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  Criteri precisi per valutare le apparizioni mariane 
MariofanieArticolo del Prof. Salvatore Maria Perrella pubblicato dall'Osservatore Romano il 4 settembre 2008

Le relazioni generali al ventiduesimo Congresso mariologico mariano internazionale indetto dalla Pontificia Accademia Mariana (Pami) a Lourdes (4-8 settembre) sono state dodici; mentre quelle divise nelle 14 sessioni linguistiche particolari pronunciate nel pomeriggio sono state 150, ove il tema mariofanico è stato affrontato dando particolare attenzione al dato inculturato; meritano inoltre di essere segnalate le due sezioni ecumeniche, una appartenente alla Society of the Blessed Virgin Mary, l'altra, secondo tradizione, propria di ogni congresso mariologico internazionale. Hanno partecipato al congresso 175 relatori provenienti da trentacinque nazioni diverse e di tutti i continenti, compresa l'Oceania, mentre gli iscritti sono stati 450. Il fatto della presenza delle mariofanie nel vissuto della Chiesa (e non solo, vista l'odierna pervasività mediatica) e l'esigenza di una loro ricezione significativa nel cammino cristiano non solo specificamente cattolico, ma ecumenico, sono state le coordinate su cui il congresso si è sviluppato. Dalle relazioni generali, dal punto di vista storico-teologico, è emerso come le apparizioni, specialmente quelle mariane, hanno sempre incuriosito e attirato l'attenzione di credenti. Ma è soprattutto nei tempi moderni e contemporanei che questi fenomeni hanno subìto una straordinaria lievitazione, tanto che si parla di "inflazione del miracoloso" (J. Honoré) e di "proliferazione di apparizioni" (R. Laurentin). Dinanzi a questi persistenti fenomeni gli interrogativi, le reazioni, le ansie, gli studi, i giudizi, le aspettative e gli atteggiamenti sono tanti e diversi; la stessa Chiesa nel suo magistero pastorale è intervenuta e interviene per compiere una doverosa e rigorosa opera di discernimento per separare il "grano dalla pula". Grazie all'antropologia teologica, su cui ci si è soffermati ricavandone dei criteri, si distinguono visioni esteriori (sensibili o corporee), visioni spirituali o immaginative (senza immagini esterne), visioni intellettuali (senza dipendenze sensibili o immagini interiori) e optando per la visione esteriore, cui lega il termine apparizione (che suppone la presenza sensibile) distinto dal termine visione (che non implica la presenza sensibile), si può descrivere in che cosa consista un'apparizione. Posta tale descrizione/definizione delle apparizioni, va notato come esse si situino in alcuni particolari snodi della storia come forte potenziale di risposta ai problemi religiosi (e, per ricaduta, sociopolitici) in essa presenti: ciò costituisce un primo e fondamentale criterio ermeneutico per la comprensione del fenomeno suddetto. Un secondo criterio ermeneutico può essere ritrovato grazie all'articolazione dell'identità e della differenza: le apparizioni, cioè, presentano una sequenza che rimane inalterata ("presenza-visione-messaggio") ed elementi in continua mutazione (le persone dei veggenti, la loro collocazione ecclesiale e sociale, le loro modalità di percezione dell'avvenimento, la collocazione delle apparizioni in luoghi e orari diversi). Un terzo criterio ermeneutico è costituito dalla duplice struttura comunicativa che l'apparizione possiede: la forma privata-personale, che rimane nell'ambito della soggettività privata del beneficiario; la forma pubblica-generale, che comporta un messaggio per la società da annunciare pubblicamente, messaggio che pertanto trascende la soggettività privata del beneficiario in quanto diretto alla configurazione storica della comunità cristiana dinanzi all'esigenza di testimonianza della fede. Un quarto criterio ermeneutico è la connessione delle apparizioni con le modalità di comunicazione divina attestate dalla Rivelazione in quanto storia della salvezza: esse ne costituiscono una modalità che, cristologicamente strutturata, non appartiene solo al passato della comunità credente, ma anche al suo presente (e al suo futuro). Il quinto criterio ermeneutico è la connessione dell'apparizione con il carattere escatologico dell'esperienza di fede, in particolare con il segno miracoloso nella duplice funzione di memoria attualizzante dell'attività del Gesù terreno e di attesa fiduciosa della definitiva manifestazione della signoria del Risorto mediante la realizzazione dei nuovi cieli e della nuova terra. Un sesto e ultimo criterio emerso nelle relazioni è costituito dalla struttura incarnazionistico-staurologica delle apparizioni: come nell'Incarnazione e nella crocifissione-morte del Figlio, Dio sceglie ciò che nel mondo è nulla (i veggenti, di norma poveri ed emarginati, soprattutto nelle mariofanie dell'epoca moderna) per fare spazio, nello Spirito, all'annuncio della predicazione (cfr. Matteo 11, 25; Prima lettera ai Corinti 1-4). Dal punto di vista teologico-giuridico in ordine al discernimento ecclesiale delle mariofanie, è primariamente e originariamente impegnata l'autorità e il servizio del vescovo diocesano, a cui possono seguire eventuali coinvolgimenti della Conferenza episcopale e, in ultima istanza, della Congregazione per la Dottrina della Fede. L'intervento dell'autorità pastorale nella Chiesa deriva dal fatto che le "rivelazioni private", di cui le apparizioni sono una manifestazione, fanno parte del libero dispiegarsi e offrirsi della libertà divina di ricapitolare tutto nel Cristo, pienezza definitiva della Rivelazione; e come tali sono affidate al discernimento della Chiesa proprio in virtù della sua vocazione testimoniale nell'efficacia dello Spirito. Posta tale irrinunciabile premessa, sulla base della rodata giurisprudenza ecclesiastica sancita dai Concili Lateranense v e di Trento, nonché dalle indicazioni dell'Opus de Servorum del cardinale Prospero Lambertini, non si può non riferirsi in tale itinerario di ricerca ecclesiale sull'autenticità o meno dei fenomeni in questione, alle Normae per il discernimento emanate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1978, che oltre a sancire le tradizionali affermazioni constat de supernaturalitate e constat de non supernaturalitate, nella Nota praevia del documento apre alla possibilità di una via mediana. La consuetudine magisteriale (Concilio Lateranense v, Concilio di Trento), cui le Normae non aggiungono nulla in più, e la prassi della Congregazione per la Dottrina della Fede suggeriscono autorevolmente al vescovo di ricorrere all'ausilio di una commissione di esperti nel processo di valutazione, ribadendo comunque che il ruolo di tale commissione rimane consultivo. Le Normae esaminano poi in sequenza: il ruolo delle Conferenze episcopali; il ruolo della Congregazione per la Dottrina della Fede, e della giurisdizione universale del vescovo di Roma (che interviene su richiesta del vescovo diocesano, su richiesta di un gruppo qualificato di fedeli che non voglia attentare alla comunione gerarchica e perciò in grado di porre tale richiesta in maniera legittima, per motu proprio in casibus gravioribus che concernono una grande parte della Chiesa - sempre e comunque sentito l'ordinario del luogo e, se è il caso, la rispettiva Conferenza episcopale - al fine dell'approvazione dell'operato del vescovo diocesano - non dell'apparizione in quanto evento fattuale - o dell'indizione di un nuovo studio del fatto, il cui esito spetterà comunque all'ordinario del luogo emanare di sua propria autorità nei tempi e modi che saggezza e prudenza riterranno necessari). Dal punto di vista squisitamente mariologico, non si può non rilevare la differenza fondamentale che sussiste tra la risurrezione di Gesù e l'assunzione di Maria, sia a livello di fatto che di significato: la prima è un segno eclatante riconosciuto da testimoni, mentre la seconda non è un segno quanto piuttosto la pura affermazione della fede, divenuta oggetto di fede a causa della molteplicità di segni offerti nell'evento Cristo. Non a caso esse vengono designate con nomi diversi, proprio a sottolineare sia l'unità che la differenza che le lega. Non si può non sostare, inoltre, sulla delicata questione riguardante il rapporto tra liturgia e mariofanie; un tema ancora da studiare e da approfondire pienamente. Da questo punto di vista è emerso che, partendo dalla constatazione di come nell'attuale Calendario romano generale promulgato nel 1969 da Paolo vi, vi sono tre memorie mariane che prendono origine da tre diverse mariofanie (Lourdes, 11 febbraio; Fatima, 13 maggio; Guadalupe, 12 dicembre) e che, mentre la liturgia è celebrazione per ritus et praeces dell'opus salutis, le apparizioni mariane riguardano piuttosto il campo delle rivelazioni private che non impegnano l'assenso di fede dovuto solo al depositum fidei, è doveroso porsi una triplice domanda: - la configurazione del rapporto tra celebrazione liturgica e memoria liturgica afferente ad una mariofania; - l'oggetto della celebrazione; - il senso di quanto viene celebrato. La risposta alla prima domanda viene costruita a partire dal rapporto che intercorre tra lex credendi e lex orandi; quella alla seconda domanda, a partire dalla teologia liturgica manifestata dai formulari eucologici propri alle singole memorie; la risposta alla terza, a partire dalla semantica emergente dalla teologia liturgica delle singole memorie liturgiche. Il rapporto tra lex credendi e lex orandi manifesta il movimento catabatico-anabatico della storia della salvezza: all'azione di Dio si unisce la risposta umana nella fede. La liturgia è celebrazione del mistero pasquale in Ecclesia, dal momento che il mistero pasquale è culmine dell'intera rivelazione del Dio Unitrino: ciò significa che la liturgia è celebrazione che si compie nella fede, dal momento che il mistero pasquale è chiamata-appello alla fede e solo nella fede può essere ricevuto e vissuto. La liturgia allora, in quanto celebrazione del mistero pasquale nella fede, non può eludere le differenti forme in cui la fede si incarna, prima fra tutte la testimonianza: ciò che viene celebrato (depositum fidei) non può essere isolato da tutto ciò che ne costituisce approfondimento e proposta. È a questo livello che si pone il rapporto con la testimonianza evangelica emergente dagli eventi mariofanici: in quanto rivelazione privata da non confondere con il depositum fidei, le apparizioni costituiscono appunto un approfondimento testimoniale ecclesiale della salvezza definitivamente compiuta nel mistero pasquale del Signore nel concreto della storia (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 67; Compendio 10). A questo titolo, esse rientrano nella celebrazione liturgica in quanto espressione della fede con cui la comunità risponde alla chiamata-appello alla fede da parte del suo Signore crocifisso e risorto. Il tema mariofanico interpella anche le altre Chiese cristiane, per cui l'ecumenismo non è estraneo a tale problematica. Nell'ambito del congresso di Lourdes, il prof. Flemming Fleinert-Jensen, appartenente alla tradizione riformata luterana, ha inserito le mariofanie (e Lourdes in particolare) nel quadro degli eventi testimoniali, domandandosi di conseguenza come possa venire compresa (e accettata-accolta) l'autorità del testimone, soprattutto quando si tratta di qualcuno, come Bernadette, che non possiede alcuna autorità ecclesialmente o socialmente riconosciuta. Conformemente alla tradizione riformata, l'autore ha sottolineato come nulla possa essere detto dell'esperienza in sé vissuta dal testimone, appartenendo questa alla libera azione di Dio e pertanto indisponibile a qualsiasi tentativo di verifica umana. Si può dire qualcosa invece sul versante della conformità che intercorre tra la testimonianza resa dal testimone e la Scrittura biblica, unica norma della fede. Ma non è possibile separare la testimonianza resa dal testimone dagli effetti che essa ha provocato: la conformità con la Scrittura e la sua attestazione mariana va perciò ricercata anche in questa storia degli effetti.


SALVATORE MARIA PERRELLA (©L'Osservatore Romano - 28 settembre 2008)


Inserito Giovedi 27 Agosto 2009, alle ore 23:45:02 da latheotokos
 
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