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  Precisazioni teologiche sui dati dell'evento Fatima 
MariofanieUn articolo di Stefano de Fiores su Madre di Dio del 1 gennaio 2008

La teologia oggi si allontana dal semplice «discorso su Dio», per diventare riflessione critica e sistematica sulla fede ecclesiale o sulla prassi storica, che include tutto il complesso della rivelazione che viene accolto e creduto come viene veicolato dalla Chiesa. La teologia cerca l’intellectus fidei (comprensione della fede, evidenza) dell’unica verità di Dio nei suoi riverberi (verità o articoli di fede). La Congregazione per la dottrina della fede puntualizza che la teologia è fonte di luce attinta dalla rivelazione: «La teologia è fonte di autentica novità e di luce per gli uomini di buona volontà».

Conferma del principio della luce di Dio 

Purtroppo questo riferimento essenziale a Dio come luce della teologia non è sempre esplicitato, per cui può avvenire che il Catechismo della Chiesa cattolica faccia spesso riferimento alla luce divina, senza però abbinarla alla teologia. Ciononostante la teologia odierna, pur non sottolineando la luce che viene da Dio e che è Dio stesso (come invece ha accentuato Lucia nelle sue memorie), lo fa in modo equivalente quando pone l’enfasi sulla parola di Dio, riconosciuta «prima norma che la dogmatica deve far valere come criterio di validità di qualsiasi discorso su Dio» e quindi fonte di una conoscenza superiore di ogni realtà.

In campo mariologico possiamo notare due coincidenze e approfondimenti delle accentuazioni di Fatima.

Innanzitutto si evita una mariologia parascritturistica, per impostare il discorso su Maria in prospettiva storicosalvifica, cioè alla luce della parola di Dio: «Oggi, dopo la riscoperta conciliare della Bibbia come "anima della sacra teologia" (Dei verbum 24; cf Optatam totius 16), la Scrittura non può essere lasciata nell’atrio della mariologia, né venire in qualche modo strumentalizzata in una direzione prestabilita. Il nuovo discorso su Maria dovrà essere strutturalmente biblico, cioè intrinsecamente animato dalla parola di Dio».

Anzi, procedendo sulla linea biblica si scopre Maria nella storia della salvezza, ma anche la storia della salvezza, con i suoi theologoumena (affermazioni teologiche) o modi di agire di Dio, in Maria. La Madre di Gesù non si può comprendere al di fuori della luce di Dio, ossia della divina rivelazione. Dio manifesta in Maria la sua sapienza che trascende la logica umana: «Maria ci eleva al piano di Dio e alla sua sapienza infinita e paradossale, che non solo rende possibile l’impossibile mettendo insieme maternità e verginità, ma anche rovescia i miopi e ingiusti criteri umani mostrando la sua predilezione per i poveri e gli emarginati della società. Il Magnificat, che rappresenta la protomariologia della Chiesa, applica a Maria lo schema pasquale dell’abbassamento-esaltazione: «Ha guardato alla sua povera serva e ha fatto in me grandi cose [...]. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,47-48)».

Lo stato celeste di Maria

In secondo luogo, la mariologia, pur mostrando chiare preferenze per la vita terrena di Maria, umanizzando la sua persona, passa progressivamente alla considerazione dello stato celeste di Maria che include la categoria dello splendore o della gloria.

Orbene in base all’analogia con Cristo risorto, libero dai condizionamenti della materia, delle leggi del tempo e dello spazio (cf Gv 20,19.26; Lc 24,16), e «ultimo Adamo» che «divenne spirito datore di vita» (1Cor 15,45), per grazia di suo Figlio, Maria partecipa alla condizione del corpo "pneumatico" (=spirituale). In particolare risplende anche in lei la nota che qualifica il corpo risorto di Cristo: la gloria (Lc 24,26; Eb 2,9; Fil 3,21; Col 3,4), cioè «la presenza attiva e luminosa di Dio e del Signore».

Attribuendo a Cristo un «corpo glorioso» (Fil 3,21) si intende affermare la sua partecipazione a quella «gloria di Jahvè» di cui parla l’Antico Testamento e che indica la sfera di purezza trascendente, di luce, potenza e vita. È la gloria luminosa cha ha accecato Saulo sulla via di Damasco (At 22,11) e la luce taborica che faceva risplendere «come il sole» (Mt 17,2) il volto di Gesù e che sarà comunicata ai giusti (Mt 13,43). Nel suo contenuto dinamico la gloria ricorda le tre forme di azione di Dio nei riguardi del suo popolo: assistenza, guida e rivelazione.

Similmente applicando a Maria assunta la dottrina paolina sui corpi risuscitati, si attribuisce al suo corpo totalmente redento (cf Rm 8,23), cioè al suo essere totale o alla sua umanità, le quattro caratteristiche positive, di cui parla Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (15,42-44), tra cui la gloria o splendore:1 incorruzione (aphtharsìa), che indica perennità come vittoria sulla morte e sulla caducità o decomposizione nel sepolcro (At 2,27.31 con il termine diaphtorà). I padri greci escluderanno da Maria questa duplice corruzione;2 gloria (doxa), che esprime sia splendore, al pari delle stelle (Dan 12,3), sia presenza e azione salfivica nella storia (Gv 1,14; 2,11). La tradizione greca e latina applicano a Maria l’aggettivo «gloriosa » (éndoxos) con differente significato;3 potenza (dýnamis), che designa la forza dello Spirito, capace di comunicare la vita nuova e di compiere opere efficaci e meravigliose (Rm 15,19; 1Cor 12, 4-11; Gal 3,5). Anche questa potenza è riconosciuta a Maria dalle preghiere a lei rivolte dal popolo di Dio, a cominciare dal Sub tuum praesidium: forza di liberazione e protezione e potere taumaturgico;4 spiritualità (pneuma, pneumatikòs), che non significa un corpo fatto di sostanza spirituale o etereo, ma l’intera persona corporea e umana della Vergine sotto la piena sovranità trasformatrice dello Spirito.

Così da vie diverse la mariologia contemporanea raggiunge la percezione di Maria nella luce di Dio come sperimentata ed espressa con appropriata semplicità da Lucia e dai due suoi cuginetti Francesco e Giacinta.

I due problemi della sofferenza di Maria e di Dio

Come abbiamo notato, i tre pastorelli sono stati impressionati dalla tristezza e sofferenza dei volti di Maria e di Gesù durante le apparizioni. Ebbene la teologia ha offerto spiegazioni di questo duplice dato problematico al di là del ricorso alla simbolica o all’antropomorfismo, che senza un supporto di verità apparirebbero riferimenti al limite della bugia o dell’inganno.

Quanto al problema di Maria glorificata che si mostra sofferente, Pio XII ha offerto una soluzione con immortali parole. Il Pontefice nega a Maria assunta in cielo qualsiasi sofferenza incompatibile con il suo stato glorioso, ma anche esclude in lei ogni insensibilità verso i suoi figli ancora pellegrinanti: «Senza dubbio Maria è in cielo eternamente felice e non soffre dolore né mestizia; ma ella non vi rimane insensibile ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della croce, ove era affisso il Figliuolo».

La riflessione teologica ha cercato di spiegare questa condizione paradossale della Vergine glorificata ricorrendo ai vari strati compresenti nella psicologia umana e alla felicità più piena correlata alla fase finale dell’escatologia.

Quanto alla tristezza di Dio sperimentata in modo speciale da Francesco, possiamo affermare che il pastorello anticipa il problema venuto alla ribalta nel 1946 quando il calvinista giapponese Kazo Kitamori, dinanzi alla situazione d’immane sofferenza creata dalla guerra, aveva introdotto nella teologia il «dolore di Dio», come coinvolgimento della Trinità nel dramma della croce e nel cammino doloroso degli esseri umani.

Soprattutto è la Bibbia a prendere le distanze dalla «concezione di Dio come di un essere distaccato e non emotivo», che «è totalmente estranea alla mentalità biblica», come afferma Abraham Heschel (morto nel 1972), una delle figure più rappresentative dell’ebraismo contemporaneo. Egli ci riconduce al Dio biblico pieno di pathos, che prende sul serio l’uomo e vibra d’amore, di tenerezza e di gelosia per il popolo con il quale ha stabilito una relazione viva d’alleanza (cf Es 34,6-7; Sal 86,15). Il cardinale Martini pensa che in questa descrizione «non si tratta di un antropomorfismo, bensì dell’applicazione della dottrina che l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio», che quindi si tratta di attribuirgli «semplicemente più sensibilità».

La posizione di Giovanni Paolo II si pone in questa linea di fedeltà alla Bibbia, escludendo da Dio quel dolore che implica imperfezione, ma non certamente una compassione partecipante: «La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite [...]. Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore (enciclica Dominum et vivificantem 39)».

La sofferenza di Maria e le sue lacrime rivelano il pathos del Padre, la passione di Cristo e i gemiti inenarrabili dello Spirito (Rm 8,26) fino a che la figliolanza divina non si manifesti totalmente nella creazione.

 

Inserito Venerdi 18 Settembre 2009, alle ore 10:40:13 da latheotokos
 
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