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TEOLOGIA ED ESPERIENZA


Come potrebbe, la “teologia dei santi”, ignorare la Tuttasanta, Maria di Nazareth, la madre di Gesù? E la Scientia Amoris non trova forse una manifestazione di eccellenza in colei che ha accolto nel suo cuore l’Amore del Padre, e nel suo corpo il Logos fatto carne? Teologia ed esperienza. L’assunzione di questa prospettiva nel considerare la figura e il ruolo di Maria di Nazareth nella storia della salvezza permette di aprire nuovi orizzonti non solo alla mariologia e alla spiritualità mariana, ma pure alla teologia in generale, ricordando come la presa di coscienza della presenza e del ruolo di Maria accanto a Cristo si sia sempre risolta in una migliore conoscenza del mistero di Cristo e della Chiesa. La storia della mariologia sembra oggi esigere questo nuovo passo, che introduce un punto focale non più esterno alla persona di Maria, che la osserva e la studia, ma che assume la visione stessa di Maria, la sua esperienza personale, il suo punto di vista, come eccezionale contributo alla conoscenza di Dio, alla teologia anche speculativa. Fin dai testi del Nuovo Testamento, nella scoperta progressiva della madre di Gesù fatta prima da Paolo, poi dai Sinottici e infine da Giovanni, lo Spirito Santo ha voluto servirsi di Maria per condurre la Chiesa alla conoscenza piena del Signore Gesù, nel suo mistero di incarnazione e redenzione. Lungo i secoli, le verità su Maria l’hanno fatta conoscere al popolo di Dio, illuminando allo stesso tempo le verità di fede di tutto il Credo. Maria è stata venerata nella sua grandezza e imitata nella sua santità. La teologia l’ha esaltata nei suoi studi; la liturgia l’ha celebrata nelle feste e nelle preghiere; il popolo l’ha invocata, ricorrendo a lei in ogni necessità. Ultimamente, la riflessione che la Chiesa ha compiuto su se stessa nel concilio Vaticano II ha portato a rinnovare e aggiornare l’insieme della teologia, dunque anche la mariologia. In particolare, Maria è stata presentata all’interno della Chiesa, come suo membro eletto; Madre del Signore, ma anche sua discepola e nostra sorella nella fede, in cammino con noi nella storia e verso la piena manifestazione della gloria di Cristo Risorto. Il presente breve studio è di carattere sintetico. Vuole cioè tracciare alcune linee di lettura, senza possibilità di particolari approfondimenti. Utilizzando concetti già comunemente provati e accolti, si farà riferimento prevalentemente ai testi biblici e a qualche testo patristico. Un riferimento privilegiato invece verrà fatto ai testi mariani di Giovanni Paolo II. Tale preferenza deriva dalla convinzione che questo Pontefice abbia dato un contributo prezioso alla mariologia, non solo e non tanto come scienza accademica, ma appunto nella linea di una profonda unione fra teologia ed esperienza. E poiché, come è noto, dietro le affermazioni di Giovanni Paolo II si indovina spesso la sua meditazione, durata tutta la vita, sulla teologia spirituale di san Luigi Maria Grignion de Montfort, si farà qualche citazione anche di questo maestro spirituale, definito dallo stesso Pontefice un “teologo di classe”.

1. Maria accoglie Dio nella sua vita
Se la teologia è credere e pensare, la fede è il primo requisito della teologia. Se poi si vuole recuperare l’importanza della teologia del vissuto dei santi, l’esperienza spirituale diventa fondamento primario della costruzione che vuole mettere in rapporto teologia ed esperienza. In Maria di Nazareth è evidente il primato della sua fede, della disponibilità a Dio, dichiarata già nella sua prima apparizione nei testi evangelici: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38). Maria ha pronunciato questo fiat mediante la fede. Così si è abbandonata a Dio senza riserve ed «ha consacrato totalmente se stessa, quale ancella del Signore, alla persona e all’opera del Figlio suo» . Questo Figlio – come insegnano i Padri – Maria l’ha concepito prima nella mente che nel grembo: proprio mediante la fede! Una fede che precede il suo ruolo di madre del Salvatore. Scrive sant’Agostino: «Concepì prima nel suo cuore e poi nel suo corpo. […] Torna a maggior gloria di Maria essere stata discepola di Cristo che madre sua» . Una fede lodata subito da Elisabetta, ma più tardi anche da Gesù stesso, oltre il ruolo di madre. All’esclamazione fatta da una donna: «Beato il grembo che ti ha portato!», Gesù replica: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano » (Lc 11, 27-28). La fede di Maria è la prima e unica segnalazione del vangelo secondo Marco nei riguardi della madre del Signore: «Chi è mia madre? […] Chi compie la volontà di Dio» (Mc 3, 33.35). E il vissuto di Maria è l’unico elemento mariano cui san Paolo fa riferimento: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna […] perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4). La donna Maria non ha ancora un nome in san Paolo, ma già si mette in evidenza la sua presenza effettiva, il suo esserci, il suo ruolo di consenziente collaboratrice all’opera della Trinità, nel momento in cui il tempo raggiunge la sua pienezza, quando «Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (v. 6). Ed è credendo alla parola che Maria accoglie il piano di salvezza. Sant’Ireneo, nel celebre confronto tra Eva e Maria, afferma: «Come quella fu sedotta dalla parola dell’angelo in modo da fuggire Dio trasgredendo la sua parola, così questa ricevette il lieto annunzio per mezzo della parola dell’angelo, in modo da portare Dio obbedendo alla sua parola » . L’evangelista Luca evidenzia la fede come prima “beatitudine” di Maria, riportando l’esclamazione di Elisabetta: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 45). Le fede vissuta di Maria è accoglienza di Dio; è libera accettazione del piano di salvezza del Padre che la coinvolge di persona; è disponibilità a rendere “compiuta” la Parola di Dio, il Verbo che si fa carne in lei e si rivela al mondo; è consenso allo Spirito Santo, che forma Gesù Cristo in lei. La dimensione trinitaria della fede di Maria è posta in particolare evidenza da san Luigi Maria di Montfort. La fede di Maria è totale all’inizio della propria esperienza umana e cresce lungo il cammino della sua esistenza, nell’esultanza come nel dolore; Maria accompagna il Figlio fino ai vertici della sua missione, la croce e la risurrezione; ella rimane a lui intimamente unita, in offerta totale di se stessa nello Spirito dell’Amore. Radicata nella fede, Maria seguirà spiritualmente il suo Figlio, diventandone la prima perfetta discepola e realizzando quotidianamente le esigenze di tale sequela, secondo le parole di Gesù: «Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo » (Lc 14, 27). La “teologia” di Maria è dunque anzitutto esperienza di Dio. Come per Gesù, si può dire di lei che «fece e insegnò dal principio» (At 1, 1); che la sua presenza e la manifestazione di sé avviene «con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli» . Il fare e l’agire per il Signore o il lasciarsi fare da Dio, l’esserci di Maria, la sua presenza attiva e colma di senso, il suo operare in conformità alla volontà di Dio, costituiscono la base e l’essenza della sua testimonianza, dell’essere segno e parola, del manifestare e del comunicare, del suo parlare di Dio, del suo “teologare”. San Beda il Venerabile, commentando il Magnificat, sottolinea l’importanza del linguaggio del cuore. «Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio».

2. Maria medita su Dio, che si manifesta in segni e parole
 Luca sottolinea due volte nello stesso capitolo del suo vangelo l’atteggiamento di meditazione e di riflessione tenuto da Maria di fronte agli avvenimenti e alle parole che le si presentano sul cammino di vita: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19). – «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51). Il conservare e meditare nel cuore indica un teologare a partire dalla propria esperienza, dove i fatti che accadono vengono visti, guardati e meditati, confrontati tra loro, illuminati dalle parole e dagli atteggiamenti delle persone che li stanno vivendo. E i dati raccolti nella vigilanza e nella attenzione, vengono accolti nel cuore, cioè non solo compresi dall’intelligenza, ma amati e fatti propri (da comprehendere, cioè da contenere in sé); e anche nella disponibilità a lasciarsi coinvolgere e a rendersi servitori e cooperatori per il loro compimento, secondo l’atteggiamento già dichiarato da Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore; quello che hai detto, abbia in me il suo compimento» (Lc 1, 28). La relazione stretta tra la fede e il compimento di un evento salvifico è richiamata anche nelle parole di Elisabetta: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 45). L’esperienza fornisce i dati su cui riflettere, parole e fatti. L’intelligenza riflessiva si lascia illuminare dall’esterno, cercando di comprendere sensi e significati, decifrando parole e atteggiamenti; ma anche dal proprio interno viene la luce, derivante dalla sintonia d’amore, dal confronto con esperienze precedenti e dal sentire il nuovo evento come spazio in cui Dio si rende presente ancora una volta, chiedendo disponibilità alla sua azione, obbedienza al suo progetto. Lo Spirito che guida «alla verità tutta intera» (Gv 16, 13) educa a fare memoria, provoca l’approfondimento e dà la grazia del coinvolgimento personale con l’evento di salvezza che si celebra nel presente. A proposito di Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore», Giovanni Paolo II scrive: «Mentre i pastori passavano dallo spavento all’ammirazione e alla lode, la Vergine, grazie alla sua fede, mantiene vivo il ricordo degli eventi riguardanti il Figlio e li approfondisce con il metodo del confronto nel suo cuore, ossia nel nucleo più intimo della sua persona. In tal modo Ella suggerisce ad un’altra madre, la Chiesa, di privilegiare il dono e l’impegno della contemplazione e della riflessione teologica per poter accogliere il mistero della salvezza, comprenderlo maggiormente ed annunciarlo con rinnovato slancio agli uomini di ogni tempo» . È noto come già sant’Ambrogio abbia meditato su questo versetto del vangelo, indicando Maria come modello del discepolo che vuole imparare dagli eventi che vive. «Maria che si era turbata all’apparire dell’angelo, ora rimane tranquilla al succedersi di tanti miracoli, quali: la fecondità nella sterile, la maternità nella vergine, il favellare nel muto, l’adorazione dei magi, l’aspettazione di Simeone, la testimonianza delle stelle. E – dice il vangelo – conservava tutte queste cose nel suo cuore. E, benché Madre di Dio, desiderava apprendere i precetti. E lei che lo aveva generato si studiava di conoscerlo sempre più» . Sant’Ambrogio indica Maria come colei che impara anche dai pastori, come ogni credente deve imparare dai vescovi: «Riconosciamo in tutto la verecondia della Vergine santa, che, intemerata nel corpo non meno che nelle parole, meditava nel suo cuore gli argomenti della fede. Se Maria impara dai pastori, perché mai tu eviteresti di imparare dai vescovi? Se Maria taceva prima che insegnassero gli Apostoli, perché tu, dopo che si è compiuto il loro insegnamento, preferiresti farla da maestro, invece di apprendere?». Riferendosi a tutta la vita nascosta di Gesù a Nazareth, Luca annota una seconda volta: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2, 51). E Giovanni Paolo II commenta ancora: «Tutte queste cose: sono gli eventi di cui Ella è stata, insieme, protagonista e spettatrice, a cominciare dall’Annunciazione; ma, soprattutto, è la vita del Bambino. Ogni giorno di intimità con Lui costituisce un invito a conoscerlo meglio, a scoprire più profondamente il significato della sua presenza e il mistero della sua persona. […] Nella dignitosa e laboriosa atmosfera di Nazareth, Maria si sforzava di comprendere la trama provvidenziale della missione del Figlio. Oggetto di particolare riflessione, a questo riguardo, fu sicuramente per la Madre la frase che Gesù pronunciò nel Tempio di Gerusalemme all’età di dodici anni: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Meditandoci sopra, Maria poteva capire meglio il senso della figliolanza divina di Gesù e quello della sua maternità, impegnandosi a scorgere, nel comportamento del Figlio, i tratti rivelatori della sua somiglianza con Colui che Egli chiamava “mio Padre”». A proposito di Maria e di Giuseppe che cercano Gesù e lo trovano nel tempio, Origene fa un’applicazione alla ricerca della verità, dovere dei teologi e di tutti: «Lo trovarono nel tempio, in mezzo ai dottori. Cerca dunque anche tu Gesù nel tempio di Dio, cercalo nella Chiesa, cercalo presso i maestri che stanno nel tempio e non ne escono; se così lo avrai cercato, lo troverai». E san Luigi Maria di Montfort, commentando la figura biblica di Giacobbe che sta in casa con sua madre Rebecca, scrive che allo stesso modo i veri devoti di Maria “vivono l’interiore”, poiché «qui compiono la grande impresa della loro perfezione».

3. Maria celebra la propria fede
Come la Chiesa è mysterion, liturgia, celebrazione, la teologia è fede pregata, lode innalzata a Dio, lex credendi che diviene lex orandi, e viceversa. Dell’esperienza di Maria troviamo registrati nei vangeli diversi momenti che possiamo classificare come celebrativi della sua fede. Il Magnificat anzitutto. Dopo che Elisabetta ha dichiarata «beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 45), Maria proclama la sua fede in forma di preghiera di lode, dicendo. «L’anima mia magnifica il Signore […]» (v. 46 ss). Il Magnificat è una professione di fede trasformata in un cantico pieno di gratitudine, che lascia intravedere i futuri sviluppi dell’adesione di Maria alla proposta dell’angelo nell’annunciazione; è un atto di fede di Maria. Elisabetta fa una professione di fede nella maternità messianica di Maria, e Maria accetta di buon grado le sue felicitazioni e risponde con un cantico di riconoscenza. Il discorso su Dio, cioè la teologia intrecciata da Maria, trae lo spunto dalla coscienza che ella ha di portare nella propria persona i destini del popolo di Dio: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» (v. 49), e di essere canale di grazia per tutti i figli dell’alleanza: «Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra» (At 3, 25). Ma anche la scena della presentazione al tempio (Lc 2, 22 ss) ha una struttura di celebrazione liturgica, composta – e si direbbe, inventata – con elementi preesistenti, ma dal significato nuovo e originale. Secondo una interpretazione oggi condivisa, la «loro purificazione» (v. 22) andrebbe riferita a tutto il popolo d’Israele, che attende la liberazione, celebrata dalla profetessa Anna (v. 38) e dal sacerdote Zaccaria (Lc 1, 68). Questa salvezza portata da Cristo, opera un discernimento in seno a Israele e ha una ripercussione in Maria come persona: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (v. 35). La vita stessa di Maria come singola persona diventa celebrazione inserita nella comunità. La figlia di Sion, Maria, è presentata come figura della figlia di Sion, la Gerusalemme nuova; come figura e prima realizzazione di una salvezza sperimentata, celebrata e professata. Se la spada che trafigge l’anima è la parola di Dio – come ci dicono gli esegeti – Maria appare come una credente che, al pari di tutto Israele suo popolo, si confronta con la parola del Figlio e vi si adegua con crescita costante. Ciò comporta per lei gaudio e dolore. Gaudio nel vedere i frutti copiosi che il seme della parola evangelica produce in se stessa e in quanti l’accolgono in cuore «buono e perfetto» (Lc 8, 15). Dolore quando cerca Gesù a Gerusalemme, angosciata e senza comprendere la sua risposta (cf. Lc 2, 49-50), e al colmo dell’afflizione quando vede il Figlio ripudiato e crocifisso. La profezia di Simeone abbraccia così tutta la missione di Maria come madre del Redentore, e naturalmente in modo particolare il dramma del Calvario. Osserva Giovanni Paolo II che «secondo il disegno divino, il sacrificio offerto allora di una coppia di tortore o di giovani colombe, come prescriveva la Legge, era un preludio al sacrificio di Gesù, mite e umile di cuore». «Questa offerta avrebbe poi trovato pieno e perfetto compimento nel mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. Allora Egli avrebbe realizzato la sua missione di Sommo Sacerdote misericordioso e fedele, condividendo sino in fondo la nostra sorte umana. Nella presentazione al Tempio, come sul Calvario, Gli è accanto Maria, la Vergine fedele, compartecipe dell’eterno disegno della salvezza». E san Luigi Maria di Montfort scrive che Gesù «ha esaltato la sua indipendenza e maestà nel dipendere da questa amabile Vergine […] fin nella sua morte, alla quale ella doveva essere presente, per poter offrire con lei un medesimo sacrificio e per essere immolato all’eterno Padre con il consenso di lei, come in passato Isacco venne immolato con il consenso di Abramo alla volontà di Dio. È lei che lo ha allattato, nutrito, fatto crescere, educato e sacrificato per noi»16. Presso la croce (cf. Gv 19, 25-27), Maria fa suo, dal di dentro, il mistero sconcertante dell’amore di Dio rivelato in Gesù. Se gli uomini hanno scelto di ridurlo a verme della terra, Dio non si difende: muore come il più debole di noi, gemendo, pregando, perdonando. La presenza di Maria a questo momento supremo dell’offerta della vita per amore da parte di Gesù, ha un forte carattere messianico, segnalato da Giovanni già a Cana di Galilea. Qui Gesù affida a Maria la missione di essere madre dei discepoli, per «radunare nell’unità i figli di Dio che erano dispersi» (cf. Gv 11, 51-52). La fede di Maria, nel contesto della “celebrazione” del sacrificio del Golgota, si apre a una maternità universale verso i dispersi figli di Dio, unificati nel mistico tempio della persona di Cristo, che Maria ha rivestito della nostra carne nel suo grembo materno. Cirillo di Gerusalemme scrive che «Maria è detta madre di Giovanni non perché lo ha generato, ma per titolo di amore». Origene, nella consueta creatività d’intuizione, afferma che Maria diviene madre dei discepoli, e in particolare dei perfetti, ricercatori della verità: «Ogni perfetto non vive più, ma è Cristo che vive in lui; e se Cristo vive in lui, di lui si dice a Maria: Ecco Cristo tuo Figlio!». Anche la Pentecoste offre un contesto celebrativo. E Luca è puntuale nel porre in evidenza la presenza e il ruolo di Maria, quando gli apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (At 1, 14), e nel momento in cui si tratta di rendere testimonianza al Signore Gesù. Nel giorno in cui lo Spirito suscita la Chiesa di Cristo come un’assemblea di testimoni, Maria siede tra i discepoli quale “madre di Gesù”. Luca non spende qui più di un versetto per richiamare Maria nella sua presenza e nel suo ruolo, ma per comprendere la Chiesa e tutta l’opera salvifica di Cristo, bisogna risalire alla “madre di Gesù”, a tutto il complesso narrativo lucano, riconoscendo nella vicenda di Maria la filogenesi della Chiesa.

4. Maria porta Cristo, lo annuncia e insegna
Aspetto essenziale del teologare – dopo lo studio, la riflessione, la ricerca, l’esperienza – è la comunicazione ad altri di ciò che si è sperimentato e ragionato dentro si sé. Le parole di Maria riferite dai vangeli non sono molte, ma ancora una volta va richiamato che si comunica con “fatti e parole”. I gesti vengono anzi al primo posto e le parole sopraggiungono, spesso ma non sempre, a spiegare il gesto. In questa prospettiva Maria insegna. Già secondo i Padri della Chiesa, la prima rivelazione della Trinità nel Nuovo Testamento è avvenuta nell’Annunciazione: «Sei splendore di luce, o Maria, nel sublime regno spirituale! In te il Padre, che è senza principio e la cui potenza ti ha ricoperto, è glorificato. In te il Figlio, che hai portato secondo la carne, è adorato. In te lo Spirito Santo, che ha operato nelle tue viscere la nascita del grande Re, è celebrato. È grazie a te, o piena di grazia, che la Trinità santa e consustanziale ha potuto essere conosciuta nel mondo». Nel mistero della Visitazione (Lc 1, 39 ss) appare evidente che Maria porta Gesù ad altri, con sollecitudine e amore: «Si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda» (v. 39). Nella casa di Zaccaria entrano la gioia e la pace: «Il bambino ha esultato di gioia» (v. 44); Maria è testimone di fede: «Beata colei che ha creduto […]» (v. 45); si sprigiona il canto e la lode al Signore con il Magnificat; si compie un servizio di carità. Sono i doni dello Spirito Santo che Maria desidera comunicare. Il Magnificat in particolare può essere considerato il Credo di Maria, la sua professione di fede, la descrizione del volto di Dio come ella lo percepisce, il suo discorso su Dio, dunque letteralmente la sua teologia. Luca non manca di collegare strettamente la fede di Maria con il suo dire: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore. Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore […]» (v. 45-46). Sant’Ireneo vede qui Maria come profeta che parla a nome della Chiesa: «Per questo Maria, esultando di gioia, profetizzando proclamava in nome della Chiesa: L’anima mia magnifica il Signore». Scrive Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Mater: «Quel che al momento dell’Annunciazione rimaneva nascosto nella profondità della obbedienza nella fede, si direbbe che ora si sprigioni come una chiara, vivificante fiamma dello spirito. Le parole usate da Maria sulla soglia della casa di Elisabetta costituiscono un’ispirata professione di questa sua fede, nella quale la risposta alla parola della rivelazione si esprime con l’elevazione religiosa e poetica di tutto il suo essere verso Dio. In queste sublimi parole, che sono a un tempo molto semplici e del tutto ispirate ai testi sacri del popolo di Israele, traspare la personale esperienza di Maria, l’estasi del suo cuore. Splende in esse un raggio del mistero di Dio, la gloria della sua ineffabile santità, l’eterno amore che, come un dono irrevocabile, entra nella storia dell’uomo». Ed è ancora Giovanni Paolo II, in una catechesi, che vede Maria alla Visitazione come la prima “evangelista”, che diffonde la “buona notizia”, dando inizio ai viaggi missionari del divin Figlio. Nel racconto della nascita di Gesù secondo Luca (Lc 2, 1 ss), è Maria che prepara il segno riconoscibile dai pastori che vogliono andare per vedere l’evento che il Signore vuole fare loro conoscere (cf. v. 15): «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (v. 12). Anche nel racconto secondo Matteo (cf. Mt 2), la ricerca del Signore compiuta dai magi in un lungo viaggio, consultando gli astri, le scritture e i sapienti riuniti da Erode, trova soluzione in Maria che presenta Gesù: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (v. 11). Sofronio scrive: «La madre di Dio, Vergine intatta, portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre». Severo di Antiochia coglie la portata apostolica del parto della Vergine quando scrive: «Se quelle parole che hanno udito da nostro Signore: “Andate e insegnate a tutte le nazioni” hanno fatto di quelli degli apostoli, quale nazione questa Vergine non ha istruito e condotto a conoscenza di Dio! E lo ha fatto pur rimanendo silenziosa, mediante il suo parto singolare ed eccezionale, e pertanto carico di conseguenze, mediante il suo concepimento senza eguale, che ha fatto di lei la madre e la radice della predicazione evangelica». Ancora l’evangelista Luca ci ricorda che Maria, insieme a Giuseppe, costituisce la scuola che permette a Gesù di crescere negli anni «in sapienza, età e grazia», rimanendo «loro sottomesso» (Lc 2, 51-52). Il papa Paolo VI, in un celebre discorso tenuto a Nazareth, il 5 gennaio 1964, sviluppa con ampiezza l’importanza di questa scuola di Nazareth anche per tutti noi; una scuola dove si è iniziati a comprendere Gesù, osservando, ascoltando, meditando, penetrando il significato profondo e misterioso della manifestazione del Figlio di Dio, vicino a Maria, per «apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine!» – La “dipendenza” che Gesù ha voluto avere da Maria durante tutta la sua vita nascosta a Nazareth, è presa a modello anche da san Luigi Maria di Montfort, che la raccomanda a ogni fedele discepolo di Gesù Cristo. A Cana di Galilea (cf. Gv 2, 1 ss) Maria svolge in pubblico un ruolo che conduce alla manifestazione di Gesù, al compimento del suo primo “segno”, da cui nasce la fede degli apostoli: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli […] manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (v. 11). Viene qui segnalato pure il formarsi della prima comunità cristiana: «Dopo questo fatto (Gesù) discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli» (v. 12). Ed è ancora a Cana che Maria esprime verbalmente quella che potrebbe essere considerata la sintesi di tutto il suo insegnamento: «Fate quello che vi dirà» (v. 5), nella circostanza rivolto ai servi, ma spiritualmente estendibile a tutti i “servi” del Signore, in ogni tempo e luogo. Il ruolo profetico di Maria è qui esplicito, come di colei che parla a nome di Dio. Dal Fiat dell’annunciazione, al Facite di Cana: è un cammino di fede. Queste parole di Maria, le ultime a essere riferite dai vangeli in forma diretta, sono state indicate come il testamento spirituale della Vergine. Ora «un testamento spirituale non è un insegnamento teorico, astratto, ma un messaggio che sorge dall’esperienza più profonda: è una sintesi della sapienza di vita trasformata in espressione d’amore». Infine, nello stesso contesto del cenacolo, in attesa della Pentecoste (cf. At 1, 14), l’assiduità e la concordia nella preghiera di tutti i discepoli del Signore, «e con Maria, la madre di Gesù», appare come una scuola dove si incontrano, si sovrappongono e si integrano a vicenda: conoscenza ed esperienza, studio e contemplazione, teologia e liturgia, parola e celebrazione, nel nome di Gesù e nella comunione dello Spirito Santo. Scrive Cromazio di Aquileia: «La Chiesa non può essere detta tale se non è presente Maria, la Madre del Signore, insieme con i suoi fratelli. Infatti la Chiesa di Cristo esiste là dove si predica l’Incarnazione di Cristo dalla Vergine; e dove predicano gli Apostoli, che sono i fratelli del Signore, là si ascolta il vangelo».

5. Maria, presenza nella Chiesa
Il ruolo storico di Maria nel mistero di Cristo si perpetua nella sua presenza nel mistero della Chiesa. Per mandato di Gesù Cristo stesso, la maternità divina di Maria si apre alla maternità spirituale verso tutti i discepoli di lui: «Gesù allora, vedendo la sua madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio!» (Gv 19, 26). I pastori di Betlemme prefigurano i pastori della Chiesa; i magi sono l’espressione della chiamata universale alla salvezza; i dodici discepoli di Gesù diventano apostoli, colonne della Chiesa. La madre di Gesù diventa madre della Chiesa. Giovanni Paolo II ha interpretato più volte questo nuovo compito di Maria nel senso forte di una presenza, declinata come tipo ideale e perfetto della relazione di una creatura umana con Dio, che diventa pure modello antropologico nella relazione tra creature. L’annunciazione, dice il Papa, è presentata «come evento attuato nel contesto di una profonda e sublime relazione personale tra Dio e Maria. La narrazione getta luce anche sulla relazione personale che Dio intende realizzare con ogni uomo». E dopo avere richiamato quanto dice san Tommaso sulla presenza di Dio in tutti gli esseri, e in particolare in ogni uomo chiamato a conoscere e amare Dio, egli aggiunge: «Si può dire che un’unione e una presenza speciale e privilegiata egli attua in Maria nell’Incarnazione del Verbo». Questa affermazione lascia trasparire un riferimento alla teologia spirituale di san Luigi Maria di Montfort, che a sua volta rimanda al cardinale Pierre de Bérulle, importante fonte monfortana. È in Bérulle che si trova la riflessione forse più profonda sul concetto di relazione, come radice dell’unione con Dio, o della presenza di Dio a noi e di noi a Dio. Tale relazione è possibile all’uomo dopo che il Verbo ha assunto l’umanità in sé. L’incarnazione diventa perciò il mistero fondamentale nella storia dell’unione tra Dio e l’uomo. Del resto è da san Tommaso che Bérulle prende l’espressione usata per indicare l’umanità di Cristo, detta «strumento congiunto della divinità». Per dare dunque l’idea dell’unione massima possibile tra Dio e una creatura, Montfort scrive: «Maria è tutta relativa a Dio e potrei dire: ella è la relazione di Dio, che esiste solo in rapporto a Dio». Ma se Maria è perfettamente relazionale a Dio, è per la sua unione a Gesù Cristo, attuata nell’incarnazione e proseguita nella perfetta conformazione a Lui. Il rapporto di Maria con Dio, fatto di fede obbediente, di pieno consenso alla propria missione, di disponibilità alla totale incorporazione a Cristo, matura poi nella responsabilità verso i fratelli del Signore, ricevuti come figli al pari del Figlio. La maternità spirituale di Maria è la trasmissione ai fedeli della propria esperienza teologale, proposta come modello e guida, e dotata dallo Spirito Santo di efficacia di grazia. Dello Spirito Santo, scrive Giovanni Paolo II, Maria «è diventata la fedele sposa». Il concilio Vaticano II usa il termine sacrarium, tradotto con «tempio dello Spirito Santo». Con tale espressione, dice ancora Giovanni Paolo II, si intende «sottolineare il legame di presenza, d’amore e di collaborazione, che esiste tra la Vergine e lo Spirito Santo», dove Maria «incoraggia con il suo esempio gli altri membri della Chiesa ad affidarsi generosamente all’azione misteriosa del Paraclito e a vivere in perenne comunione d’amore con lui». Il modello antropologico proposto da Maria a tutti i figli di cui ella si prende cura su mandato di Cristo, è iscritto nella sua stessa persona: figlia del Padre, madre del Figlio, collaboratrice, alleata e sposa dello Spirito Santo. È la teologia vissuta di Maria, che diventa insegnamento luminoso, proposta percorribile e modello efficace per ogni credente, discepolo di Maria e pertanto discepolo del Signore Gesù, chiamato a divenire figlio del Padre celeste, madre che riproduce in sé l’immagine vivente di Cristo, alleato dello Spirito Santo.

6. Considerazione finale
Questa breve esposizione non presume di trarre conclusioni dal discorso fatto. Solo qualche considerazione finale, tra le tante possibili. Significative appaiono le osservazioni fatte da Origene su Maria. La Santa Vergine rappresenta il tipo dello spirituale, come altri personaggi dell’Antico Testamento: Mosé, Davide, Giosuè, Giovanni Battista. Inoltre, grazie allo Spirito Santo presente in lei, Maria – dice Origene – assurge al rango dei profeti. In particolare, Maria possiede due delle caratteristiche dello spirituale, così come lo intende Origene. Anzitutto la sua applicazione costante allo studio e alla meditazione della Scrittura. In secondo luogo viene data importanza alla funzione apostolica di un vero discepolo del Signore. E nel Commento alla Visitazione, Origene presenta Maria come colei che porta Gesù a Giovanni Battista per formarlo spiritualmente e prepararlo alla sua missione. Maria porta Gesù e lo Spirito Santo. E Cirillo di Gerusalemme adombra il ruolo di Maria nella venuta del regno di Cristo nel mondo quando fa un confronto con la sua prima venuta: «Noi annunziamo la venuta di Cristo e non una soltanto, ma anche una seconda molto più preziosa della prima: quella infatti si mostrò in sottomissione, questa porta il diadema del regno divino […]; due le discese, una nascosta quasi di pioggia sul vello, l’altra, la futura, manifesta. Nella prima venuta fu avvolto in fasce nel presepio, nella seconda si ammanta di luce come di veste». Il riferimento alle fasce del presepio è un richiamo a Maria, che aveva preparato questo “segno” per i pastori, primi “discepoli” di Gesù. Dunque, già all’epoca dei Padri si era iniziato a vedere in Maria colei che da una parte impara, medita, approfondisce i misteri di Dio, facendo esperienza di fede e di comunione con Lui; e dall’altra come colei che desidera trasmettere, insegnare, educare i discepoli del Signore, ricevuti da Gesù come figli. Lungo i secoli, la storia della mariologia e del culto mariano mostrano come si è guardato a Maria, scoprendo progressivamente l’importanza della sua presenza e del suo ruolo nel tempo della Chiesa. Dal punto di vista dogmatico sono state illustrate le verità che riguardano la persona di Maria, ma che illuminano meglio sia Gesù Cristo e la teologia in generale, sia anche la vocazione e il destino di ciascun battezzato e dell’insieme del popolo di Dio. Per quanto riguarda la devozione mariana, le diverse epoche hanno espresso le proprie sensibilità, segnate dalla cultura di ogni tempo e luogo; si è ricorsi sempre a Maria, spesso partendo dai bisogni spirituali maggiormente sentiti da ogni epoca. Più recentemente, con il progresso sia della teologia, che delle scienze umane, si è guardato a Maria come persona attiva e responsabile, madre del Signore, ma anche sorella dei suoi discepoli. Anche come donna, Maria appare sotto una luce più ricca, nella generale presa di coscienza del ruolo che molte donne hanno svolto nella storia della Chiesa, dalle sante mistiche alle operatrici di carità, dalle consigliere spirituali alle tre sante proclamate “dottori della Chiesa”. Nell’oggi della Chiesa vi sono donne che insegnano, come teologhe o catechiste; donne che guidano altri fratelli o sorelle nella fede, come direttrici spirituali, partecipando al ruolo profetico di Cristo. In un tale contesto, anche lo sguardo su Maria di Nazareth appare segnato da nuovi bagliori. Il concilio Vaticano II invita a percorrere questo cammino, là dove dice che Maria «riunisce in sé in qualche modo e riverbera i massimi dati della fede». Questo riverberare è un riflettere come in uno specchio le verità fondamentali della soteriologia, dell’ecclesiologia e dell’antropologia cristiana; un riflesso che parte dalla persona stessa di Maria, che parla con il suo ruolo, la sua presenza e i suoi insegnamenti. Solo per fare qualche esempio, oltre che oggetto di catechesi, Maria fu soggetto di catechesi, dunque “catechista”, poiché «informò la comunità dei discepoli del Nazareno sugli eventi di grazia realizzati nella propria persona dal Dio dell’Alleanza». Marcello Bordoni chiama ancora Maria «prima esegeta di Cristo», nel suo fare memoria di Cristo, poiché l’anamnesi è «atto ermeneutico, il quale riattualizza il passato a partire dal presente, nella prospettiva del futuro» in un «cammino attivo e inventivo della sua fede». E cita il cardinale Newman là dove dice che «facendo così, Maria simboleggia la fede anche dei Dottori della Chiesa, i quali devono investigare, soppesare e definire, oltre che professare il Vangelo». E qualcuno giunge fino a parlare di un magistero della Madre del Signore, che si esprime nel «trasmettere alla Chiesa gli eventi impressi nella sua memoria, conservati nel suo cuore di Madre, scrutati con la fede della discepola, confrontati con gli insegnamenti degli apostoli». Se David Maria Turoldo ha poetato di Maria come di una “Cattedrale del silenzio”, non possiamo però dimenticare il suo teologare, fatto anche di parola, benché lungamente meditata, ponderata e sobria, come discepola, madre e serva del Mistero, modello per ogni teologo.

Bibliografia
CORTINOVIS B., Teologia ed esperienza in Maria di Nazareth, in PATH, vol. 7, 2008/2, Scientia Amoris - Teologia ed esperienza, pp. 313-330; GIOVANNI PAOLO II, Totus Tuus. Il magistero mariano di Giovanni Paolo II, A.B. Calkins (ed.), Cantagalli, Siena 2006; PERRELLA S. M., Ecco tua Madre (Gv 19,27). La madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell’oggi della Chiesa e del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007; DE MENTHIERE G., Marie au coeur de l’oeuvre di Jean-Paul II, Mame-Edifa, Paris 2005; KO-HA-FONG M., Lectio divina su Gv 2, 1-12, in Theotokos 6 (1999), pp. 157ss; PIERRE DE BÉRULLE, Oeuvres complètes, Oratoire de Jésus – Les Edition du Cerf, Paris 1995; SERRA A., Maria, Madre di Gesù, soggetto e oggetto di catechesi. Riflessione sugli scritti del N.T., in Aa.Vv., Il posto di Maria nella nuova evangelizzazione, Centro di Cultura Mariana, Roma 1992, pp. 53-74; BORDONI M., Maria madre e sorella, in cammino di fede, in Theotokos 2 (1994/2), 103ss..






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