i diversi titoli con cui la invoca, tanto che dai suoi Scritti è stato possibile redigere una Litania Mariana: “Vergine Immacolata” è forse il titolo più frequente: comunque alla Vergine Immacolata è consacrata la Congregazione delle Pie Madri della Nigrizia, da lui fondata il 12 gennaio 1872. È comprensibile la frequenza di tale titolo per il fatto che la definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione (8 dicembre 1854) fu promulgata alla vigilia della sua consacrazione sacerdotale (31 dicembre 1854); "Regina della Nigrizia” è il titolo che diventa familiare dopo il primo contatto con le genti d'Africa; "Nostra Signora del S. Cuore” ha riferimento con la consacrazione del Vicariato alla Vergine (8 dicembre 1875), in seguito ai rapporti avuti con P. Chevalier; "Prezioso conforto del Missionario”: fin dal suo primo viaggio verso l'Africa (1857) Comboni guardava alla Vergine Maria come a Colei che veglia sul missionario per difenderlo dai pericoli che lo stesso viaggio comportava lungo il corso del Nilo: Nella Stella Mattutina v'è una bellissima cappella, che è fregiata da una bellissima immagine di Maria. Come avrebbe potuto la nostra buona Madre, ai cui piedi abbiamo posto la nostra missione, vederci patire, ed in grave imbarazzo e non soccorrerci? .. Non si può mai temere quando si pensa che avevamo una madre potente ed amorosa che vegliava per noi. La Vergine Maria, il prezioso conforto del Missionario, quella Vergine che è la vera Regina della Nigrizia, la madre della consolazione, non poteva lasciare in abbandono quattro poveri suoi servi, che tentano di farla conoscere in un col suo divin Figlio anche a quelle genti idolatre» (Al padre da S. Croce, 5 marzo 1858, S 262). Pellegrino al santuario della Salette, (26 luglio 1868), Daniele Comboni volle consacrare tutta la Nigrizia alla Vergine Madre di Dio. Ecco i passi più salienti dell'atto di «Consécration de la Nigritie à Notre-Dame de la Salette par Mgr. Comboni»: «O Vergine Immacolata de La Salette, riconciliatrice dei peccatori, eccomi ai vostri piedi, prostrato davanti a Gesù Cristo, nel vostro Santuario privilegiato, per perorare la causa più ingrata e più difficile, che ci sia mai stata, e che pure è la più importante dell'apostolato cattolico (S 1638) ... Siete Voi, Madre divina, che mi avete ispirato il nuovo Piano per la rigenerazione dell'Africa, approvato come sapiente e opportuno dal Vicario di Gesù Cristo e da molti Vescovi (S 1639)... Profondamente commosso per la vostra apparizione che invita gli uomini all'espiazione e annuncia la riconciliazione della terra con il Cielo, sono venuto su questa montagna per implorarVi, Vergine divina, che qui avete pianto sulle disgrazie dell'umanità, e che siete venuta a cambiare la giustizia in misericordia: io vengo dunque per emettere un grido di supremo sconforto, che Voi cambierete in un grido di speranza e di salvezza (S 1640) ... O Maria, rifugio dei poveri peccatori, mostratevi anche Regina e Madre dei poveri Negri, perché anch'essi sono vostro popolo. Io insegnerò loro questo grande annuncio, che Voi avete proclamato dall'alto di questa montagna (S 1641). Sì, buona Madre di misericordia, Voi siete la Madre dei Negri: in questo momento, io, loro padre e missionario, li metto tutti ai vostri piedi, affinché Voi li poniate nel vostro cuore: mostrati Madre! (S 1642)... O mia divina Madre, Voi sapete quante belle anime e quanti cuori generosi, ho trovato, grazie a Voi, tra quelle tribù dell'Africa... Sì vi è fra queste primizie della mia missione, che metto nuovamente sotto il vostro patrocinio, la certezza che è venuto il tempo in cui l'umanità tutta intera, che è popolo di Dio e vostro, formi un solo ovile sotto la guida di un solo Buon Pastore. Ebbene, Vergine della riconciliazione, mancherebbe qualcosa alla vostra gloria, il vostro trionfo, quello della Chiesa, sarebbe incompleto, se la stirpe di Cam restasse ancora lontana dal banchetto del Padre di famiglia (S 1643) ... Siate dunque, o Maria, lo ripeto piangendo, siate la Regina dell'Africa e la Madre dei Negri. Fate che quanto più essi sono stati abbandonati al male e all'oblio, tanto più essi siano immersi da Voi nella gioie della fede, della speranza e della carità. O Maria, Voi siete onnipotente, e poiché Dio può fare con delle pietre dei figli di Abramo, io domando per grazia, a Voi, Figlia dell'Altissimo, di trasformare in figli di Abramo questi sfortunati figli di Cam, a tal punto che la Chiesa possa loro applicare questa lode che fece a Voi lo Spirito Santo: Sono nera, ma bella, io figlia di Gerusalemme: Così sia (S 1644). Nell’omelia di entrata in Khartoum (11 maggio 1873) come Pro-Vicario affidava nuovamente l'immenso Vicariato alla protezione della Vergine, Regina della Nigrizia, invocandola nel finale con le seguenti parole: «Ed ora a Voi finalmente mi rivolgo, o pietosa Regina della Nigrizia, ed acclamandovi nuovamente Madre amorosa di questo Vicariato Apostolico dell'Africa centrale, alle mie cure commesso, oso supplicarvi a ricevere solennemente sotto la vostra protezione me e tutti i miei figli per custodirci dal male e dirigerci al bene. O Maria, Madre di Dio, il gran popolo dei Negri dorme per la più parte ancora nelle tenebre e nell'ombra di morte: affrettate l'ora della loro salute, spianate gli ostacoli, disperdete i nemici, preparate i cuori, ed inviate nuovi apostoli a queste remote contrade tanto infelici e bisognose. Miei figli, io commetto tutti in questo giorno solenne alla pietà del Cuor di Gesù e di Maria, e nell'atto di offrire per voi il più accettevole dei sacrifizi all'Altissimo Iddio lo prego umilmente di versare sulle anime vostre il sangue della redenzione, per rigenerarle, per risanarle, per abbellirle a seconda dei vostri bisogni, affinché questa santa Missione sia feconda di salute a voi, e di gloria a Dio. E così sia (S 3162-3164). Il “Postulatum pro Nigris Africae Centralis” (Roma, 24 giugno 1870) termina con un augurio che è pure una speranza: nel diadema che cinge la fronte della Vergine Immacolata possa brillare anche la “nigricans margarita”: «Che nel diadema ornato di gemme celesti, di cui è cinto il capo augusto della Vittoriosa e Immacolata Madre di Dio, risplenda il popolo dei Neri, ormai conquistato a Cristo, come una perla bruna» (S 2314). Tali premesse hanno come conseguenza la consacrazione del Vicariato a Nostra Signora del S. Cuore, quale complemento della precedente consacrazione al S Cuore. Ecco i passaggi più significativi del testo dell'Atto di consacrazione (8 dicembre 1875): «Eccoci prostrati ai Vostri SS.mi piedi, o Vergine benedetta, e Madre di Dio Maria; ed esultanti di gioia vi salutiamo per la prima volta in queste terre deserte col nuovo e glorioso titolo di “Nostra Signora del S. Cuore di Gesù”. Questo nome augusto oggi splende per noi come un sole fra le tenebre, come un'Iride di pace e di riconciliazione fra la terra e il cielo. Oggi apparendo Voi in mezzo ai Vostri figli, ravvivate le nostre speranze, ci consolate ripetendoci che oggi apparisce a noi la bontà e la benignità del Nostro Salvatore Gesù Cristo, cioè oggi schiudete su tutte queste terre i tesori di grazia e di benedizioni racchiusi in quel Cuore adorabile, perché Voi sola siete la Regina e la Signora. Sì, noi Vi salutiamo, o Maria, o Sovrana Augusta del S. Cuore di Gesù. Vi salutiamo in questa Sacra Solennità, o Figlia prediletta dell'Eterno Padre, per cui la cognizione di Dio è pervenuta fino gli ultimi confini della terra. Vi salutiamo, o domicilio dell'Eterno Figlio, il quale da Voi è nato vestito di umana carne. Vi salutiamo, o abitazione ineffabile dell'Eterno Divino Spirito, il quale ha profuso in Voi tutti i suoi doni e tutte le sue grazie» (S 4002-4003).

3. Lo sguardo di Comboni sul mistero del Cuore di Maria ai piedi della Croce
Maria ai piedi della croce riceve da san Daniele Comboni il titolo di «Nostra Signora del Sacro Cuore». La ragione di questo titolo la troviamo nella circolare che il 28 ottobre 19875 scrisse da Delen in preparazione alla consacrazione del Vicariato dell’Africa Centrale al Cuore Immacolato di Maria, l’8 dicembre 1875. Tale consacrazione fu concepita come completamento del precedete atto di consacrazione del Vicariato al Sacro Cuore. Il ragionamento di Comboni parte dal fatto che dal costato di un Trafitto sulla pendice del Golgota scaturisce quella «virtù divina che spinge il missionario a quelle barbare terre, per stringere tra le braccia a dare un bacio di pace e dia more a quegl’infelici suoi fratelli , sovra cui pare che ancora pesi tremendo l’anatema di Caan» (S 2742). Questo fatto porta Comboni a consacrare la missione al Cuore di Cristo nella festa dell’esaltazione della Santa Croce del 1873. Realizzato solennemente quest’atto di consacrazione, Comboni si domanda: «Qual creatura umana o angelica ci avrebbe mai aperto l’ingresso in quel Santuario divino (= il Cuore di Cristo), e fare scaturire su di noi le sue inesauribili ricchezze?» (S 3991). Comboni trova una prima risposta facendo un’interpretazione accomodatizia di passi dell’Apocalisse: «… Piangeva il prediletto Discepolo quando vide quel Libro misterioso segnato con sette sigilli; udendo insieme un Angelo che con voce sonora esclamava: Chi è mai degno di aprire il Libro e di sciogliere i suoi sigilli? … E nessuno ciò poteva né in cielo né in terra … et ego flebam multum (Apoc. 5,3-4.). Chi dunque ci aprirà questo Libro misterioso del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo? Quale sarà questa Chiave benedetta che ce ne schiuderà la porta?... Ah! tergiamo le lagrime, o Figliuoli carissimi, rasciughiamo il pianto, consoliamoci.... Ecco la bella Figlia del Re Davide, Maria Vergine Immacolata, che ha nelle mani questa preziosa Chiave, anzi Ella medesima è la mistica Chiave del Cuore adorabile del suo Figlio Gesù. Sì Maria apre questo Cuore e nessuno lo può chiudere; lo chiude e nessuno lo può aprire … Ella dispone dei tesori infiniti di quel Cuore divino … perché Ella è la Madre avventurata di Gesù, e perciò è Regina e Signora del Cuore di Gesù… Ravviviamo la Fede, o Figli dilettissimi … la divina Madre profetò che tutte le genti l'avrebbero chiamata Beata … E l'Etiopia, l'Africa Centrale non entrerà nel concerto delle Benedizioni alla Gran Donna senza peccato?... Sì, entrerà, e per Lei troverà il suo Dio Salvatore e lo adorerà: coram illo procident Aethiopes, dice un'altra Profezia (Ps. LXXI). Sì, seguiamo questa fulgida Stella di Giacobbe, Nostra Signora del Sacro Cuore e presto l'Africa Centrale troverà il suo Salvatore Gesù: Lumen requiramus lumine et inveniemus Iesum...» (S 3992; 3997; 3998). Comboni trova una seconda risposta nella liturgia natalizia e la mette in risalto all’inizio dello stesso «Atto di consacrazione»: «Eccoci prostrati ai Vostri Santissimi piedi, o Vergine benedetta, e Madre di Dio Maria; ed esultanti di gioia Vi salutiamo per la prima volta in queste terre deserte, col nuovo e glorioso Titolo di "Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù". Questo Nome augusto oggi splende per noi come un sole fra le tenebre, come un'Iride di pace e di riconciliazione fra la terra e il cielo. Oggi apparendo Voi in mezzo ai Vostri figli, ravvivate le nostre speranze, ci consolate ripetendoci che oggi apparisce a noi la bontà e la benignità del Nostro Salvatore Gesù Cristo; cioè oggi Voi schiudete per tutte queste terre i tesori di grazie e di benedizioni racchiusi in quel Cuore adorabile, perché Voi sola ne siete la Regina e la Signora» (S 4002). Per tanto nel pensiero e nella vita spirituale vissuta da san Daniele Comboni e da lui proposta ai suoi missionari «il mistero del Cuore di Maria è il mistero della Madre che sotto la croce introduce in maniera particolare alle intenzioni salvifiche del Cuore di Cristo e quindi alla dispensazione della grazia: «Mistica chiave del Cuore di Gesù», come è invocata nell’atto stesso di consacrazione».

4. In compagnia della Vergine Maria

Immaginiamo di incontrare Comboni e di chiedergli di narrarci il suo rapporto con Maria, forse ce lo formulerebbe così: «Ho percorso il mio pellegrinaggio missionario segnato dall’incontro e in compagnia di Maria, la madre del Signore, “volto materno di Dio”, presenza ineffabile di un amore che si dona costantemente. Ella ha un posto privilegiato nella mia vita, perché è Madre degli apostoli, Prezioso conforto del Missionario sul quale veglia per difenderlo dai pericoli, Stella Mattutina del missionario che si interna nel cuore dell’Africa, Maestra nei dubbi, Salute e fortezza nelle infermità, Guida nei viaggi, Luce degli erranti, Porto dei pericolanti, Madre della Consolazione. È la pietosa Regina e la Madre amorosa della Nigrizia, la madre degli Africani, dei crocifissi di ieri e di oggi sul Gólgota del mondo, dove li riceve come figli stando ritta accanto al Figlio Crocifisso. Con la sua potente intercessione li libererà dalla sfortuna e li tufferà nelle gioie della fede, della speranza e della carità (Cf S 1644). La vivo come l’Immacolata, la “donna senza peccato, la “tutta santa”, la “tutta pura”, “prodigio della grazia di Dio” e “miracolo dell’onnipotenza divina”, “santuario della Trinità” e immagine ideale dell’uomo e della donna, segnale della vita vera, “terra promessa” alla Nigrizia; quella Nigrizia che si profila al mio sguardo smarrita in un “buio misterioso” che la rende “una viva immagine della desolazione di un’anima abbandonata da Dio”, ma che, accogliendo Cristo, sarà nella Chiesa la “perla bruna”, che brilla incastonata nel diadema dell’Immacolata. Vivendo in sua compagnia, Maria – Figlia prediletta dell’Eterno Padre, domicilio dell’Eterno Figlio, abitazione ineffabile dell’Eterno Divino Spirito (S 4003) - mi spiega che cosa è essere Tempio di Dio, cella interiore dove si vive senza interruzione la comunione con le Persone divine della Trinità, casa dove il dialogo con Dio e la preghiera per l’avvento del suo Regno è incessante. La compagnia di Maria, la vergine del “Sì”, la fedele Serva del Signore che tiene sempre aperto il Cuore di Gesù, tiene aperto anche il mio, riversando in esso il desiderio dell’ascolto della Parola, la pedagogia del servizio, della pietra nascosta che forse mai verrà alla luce, la passione di far causa comune con gli Africani, in un atteggiamento di rispetto e di fede in essi, che mi metta a servizio della loro capacità di essere soggetti della propria rigenerazione. La compagnia di Maria mi rivela ancora la dignità e l’abilità della donna e l’indispensabilità del suo ruolo nella mia ardua missione. Attribuisco alla presenza di Maria nella mia vita il fatto che sono io il primo a far concorrere nell’apostolato dell’Africa Centrale “l’onnipotente  ministero della donna del Vangelo, e della Suora della Carità, che è lo scudo, la forza, e la garanzia del ministero del Missionario” (S 5284). L’incontro con Maria mi ricorda come l’inizio della mia vita cristiana è legato ai gesti e alla pietà di una donna semplice, quando “piccino imparava sulle ginocchia della mia madre a fare il segno della croce” (Cf S 342). Da questa esperienza che mi lega a Maria attraverso mia mamma, nasce la mia convinzione della necessità della formazione della donna africana, perché da essa dipende in gran parte la rigenerazione della grande famiglia dell’Africa».

Bibliografia
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