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DOCUMENTO DI APARECIDA


É il Documento conclusivo emanato dalla V° Conferenza Episcopale latino-americana e dei Caraibi, svoltasi ad Aparecida dal 13 al 31 maggio 2007.

1. Il documento di Aparecida (maggio 2007)
La Conferenza si è celebrata in continuità con le altre quattro che l'hanno preceduta: Rio de Janeiro (1955), Medellin (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992). Nel discorso inaugurale del 13 maggio 2007 Benedetto XVI, dopo aver nominato le precedenti Conferenze, aggiunge: «Con lo stesso spirito che le animò, i Pastori vogliono dare ora un nuovo impulso all'evangelizzazione, affinché questi popoli continuino a crescere e a maturare nella loro fede, per essere luce del mondo e testimoni di Gesù Cristo con la propria vita». Il tema dell'incontro, «Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché in lui abbiano vita», è stato quanto mai suggestivo e impegnativo. Nel contesto di questo argomento, trova adeguato spazio l'attenzione esplicita alla pietà popolare e alla figura di Maria quale «discepola e missionaria».

2. Struttura e contenuti

La struttura del documento si articola in dieci capitoli distribuiti nelle tre parti di cui si compone il testo. Di complessivi 554 numeri esso si apre con una «Introduzione» (nn. 1-18) cui seguono le tre parti e la conclusione.
- La prima parte (capitoli 1 e 2) s'intitola: «La vita dei nostri popoli nel momento presente» (nn. 19-100);
- La seconda parte (capitoli 3, 4, 5 e 6) s'intitola: «La vita di Gesù Cristo nei discepoli missionari» (nn. 10 1 -346);
- La terza parte (capitoli 7, 8, 9 e 10) s'intitola: «La vita di Gesù Cristo per i nostri popoli» (nn. 347-546).
Il testo termina con la Conclusione (nn. 547-554).
Nella seconda parte troviamo particolarmente significativo il capitolo 6 dove nei nn. 240-275 - alla luce di «una spiritualità trinitaria dell'incontro con Gesù Cristo» - viene presentato l'«Itinerario formativo dei discepoli missionari», scandito in cinque tappe:
- 6.1. «L'incontro con Gesù Cristo» (nn. 243-245);
- 6.2. «Luoghi d'incontro con Gesù Cristo» (nn. 246-257);
- 6.3. «La pietà popolare come spazio d'incontro con Gesù Cristo» (nn. 258-265);
- 6.4. «Maria, discepola e missionaria» (nn. 266-272);
- 6.5. «Gli apostoli e i santi» (nn. 273-275).
La terza e la quarta tappa di questo itinerario interessano il nostro tema. Su di esse fermiamo l'attenzione.

3. La pietà popolare come spazio d'incontro con Gesù Cristo (nn. 258-265)

Come evidenziato, la terza tappa, sotto il titolo «La pietà popolare come spazio d'incontro con Gesù Cristo», si prefigge di condurre il popolo cristiano all'incontro con Cristo attraverso una precisa modalità: la pietà popolare. Di fatto, in questa tappa 8 numeri, dei 245 della seconda parte, sono dedicati al nostro tema. Li trascriviamo nella traduzione italiana accompagnandoli da brevi annotazioni.
258. Il Santo Padre ha messo in risalto la «ricca e profonda religiosità popolare, nella quale appare l'anima dei popoli latino-americani» e l'ha presentata come il «prezioso tesoro della Chiesa cattolica in America Latina». Ci ha invitato a promuoverla e a proteggerla. Questa maniera di esprimere la fede è presente, in forme diverse, in tutti i settori sociali, in una quantità che esige il nostro rispetto e affetto, perché questa pietà «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere». La «religione del popolo latino-americano {...] è espressione della fede cattolica. E un cattolicesimo popolare», profondamente inculturato, che incorpora la dimensione più preziosa della cultura latino-americana.
259. Tra le espressioni di questa spiritualità si comprendono: le feste patronali, le novene, i rosari e la Via crucis, le processioni, le danze e i canti del folclore religioso, l'affetto verso i santi e gli angeli, i voti, le orazioni in famiglia. Evidenziamo i pellegrinaggi, nei quali vi è l'immagine del popolo di Dio in cammino. Con essi, il credente celebra la gioia di sentirsi unito a tanti fratelli che camminano, insieme a lui, verso il Dio che li aspetta. Lo stesso Cristo si fa pellegrino con loro, e cammina tra i poveri. La decisione di partire verso il santuario è, già, una confessione di fede; il camminare è un vero canto di speranza, e l'arrivo alla meta è un incontro d'amore. Lo sguardo del pellegrino si posa sull'immagine, che simboleggia la tenerezza e la vicinanza di Dio. L'amore si raccoglie, contempla il mistero e lo assapora in silenzio. C'è anche il momento dell'emozione, quando il pellegrino si commuove e dà libero sfogo a tutta la sua carica di dolore e di sogni. La supplica sincera, che fluisce fiduciosa, è la migliore espressione di un cuore che ha rinunciato all'autosufficienza, riconoscendo che da solo niente può. Un breve istante condensa un'intensa esperienza spirituale.
260. In quell'incontro, il pellegrino vive l'esperienza di un mistero che lo sovrasta, non solo della trascendenza di Dio, ma anche della Chiesa, che oltrepassa la sua persona, la sua famiglia e il suo quartiere. Nei santuari, molti pellegrini prendono decisioni che segnano la loro vita. Le pareti dei santuari raccolgono le storie di molte conversioni, di perdono e di doni ricevuti, come milioni di persone potrebbero raccontare.
261. La pietà popolare penetra delicatamente l'esistenza personale di ogni fedele e, benché vissuta in mezzo alla moltitudine, non è una «spiritualità di massa». Nei diversi momenti della fatica quotidiana, molti ricorrono a qualche piccolo segno dell'amore di Dio: un crocifisso, un rosario, una candela che si accende per fare compagnia a un figlio nella sua infermità, un Padre nostro balbettato tra le lacrime, uno sguardo profondo a un'immagine amata di Maria, un sorriso rivolto al Cielo, in un momento di sincera gioia.
262. É vero che la fede, incarnata nella cultura, può essere approfondita e portata a entrare, sempre di più, nella vita dei nostri popoli; ma questo passo può avvenire solo se valorizziamo positivamente quello che lo Spirito ha già seminato. La pietà popolare costituisce un «imprescindibile punto di partenza per ottenere che la fede del popolo acquisti maturità e profondità». Perciò, il discepolo missionario deve «esservi sensibile, saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili». Quando affermiamo che la pietà popolare va evangelizzata o purificata, non vogliamo dire che essa è vuota di ricchezza evangelica. Più semplicemente, desideriamo che tutti i membri del popolo fedele, riconoscendo la testimonianza di Maria e anche dei santi, cerchino di imitarli sempre più. Come conseguenza, cercheranno un contatto più diretto con la Bibbia e una più assidua partecipazione ai sacramenti; arriveranno a valorizzare di più la celebrazione domenicale dell'eucaristia e vivranno, più attivamente, il servizio dell'amore solidale. Seguendo questo percorso si potrà utilizzare, ancor di più, il ricco potenziale di santità e di giustizia sociale implicito nella mistica popolare.
263. Non possiamo svalutare la spiritualità popolare o considerarla una modalità secondaria di vita cristiana, perché sarebbe come dimenticare il primato dell'azione dello Spirito e l'iniziativa gratuita dell'amore di Dio. Nella pietà popolare è contenuto ed espresso un senso intenso della trascendenza, una capacità spontanea di appoggiarsi a Dio e una vera esperienza di amore teologale. Essa è, pure, un'espressione di sapienza soprannaturale, perché la sapienza dell'amore non dipende direttamente dalla illuminazione della mente, ma dall'azione interna della grazia. Per questo la chiamiamo spiritualità popolare: ossia una spiritualità cristiana che, essendo un incontro personale col Signore, ingloba il corporeo, il sensibile, il simbolico e le necessità più concrete delle persone. E una spiritualità incarnata nella cultura dei semplici, che non per questo è meno spirituale, ma lo è in altra maniera.
264. La pietà popolare è una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa e una forma dell'essere missionari; in essa si sentono le vibrazioni più profonde della profonda America. Essa è parte dell'« originalità storico-culturale» dei poveri di questo continente, e frutto di «una sintesi tra le culture [dei popoli originari] e la fede cristiana». Nell'ambiente secolarizzato in cui vivono i nostri popoli, continua a essere una grandiosa confessione del Dio vivente che agisce nella storia, e un canale di trasmissione della fede. Il camminare insieme verso i santuari e la partecipazione ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli e coinvolgendo altre persone, è in se stesso un'azione di evangelizzazione, attraverso la quale il popolo cristiano si autoevangelizza e realizza la vocazione missionaria della Chiesa.
265. I nostri popoli si identificano particolarmente con il Cristo sofferente, lo guardano, lo baciano sui piedi feriti, come a dire: questi è colui «che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gai 2,20). Molti di essi, colpiti, ignorati e depredati, non abbassano le braccia. Con la loro caratteristica religiosità si aggrappano all'immenso amore che Dio ha per loro e che li fa tornare consapevoli della propria dignità. Trovano anche la tenerezza e l'amore di Dio nel volto di Maria. In lei vedono riflesso il messaggio essenziale del Vangelo. La nostra Madre beneamata, dal suo santuario di Guadalupe, fa sentire i suoi figli più piccoli protetti tra le pieghe del suo mantello. In questo momento, da Aparecida, li invita a buttare le reti nel mondo, per estrarre dall'anonimato quanti sono immersi nell'oblio e portarli alla luce della fede. Ella, riunendo i suoi figli, riunisce i nostri popoli intorno a Cristo.

A prima vista ci si può meravigliare per i pochi numeri dedicati alla pietà popolare, ma il loro contenuto è molto ricco e stimolante. Nel n. 258 emergono in primo luogo le frasi già citate del Discorso inaugurale di Benedetto XVI. Seguono alcune sottolineature sui valori della pietà popolare segnalati alla luce dei documenti precedenti, specialmente in quelli promulgati da Paolo VI (n. 48 dell'Evangelii nuntiandi) e di Giovanni Paolo Il (Puebla n. 1047). Nel n. 259 si nominano le espressioni della «spiritualità popolare», tra cui: le feste patronali, le novene, i rosari e la Via crucis, le processioni, le danze, i canti. Un risalto particolare è dato ai pellegrinaggi, specificandone i motivi (nn. 259-260). In questi due numeri si descrive la visione positiva del pellegrinaggio: un'occasione per educare ed educarsi a una migliore vita cristiana. D'altra parte, non deve sfuggire quanto nella realtà i pellegrinaggi e il contorno di innumerevoli gesti, pratiche di pietà e oggetti religiosi siano invece un «rischio» negativo. Occorre che non manchi una solida e vissuta convinzione della centralità del Cristo che nello Spirito Santo ci rivela il Padre e a lui ci conduce. La pietà popolare «sviata» e «sviante» rispetto a questa centralità, diventa un'occasione perduta. Nel n. 261 il documento richiama le molteplici dimensioni della pietà popolare. Essa «penetra delicatamente l'esistenza personale di ogni fedele» che nella fatica quotidiana ricorre a qualche segno o strumento per esprimere l'amore di Dio: contemplare «un crocifisso», recitare «un rosario», accendere «una candela», volgere lo «sguardo a un'immagine amata di Maria». Soprattutto - sottolinea il documento al n. 262 - la pietà popolare «costituisce un imprescindibile punto di partenza per ottenere che la fede del popolo acquisti maturità e profondità». Si esplicita quindi nel n. 2,3 il motivo: in essa «è contenuto ed espresso un senso intenso della trascendenza, una capacità spontanea di appoggiarsi a Dio e una vera esperienza di amore teologale». Per questi aspetti caratteristici della fede cristiana la pietà popolare è definita nel n. 264 «una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa e una forma dell'essere missionari». L'ultimo numero di questa tappa, il 265, dopo aver considerato che il popolo latino-americano s'identifica particolarmente con il Cristo sofferente, specificando che ci ha amato e ha consegnato se stesso per noi (cf. GaL 2,20), riconosce come la tenerezza e l'amore di Dio si riflettono nella Vergine: «In lei vedono riflesso il messaggio essenziale del Vangelo [ ... ], riunendo i suoi figli, riunisce i nostri popoli intorno a Cristo».

4. Maria discepola e missionaria» (nn. 266-272)
La quarta tappa dell'«Itinerario formativo dei discepoli missionari» si prefigge di trattare l'annuncio missionario particolarmente urgente in America Latina e lo fa dando un adeguato spazio nei numeri 266-272 alla Madre di Gesù, vista come «discepola e missionaria». Per un accostamento diretto alla figura di «Maria», riportiamo i sette numeri a lei dedicati.
266. La più alta realizzazione dell'esistenza cristiana, come il vivere trinitario di «figli nel Figlio», ci è data nella Vergine Maria, la quale per la sua fede (cf. Le 1,45) e obbedienza alla volontà di Dio (cf. Le 1,38), così come per la sua costante meditazione della parola di Dio e delle azioni di Gesù (cf. Le 2,19.5 1), è la discepola più perfetta del Signore. Interlocutrice del Padre nel suo progetto di inviare il suo Verbo al mondo per la salvezza umana, Maria, con la sua fede, diventa il primo membro della comunità dei credenti in Cristo; ella è inoltre collaboratrice nella rinascita spirituale dei discepoli. Dal Vangelo emerge la sua figura di donna libera e forte, coscientemente orientata alla vera sequela di Cristo. Ella ha vissuto, in modo perfetto, tutto il pellegrinaggio della fede come madre di Cristo e poi dei discepoli, senza che le fosse risparmiata la difficile comprensione e la ricerca costante del progetto del Padre. Ottenne, così, di stare ai piedi della croce in comunione profonda, per entrare pienamente nel mistero dell'Alleanza.
267. Con lei, provvidenzialmente partecipe della pienezza dei tempi (cf. Gai 4,4), arriva a compimento la speranza dei poveri e il desiderio di salvezza. La Vergine di Nazaret ha avuto una missione unica nella storia della salvezza, concependo, educando e accompagnando suo figlio fino al sacrificio supremo. Dalla croce, Gesù Cristo affidò ai suoi discepoli, rappresentati da Giovanni, il dono della maternità di Maria, che sgorga direttamente dal mistero pasquale di Cristo: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Perseverando nella preghiera, insieme agli apostoli, nell'attesa dello Spirito (cf. At 1,13-14), cooperò con la nascita della Chiesa missionaria, imprimendole quel sigillo mariano che la identifica profondamente. Come madre di molti, rafforza i vincoli di fraternità tra tutti, alimenta la riconciliazione e il perdono, e dona il suo aiuto ai discepoli di Gesù Cristo affinché si sentano una famiglia, la famiglia di Dio. In Maria ci incontriamo con Cristo, col Padre e con lo Spirito Santo, così come coi fratelli.
268. Come avviene nella famiglia umana, così la Chiesa-famiglia si genera intorno a una madre, la quale conferisce «anima e tenerezza» alla convivenza familiare. Maria, Madre della Chiesa, oltre che modello e paradigma di umanità, è artefice della comunione. Uno degli eventi fondanti della Chiesa è il «sì» che sbocciò da Maria. Ella attrae le moltitudini alla comunione con Gesù e con la sua Chiesa, come vediamo continuamente nei santuari mariani. Per questo la Chiesa, come la Vergine Maria, è madre. Questa visione mariana della Chiesa è il migliore antidoto contro una concezione di Chiesa puramente funzionale e burocratica.
269. Maria è la grande missionaria, continuatrice della missione del suo Figlio e formatrice di missionari. Ella, così come diede alla luce il Salvatore del mondo, portò il Vangelo alla nostra America. Nell'avvenimento di Guadalupe, fu presente insieme all'umile ivan Diego alla Pentecoste che ci aprì ai doni dello Spirito. A partire da allora, sono innumerevoli le comunità che hanno trovato in lei l'ispirazione più immediata per imparare come essere discepole e missionarie di Gesù. Con gioia, constatiamo che è diventata partecipe del cammino di ognuno dei nostri popoli, entrando profondamente nel tessuto della loro storia, accogliendo le caratteristiche più nobili e significative della loro gente. Le diverse invocazioni e i santuari sparsi in lungo e in largo nel continente testimoniano la presenza Costante di Maria vicino alla gente e, allo stesso tempo, manifestano la fede e la fiducia dei devoti verso di lei. Ella appartiene a essi, ed essi la sentono madre e sorella.
270. Oggi, quando nel nostro continente latino-americano e caraibico si vuole evidenziare l'importanza del discepolato e della missione, è lei a brillare sotto i nostri occhi, come immagine perfetta e fedelissima del discepolato di Cristo. Questa è l'ora della seguace più radicale di Cristo e del suo magistero, discepola e missionaria, alla quale ci rinvia il papa Benedetto XVI:, «Maria santissima, la Vergine pura e senza macchia, è per noi scuola di fede destinata a guidarci e a darci forza sul sentiero che porta incontro al Creatore del Cielo e della terra. Il Papa è venuto ad Aparecida con viva gioia per dirvi innanzitutto: "Rimanete alla scuola di Maria". Ispiratevi ai suoi insegnamenti, cercate di accogliere e di conservare nel cuore le luci che lei, per mandato divino, vi invia dall'alto».
271. Maria, che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; cf. 2,51), c'insegna il primato dell'ascolto della Parola nella vita del discepolo e missionario. Il Magnificat «è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla parola di Dio. Così si rivela che lei nella parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la parola di Dio; la parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata». Questa familiarità con il mistero di Gesù è facilitata dalla recita del Rosario, dove «il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore».
272. Con gli occhi rivolti ai suoi figli e alle loro necessità, come a Cana di Galilea, Maria aiuta a mantenere vigili le disposizioni di attenzione e di servizio, di donazione e di gratuità che devono identificare i discepoli del suo Figlio. Indica, anche, quale deve essere la pedagogia perché i poveri,, in ogni comunità cristiana, «si sentano [ ... ] come "a casa loro"». Crea la comunione ed educa a uno stile di vita condivisa e solidale, in fraternità, attenzione e accoglimento dell'altro, specialmente se è povero e bisognoso. Nelle nostre comunità la forte presenza di Maria ha arricchito e continuerà ad arricchire la dimensione materna della Chiesa e la sua disposizione all'accoglienza, che la converte in «casa» e «scuola della comunione», oltre che in luogo spirituale che prepara per la missione.


In questi sette numeri il documento di Aparecida, trattando dell'annuncio missionario, considera Maria in tre aspetti principali: «esemplare e autentica discepola del Signore»; «la grande missionaria, continuatrice della missione del suo Figlio»; «la formatrice dei missionari». Attraverso un itinerario pastorale iniziato a Rio de Janeiro nel 1955, la V Conferenza rafforza - nella linea tracciata da Puebla - il vincolo tra il popolo di Dio e Maria, inculcando il senso della sua maternità e intercessione con accenti originali e profondi. Inoltre valorizza la presenza della Vergine Madre nei grandi temi della sequela di Cristo, dell'impegno missionario e dell'opera educatrice. Da notare ad esempio, che fin dal numero i dell'«Introduzione» Aparecida riconosce la «vicinanza» di Maria nei lavori della Conferenza e la sua materna protezione: «Maria, madre di Gesù Cristo e dei suoi discepoli, ci è stata molto vicina, ci ha accolto, si è presa cura delle nostre persone e del nostro lavoro, accogliendoci come accolse Juan Diego e i nostri popoli, tra le pieghe del suo mantello, sotto la sua materna protezione. Le abbiamo chiesto, come madre, discepola perfetta e maestra di evangelizzazione, che ci insegni a essere figli del suo Figlio e a fare quello che lui ci dirà (cf. Gv 2,5)» (n. 1). Inoltre, di fronte alle questioni da risolvere dell'America Latina e dei Caraibi, la Conferenza invita a «ricominciare da Cristo» (n. 41), che offre soluzione a problemi improrogabili, quali: «a una vita senza senso», «all'idolatria dei beni terreni», «all'individualismo», «al soggettivismo edonistico», «all'esclusione» dei deboli, «al disprezzo della vita e di sfruttamento della persona», «alle strutture di morte», «alla natura minacciata» (cf. un. 109-113). Nel contesto di questa configurazione a Cristo, secondo il piano salvifico, il documento addita la figura esemplare di Maria: «Splendida immagine di configurazione al progetto trinitario, che si realizza in Cristo, è la Vergine Maria. Sin dalla sua immacolata concezione e fino alla sua assunzione al cielo, ci ricorda che la bellezza dell'essere umano sta tutta nel vincolo d'amore con la Trinità, e che la pienezza della nostra libertà sta nella risposta positiva che le diamo» (n. 141). Il documento, quindi, in questa quarta tappa, considera Maria «la più perfetta discepola del Signore» e «il primo membro della comunità dei credenti in Cristo», «donna libera e forte, coscientemente orientata alla vera sequela di Cristo» (n. 266). Ella non è solo Madre da accogliere come il discepolo amato ai piedi della croce, ma anche è «madre e sorella» (n. 269) che il popolo sente molto vicina. La Conferenza non teme di additare la Vergine nel contesto del discepolato e della missione, come «la seguace più radicale di Cristo e del suo magistero» (n. 270). Al riguardo, sempre in questo n. 270, inserisce la consegna quanto mai eloquente e impegnativa di Benedetto XVI rivolta al termine della recita del Rosario nel santuario di Aparecida il 12 maggio 2007: «Il Papa è venuto ad Aparecida con viva gioia per dirvi innanzitutto: «Rimanete alla scuola di Maria. Ispiratevi ai suoi insegnamenti, cercate di accogliere e di conservare nel cuore le luci che lei, per mandato divino, vi invia dall'alto» (n. 270). Aparecida accoglie questa consegna e trova fondamenti nella Scrittura, nella rivelazione della vera identità materna di Maria ai piedi della croce (Gv 19,25-27), nell'esercizio della sua maternità spirituale nella chiesa missionaria (cf. n. 267). Uno sguardo alla tradizione ecclesiale orienta la Conferenza a considerare che «Maria è la grande missionaria, continuatrice del la missione del suo Figlio e formatrice di missionari» (n. 269). Il suo compito è di essere «artefice della comunione», preservando la chiesa da un maschilismo burocratico e inserendo in essa un autentico spirito di famiglia (cf. n. 268). Sulla «forte» presenza materna di Maria, colei che nelle comunità «crea la comunione ed educa a uno stile di vita condivisa e solidale», così sottolinea il documento: «[Maria] ha arricchito e continuerà ad arricchire la dimensione materna della Chiesa e la sua disposizione all'accoglienza, che la converte in «casa» e «scuola della comunione», oltre che in luogo spirituale che prepara per la missione »(n. 272). Il riferimento a Maria ritorna quando si affronta il problema della dignità e partecipazione delle donne alla vita della comunità, in un tempo in cui «è urgente ascoltare il grido, tante volte soffocato, delle donne sottoposte a molteplici forme di esclusione e di violenza» (n. 454): «La figura di Maria, la discepola per eccellenza tra i discepoli, è fondamentale per il recupero dell'identità della donna e del suo valore nella Chiesa. Il canto del Magnificat mostra Maria come una donna capace di impegnarsi nella sua realtà e insieme di starle di fronte con voce profetica»(n. 451). Negli ultimi numeri si riconosce il suo compito di unificare e riconciliare i popoli: «Maria santissima è la presenza materna indispensabile e decisiva per la gestazione di un popolo di figli e fratelli, di discepoli e missionari del suo Figlio» (n. 524). «Ci aiuti la compagnia sempre vicina, piena di comprensione e di tenerezza, di Maria santissima. Che ella ci mostri il frutto benedetto del suo seno e ci insegni a rispondere «sì», come fece lei stessa nel mistero dell'annunciazione e dell'incarnazione. Ci insegni a uscire da noi stessi e a metterci sulla via del sacrificio, dell'amore e del servizio, come fece lei stessa andando in visita alla cugina Elisabetta, affmché, pellegrini in cammino, possiamo cantare le meraviglie che Dio ha fatto in noi,2 secondo la sua promessa »(n. 553).

Bibliografia

PEDICO M. M., La più amata dai cristiani. La pietà mariana secondo il Magistero, Edizioni Messaggero, Padova 2013, pp. 100-112; CONSELHO EPISCOPAL LATINO-AMERICANO, Documento de Aparecida, Texto conclusivo da V Conferéncia Geral do Episcopado Latino-americano e do Caribe, 13-31 de maio de 2007, Paulus-Paulinas, Brasilia (Brasil) 2007; CARRERA R., La importancia evangelizadora de la pietad mariana en América Latina, in PONTIFICIA COMISIÒN PARA AMERICA LATINA, Incidencia de la Piedad Popular en el proceso de Evangelizaciòn de América Latina. Actas de la Reunidn Plenaria 5-8 de abril de 2011, Ciudad del Vaticano, LEV, Città del Vaticano 2011, pp. 63-80; BOFF C, Orientamenti dalla V° Assemblea del Celam, in Consacrazione e Servizio 56(9/2007), pp. 13-17; FAZIO M., La V° Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano ad Aparecida. Una testimonianza, in Rassegna di Teologia 48 (2007), pp. 757-765; BRIGHENTI A., Para entender el Documento de Aparecida. Pre-texto, con-texto e texto, San Paolo, Bogotà-Colombia 2008.

VEDI ANCHE:
- DOCUMENTO DI PUEBLA






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