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MODELLO MARIALE


Sono molte le locuzioni attraverso cui si è messo a tema il rapporto tra Maria e la spiritualità cristiana: Maria e la vita spirituale; Maria modello di vita spirituale; spiritualità mariana... Non sto a richiamarle tutte. Avverto tuttavia preliminarmente come questa molteplicità di dizione denuncia una certa ambiguità. Se infatti non sembrano esserci grossi dubbi relativamente alla legittimità dell'espressione «spiritualità cristiana», dubbi e non pochi restano sottesi, comunque la si intenda, alla correttezza della locuzione «spiritualità mariana». Non a caso, il IX Simposio internazionale mariologico promosso dalla Pontificia facoltà teologica «Marianum», organo accademico istituzionalmente deputato alla riflessione scientifica su Maria, ha avuto come titolo: La spiritualità mariana: legittimità, natura, articolazione (Roma, 36 novembre 1992). Legittimità, appunto. E l'aver sciolto al positivo il quesito, non toglie niente alla sua ragionevolezza: è legittima una «spiritualità mariana»? Il percorso che intendo proporre non è esattamente quello di quel convegno, né intendo direttamente confrontarmi (o scontrarmi) con quanti, negli ultimi decenni, si sono cimentati sul medesimo tema. Mi pare tuttavia assolutamente obbligata un'incursione sul senso e sullo statuto della spiritualità cristiana. Soltanto dopo, credo, è possibile verificare se e come si possa o si debba parlare di spiritualità mariana e perciò ipotizzare Maria come modello di vita spirituale.

1. Senso e statuto della spiritualità cristiana
a)
Alle origini della comunità ecclesiale, al suo DNA, appartiene certamente il convincimento del dono-elargizione--presenza dello Spirito. La comunità sorta dalla Pasqua è comunità corroborata dallo Spirito. La promessa escatologica ha trovato in essa pieno adempimento. La chiesa è il popolo di Dio dei tempi ultimi, quelli in cui lo Spirito è stato effuso su ogni carne (cf. GI 3). Ed essendo questa comunità segnata dal nome di Gesù e avvertendosi partecipe della sua unzione e dunque del dono dello Spirito, innanzitutto a Gesù stesso elargito, è evidente come essa si muova secondo un paradigma di conformazione a Cristo. Il dato teologico legato al battesimo si corrobora nell'esperienza dell'eucaristia. Il cristiano è tale perché battezzato nella morte e risurrezione del Signore e perché partecipe del suo corpo per noi dato. E tutto ciò ha come caparra, come garanzia, come maestro lo Spirito Paracito. Che il cristiano debba essere «spirituale» è tutt'uno con il mistero della sua santificazione, anzi della sua «unzione». Sigillato dallo Spirito e da lui reso cristoconforme nell'iniziazione cristiana e a seguire nella normalità sintattica della vita sacramentale, il battezzato-crismato-eucaristizzato è soggetto «spirituale». Vive già nell'eone definitivo inaugurato dalla morte e risurrezione del Signore e dal dono del suo Spirito. Il problema sta, tuttavia, nella difficoltà della comunità cristiana a elaborare e coscientizzare la spiritualità sacramentale, se vogliamo la mistica sacramentale, spesso nella storia deputando o ponendo altrove i referenti della sua spiritualità. Va per altro richiamato come nell'ambito dell'esperienza religiosa si è soliti parlare di spiritualità più o meno nel senso di una polarità al dato della corporeità. Le spiritualità insomma ci si mostrano specificate dalla distanza o dalla dialettica corpo-spirito. La questione è dunque antropologica. Si tratti di spiritualità platonica o di spiritualità buddista o di altra spiritualità ancora, sempre e comunque ci si pone dinanzi a una polarità - a volte persino dinanzi a una dualità - da risolvere.
b) Il discorso cristiano dovrebbe però essere altro e ciò per due motivi. Innanzitutto per il modo particolare con cui il cristianesimo affronta la questione antropologica; e, a seguire, per la conseguente connessione del discorso antropologico con quello ecclesiologico. Quanto al primo punto la specificità cristiana più che nella polarità corpo-anima consiste nella polarità Spirito di Dio-essere umano. Le creature umane vivono in forza dello Spirito di Dio. Questo è già il sentire dell'Antico Testamento. Nel passaggio al Nuovo Testamento il discorso acquisisce le valenze sottese alla comprensione dello Spirito come Dio egli stesso. Ma questa acquisizione avviene nella contestualità del farsi carne del Verbo. In lui lo Spirito di Dio irrompe definitivamente nella storia umana. E ciò muta definitivamente l'approccio antropologico: l'essere umano non può trovare altra chiave interpretativa se non per il Cristo nello Spirito. Se, dunque, come pure avviene, anche nella cultura cristiana rinveniamo un approccio al problema secondo la polarità anima-corpo, ciò tradisce e oscura il referente autentico della spiritualità cristiana. Bisogna, prendendone atto, riconoscere che le comunità cristiane non sempre hanno operato il salto qualitativo. Ciò ha spesso comportato una vera e propria schizofrenia: da una parte, la corporeità, il limite, la creatura; dall'altra, la fatica di oltrepassarle, di rimuoverle, di diventare «spirituali» nel senso disincarnato e non pneumatico del termine. Cose tutte supportate da ipotesi antropologiche inadeguate a dar conto del soggetto umano, sia nella complessità dell'intreccio anima/corpo - usiamo queste espressioni polari solo per essere adeguatemene compresi, essendo ormai acquisita l'assoluta e irrinunciabile unità del soggetto umano - sia nella sua differenza di genere.
c) Detto altrimenti: l'avere lungamente inteso lo spirituale come uno sforzo volontaristico di adeguare se stessi a una dimensione superiore ed elitaria ci ha condotti a elaborare più che la spiritualità cristiana, spiritualità al plurale poco centrate sui mistero dello Spirito e sulla sua azione; insomma a inficiare l'orizzonte specifico, quello che identifica la spiritualità cristiana come vita nello Spirito per il Signore nostro Gesù Cristo. Mi si potrà obiettare che ciò malgrado esistono più modi di tradurre questo dato. Lo concedo, purché sia chiaro che il plurale non tocca i modi diversi di sciogliere la polarità spirito-corpo, ma solo il diverso tradurre la dialettica essere umano-Spirito di Dio. Insomma, il plurale declina le modalità molteplici attraverso cui si traduce l'unica spiritualità cristiana. E possiamo, volendo, anche riscontrarne tipologie e modalità. A monte però non può che esserci la specificità cristiana, l'accadimento cristico-pneumatico dell'incarnazione, la dinamica teandrico-sacramentale delle nozze che avvia l'evento ecclesiale. Ricorrendo a un modello polare, ma solo per offrire un paradigma accessibile e immediato, la spiritualità cristiana nella sua assolutezza e peculiarità si connota attraverso un paradigma verticale che è quello strutturale e strutturante dell'«unzione» nell'interazione di cristologia, pneumatologia ed ecclesiologia; al plurale secondo un paradigma orizzontale in cui le spiritualità cristiane si danno come modalità, tipi molteplici di traduzione, senza tuttavia poter eludere la nativa e costitutiva istanza pneumatologica, cristologica, ecclesiale.

2. Madre del Signore e sua discepola
a) Il problema a questo punto è dove collocare Maria. Dobbiamo riferirla alla dinamica verticale e dunque all'incarnazione, ovvero alla dinamica orizzontale e dunque ai modi e ai tipi. Parlare di spiritualità mariana è prossimo, immediatamente prossimo, al dire la spiritualità cristiana nei suoi tratti cristologici, pneumatologici, ecclesiologici; ovvero la locuzione è prossima alla declinazione al plurale delle spiritualità: benedettina, carmelitana, servita, francescana, domenicana, ignaziana... pentecostale, neocatecumenale, focolarina, ciellina... o, ancora, chiericale, laicale, religiosa... Nella linea dei modi o dei tipi, la comunità cristiana traduce il suo statuto secondo concreti modelli esistenziali. Vivere e morire per Cristo diventa sfida, testimonianza eroica. Si comprende la rilevanza innanzitutto del martire e poi di quanti perseguono un modello radicale di sequela e di imitatio Christi. Maria di Nazaret sta all'interno di questo emergere di figure che scuotono e colpiscono l'immaginario della comunità, tornando a testimoniare nella storia le dinamiche stesse del modello cristico. Lo si comprende a margine della questione se essa abbia subito o no il martirio. Ci si chiede, insomma, se le si può riservare l'onore, il culto reso ai martiri. E nella tensione al martirio volontario della castità e dell'ascesi - ma questa spiritualità rischia percorsi alieni - la si vuole vergine, non solo e non tanto nella dinamica cristologica del concepire senza concorso d'uomo, ma nell'esaltazione, non scevra di encratismo, che assumono la continenza e la verginità come radicalità neo- o postmartiriali. Maria, poi, acquisisce di secolo in secolo, di cultura in cultura, modelli e forme consoni alle cristianità che elaborano specifici modelli di spiritualità. Tutto in Maria è culturato. Né ciò scandalizza. L'esperienza religiosa è intrinsecamente confidata al groviglio ditemi, modelli, istituzioni che connotano ogni cultura. Sicché, per noi, la questione è molto semplicemente da ricondurre alla domanda: che senso ha oggi per noi Maria? Solo in seconda istanza è possibile chiedersi se la si può assumere come modello di spiritualità. Ma tutto ciò si intreccia con la domanda e la risposta già data circa la legittimità di declinare - al singolare o al plurale - la spiritualità cristiana. Se l'equivoco delle spiritualità al plurale nasce dalla mancata centratura cristologica, pneumatologica, ecclesiologica della spiritualità cristiana, resta non di meno l'immediatezza di un modello derivato, per l'esperienza diretta che se ne fa, per la suggestione fascinosa che esso può acquisire, soprattutto se ha la pretesa di riproporre o di ricondurre alle radici originarie. Restano pure le complicità colpevoli dell'aver dirottato l'attenzione esistenziale dal centro alla periferia e soprattutto dell'aver privato il popolo cristiano della centralità fondante del mistero che strettamente e costitutivamente appartiene all'esperienza della parola/evento sacramentale.
b) L'elaborazione in atto di un modello di chiesa comunione, nuovamente attenta all'azione dello Spirito, esige che venga rimesso l'accento sul costitutivo strutturale e funzionale della spiritualità cristiana. E poiché, come già detto, il punto di sutura tra il costitutivo strutturale e quello funzionale è dato dal mistero dell'«unzione», da ultimo, io credo, occorra chiedersi se Maria possa esservi iscritta. Se ci poniamo di fronte a Maria, la domanda è innanzitutto relativa a chi è Maria per noi. La Marialis cultus ha brillantemente sgombrato il campo da penosi e pesanti equivoci che soprattutto hanno offeso le donne. Ma a nostro avviso offesi sono stati anche gli uomini resi incapaci di raggiungere la Madre del Signore se non a condizione di iscriverla in una contestualità per così dire strumentalmente dogmatizzata. Ovviamente a monte di una rilettura, di un approccio altro a Maria sta il faticoso tentativo di raggiungere se non la Maria della storia, certamente la Maria della fede. Occorre tornare alla Scrittura e accettare il poco/molto che le diverse tradizioni teologiche ci offrono circa la sua presenza nella comunità delle origini e ancor prima nel gruppo dei discepoli di Gesù di Nazaret. Senza pretendere di esaurire la questione, certamente ci troviamo dinanzi a ritratti teologici di Maria che la declinano diversamente in Luca e in Giovanni o che la ignorano in Paolo e Marco o la collocano in modo defilato in Matteo. Tacerne il nome, affermarne o tacerne la presenza a fianco del figlio durante il ministero di quest'ultimo, affermarne o ignorarne la presenza ai piedi della croce, includerla o escluderla nel tema polisemico della «donna» vederla o meno in ciò come immagine della chiesa, sono cose tutte che concorrono a declinare la Maria della fede, a suggerire la valenza del detto come del non detto, dell'affermato come dell'ignorato o. trascurato. Comunque sia la tradizione biblica converge nel rapportare Maria a Gesù. E la relazione parentale di lei madre a lui figlio e di lui figlio a lei come madre, il dato più sicuro. E ciò comporta innanzitutto la crudezza culturale, l'enormità paradossale, l'umiliazione di un Dio che prende carne nel grembo di una donna assai bene espresso dalla prima evocazione implicita di lei, quella di Gal 4,4. Ciò comporta altresì il paradigma dell'unzione, il riferimento allo Spirito, grazie al quale l'evento si compie.
c) Non possiamo dunque in nessun modo dubitare circa la legittimità del cogliere la Madre del Signore nel suo rapporto strutturale alla spiritualità cristiana. La maternità di Maria è una maternità pneumatica. Coglierlo è riconoscere la potenza santificante dello Spirito, il suo irrompere definitivo nella storia salvifica. La maternità di Maria è al cuore dell'evento cristologico e alla trasfigurazione (santificazione/divinizzazione) che sul piano antropologico comporta. La maternità di Maria sta così anche al cuore dell'evento ecclesiale perché la trasfigurazione della creatura esige le nozze teandriche. Maria che accoglie il Verbo nella sua propria carne rappresenta così l'umanità tutta e la chiesa che Cristo è venuto a fare sua consorte nel sangue e nell'acqua. E tuttavia altrettanto certo, per consonanza di tutti e quattro gli evangelisti (si iscrivono in questo entroterra le parole conflittuali tra Gesù e la madre in Gv 2) come l'essergli stata madre, l'averlo portato in grembo e allattato non sia sufficiente per Gesù ai fini della sequela. E ciò malgrado Maria è presente insieme ai Dodici, ai discepoli e alle altre donne nell'attesa orante dello Spirito. Il che prova la sua inclusione nella comunità postpasquale e dunque il riconoscimento di lei nella famiglia dei discepoli. La Maria della fede, insomma, è a pieno titolo discepola. Ha vissuto, per usare il nostro linguaggio recente, tutta intera la peregrinazione della fede. Le è stato chiesto di oltrepassare la relazione parentale-materna per, acquisire la relazione nuova del discepolato.
d) Se dunque è vero che non possiamo non dirci mariani, perché cristiani, è pur vero che nel sottolineare tutto ciò - ed è il percorso proprio dell'elaborazione delle verità di fede sulla Madre del Signore, appunto perché madre - in qualche modo abbiamo relativizzato il percorso di fede da lei compiuto, l'imitatio Christi anche a lei richiesta. L'interpellanza che a tutt'oggi Maria costituisce per la comunità credente - se vogliamo la sua esemplarità, il suo esserci modello nell'ordine della fede della speranza e della carità - se passa dal recupero di lei come Theotokos, come colei che genera il Verbo (generazione a cui, secondo Ambrogio, è chiamato a suo modo ogni credente), passa dalla comprensione di lei come «discepola». E ciò comporta l'alleggerimento da una parte della costruzione magniloquente e culturata più ostacolo che aiuto alla flessione della ricchezza di lei, ma apporta insieme una più adeguata intelligenza della risposta di Maria come credente, e perciò la acquisizione più consona di lei come modello «spirituale». La creatura Maria è infatti luogo testimoniale della presenza, del sigillo dello Spirito. Maria è il luogo emblematico del suo cosmetizzare l'universo e le creature. Maria appare come la bella per antonomasia, la graziata e graziosa. Ma tutto ciò si iscrive nella sinergia del suo cammino di fede e dell'agire in lei dello Spirito. La «tutta dono» corrisponde al Dono, pur nell'oscurità che la luce dello Spirito obbligatoriamente comporta. Oso pensare una spiritualità mariana nella prospettiva del rapporto singolare di Maria allo Spirito. E ciò tocca la sua maternità non meno che il suo essere discepola. Non si tratta, di una relazione episodica o occasionale, ma di una relazione strutturale e strutturante, analoga a quella che connota il rapporto dello Spirito alla chiesa e dunque il rapporto dello Spirito a ogni singolo credente.

3. Maria appartiene al popolo cristiano
a)
Ma ciò vuoi dire, iscrivendo Maria nel mistero dell'«unzione», leggerne la vicenda, il senso in quanto appartenente alla comunità messianica. Detto altrimenti, non è possibile assumere Maria come modello di vita spirituale, non è possibile elaborare in tutta coerenza una spiritualità mariana, se non riconducendo Maria stessa alla sintassi cristiana, mostrandola nei suo' statuto cristoconforme, pneumatoconforme ed ecclesiotipico. L'embiematicità di Maria, emblematicità derivata, acquista pienezza di senso solo se è 'possibile mostrare compiuto in lei il paradigma cristico-pneumatico, se è possibile leggere innanzitutto lei sino in fondo e compiutamente come «cristiana». Non sembri discorso minimalista. In quest'ottica Maria ha tutto da dirci. In questa prospettiva è legittimo, anzi obbligato, legare Maria non solo strutturalmente ma anche funzionalmente alla spiritualità cristiana. Si tratta di un'attenzione diversa e convergente che la colloca, nell'ottica dell'evento ecclesiale, al punto di interconnessione tra ciò che la costituisce strutturalmente e di ciò che la traduce funzionalmente. La chiesa non esiste per se stessa, ma nel suo essere per gli altri. Maria non è leggibile in un registro massimalista mariocentrico o di unilaterale ed enfatico privilegio cristologico. In questa chiave, piaccia o non piaccia, può incoraggiare solo spiritualità alienanti. Maria appartiene invece al popolo cristiano, ne porta le insegne, ne addita lo statuto e il mistero, nella valenza prolettica ed escatologica propria alla qualità del suo corrispondere al dono di grazia ricevuto. Tale dono declina poi nient'altro che la triplice mediazione messianica. Maria, Madre dell'Unto, e soggetto di una specialissima unzione dello Spirito è da lui abilitata a esercitare regalità, sacerdozio, profezia, ossia a comprendere, a interiorizzare il paradigma messianico del Figlio e a tradurlo in atto.
b) Nella sintassi del dono ricevuto e del dono trafficato - sintassi comunque iscritta nella dinamica strutturante dello Spirito - Maria ci appare così nella sua identità di «regina», ossia di creatura che interpreta esistenzialmente la sovranità di Dio, di «profetessa» che annuncia l'incipiente età messianica; di «orante» che impersona la dimensione della preghiera e della lode come risposta congrua al disegno creatore di Dio. E tutto ciò per Cristo e nello Spirito. E, se, biblicamente parlando, la Madre del Messia è regina-madre; se spetta di diritto questo titolo a colei che ha partorito il virgulto della stirpe davidica, resta evidente, come tale regalità sia in stretta connessione alla regalità specifica di Gesù di Nazaret. Egli è il Messia sconfitto, il re che regna dalla croce, colui che si fa servo e ammonisce i suoi circa il fatto che il più grande deve stare tra loro come colui che serve (cf. Lc 22,24-27). Quella di Gesù di Nazaret è una regalità kenotica. E tuttavia egli regna. Paradossalmente il titolo sulla croce lo confessa nella sua identità-dignità regale. Potremmo cogliere Maria partecipe di questa regalità come sua madre. Ciò restando vero, Maria partecipa della sua regalità come discepola, come membro singolare del popolo messianico. Ed è come tale che è modello alla chiesa nel senso che la riconduce alla realizzazione perfetta della regalità, il servizio. La regalità è dono, dono gratuito, che svela alla creatura la sua condizione a immagine. Maria è modello alla chiesa proprio nel riconoscere il suo statuto di creatura con ciò attestando la sovranità di Dio, di cui pure è partecipe. Maria è modello nel comprendere e riproporre il mistero di Dio, mistero di amore compassionato, domanda inesausta di comunione e di incontro.
c) Al Creatore che ci ricrea e ci restituisce alla dignità primigenia è dovuta l'obbedienza della fede. Maria è modello alla comunità credente nell'attitudine cultuale che connota la creatura il cui grazie è lode del Creatore. La preghiera di Maria è lode, intercessione, offerta di sé, domanda incessante. In lei il progetto di Dio che ci vuole sacerdoti consacrati al suo nome è modello perfettamente realizzato. La chiesa non può che essere interpellata dalla qualità dell'assenso, dell'offrirsi di Maria. La sua presenza ai piedi della croce ha perciò una valenza propriamente cultuale. In ciò ella è modello al popolo messianico, interamente sacerdotale, che nella lode di Dio trova la sua ragion d'essere e con essa rompe il diaframma della distanza e della separazione.
d) E finalmente del popolo messianico Maria condivide la statura profetica. Ella è voce che canta le meraviglie che Dio ha operato nella storia. Voce che attesta quanto in lei si è compiuto (cf. Lc 1,46b-55). Il suo dire franco e diretto, il suo sapiente rileggere la storia, il suo pensare il futuro, sono altrettanto modello alla chiesa, nel suo saper/dover discernere i segni dei tempi, giudicare con rettitudine i doni a lei elargiti, condurre le sue stesse membra alla compiutezza di senso di un cammino sovente tormentato e oscuro. A fronte dei facili compromessi, delle scelte accomodanti, delle fughe pacificanti verso quanto è, se non comodo, almeno indolore, si leva la voce della Madre del Signore, il suo profetizzare scenari inauditi di giustizia e pace, di compiuta realizzazione del progetto di Dio.
e) Una spiritualità cristiana, una spiritualità dell'«unzione», può dunque ispirarsi a Maria, assumerla come referente, come modello. Ma così facendo in realtà l'assume come modello e dover essere della chiesa e dunque come modello e dover essere del credente. Se Maria ha senso per il popolo cristiano è propriamente per questo suo emblematico riproporne la vocazione e il destino. Anzi, Maria è ragione di consolazione e di allegrezza proprio nel mostrarci compiuta sino in fondo la vocazione, la dignità a cui siamo stati chiamati per Cristo e nello Spirito.

Bibliografia
MILITELLO C., Una spiritualità per l'oggi: il modello mariale, in Credere Oggi 24 (4/2004) n. 142, pp. 103-113; ID., La Chiesa, il corpo crismato, EDB, Bologna 2003; ID., Maria con occhi di donna, Piemme, Casale Monferrato 1999; PERETTO E.(ed.), La spiritualità mariana: legittimità, natura, articolazione. IX Simposio internazionale mariologico (Roma, 3-6 novembre 1992), Ed. Marianum, Roma 1994; AMATO A., Il problema della spiritualità mariana. Introduzione al dibattito attuale, in PERETTO (ed.), La spiritualità mariana, cit., pp. 38-39; ROCCHETA C., Per. una teologia della corporeità, Edizioni Camilliane, Roma 1990; SANTISO PORCILE M. T., La donna spazio di salvezza, EDB, Bologna 1994; ID., Verso una teologia del corpo della donna, in La donna. Memoria e attualità, vol. 1, LEV, Città del Vaticano 1999, pp. 63-114; MOLTMANN WENDEL E., Il mio corpo sono io. Nuove vie della corporeità, Queriniana, Brescia 1998; AA. VV.,  Il corpo nelle religioni, fascicolo monografico di Concilium 38 (2002); MORMONI B. (ed.), Antropologia cristiana. Bibbia, teologia, cultura, Città Nuova, Roma 2000; VALENZIANO C., Spiritualità cristiana è... Introduzione al corso di spiritualità liturgica, Note per il PIL, Roma 2000;  PAOLO VI., Esortazione apostolica Marialis cultus, n. 34-38, in EV 5, pp. 64-69; ID., Discorso presso il Santuario della Madonna di Bonaria del 24 aprile 1970, in Acta Apostolicae Sedis 62 (1970), pp.300-301; GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redeniptoris Mater, n. 2, in EV 10, pp. 1275-1277.

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