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  Francesco, papa mariano? 
Magistero

Un articolo di Alberto Friso in La Madonna di Castelmonte, luglio 2017, pp. 13-16.



«Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani», ha affermato papa Bergoglio a Fatima, citando il beato Paolo VI. La Vergine apparsa ai tre pastorelli sollecita a ravvivare e a fortificare la fede e a tenere un comportamento conseguente. Siamo tutti chiamati, infatti, a essere speranza gli uni per gli altri. È nostra vocazione!

Una data speciale

Il 13 maggio 1917 era… un 13 maggio qualsiasi in Portogallo. Certo, gli echi della sconvolgente prima guerra mondiale bussavano alle porte del Paese lusitano, ma senza toccarlo direttamente. Al conflitto non pensavano, sicuramente, quei tre bambini pastori, che avevano portato il gregge di pecore e capre a pascolare in un ampio prato – Cova da Iria si chiama (Conca della pace) – della famiglia di Lucia, la più grande dei tre. Era proprio un pascolo; quando si diffonderà la voce delle apparizioni della Madonna, i genitori di Lucia lamenteranno il calpestio di pellegrini e di curiosi che rovinava totalmente l’erba… Ma la Cova da Iria era destinata a ben altro che a pascolo e nessun 13 maggio successivo sarebbe più stato un 13 maggio qualsiasi. Non è stato certamente un giorno qualsiasi quest’anno, con l’attesissima ricorrenza del centenario della prima apparizione, con la presenza di papa Francesco e con la proclamazione solenne della santità dei due pastorelli e fratellini più piccoli, santa Giacinta e san Francesco Marto. Un record, il loro: mai la Chiesa aveva elevato agli onori degli altari bambini così piccoli che non fossero morti martiri. Per la terza pastorella, Lucia, l’unica a superare di molto l’infanzia (si è spenta quasi centenaria nel 2005), il processo di beatificazione procede spedito.

Fatima e papi

Negli ultimi cent’anni di storia, Fatima ha costruito un rapporto sempre speciale e nuovo con i papi che si sono succeduti sul soglio di Pietro. Alcuni più di altri, certamente. Pio XII, ad esempio, ebbe un ruolo chiave nella diffusione universale della devozione alla Madonna di Fatima. Autore di ben quattro encicliche mariane, tra le altre cose, il 4 maggio 1944 istituì la festa del Cuore immacolato di Maria. Nel 1950 ebbe la grazia speciale di vedere di persona, nei giardini vaticani, rinnovarsi il miracolo del sole, con le stesse modalità con cui il prodigio era avvenuto a Fatima il 13 ottobre 1917. Il suo successore, Giovanni XXIII, fu a Fatima quand’era patriarca di Venezia e lo stesso avvenne per Giovanni Paolo I. Gli altri papi vicini a noi si sono recati pellegrini al santuario portoghese da pontefici: Paolo VI nel cinquantesimo delle apparizioni (1967); Benedetto XVI per il decennale della beatificazione di Giacinta e Francesco (2010). Un discorso a parte merita Giovanni Paolo II, che «non era devoto a Maria, ne era innamorato», afferma lo scrittore cattolico Vittorio Messori. Il suo pontificato (oltre 26 anni) è stato il terzo più lungo della storia, ma avrebbe potuto finire dopo tre anni scarsi, se l’attentato del 13 maggio 1981 in piazza San Pietro, a opera del terrorista turco Ali Aðca, fosse andato a segno. Papa Wojtyla vide se stesso morente in quel «vescovo vestito di bianco» colpito a morte di cui si parla nel terzo segreto di Fatima, che egli stesso ha fatto divulgare nel 2000. Per grazia, «una mano materna deviò il colpo». Quella pallottola è ora incastonata, a imperitura memoria e per grazia ricevuta, nella corona della statua di Maria di Fatima.

Papa Francesco

Francesco è, o meno, un papa «mariano»? Lo è senz’altro, anche se in maniera diversa rispetto ai predecessori. «Ha una visione moderna della figura di Maria – precisa Vincenzo Sansonetti nel suo efficace Inchiesta su Fatima. Un mistero che dura da cento anni (Mondadori, Milano 2017) –: non è solo madre, ma sorella, amica, compagna di viaggio, sempre vicina a noi. Obbediente, umile e accogliente, ma anche coraggiosa e combattiva». L’attaccamento di papa Francesco alla figura della Vergine è «segnalato», del resto, già nel suo stemma pontificio, nel quale la stella in basso a sinistra è simbolo della madre di Cristo e della Chiesa. Veneratissime da lui le icone sudamericane di Maria – quelle di Aparecida e di Guadalupe su tutte –; ha, però, in un’immagine d’origine tedesca il suo più particolare riferimento: «la Madonna che scioglie i nodi». Devozione che, da arcivescovo (e cardinale), importò anche nella sua diocesi di Buenos Aires. Fortissimo, infine, il legame con Fatima. Non tutti sanno, o ricordano, poi, che il pontificato di Francesco è stato consacrato alla vergine Maria a Fatima con una solenne celebrazione alla Cova da Iria il 13 maggio 2013 su sua precisa indicazione, appena due mesi dopo la sua elezione a successore di Pietro. Cinque mesi dopo, Francesco consacrava personalmente il mondo a nostra Signora di Fatima. Nell’aneddotica, c’è anche una ricorrenza minore che lega a Maria la biografia del papa argentino: il 13 maggio 1992 mons. Jorge Mario riceveva la telefonata del nunzio apostolico che gli annunciava la nomina a vescovo ausiliare di Buenos Aires. Quando, durante la conferenza stampa di rientro dal Portogallo, glielo si è fatto notare, Francesco ha commentato: «Non ho pensato alla coincidenza; soltanto ieri, mentre pregavo davanti alla Madonna, mi sono accorto che un 13 maggio ho ricevuto la chiamata telefonica del nunzio, 25 anni fa. Sì. Non so…; ho detto: ma guarda!… E ho parlato con la Madonna un po’ di questo, le ho chiesto perdono per tutti i miei sbagli, anche un po’ del cattivo gusto nel scegliere la gente… [ride]».

Il vescovo Francesco vestito di bianco

Nella stessa conferenza stampa (purtroppo uscita sui giornali più per le parole su Medjugorje che su tutto il resto), Francesco si è un po’ schermito, quando gli è stato ricordato di essersi presentato come «il vescovo vestito di bianco», espressione che si riferisce alla visione dei pastorelli e che fa parte del cosiddetto terzo segreto. In effetti, il papa aveva usato quell’espressione il giorno prima, nella preghiera recitata nella cappellina delle apparizioni. «Cosa significa, adesso, la sua identificazione con questa espressione?», gli è stato chiesto. «Quella preghiera non l’ho fatta io, l’hanno preparata quelli del santuario e io l’ho letta. Ma anch’io mi sono chiesto: perché hanno detto questo? E c’è un collegamento sul bianco: il vescovo vestito di bianco, la Madonna vestita di bianco, l’albore bianco dell’innocenza dei bambini dopo il battesimo… C’è un collegamento in quella preghiera sul colore bianco. Credo, perché non l’ho fatta io; credo che, letterariamente, hanno cercato di esprimere con il bianco quel desiderio di innocenza, di pace». Personalmente, in vista di questo centenario, ho avuto modo d’intervistare per il «Messaggero di sant’Antonio» la postulatrice della causa di canonizzazione dei piccoli Francesco e Giacinta, suor Ângela de Fátima Coelho, giovane religiosa dell’Aliança de Santa Maria. Tra le altre, lo ho rivolto questa domanda: «Il vescovo vestito di bianco del terzo segreto è stato certo san Giovanni Paolo, ma poi è stato Benedetto XVI nei grandi contrasti incontrati, e oggi è Francesco, alle prese con la terza guerra mondiale a pezzi e le sofferenze di tanti martiri. È un’interpretazione condivisibile?». Suor Ângela mi ha risposto: «Sì. Io penso sia proprio così. Quando Benedetto XVI diceva che la dimensione profetica di Fatima non è conclusa, significa che, certo, tutto è stato rivelato, ma non tutto è compiuto. È quanto accade, con le differenze teologiche del caso, con la sacra Scrittura. La Parola rimane attuale, lo era quando è stata pronunciata e lo è ancora oggi. Così, fa parte della storia il camminare dietro al papa come popolo di Dio, il camminare verso la croce, la sofferenza della Chiesa… L’attentato a Giovanni Paolo II non esaurisce tutto il significato profetico della visione. Dove c’è un papa che soffre, dove c’è una Chiesa che cammina attraverso le rovine della società, dove Cristo è la meta della storia, il segreto è aperto. La figura del papa è decisiva nell’ “evento Fatima”, sia per la terza parte del segreto, sia per tutta la dinamica del messaggio; egli è il “vescovo vestito di bianco”, come lo chiamò suor Lucia. In quest’angolo del Portogallo si prega per il papa da cento anni, ogni giorno. Hanno iniziato Francesco, Giacinta e Lucia; continuano migliaia di pellegrini. Sempre qui, alla Cova da Iria, il papa è amato, ascoltato e si prega per lui. Fatima è stata di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e ora aspetta Francesco. Non conta il nome, per noi è il santo padre: lo amiamo».

Quale Maria preghiamo?

Quanto abbiamo delineato finora trova conferma nelle parole pronunciate da papa Francesco a Fatima. Non sono state molte; oltre alla preghiera di cui si è detto, preparata dai responsabili del santuario, c’è stato il saluto alla benedizione delle candele – la sera del 12 – e l’omelia alla messa della canonizzazione sabato 13, alla quale è seguito il saluto ai malati. Alcuni passaggi ci provocano nel profondo e ci consegnano precise domande. La prima: quale Maria preghiamo? Ecco papa Francesco: «Pellegrini con Maria... Quale Maria? Una maestra di vita spirituale, la prima che ha seguito Cristo lungo la “via stretta” della croce donandoci l’esempio, o, invece, una Signora “irraggiungibile” e, quindi, inimitabile? La “Benedetta per avere creduto” sempre e in ogni circostanza alle parole divine (cf. Lc 1,42.45), o, invece, una “santina” alla quale si ricorre per ricevere dei favori a basso costo? La vergine Maria del vangelo, venerata dalla Chiesa orante, o, invece, una Maria abbozzata da sensibilità soggettive, che la vedono tener fermo il braccio giustiziere di Dio pronto a punire: una Maria migliore del Cristo, visto come giudice spietato; più misericordiosa dell’Agnello immolato per noi? Grande ingiustizia si commette contro Dio e la sua grazia, quando si afferma, in primo luogo, che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre, come manifesta il vangelo, che sono perdonati dalla sua misericordia!». Molto importante anche la citazione che Francesco ha fatto di Paolo VI: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani». E, in quanto tali, abbiamo una speranza: «Quando Gesù è salito al cielo, ha portato accanto al Padre celeste l’umanità, la nostra umanità, che aveva assunto nel grembo della vergine Madre e che mai più lascerà. Come un’ancora, fissiamo la nostra speranza in quella umanità collocata nel cielo alla destra del Padre (cf. Ef 2,6). Questa speranza sia la leva della vita di tutti noi! Una speranza che ci sostiene sempre, fino all’ultimo respiro». Una speranza che è anche responsabilità, perché Dio «ci ha creati come una speranza per gli altri, una speranza reale e realizzabile secondo lo stato di vita di ciascuno. Nel “chiedere” ed “esigere” da ciascuno di noi l’adempimento dei doveri del proprio stato (Lettera di suor Lucia, 28 febbraio 1943), il cielo mette in moto qui una vera e propria mobilitazione generale contro quest’indifferenza, che ci raggela il cuore e che aggrava la nostra miopia. Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita».

Radicati in Cristo, saldi nella fede!

Tali mobilitazione, conversione, sequela di Gesù alle quali Maria ci spinge anche da Fatima sono quanto mai urgenti e impellenti, non sovrapponibili a nessun’altra emergenza umana, fosse anche la malattia (l’ha ricordato Francesco agli ammalati). E se fossimo nel dubbio, ci sveglia con una sberla l’attualità. Un’ultima notizia che riguarda l’argomento Fatima arriva in redazione proprio mentre stiamo chiudendo il pezzo, a opera dell’agenzia di stampa «Asianews »: il 13 maggio, proprio nel centenario delle apparizioni, è stata consacrata nel cuore dell’India, a Godamakunta (villaggio di Keesara, diocesi di Hyderabad) una chiesa dedicata alla Madonna di Fatima. Qualche giorno dopo, una folla di un centinaio di persone è entrata nella struttura distruggendo tutti gli arredi e, in particolare, le statue della santa Vergine e di Cristo crocifisso. Sembra che alla base della protesta, sfociata nell’aggressione, ci siano dispute territoriali tra residenti, ma ciò non toglie molto alla gravità dell’accaduto. Mons. Thumma Bala, arcivescovo di Hyderabad, ha commentato: «Questo atto di dissacrazione e di vandalismo, con la distruzione delle statue ferisce in modo profondo i sentimenti religiosi della comunità cattolica. Siamo molto addolorati». Mi sembra che anche questo, che, pure, resta un episodio, sia un monito nella direzione già indicata da Benedetto XVI: si illuderebbe chi pensasse che la portata profetica dei messaggi di Maria a Fatima si sia conclusa con il Novecento. La vita e la fede restano un tempo di battaglia, da affrontare con fermezza e con costanza, dando spazio e rilievo al buono che c’è e respingendo il male, che non è l’antitesi del bene, bensì il suo tumore.

 

Inserito Mercoledi 6 Settembre 2017, alle ore 12:58:18 da latheotokos
 
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