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  Come una lampada accesa: Paolo VI e il culto mariano 
Magistero

Un articolo di Corrado Maggioni in L'Osservatore Romano di venerdì 21 novembre 2014, p. 4.



Indirizzata a tutti i vescovi il 2 febbraio 1974, l’esortazione apostolica di Paolo VI Marialis cultus fu avvertita come «la parola giusta, detta al momento giusto, nel modo giusto». Redatta con uno stile semplice, pur affrontando argomenti complessi, aveva attraversato cinque stesure, tre anni di lavoro, il parere di numerosi esperti coordinati da Ignazio M. Calabuig e soprattutto il diretto coinvolgimento del Papa in ogni sua fase. Presentata il 22 marzo da Jean Galot, apparve in latino e italiano su L'Osservatore Romano del 23 marzo, illustrata con opere da Cimabue ad artisti contemporanei, con immagini mariane dal Giappone, Cina, Vietnam, Corea, Nigeria.
Una figura concretissima quella di Maria di Nazaret, eppure davvero universale, poiché non si può dire con integrità il mistero di Cristo, senza dire della Vergine che lo ha generato per far fare Pasqua al mondo intero. In un momento storico difficile, tra opposte tendenze, il documento di Paolo VI fu come l’accensione di una lampada che aiutò tutti a vedere meglio il posto di Maria nella pietà liturgica e non:
- gli scettici trovarono convincenti indicazioni per una fondata pietà mariana;
- i sostenitori vi trovarono la sintesi di quanto avrebbero voluto dire sulla comunione orante con la Madre di Cristo e della Chiesa;
- i timidi vi trovarono validi motivi per una riscoperta della presenza viva di Maria nel mistero del culto cristiano;
- i nostalgici vi trovarono la spiegazione che col rinnovamento liturgico nulla si era inteso togliere alla Madre di Dio, ma solo purificare affinché risplendesse meglio ciò che doveva brillare;
- i fanatici vi trovarono indicati i limiti di una corretta e fruttuosa devozione alla Vergine santissima;
- gli ostili, infine, vi trovarono il necessario richiamo a stimare, nella preghiera comune e personale, la compagnia e l’esempio di Maria.
Era un momento storico difficile per la pietà mariana. Il nodo principale era già stato sciolto dal Vaticano II che, superando l’idea di una trattazione autonoma su Maria, aveva optato per inserirla nella costituzione sulla Chiesa. Si trattava tuttavia di recepire tale prospettiva nel tessuto vitale. Normale, dunque, sperimentare una crisi mariana, in vista di un rinnovato percorso. Nessun concilio ha riflettuto su Maria come il Vaticano II, toccando anche l’aspetto cultuale. Penso alla Sacrosanctum concilium, dove (103) si esplicita il principio fondante il binomio Maria e liturgia: l’insistenza in passato cadeva piuttosto sul fatto del culto per la Madre di Dio, senza spiegarne tuttavia perché e come si innesti nella liturgia. Due sono i dati evidenziati: l’indissolubile vincolo di Maria con l’opera salvifica di Cristo, perennemente attualizzata nell’azione liturgica, e il risvolto ecclesiale della venerazione di Maria, giacché purissima immagine della Chiesa. Superando l’idea di un culto mariano parallelo a quello di Cristo, la Sacrosanctum concilium lo riconduce nell’unica celebrazione del mistero di Cristo e della Chiesa. Si pensi poi all’ottavo capitolo della Lumen gentium: contemplare Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa, dentro l’economia della salvezza, radicata nelle Scritture, ha permesso di ricomprendere anche il culto a lei riservato, distinto in liturgico e altre forme cultuali.
Paolo VI aveva già promulgato il rivisto Calendario romano generale (1969), il Missale Romanum (1970), con l’Ordo lectionum infimissae (1969) arricchito di testi biblici relativi a Maria, e anche la rinnovata Liturgia horarum (1971). Se non è mancato chi ha criticato come antimariana quella riforma liturgica paolina, si deve riconoscere che il riordino della memoria di Maria è stato conseguente ai principi conciliari. Serviva una lettura lucida e oggettiva della dimensione mariana della liturgia rinnovata. Proprio questo ha offerto la Marialis cultus, alla luce dei rinnovati libri liturgici, andando ben al di là dell’iniziale progetto di un documento sul rosario — non solo rosario o non più solo rosario, si diceva — dopo due encicliche brevi di Paolo VI per incoraggiarne la recita in maggio (Mense maio, 1965) e in ottobre (Christi matri, 1966) e dopo l’esortazione apostolica Signum magnum (1967) sulla venerazione e imitazione della Vergine Maria, nel venticinquesimo della consacrazione della Chiesa e del genere umano al suo cuore compiuta da Pio XII. Il Papa stesso lo esprime così nell’introduzione alla Marialis cultus: «Giudichiamo conforme al nostro servizio apostolico trattare, quasi dialogare con voi, venerabili Fratelli, alcuni temi relativi al posto che la beata Vergine occupa nel culto della Chiesa, già in parte toccati dal Concilio Vaticano II e da noi stessi, ma sui quali non è inutile ritornare, per dissipare dubbi e, soprattutto, favorire lo sviluppo di quella devozione alla Vergine che, nella Chiesa, trae le sue motivazioni dalla Parola di Dio e si esercita nello Spirito di Cristo».
Il desiderio sotteso non è soltanto di contrapporsi al “gelo mariano” di quel periodo, quanto di promuovere l’incremento del culto mariano, indicandone le poste in gioco, la strada maestra della liturgia, le dimensioni irrinunciabili, gli orientamenti da potenziare, i sentieri da percorrere per un sincero rinnovamento della pastorale e della vita spirituale. Conoscere, celebrare e sperimentare la presenza viva di Maria è formidabile fermento di efficacia pastorale per il rinnovamento del vivere in Cristo. E sono ancora di grande attualità le tre note e i quattro orientamenti indicati da Paolo VI per la pietà mariana, applicabili anche all’annuncio di Maria negli ambiti della evangelizzazione, della catechesi e della predicazione. Quale Maria annunciamo? Quella del Vangelo o quella suggerita da umano sentire? Quella venerata dalla Chiesa orante o quella disegnata da sensibilità soggettive? Una Maria più buona di Cristo, giudice impietoso? Misericordiosa più dell’Agnello immolato per noi? Una Maria “irraggiungibile” e perciò inimitabile, oppure una “maestra di vita spirituale” che ha percorso per prima la via “stretta ” della sequela di Cristo, dandoci l’esempio? Una santona a cui ricorrere per ottenere grazie a poco prezzo, oppure la «beata per aver creduto» sempre e comunque alle impossibili parole divine? Dopo quarant’anni, siamo davvero grati al beato Paolo VI per la chiarezza e l’incisività del suo insegnamento, riassumibile nel dire che la venerazione verso la Madre del Signore «è parte integrante del culto cristiano» (58). Eco di un’altra celebre espressione pronunciata dal Papa al santuario cagliaritano di Bonaria il 24 aprile 1970: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a lui ci conduce».

 

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Inserito Lunedi 1 Dicembre 2014, alle ore 11:32:43 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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