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  Principali dati dottrinali circa Maria nella tradizione protestante  
Riforma

Dal libro di Renzo Bertalot, Ecco la Serva del Signore. Una voce protestante, Edizioni Marianum, Roma 2002, pp. 25-32.



 

1. Mariologia

In area protestante è difficile adoperare il termine "mariologia" perché esso è eccessivamente carico del colore che gli sviluppi storici e dottrinali del cattolicesimo gli hanno conferito. L'incidenza dei dogmi, del culto e della devozione mariani ha complicato il vocabolario che si usa nel rapporti interconfessionali. Quando si parla di mariologia si dice qualcosa di più di un discorso su Maria ed è per questo che non troviamo un parallelismo accettabile nel settore della Riforma protestante. In ogni caso e per motivi di chiarezza è preferibile non servirsi dell'espressione quando ci si riferisce alle posizioni dottrinali delle chiese riformate.

2. I Valdesi nel secolo XII

Nel 1179, durante il pontificato di Alessandro III e le sedute del concilio Lateranense III, due valdesi, tra cui forse Valdo stesso, si recarono a Roma per esporre le caratteristiche del loro movimento e cercarne il riconoscimento ufficiale. Sottoposti ad un esame dottrinale, fu rivolta loro, dall'irlandese Walter Mapp, una serie di domande tra le quali rileviamo la seguente: «Credete nella madre di Cristo?». Essi risposero: «Vi crediamo». A questo punto l'assemblea scoppiò in una risata che suonò squalifica della preparazione teologica dei laici valdesi. Non era, infatti, concepibile che si usasse il verbo 'credere' se non in riferimento alla Trinità. Averlo usato, invece, nei confronti di Maria metteva in dubbio la capacità di servire la chiesa come predicatori del vangelo.1 Nelle difficoltà, che sorsero tra il movimento valdese e la chiesa cattolica, sembra, dunque, che la questione mariana giocasse un ruolo irrilevante sul piano dottrinale. Guardando, oggi, all'incidente di Roma del XII secolo, pare che i ruoli confessionali si siano addirittura invertiti nel corso della storia.

3. La Riforma Protestante

3.1. Lutero
Il commento al Magnificat del riformatore tedesco rimane il testo più significativo della posizione luterana riguardo alla figura di Maria. Lutero vi concentra la sua teologia sulla giustificazione per fede; gli altri temi vanno considerati partendo da questa prospettiva centrale che ne determina il carattere d'urgenza e di priorità. La questione mariana non è tra le più scottanti al XVI secolo. Bisogna, quindi, attingere da varie fonti alcune indicazioni che ci permettano uno sguardo sintetico della teologia soggiacente. La perpetua verginità di Maria non è messa in discussione, ma nessuno è obbligato a credervi. Quando la bibbia parla di "fratelli di Gesù", bisogna tenere presente che il termine 'fratello' aveva, allora, una portata molto più ampia di quella moderna. L'uso che ne fa la traduzione greca dell'AT, detta dei Settanta, è una chiara conferma, per Lutero, che non ci si può attenere rigorosamente all'uso diverso che noi ne facciamo. Maria è stata purificata e redenta dal peccato originale. Per quanto riguarda l'assunzione, il riformatore tedesco tace, con il NT, ma non esclude che il corpo di Maria sia stato trasportato in cielo dagli angeli. Esclude invece un parallelismo con l'assunzione di Cristo e questo con l'intenzione precisa di opporsi alla posizione cattolica. Per quanto riguarda i titoli mariani, Lutero non ha difficoltà a rivolgersi a Maria chiamandola «nostra madre», visto che Cristo è "nostro fratello". I credenti possono, quindi, definirsi "figli di Maria".Vi sono altri titoli mariani che vanno corretti ed altri ancora che devono essere eliminati. Si può dire, infatti, che Maria è "regina del cielo", ma bisogna stare in guardia contro le sempre possibili deviazioni idolatriche. Non si può, invece, parlare di Maria come "mediatrice" o "avvocata" perché sono titoli rigorosamente riservati al Cristo. Non è lecito costruire su Maria prendendo al Cristo il suo onore e la sua funzione per darli alla madre: significherebbe rinnegare le sofferenze del Signore. Si può dire che Maria prega per noi, senza, però, arrivare ad invocarla, perché in questo caso si farebbe un passo verso l'idolatria. In un primo tempo Lutero ha raccomandato la recita dell'Ave Maria, durante il culto, ma poi l'ha lasciata cadere. Nel suo commentario al Magnificat troviamo questa preghiera: «O beata madre, vergine degnissimo: ricordati di noi e ottieni che a noi pure il Signore faccia queste grandi cose». In seguito alla Riforma rimangono tre feste in onore di Maria, perché hanno un riscontro nel NT e una base cristologica. Esse sono l'Annunciazione, che diventa la festa dell'Incarnazione, la Visitazione, che è messa in rapporto con la venuta del Cristo, e la Purificazione, che diventa la festa della Presentazione di Gesù al tempio.

3.2. Calvino
Il riformatore di Ginevra sopprime tutte le feste mariane. Accetta il titolo "madre di Dio", conformemente al concilio di Efeso del 431, ma per motivi pastorali preferisce usare l'espressione "madre di Cristo". È infatti difficile di fronte ai non credenti e a livello popolare spiegare la differenza che corre tra madre divina e madre della divinità. La confusione sempre possibile non facilita certo la predicazione del vangelo. Calvino sostiene con molta forza la perpetua verginità di Maria. Commentando il passo di Mt 13,55ss afferma che i "fratelli di Gesù" non sono altri figli di Maria, ma tutti i parenti. Sostenere l'opposto significa, inoltre, dar prova di «ignoranza», di «folli sottigliezze» e di «abuso della Scrittura».

3.3. Zwingli
Il riformatore di Zurigo mantiene tre feste mariane e la recita dell'Ave Maria durante il culto.

3.4. I valdesi e la Riforma
Nel l532 il movimento valdese si affianca alla riforma ginevrina e si prepara a produrre le sue confessioni di fede seguendo le indicazioni delle chiese sorelle. Nella confessione del 1655, che è ancora quella attuale, troviamo al punto 15 della conclusione: «Perché non invochiamo la S. Vergine, e gli uomini già glorificati, siamo accusati di sprezzarli, mentre noi li stimiamo beati, degni di lode e d'imitazione; in particolare riteniamo la gloriosa Vergine benedetta su tutte le donne». Per rendere chiara la loro posizione fino in fondo ritengono anatema coloro che, contrariamente a quanto affermato, si lasciano andare e cedono al disprezzo.
Come abbiamo visto, la Riforma protestante affronta sporadicamente il problema mariano che rimane pertanto ai margini della discussione teologica. La preoccupazione essenziale sembra essere una rilettura cristologica della tradizione dalla quale Maria non emerge in modo spiccato dall'insieme dei testimoni biblici.  

4. I teologi del secolo XX

4.1. Linee generali
Dal sec. XVI al nostro tempo dobbiamo prendere atto che le teologie cattoliche e protestanti si sono sviluppate non solo seguendo ognuna le proprie vie, ma insistendo, il più delle volte, sulle loro contrapposizioni. Così, mentre da parte cattolica troviamo la promulgazione di altri due dogmi mariani, l'immacolata concezione e l'assunzione di Maria, nel protestantesimo notiamo un crescente abbandono della linea originale della Riforma. Si parla sempre meno di Maria e si teme che il cattolicesimo diventi sempre più espressamente una religione mariana. Quello che dov'essere detto di Maria va detto anche per i profeti e per gli apostoli, ognuno secondo la propria vocazione specifica, senza graduatorie di priorità. La riflessione teologica protestante non ha un corollario mariologico, che anzi viene energicamente rifiutato. Esso è considerato, prima del Vaticano II, non più come una spiegazione della regola cristologica, ma come una regola aggiunta (Jacques de Senarlens), come la «somma di tutte le eresie» e «un'ingratitudine a Cristo» (Roger Mehl). Anche dopo il Vaticano II Karl Barth ne parla come di «un ramo parassitario da potare» perché condannato a morte in partenza e «intimamente bacato». Negli scritti di Oscar Cullmann, Emil Brunner e Paul Tillich non sono posti in discussione i temi classici dell'argomento. Jurgen Moltmann ne accenna in una meditazione sul Magnificat, «la marsigliese della comunità cristiana», ma sostanzialmente non si discosta dalla posizione riformata tradizionale: Maria rimane allineata con gli altri testimoni biblici, anche se essa è «in maniera unica il compimento di un essere umano che viene reso letteralmente corpo materno del salvatore del mondo». Oggi non si può dire che vi siano ragioni di scontro sull'espressione "madre di Dio". Il termine è biblico (Lc 1,43). Le posizioni della Riforma sono confermate e si nota, fin dagli anni precedenti il Vaticano II, un consenso tra tutte le chiese cristiane. Giovanni Miegge lo esprimeva, allora, richiamandosi - lui valdese - alle parole stesse di G. Roschini, noto mariologo cattolico. «Se guardiamo bene, le formule "madre di Cristo" e "madre di Dio" sono sinonimo, e significano una sola e stessa cosa. La beata Vergine, infatti, non è detta "madre dí Dio" in quanto generò la divinità o la natura divina del Verbo (ciò sarebbe eretico), ma perché generò l'umana natura assunta dal Verbo nell'unità della persona, ossia perché generò secondo l'umanità una persona avente l'umanità e la divinità».

4.2. Max Thurian
Come eccezione all'impostazione protestante odierna della riflessione su Maria, bisogna ricordare la scuola di Taizé. A differenza del mondo protestante, in genere, e, forse, in assonanza con altri orientamenti, sorti nelle nuove forme di vita comunitaria, la ricerca su Maria è corroborata dalla presenza di icone e dalla recita dell'Ave Maria. Questi tentativi hanno avuto senz'altro il merito di rompere il silenzio e di cercare le premesse per un dialogo ecumenico. Tra i teologi che si sono particolarmente impegnati in questa direzione va ricordato Max Thurian. Il suo libro Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa3 è stato ampiamente apprezzato nell'area cattolica, ma non ha goduto dello stesso consenso nel mondo della Riforma. Le sue conclusioni sono eccessivamente basate sull'allegoria e non trovano, ad occhi protestanti, un supporto sufficiente al momento della verifica con i testi del NT. Egli vede, per esempio, come primo anello di una lunga catena, un titolo di Maria nell'espressione biblica «figlia di Sion». Già da un punto di vista linguistico potrebbero sorgere grosse riserve non appena si fa il confronto con altri modi di esprimersi che sono simili: «figlia di Babilonia» (Is 47,1), «figlia dei caldei» (Is 47,5), «figlia d'Egitto» (Ger 46,11). Si tratta molto probabilmente di formule idiomatiche per indicare la città o la nazione. Inoltre non sempre la bibbia parla della «figlia di Sion» in termini positivi o riferibili a Maria (Is 1,8; 3,16). Infine il NT non conosce esplicitamente l'applicazione di questo titolo a Maria. Il Signore se ne serve per indicare la città di Gerusalemme (Gv 12,15; Mt 21,5). Gli apostoli ignorano il parallelismo e ne adoperano altri come «Gerusalemme celeste» o Sara (Gal 4,21-31). Questi limiti dell'opera di Max Thurian rischiano di controbilanciare i meriti e non facilitano il richiamo dell'attenzione teologica protestante.

4.3. Karl Barth
Sono pochi i teologi che hanno inciso così fortemente sulla teologia della nostra epoca come K. Barth. Il suo pensiero ha suscitato consensi e nuovi orientamenti ben al di là della propria confessione riformata. Per quanto  riguarda il nostro tema egli non si discosta sostanzialmente dalla tradizione generale del protestantesimo. Non ammette una mariologia perché passa accanto alla Maria reale. Non la ritiene determinante neppure per il rinnovamento cattolico avviato con il Vaticano II. Egli ci offre, tuttavia, il materiale teologico necessario per iniziare un discorso più rigoroso. La Scrittura dice che tutti noi siamo stati «ribelli» e «per natura meritevoli d'ira, come gli altri» (Ef 2,3). Per Barth, Maria non fa eccezione e i padri lo confermano dicendo che tutta la natura umana è condannata. A Natale, tuttavia, assistiamo ad un fatto nuovo che Barth interpreta in assonanza con alcuni teologi cattolici. Giuseppe, come maschio, come rappresentante della storia e dell'iniziativa dell'uomo, è scartato dall'agire di Dio. Maria, invece, come donna rappresentante dell'umanità nel suo insieme, è visitata dall'alto. È nella giustificazione e nella santificazione che la natura umana, compresa quella di Maria, viene strappata alla sua fatalità e resa degna di Dio.
Detto questo, Barth fa un parallelo tra Israele e Maria. Entrambi sono "ammessi" e "accolti" per essere uniti al Figlio di Dio; confermano l'opera di Dio senza concorrervi. La loro esistenza è perciò privilegiata, che lo sappiano o no. Il loro essere è illuminato dal Regno, che si è avvicinato in Cristo, ed è orientato in modo preciso da questa determinazione. Sono beati in quanto è dato loro di sapere. Maria, infatti, crede, perché è colmata di grazia. Non v'è nulla di più grande dello sguardo di Dio rivolto alla "bassezza" di Maria. Ciò che è vero per lei è vero per noi. La nostra vocazione è di essere al suo fianco: di lasciar fare a Dio. Maria è una parabola della chiesa, è «l'esempio di una cristianità che serve unicamente e chiaramente il Signore», «che coopera con lui esclusivamente sotto forma di servizio». All'inizio della sua monumentale dogmatica Barth parla di una presenza passiva di Maria, sottolineando il miracolo di Natale, ma alla fine della sua opera non esita ad affermare che nello Spirito Santo non siamo passivi, ma resi attivi e liberi.4 Non è una contraddizione all'interno del suo pensiero, ma un dire con chiarezza qual è il ruolo di Maria nell'iniziativa di Dio senza confondere l'uno con l'altra.

NOTE
1 A. MOLNAR, Storia dei Valdesi, vol. 1, Claudiana, Torino 1974, p. 18.
2 G. MIEGGE, La Vergine Maria, Claudiana, Torre Pellice 1950, p. 70.
3 M. THURIAN, Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1965.
4 K. BARTH, Dogmatique, Labor et Fides, Genèv, vol. 3, p. 182ss; vol. 20, p. 323ss; vol. 21, p.28; vol. 26, p. 20ss.

 

 

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Inserito Mercoledi 19 Ottobre 2016, alle ore 10:15:18 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
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