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  Maria e il suo tempo 
StoriaCome si viveva in Palestina al tempo di Maria

 Introduzione

Maria è stata un personaggio vero, realmente vissuto duemila anni fa in Palestina. Per comprendere la donna Maria, bisogna prima di tutto conoscerla in quella che fu la sua realtà storica. La sua vita, piena di grazia nello spirito ed elevatissima nell'evoluzione interiore, rimase invece perfettamente ordinaria nel suo svolgimento temporale. Maria è una persona umana, una di noi, una nostra sorella che nella sua vita terrena fu inserita nel suo tempo, come lo siamo oggi noi nel nostro e per la quale gli straordinari eventi in cui fu coinvolta determinarono uno stato interiore diverso, ma non un cambiamento nelle contingenze della vita terrena così come si svolgeva al suo tempo, nel suo Paese, nel suo villaggio. Quando gli abitanti di Nazaret si chiedevano di Gesù: "Non è il figlio di Maria?" volevano proprio dire questo: non è Maria una di noi, una che fa la nostra stessa vita di ogni giorno, che lavora in casa, cucina, fa il pane come noi, attinge l'acqua alla stessa fontana?
Sorgono allora tante comprensibili domande: com'erano Nazaret, Betlemme, Ain Karem, Cafarnao al tempo di Maria? Quale strada percorse per recarsi da Nazaret dalla cugina Elisabetta? Come fu il suo fidanzamento e il suo matrimonio con Giuseppe? Come viveva e cosa mangiava? Quali obblighi aveva come donna ebrea? A quali feste religiose partecipava? Chi furono i personaggi che decisero in parte il destino della sua vita?
A tutte queste legittime domande darò qui una breve ma esauriente risposta.

I luoghi della sua vita

NAZARET UN VILLAGGIO SCONOSCIUTO
Ai tempi di Maria Nazaret era abitata da umili agricoltori e artigiani che vivevano in modeste case in muratura fornite di grotte sotterranee naturali di cui è ricco il sottosuolo calcareo della collina su cui sorgeva il paese. Queste grotte servivano abitualmente da "dependences" ed erano adibite a vari usi, come: cisterne per l'acqua, riserve per il vino o altri liquidi, granai..... Vi erano anche delle grotte artificiali, tagliate nella roccia, che in certo qual modo facevano corpo con la casa ed erano adibite a stanze per provviste o, talvolta, anche per abitazione, così come si suppone sia avvenuto per la grotta dell'Annunciazione. Gli abitanti di Nazaret come di altri simili villaggi erano considerate persone molto retrograde per cui non c'è da meravigliarsi se Nazaret non è menzionata nei documenti storici di Israele e di Roma, come invece è avvenuto per la vicina e signorile Sèfforis. Il primo villaggio di Nazaret sorgeva più a Nord, al di sopra della cosiddetta "fontana della Vergine", risale al periodo del medio e recente bronzo, ossia circa due mila anni a. C., pressa poco all'epoca dei Patriarchi. Poi verso l'VIII - VI secolo a. C. c'è stato lo spostamento verso la zona sud del colle, dove ha origine la Nazaret evangelica.

BETLEMME TERRA DI DAVIDE
Betlemme (beit - lehem = "casa del pane") era un modesto villaggio situato a est dell'attuale città e risale all'età del ferro. Nella storia è ricordata per la prima volta alla morte di Rachele, seconda moglie di Giacobbe, che qui fu seppellita. In quel tempo si chiamava "Efrata", che vuol dire "fruttifera", forse a causa della straordinaria fertilità dei suoi colli e delle sue valli. A Betlemme è nato Davide, figlio di Jesse, e ivi unto re dal profeta Samuele, come successore di Saul. Dal casato regale di Davide, vissuto mille anni prima, discendono Giuseppe e Maria. Il caravanserraglio, dove Giuseppe e Maria non trovarono posto, era uno spazio quadrato o rettangolare, a cielo aperto, con un basso recinto di protezione e un'unica porta d'ingresso. L'albergo era diviso in due settori: un portico e un camerone riservato all'alloggio delle famiglie, e un cortile dove venivano sistemati alla rinfusa gli animali. Spesso c'era frastuono, chiasso, anche qualche litigio, ragli e belati di bestie. Talvota c'era la sorpresa del vagito di un neonato o del rantolo di un morente. La grotta dove nacque Gesù è simile a molte altre grotte scoperte lungo il pendio orientale della collina di Betlemme, che nel VIII e VI secolo a. C. furono probabilmente adibite ad abitazioni e successivamente abbandonate per uno sconosciuto motivo. Solo all'inizio della nostra era tornarono ad essere adibite ad abitazioni. La mangiatoia certamente non era una mangiatoia di legno fatta ad arte ma un semplice incavo a forma di nicchia o arcosolio, praticato nel fondo della stessa grotta, ove si poneva il fieno per gli animali, legati davanti. L'incavo poteva avere la base rivestita da una lastra di argilla battuta e mescolata a paglia, per impedire che la polvere si mescolasse con il fieno.

VERSO AIN KAREM
La strada che Maria percorre per recarsi da Nazaret nel villaggio della cugina Elisabetta, è senz'altro la carovaniera del sud, che conduce a Gerusalemme, da cui si prende la diramazione per Ain Karem. Tale tragitto di circa 150 Km si potrebbe compiere a piedi più o meno in una settimana. È una strada biblica di estremo interesse che la Vergine già conosceva, perché l'aveva sicuramente percorsa più volte nei pellegrinaggi alla città santa. Da Nazaret, che si trova a 350 m. di altitudine, la strada scende alla pianura di Esdrelon, si inerpica sui gioghi della Samaria, attraversando Dothain, Samaria, Sichem e, infine, entra nell'arida Giudea, il cui cuore è Gerusalemme. Da Gerusalemme si giunge in breve tempo ad Ain Karem, oggi già raggiunta dai sobborghi nord - occidentali della nuova città ebraica.

CANA, LA CITTÀ DELLE NOZZE
La città di Cana di Galilea non era un villaggio come Nazaret dove gli abitanti vivevano ancora nelle grotte - case addossate alla collina, ma era una città vera e propria, con case costruite in pietra. Il nome stesso, con il suo specifico appellativo di "Kafr", che vuol dire appunto "pietra", lo lascia intendere chiaramente. Anche oggi si chiama "Kafr Kann", e sorge nello stesso sito dell'antica città evangelica.

CAFARNAO
Dopo le nozze celebrate a Cana, Gesù, Maria e i discepoli scesero verso Cafarnao. Il termine "scesero" è corretto. Infatti tra Cana e Carfarnao c'è un dislivello di circa 500 metri. Cana si trova a 300 metri di altitudine, mentre Cafarnao è a 212 metri sotto il livello del Mediterraneo. Il tragitto di circa trenta chilometri in una strada in discesa, ha richiesto probabilmente una giornata di cammino. Cafarnao era un città più grande e più bella di Cana di Galilea; era la più importante delle città rivierasche del lago di Tiberiade. Sorgeva a nord, lungo la "via maris", vicino alla confluenza del Giordano nel lago. Molti erano i pescatori del lago, ma anche i contadini che con l'asinello si recavano al lavoro nelle campagne circostanti, ricche di alberi e di fertili colture. Alcune delle carovane di passaggio, si fermavano qui per vendere e scambiare le loro merci e a far provviste di pesce, pane, frutta e altre cose necessarie al loro viaggio.

Fidanzamento e matrimonio

IL FIDANZAMENTO
Il fidanzamento al tempo di Maria era chiamato "erusin", ma aveva anche un altro splendido nome, "aiddusin", che significa santificazione. Nessun popolo ha dato all'amore dichiarato di due giovani una consacrazione più bella. La domanda di fidanzamento veniva presentata dal padre del giovane al padre della giovane e ad essa si chiedeva il consenso. Poi i genitori stabilivano la dote o "mohar" e si scriveva il contratto. Quindi davanti a due testimoni si celebrava un breve rito: il fidanzato presentava un dono alla fidanzata come pegno di nozze e seguiva una piccola festa familiare. Forse già a quei tempi il fidanzato presentava come pegno un anello d'oro, dicendo alla fidanzata: "Ecco, per questo anello tu mi sei promessa, secondo la legge di Mosè e d'Israele" (Kidduscin 1,1).
Il fidanzamento per gli Ebrei aveva valore di stretto vincolo, perciò per divorziare dalla fidanzata occorreva il libello di ripudio; la fidanzata infedele veniva lapidata (Deut. 22,23) e se perdeva il fidanzato era considerata vedova. Prima del matrimonio, o "nissuin", in cui lo sposo andava a prendere la sposa per introdurla nella sua casa, si attendeva circa un anno: così la giovane aveva tempo di preparare il corredo e il giovane sistemava la casa e si procurava i soldi per la festa che sarebbe durata a lungo.

LA FESTA DELLE NOZZE
Dopo circa un anno di fidanzamento, si celebravano le nozze. Lo sposo, in corteo con gli amici e accompagnato da una piccola banda, si recava alla casa della sposa per prenderla e condurla solennemente nella sua casa.
La sposa, dopo il bagno, era aiutata dalle amiche ad abbigliarsi e profumarsi. Si vestiva con una tunica bianca, stretta alla vita da una cintura; un ampio velo bianco dal capo, cinto di mirto, le scendeva fino ai piedi. Dieci vergini, anch'esse vestite di bianco, con lampade attendevano che giungesse lo sposo. Questi, al suo arrivo, veniva accolto in casa e con la sposa accanto sedeva sotto un baldacchino. Sul loro capo si poneva il telo della preghiera, su cui erano scritte preghiere adatte alla circostanza.
Il padre della sposa poneva la mano destra della figlia nella destra dello sposo, dicendo: "Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi e vi unisca: faccia discendere su di voi la sua benedizione e vi permetta di vedere i figli ed i nipoti fino alla quarta generazione".
Quindi il ministro andava dietro al baldacchino, alzava il calice della benedizione, che invocava sugli sposi e i loro parenti, poi tornava dagli sposi e cedeva loro il calice pieno di vino. I due brindavano, successivamente lo sposo gettava il calice a terra per infrangerlo e giurava fedeltà per tutto il tempo che i frammenti del calice non si fossero ricomposti. Infine i presenti giravano intorno agli sposi, gettando riso o grano, simboli di abbondanza e fecondità.
Al tramonto lo sposo in corteo conduceva la sposa in casa sua, dove era imbandito il primo banchetto nuziale. Alla fine del quale, il padre dello sposo, come aveva già fatto il padre della sposa, benediceva gli sposi.
La festa si protraeva per una settimana, o tre giorni se non si era benestanti.

L'alimentazione

MARIA DONNA DI CASA
Le donne di casa, al tempo di Maria, faticavano sodo, districandosi tra i lavori di cucito, bucato, ricamo. Una cura particolare veniva messa nella pulizia della casa e nel cucinare. Il cibo preparato da Maria non era ricercato, ma sempre impegnativo. Oltre al pane e ai suoi derivati, ella, a seconda dei giorni, faceva uso di uova, latte, burro, ricotta, olive, cipolle, frutta, zucchini, fave e le immancabili erbe amare. Questi erano i cibi comuni dei poveri di allora come di oggi, nei villaggi del Medio Oriente.
Nei giorni di festa, o in occasione dei pellegrinaggi, Maria era sollecita nel preparare e servire carne o pesce, e anche un calice di vino, "che rallegra il cuore dell'uomo" (Sal 103,6). Di solito la carne, nelle rare circostanze in cui veniva servita, era di agnello o capretto. Maria la dissanguava bene prima della cottura, in ossequio alle prescrizioni della Legge. La cottura veniva anticipata sempre nel giorno di vigilia della festa, chiamato appunto "parasceve", che significa: preparazione dei cibi cotti. Nei sabati e nei giorni festivi, anche il lavoro di cucina era proibito dalla legge del riposo sabbadico.

A TAVOLA CON MARIA
Oltre a seguire le prescrizioni del riposo religioso, Maria osservava di certo la legge del "kosher", che è una norma antichissima, in auge anche oggi presso gli Ebrei. Tale norma proibisce in modo assoluto alcuni cibi, come la carne di maiale, le aragoste, le anguille.... e impone anche disposizioni sul modo di servire le vivande. Ad esempio, quando si mangia la carne o il pesce, non si può bere il latte o mangiare il formaggio.
Era prescritto anche l'orario del pranzo: allo scoccare dello zenit (cioè del mezzogiorno astronomico) o alla sera. In quest'ultimo caso si consumava a mezzogiorno solo una zuppa.
I vari cibi venivano predisposti da Maria su un vassoio unico, come fanno ancora oggi le donne in molti villaggi del Mediorente; il vassoio viene posto sopra un tavolo e i commensali, seduti in piccoli sgabelli, vi attingono con le mani, ciascuno la propria parte. Al posto delle posate che non esistevano, si utilizzavano le morbide fette di pane, preparato con poca mollica e una crosta leggera. Il pane veniva spezzato e distribuito a tutti dal capofamiglia.
Nei giorni di festa, era Giuseppe che prendeva una ciotola o un calice, entro cui Maria aveva versato del vino, ne beveva e lo passava alla sposa e a Gesù, perché ne bevessero anche loro. Il cibo è condito generalmente con aceto; talvolta vi si aggiunge un po' di olio. Durante i viaggi, oltre al pesce fritto o salato, fresco o conservato, tra un pasto e l'altro si masticavano volentieri grani di frumento o di sesamo, per ingannare lo stomaco e tener fresca la lingua.

Gli obblighi religiosi

LA CIRCONCISIONE
La circoncisione era per gli Ebrei come il tatuaggio di Dio, il segno di un'alleanza impressa nella carne e sancita nel sangue. Abramo si fece circoncidere all'età di 99 anni. Poi circoncise il figlio Ismaele di 13, quindi fece circoncidere tutti i maschi della sua tribù (Gn 17,23 - 24). Oggi questo rito si svolge generalmente in famiglia oppure in ospedale, come nel policlinico di Gerusalemme; raramente in sinagoga. Per l'occasione l'abitazione viene rivestita a festa.
Il bambino viene svestito e posto da Maria sulle ginocchia del "compare", attorno al quale ci sono dieci testimoni. Giuseppe prende le cesoie e pratica sul figlio putativo la rituale circoncisione, pronunciando la preghiera di benedizione: "Sia benedetto Javhé, il Signore. Egli ha sancito il suo diletto fin dal seno della madre e ha scritto la legge nella nostra carne. Imprime sui figli il segno dell'alleanza per comunicare loro le benedizioni di Abramo, nostro padre " (hieros, Beracoth 13,1). I presenti rispondono: "Viva colui che tu hai scelto come figlio". La piccola ferita sanguina e Maria, insieme alle altre donne s'appresta a medicarla con sostanze restringenti come olio, vino e polvere di cimino. Il bimbo soffrirà per alcuni giorni di alterazione febbrile. Il significato profondo del rito è la nascita morale e spirituale di un figlio di Jahvé, che da quel momento sarà chiamato "sposo del Signore".
Al rito della circoncisione è legata l'imposizione del nome. Ordinariamente colui che pratica la circoncisione impone anche il nome, in quanto sono parti di una medesima cerimonia, come avviene per noi cristiani nel rito del Battesimo. Compiuta la medicazione del neonato, viene pronunciata una breve preghiera con "il calice di benedizione". Poi Giuseppe rivolto al bimbo soggiunge: "Gesù è il tuo nome". Nell'udire il nome i presenti esclamano: "bestiman tôb" ossia "esso è di buon augurio" e, dopo la recita di altre preghiere, porgono le congratulazioni ai genitori del bambino. La cerimonia si conclude con un pranzo solenne che per la povera gente, come la S. Famiglia, è molto frugale. Il "compare" e i dieci testimoni offrono dei doni al bambino.

IL RITO DELLA PURIFICAZIONE
Quaranta giorni dopo la nascita, il figlio maschio deve essere presentato al Tempio e la madre sottoporsi al rito della purificazione. La mentalità ebraica considerava segno di impurità ogni versamento di sangue o di seme, per cui si doveva restare lontani da ogni contatto con le cose sacre, secondo come codificato dal libro del Levitico. In quei giorni di impurità rigorosa, la puerpera restava chiusa in casa 7 giorni per il parto di un maschio e 14 giorni per quello di una femmina. L'impurità si protraeva però per altri 33 giorni nel primo caso e 66 giorni nel secondo
Percorsi i 10 Km che separavano Betlemme da Gerusalemme, Maria e Giuseppe entrarono nel Tempio per la Porta Doppia, o quella Tripla. Già da lontano guardavano ammirati la massa candida e imponente di marmi, mentre gli aghi d'oro sul tetto, a presidio contro gli uccelli, scintillavano al sole come gemme di una corona.
Entrati nel cortile dei pagani, sempre rigurgitante di trafficanti, Giuseppe comprò una coppia di tortore o di colombi. Poi, ad oriente, per il portico di Salomone, si diressero verso la Porta Bella, la più frequentata. Si scalzarono ed entrarono nel cortile delle donne. Non poterono non ammirare la bella facciata laminata d'oro raggiante al sole, per i pochi istanti che il bagliore lo permetteva ai loro occhi.
Più in là, salendo quindici scalini, arrivarono alla Porta di Nicanore, dove Maria attese il sacerdote - capo della classe, che prestava servizio quella settimana, probabilmente la ventunesima di Yachin. Maria presentò un tortorello o un colombello per l'olocausto e una tortora o una colomba per il sacrificio di espiazione. Era questa la dichiarazione della propria povertà, perché altrimenti per l'olocausto avrebbero dovuto offrire un agnello (Lev. 12,8).
Il sacerdote, secondo l'uso, prese il colombello, l'uccise, facendo colare il sangue sull'altare degli olocausti, ancora oggi conservato nella moschea di Omar, poi tolse le interiora gettandole da parte, infine fece ardere il colombo al fuoco. La colombella, invece, fu uccisa, ne fu versato il sangue sull'altare, quindi fu gettata nella cenere.
Finito il sacrificio, il sacerdote dichiarò Maria purificata.

LA PRESENTAZIONE DI GESÙ
Purificata la madre, si procedeva all'offerta del figlio, con il relativo riscatto. Non era obbligatorio effettuare questo rito nel Tempio, ma in questo senso esisteva un'antica usanza dei pii Ebrei, fin dal periodo di Esdra (Ne 10,37). Era un rito di riscatto del primogenito, stabilito da Dio, che si era riservata la proprietà dei primogeniti ebrei in ricordo di quelli risparmiati quando morirono i primogeniti egiziani (Es 13,13). Probabilmente Giuseppe pagò 5 sicli d'argento, pari a 20 denari romani, quindi 20 giornate di lavoro. Per la coppia di tortore la spesa corrispondeva al lavoro di circa un mese.
Fu nel corso o poco dopo questo rito che ai giovani sposi vengono incontro il santo vegliardo Simeone e la profetessa Anna. Simeone non era sacerdote né abitava nel Tempio, ma era un ebreo osservante che attendeva con ansia la redenzione di Israele. Anna, viene chiama da Luca "profetessa". Rimasta vedova fin dalla giovane età, ora aveva ottantaquattro anni, non si allontanava mai dal Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Entrambi esaltavano il bambino di Maria, chiamandolo "salvezza" di Israele.
Dopo i riti nel Tempio, Giuseppe, Maria con il Bambino ripresero la via del ritorno verso Betlemme, dove giunsero nella tarda serata dello stesso giorno.

Le feste del suo tempo

LA PASQUA
Si celebrava il 15 Nisan, primo mese dell'anno (fino al 70 d.C.) e ricordava il "passaggio" (= "Pasqua") dell'angelo e l'uscita degli Ebrei dall'Egitto. Era anche festa delle primizie: anticamente, il 15 Nisan, si offriva il primo covone di orzo.
Nel pomeriggio del 14 Nisan, i capifamiglia partecipano alla prima immolazione dell'agnello pasquale, offerto dopo il sacrifico vespertino, mentre i sacerdoti suonavano le trombe e i leviti cantavano i salmi. Gli agnelli degli offerenti venivano appesi su assi trasversali, in legno di cedro e quindi sgozzati; le vittime si spellavano e dal loro ventre aperto si toglievano il grasso, le reni e le interiora che venivano bruciati sull'altare. Poi la carne dell'agnello, avvolto nella pelle tolta in precedenza, veniva restituita all'offerente, che se la portava a casa per consumare la Pasqua. Prima di iniziare la cena pasquale, il capofamiglia o l'ospite di riguardo, prendevano la coppa rituale col vino e, versandovi un po' di acqua, diceva: "Benedetto il Signore che ha creato il frutto della terra". Dopo aver bevuto come aperitivo la prima coppa, si passava un recipiente pieno d'acqua e un asciugatoio per la purificazione delle mani, prima di mangiare l'agnello. Veniva allora il momento di bere la seconda coppa di vino. Qui il più giovane dei commensali faceva la cosiddetta "domanda del fanciullo"; chiedeva cioè al maestro di tavola il significato di quei riti, così diversi dalle altre cene. Costui rispondeva con un discorso in cui ricordava i prodigi fatti da Dio per liberare il suo popolo dalla schiavitù degli egiziani e concludeva: "È per questi prodigi che noi dobbiamo lodare ed esaltare Colui che ha mutato la nostra pena in gioia, le nostre tenebre in luce. È a Lui solo che noi dobbiamo cantare: Alleluja". Seguiva il canto dell'"Hallel" composto dai salmi 111 - 117 che cominciavano tutti con l'Alleluja. Terminata la prima parte del canto, iniziava il banchetto pasquale vero e proprio. Il maestro di tavola prendeva il pane azzimo e, prima di benedirlo e di distribuirlo, lo spezzava. I commensali ne gustavano un boccone con un po' di erbe amare, intinte in una salsa a base di frutta; poi mangiavano l'agnello arrostito, tutto quanto, in modo che non ne rimanesse. Infine si passava tra i presenti la terza coppa, chiamata "il calice di benedizione"; si recitava la preghiera di ringraziamento a Dio, seguita dalla seconda parte dell'Hallel. La cena si concludeva facendo passare la quarta e ultima coppa di vino.

LA PENTECOSTE
Era detta anche festa delle messi e si celebrava sette settimane dopo la Pasqua. Le settimane si calcolavano dal 16 Nisan e la festa, perciò, si celebrava il 6 Siwan, la "cinquantesima" giornata dopo la Pasqua. Per la stagione più clemente, era frequentata anche dagli Ebrei della Diaspora.

IL KIPPUR
Festa dell'espiazione in cui si digiunava, si celebrava il 10 Tishri. Era l'occasione in cui il Sommo Sacerdote entrava nel "Santo dei Santi".

LA FESTA DELLE CAPANNE
Era la festa del raccolto e della vendemmia, rievocava gli anni del deserto e durava otto giorni dal 15 al 22 Tishri.

LA DEDICAZIONE DEL TEMPIO
Ricordava la riconsacrazione del 25 Kislew 165 a.C., promossa da Giuda Maccabeo in riparazione delle profanazioni di Antioco Epifane e del sacrificio di maiali fatto lo stesso giorno nel 168 a. C.

I PURIM
Le feste cioè dei "sorti", il 14 e 15 Adar: significavano il destino dei Giudei e quello dei popoli persecutori. Commemoravano l'insurrezione del 14 Adar 474 a.C. protrattasi a Susa il 14, contro il partito persecutore persiano, capeggiato da Aman. Per le preghiere di Ester, Serse concesse che i Giudei non fossero perseguitati in seguito a quella ribellione. Le due feste furono istituite da Mardocheo.

FESTA DI NACARORE
Ricordava la festa a Gerusalemme per la morte del generale siriaco, sconfitto da Giuda Maccabeo nel 161 a.C. Si celebrava il 13 Adar.

Personaggi e leggi

IL PRIMO CENSIMENTO DI QUIRINO
Il censimento fu indetto da Augusto nell'8 a.C. Erode non dovette gradire tale imposizione, perché ci teneva troppo ai tributi dei suoi sudditi, e cercò di traccheggiare, ritenendosi indipendente. Di tributi ne aveva imposto anche gravosi, tanto che nel 20 a.C., per quietare le lagnanze dei Gadareni presso l'imperatore, decise di ridurli di un terzo. Lo stesso Senzio Saturnino, governatore della Siria, espose la ritrosia e le difficoltà oggettive del vecchio sovrano. Alle insistenze, Erode per ripiego escogitò un compenso politico: stabilì che i Giudei prestassero il giuramento di fedeltà all'imperatore, cui si erano ribellati i farisei. Augusto alla fine rispose ai cavilli di Erode, rassicurandolo del carattere solo demografico di quel censimento in Palestina, ma imponendo che, se non se la sentiva lui, gli avrebbe mandato il fidato Quirino, nuovo governatore, con i suoi soldati a dirigere il censimento. Così gli toglieva ogni imbarazzo, e l'odio dei Giudei sarebbe ricaduto sui Romani, che inoltre si assumevano tutte le pastoie organizzative. Erode dovette arrendersi. Quindi fu Senzio Saturnino ad ordinare il censimento, come pensa Tertulliano ma chi lo diresse effettivamente in Palestina fu Quirino, come afferma Luca. Da quanto detto si comprende perché poté essere effettuato solo verso il 6 a.C.

ERODE IL GRANDE
Non era di stirpe regale; figlio dell'idumeo Antipatro, non era neanche giudeo, ma ebreo, diremmo, di ultima annessione, perché Giovanni Ircano da un secolo aveva costretto gli Idumei, abitanti nell'estremo sud, alla circoncisione. Il suo nome, come quello del padre, era greco. Suo padre, generale sotto Ircano II, l'introdusse nella carriera politica. Erode cominciò con l'uccidere lo stesso Ircano. Dietro donativi, ma soprattutto perché contrario ai Parti, nel 40 a.C., ottenne l'appoggio di Roma contro Antigono, divenuto re e sommo sacerdote. Fu felice nel capire ch'era meglio recarsi direttamente a Roma, dove il 13 novembre, fu riconosciuto re della Palestina da Antonio e Ottaviano. Insieme a lui, Sosio, governatore della Siria, nel Kippur 37 a.C. conquistò Gerusalemme, fece prigioniero Antigono e lo trascinò da M. Antonio, che lo fece decapitare. Da quel Kippur (5 ottobre) Erode poté iniziare ufficialmente e praticamente il suo regno. Amico e sostenitore di M. Antonio, dopo la sua sconfitta di Azio corse ai ripari, aiutando Ottaviano e recandosi a Rodi, dove per ringraziarlo gli offrì la somma di 800 talenti (un talento valeva 6000 denari o giornate lavorative).
Dieci anni dopo dovette ridurre la sua esosità nei tributi e, mentre iniziava la costruzione dei templi pagani a favore di Roma, per tacitare gli Ebrei e riamicarseli ordinava la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. Intanto però depredava la tomba di Davide. Tralasciando le uccisioni dei suoi nemici, fu oltremodo sospettoso dei parenti e molti ne mise a morte. Nel 35 a.C. fece affogare nella piscina di Gerico il fratello della sua moglie Mariamne, Aristobulo, appena creato sommo sacerdote a soli 16 anni. Nel 29 a.C. l'uccisione toccò alla stessa amata Mariamne, nipote di Ircano, subito dopo alla suocera Alessandra. Nel 34 e nel 25 a.C. fece uccidere i due mariti della sorella Salome, intrigante e ispiratrice di varie crudeltà. Nel 7 a.C. mandò a morte, con trecento ufficiali, i figli Alessandro e Aristobulo. Nel 6 a.C. molti lo accusarono dell'uccisione del fratello, il tetrarca Ferora, divenutogli ostile. Lo stesso anno mandò a morte vari farisei ribelli, che non vollero prestare il giuramento di fedeltà a Roma.
Nella sua ultima malattia avrebbe stabilito la strage di tutti i notabili, rinchiusi nell'ippodromo di Gerico e 5 giorni prima di morire, avrebbe colmato la misura, facendo uccidere il primogenito, Antipatro. Questo il settantenne re, cui si rivolsero i Magi, credendo che il neonato re dei Giudei si trovasse nella sua reggia.

Fonti dell'articolo

- Vittore della Libera, Maria nella sua terra, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986
- Arnaldo Spila, La vita di Maria, Isitutuo Salesiano PIO XI, Roma 1987

Inserito Sabato 19 Settembre 2009, alle ore 16:44:48 da latheotokos
 
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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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