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  Le fonti della Teologia e della Spiritualità orientali 
Ortodossi

Dal libro di Ermanno Maria Toniolo, La Vergine Maria icona della spiritualità dell'Oriente, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2004, pp. 11-22.



1. LA SACRA SCRITTURA

    1.1. Il valore primario della Sacra Scrittura

    La Sacra Scrittura, del Nuovo e dell’Antico Testamento, è la fonte primaria e indiscussa per tutte le Chiese, anche per quelle orientali. Il canone dei Libri sacri è il codice della certezza cristiana.
        a) Il Nuovo Testamento è il vertice e compimento della divina rivelazione, la sorgente insostituibile della Verità e della Vita. Cito il Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione, n. 7: «Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei Profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale lo predicassero a tutti, comunicando i doni divini...».
        b) L’Antico Testamento conserva per i cristiani la sua costitutiva importanza. Tutte le Chiese da sempre vi ricorrono, accogliendolo tuttavia e interpretandolo alla luce della piena rivelazione di Gesù Cristo. Dalla Dei Verbum, n. 15: «L’economia dell’Antico Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare con vari tipi l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del Regno Messianico. I libri poi dell’Antico Testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell’uomo e il modo con cui Iddio giusto e misericordioso si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i fedeli devono ricevere con devozione questi libri, che esprimono un vivo senso di Dio, nei quali sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere, nei quali infine è nascosto il mistero della nostra salvezza».
        c) L’unità dei due Testamenti. Il rapporto intimo tra i due Testamenti – che costituiscono l’unica storia della salvezza –, è stata fortemente asserita dai primi Padri della Chiesa, sia in diatriba con i giudei, per dimostrare loro la verità del Vangelo col ricorso alle profezie, sia contro il rifiuto che molti gnostici avevano nei riguardi dell’Antico Testamento. Per la tradizione orientale, specialmente bizantina, il ricorso ad ambedue i Testamenti (che formano, in sostanza, un solo Testamento) è costante, tanto negli scritti dei Padri, quanto nella prassi liturgica. Scrive ancora la Dei Verbum, n. 16: «Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nell’Antico e l’Antico diventasse chiaro nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo, tuttavia i libri dell’Antico Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento, che essi illuminano e spiegano».
   
    1.2. La Vergine Maria nella S. Scrittura
    Per una visione d’insieme dei testi biblici usati dai Padri e dalle Liturgie delle diverse Chiese cristiane, rimando a: Testi mariani del primo millennio, vol. I, p. 56-113. Mi limito a riportare le riferenze bibliche, che più spesso ricorrono negli scritti dei Padri e nelle Liturgie orientali; pongo in neretto i versetti più utilizzati. Ricordo tuttavia che l’Antico Testamento è una vera miniera mariana di promesse, predizioni, figure e simboli: da essa attingono abbondantissimamente i Padri, ancor più gli innografi, disseminando i loro scritti di immagini quasi visive che introducono facilmente anche i più semplici fedeli all’intelligenza del mistero della tuttasanta Madre di Dio.
        ANTICO TESTAMENTO
        Gn 1, 1-2. 26-28; 2, 8-10. 15-25; 3, 1-20. 21-24; 4, 1-8; 6, 5-12. 13-22; 7, 6-23; 8, 1. 6-17; 9, 8-17; 12, 1-3; 14, 17-20; 17, 1-7. 15-19; 22,1-2. 8-12; 28, 10-17; 49, 8-   12.       
        Es
3, 1-8; 12, 1-6; 13, 1-13; 13, 21-22; 14, 19-26; 15, 20-21; 16, 10-15.33-34; 17, 5-7; 19, 16-19; 24, 12-18; 25, 10-16. 17-22. 23-30. 31-37; 26, 1-29. 31-34; 27, 1-2; 30, 1-8. 22-32. 34-37; 31, 18; 32, 15-16; 40, 1-10. 34-38. 12
        Lv 12, 1-8.
        Nm 9, 15-23; 17, 16-26; 20, 7-11; 24, 15-19; 36, 6-9.
        Dt 26, 16-19; 27, 9-10.
        Gs 3, 5-17.
        Gdc 6, 11-17. 36-40; 11, 34-39; 13, 2-24.
        1Sam 1, 9-24. 24-28; 2, 1-10.
        2Sam 7, 4-16.
        1Re 7, 4-16; 8, 1-13. 27-30; 9, 3.
        1Cr 15, 3-28; 16, 1-2.
        Gdt 13, 17-20; 15, 8-10.
        Est 2, 16-18.
        2Mac 7, 20-23.
        Sal 2, 7-9; 18, 2-7; 21, 10-11; 23, 7-10; 44, 2-3. 10-18; 46, 5. 9; 47, 2-10; 66, 7-8; 67, 15-17; 70, 5-6; 71, 6-7; 75, 2-3; 77, 68-69; 84, 10-14; 86, 1-7; 109, 2-3; 115, 16; 117, 19-20; 126, 3; 131, 6-14; 138,13-16.
        Prov 8, 22-31; 9, 1-6.
        Sap 7,21 - 8,2.
        Sir 24, 1 ss.
        Is 6, 1-8; 7, 10-17; 8, 1-4; 9, 1.5-6; 11, 1-2. 10; 19, 1.19-21; 53, 1-2.
        Ez 10, 18-19; 44, 1-4.
        Dn 2, 31-35.
        Mi 5, 1-3.
        Ab 3, 3-4.
        Zc 2, 14-17; 4, 1-7.
        Ml 3, 1-3.

        NUOVO TESTAMENTO
        Mt 1, 1-17. 18-25; 2, 1-12. 13-18. 19-23; 12, 46-50; 13, 53-58; 27, 55-61; 28, 1-10.
        Mc 3, 20-21. 31-35.
        Lc 1, 5.25. 26-38. 39-45. 46-56; 2, 1-7. 8-20. 21. 22-24. 25-35. 36-38. 39-40. 41-50. 51-52; 3, 23-38; 8, 19-21; 10, 38-42; 11, 27-28.
        Gv 1, 1-14; 2, 1-12; 19, 25-27.
        At 1, 12-14.
        Rm 1-4.
        1Cor 7, 25.32-35.
        Gal 4, 4-6.
        Eb 1, 5-6; 7, 1-3; 9, 1-8.
        Ap 12, 1-6; 21, 2.9-18.22-27.

2. LA SACRA TRADIZIONE

In Oriente, più che in Occidente, ha somma importanza la Tradizione. Essa è il criterio ermeneutico anche delle divine Scritture. Scrittura e Tradizione formano un tutt’uno, distinto ma congiunto. Giustamente la Dei Verbum, al n. 9, afferma: «La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio; la parola di Dio, affidata da Cristo e dallo Spirito Santo agli Apostoli, viene trasmessa integralmente dalla Sacra Tradizione ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; accade così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e riverenza». La Tradizione, che affonda le radici nelle origini evangeliche e si prolunga ininterrotta nella Chiesa, in Oriente ha un momento costitutivo nel periodo patristico, e si esprime in modo privilegiato attraverso i Simboli, i Concili, gli scritti dei grandi Padri, la Liturgia.

        2.1. Il "Magistero" conciliare
       
Nelle Chiese orientali in genere, e particolarmente nella tradizione delle Chiese bizantine, il magistero conciliare conserva un valore assoluto. Esso è l’interprete autentico della divina Scrittura, l’espressione ortodossa della fede, il punto di riferimento costante di tutta la dottrina, la pietà e la vita. Per meglio comprenderne l’importanza, è utile rileggere la Dei Verbum, n. 10: «La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa... L’ufficio poi di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale Magistero però non è superiore alla parola di Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio. È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti, da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime». Mentre, nella Chiesa cattolica, oltre ai concili ha supremo valore anche l’autorità del Sommo Pontefice, cioè il suo magistero pontificio ex cathedra, che è pure infallibile come il magistero dei concili ecumenici, nella Chiesa bizantina unico magistero universale restano i sette Concili ecumenici.

        2.2. I Sette Concili ecumenici
                1. Concilio Niceno I (anno 325)
                Questo concilio dei «318 Padri», convocato dall’imperatore Costantino il Grande, condannò soprattutto gli ariani. Iniziò il 19 giugno 325. Ne sono ancora conservati solo il simbolo di fede, 20 canoni e una lettera sinodale.
                2. Concilio Costantinopolitano I (anno 381)
                Il sinodo dei «150 Padri» definì soprattutto la divinità dello Spirito Santo contro i macedoniani (“pneumatomachi”). Il can. 1 è rivolto contro gli ariani di ogni tipo: i seguaci di Apollinare di Laodicea, di Sabellio di Tolemaide, di Marcello di Ancira, di Fotino di Sirmio, di Eunomio di Cizico e di Eudossio di Costantinopoli. Questo sinodo fu designato «ecumenico» già in una lettera del sinodo locale di Costantinopoli (382) a papa Damaso, ma fu universalmente riconosciuto tale solo molto più tardi.
                3. Concilio di Efeso (anno 431)

                Il concilio, convocato dall’imperatore Teodosio II, si contrappose soprattutto all’eresia di Nestorio. La contrapposizione sorta nella contesa circa Nestorio portò alla necessità di effettuare sessioni distinte fra cirilliani e «orientali». La prima sessione dei cirilliani, ritenuta plenaria, fu aperta da Cirillo d’Alessandria il 22 giugno, prima ancora dell’arrivo della delegazione papale e dei vescovi antiocheni. Tra le proteste, i legati imperiali lessero lo scritto di convocazione, atto con cui si dichiarò aperto il concilio. Nella prima sessione furono lette la lettera di Cirillo d’Alessandria – la seconda delle tre lettere che egli aveva scritto a Nestorio – e la lettera del sinodo d’Alessandria, a cui sono allegati i 12 anatematismi. I padri presenti dichiararono la concordanza della lettera di Cirillo con la fede di Nicea. Di una conferma dell’altra lettera o degli anatematismi gli atti del concilio non dicono nulla. Le decisioni della prima sessione dei cirilliani furono approvate dai legati papali nelle sessioni 2ª e 3ª (10 e 11 luglio).
                4. Concilio di Calcedonia (anno 451)
                Il concilio, convocato dall’imperatore Marciano, conclude in certo modo le contese cristologiche della Chiesa primitiva. Rigetta il monofisismo. Eutiche, archimandrita di Costantinopoli, era già stato condannato nel nov. del 448 da un sinodo locale di Costantinopoli sotto il patriarca Flaviano. Nel cosiddetto «sinodo dei predoni di Efeso» nell’agosto 449 egli era stato riabilitato, mentre Teodoreto di Ciro, a motivo dei suoi scritti anticirilliani, e Ibas di Edessa, a motivo della sua lettera al persiano Maris, erano stati deposti come «nestoriani». Essi dal concilio di Calcedonia furono riabilitati. La loro ortodossia più tardi, nella disputa dei tre capitoli e in alcune formulazioni di simboli di fede, fu di nuovo messa in questione. I decreti del concilio furono confermati dal papa Leone Magno, eccetto la risoluzione circa i privilegi della sede patriarcale di Costantinopoli.
                5. Concilio Costantinopolitano II (anno 553)
                Il concilio fu convocato dall’imperatore Giustiniano per conquistarsi i monofisiti mediante la condanna dei teologi più importanti della scuola antiochena. Papa Vigilio che era stato allontanato con la forza da Roma, si rifiutò di partecipare al concilio. Infine cedette alla pressione dell’imperatore e confermò il concilio. I 14 anatematismi di questo concilio derivano nella maggior parte dal secondo editto di Giustiniano, bandito nell’anno 551. Questa «Ecloga» contiene 13 anatematismi ed è diretta contro i «Tre capitoli». Due di essi si riferiscono anche alla verità e dignità della Madre di Dio. Li cito: «Anatematismo n. 2. Se qualcuno non confessa che due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l’altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai cieli, s’è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia anatema. Anatematismo n. 6. Se qualcuno afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo in un senso improprio e non veritiero è madre di Dio, o che ella lo è secondo la relazione, come se fosse nato da lei un semplice uomo, e non il Verbo di Dio che si è incarnato in lei, perché, secondo loro, la nascita di questo uomo si deve riferire al Verbo Dio in quanto unito all’uomo al momento della sua nascita; e se egli accusa il santo sinodo di Calcedonia di chiamare madre di Dio la Vergine nel senso empio immaginato da Teodoro; o se qualcuno la chiama madre dell’uomo o madre di Cristo, come se Cristo non fosse Dio, e non la proclama in senso proprio e secondo verità madre di Dio, dal momento che il Verbo Dio, generato dal Padre prima dei secoli, si è incarnato in essa in questi ultimi tempi, e non riconosce che è con questo sentimento di venerazione che il santo sinodo di Calcedonia l’ha proclamata madre di Dio, costui sia anatema» (DENZINGER-HÜNERMANN, Enchiridion symbolorum, 423, 427).
                6. Concilio Costantinopolitano III (anno 680-681)
                Convocato dall’imperatore, condannò i monoteleti e papa Onorio. Essendo stato tenuto nel «trullos», cioè nella sala delle adunanze del palazzo imperiale, viene designato anche come «sinodo trullano»; questa designazione però viene usata per lo più per il sinodo ivi tenuto nell’anno 692 («Quinisextum»). Papa Leone II ha riconosciuto in parecchie lettere le decisioni di questo concilio. Nella «Fides papae» del Liber diurnus Romanorum pontificum viene presentata, al fine di essere professata, la seguente condanna di Onorio: «[I padri conciliari] hanno vincolato con legame di perpetuo anatema gli autori della nuova dottrina, Sergio e Pirro ... assieme ad Onorio, che fomentò le loro asserzioni distorte».
                7. Concilio Niceno II (anno 787)
                In seguito alle iniziative dell’imperatrice Irene lentamente l’iconoclasmo, che nell’impero bizantino era stato fomentato già da Leone III dall’anno 726, fu respinto e in questo concilio fu solennemente dichiarata la dottrina della Chiesa sulle immagini sacre. Cito il brano più significativo della definizione (23 ottobre 787): «In tal modo, procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica – riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa – noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie, siano esse l’immagine del signore Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti» (DENZINGER-HÜNERMANN, Enchiridion symbolorum, 600).

2.3. I «Padri» della Chiesa
L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, non dubitava di definirsi «padre» di quella Chiesa: «Se anche aveste diecimila pedagoghi in Cristo, non avete però molti Padri: son io che per mezzo dell’evangelo vi generai in Cristo Gesù» (1 Cor 4,15). Questo concetto di una paternità spirituale mediante la trasmissione della verità che rigenera a Dio si perpetua nella Chiesa. «Noi chiamiamo “Padri” – scriveva alla fine del secolo II Clemente di Alessandria – coloro che ci hanno istruiti nella religione. Il discepolo che ascolta le parole del maestro diviene suo figlio» (Stromati, I,1,2). Padri e maestri sono considerati i portatori autorizzati del Vangelo: gli Apostoli e i Vescovi, loro successori. Costoro sono propriamente i «Patres Ecclesiae». Accanto ai Vescovi, ben presto furono riconosciuti «Padri» anche altri «Scrittori ecclesiastici» non Vescovi, come Girolamo. Furono inoltre insigniti del titolo di «Dottori» della Chiesa alcuni Padri più illustri e significativi per vita e dottrina, come Ambrogio, Agostino, Giovanni Crisostomo. Caratteristica fondamentale, che contraddistingue un Padre della Chiesa, è ortodossia, santità di vita, antichità, approvazione della Chiesa. Ma lo studio della Chiesa delle origini, e la patristica in genere, non si può limitare ai soli «Padri». Tanti altri scrittori, ortodossi ed eterodossi, conosciuti o anonimi, testimoniano in vario modo e in vario grado la vita della Chiesa e il suo pensiero: e ciascuno a suo modo ne è portavoce. Grandi autori, quali Origine e Tertulliano, sebbene abbiano lati discutibili o non accettabili, rimangono pur sempre i battistrada della riflessione teologica posteriore, i primi, si può dire, che abbiano osato le vie della speculazione e tracciato il cammino dell’ascesi. Né si può dimenticare il vasto patrimonio anonimo (teologico, liturgico, poetico, apocrifo...) che fu e sempre più diventa testimonianza viva della multiforme espressività della Chiesa primitiva. Il quadro in cui si muove la nostra ricerca mariana è dunque ampio e complesso, ma di inestimabile valore. Si è infatti soliti ripartire l’evo patristico in tre periodi:
                1) le origini dal sec. I alla pace costantiniana, e più esattamente al primo Concilio ecumenico di Nicea (325);
                2) l’età d’oro: da Nicea al Concilio di Calcedonia (451);
                3) la tarda patristica: da Calcedonia a Isidoro di Siviglia in Occidente (636), a Giovanni Damasceno in Oriente (749 c.).
Fra tutti i «Padri-scrittori» del periodo delle origini rivestono primaria importanza i cosiddetti «Padri Apostolici», e gli «Apologisti» (tra cui spicca Giustino martire, seguito da Ireneo di Lione). Un posto a sé occupa Origene nel III secolo, per l’influsso determinante che esercitò sulla teologia e sull’esegesi dell’Oriente e dell’Occidente. Del periodo d’oro dell’età patristica sono da studiare, per il loro indiscusso valore fino ad oggi: gli alessandrini Atanasio e Cirillo; i neoalessandrini, cioè i Padri Cappadoci, importantissimi; l’antiocheno Giovanni Crisostomo; il siro Efrem di Edessa; Cirillo e le catechesi di Gerusalemme; i Padri di Efeso (Proclo, Teodoto di Ancira), ecc. Dell’ultimo periodo patristico, i tre maggiori esponenti greci sono: Germano di Costantinopoli, Andrea di Creta, Giovanni Damasceno. Noi cerchiamo in primo luogo nei Padri e negli altri documenti ecclesiastici antichi quel filone ininterrotto di fede che, partendo da Gesù-Verità, attraverso gli Apostoli e la consonanza di tutte le Chiese sparse nel mondo, è giunto fino a noi e compone la nostra adesione di fede e la nostra vita cristiana. I Padri son dunque i più qualificati «testimoni » della fede ricevuta conservata e trasmessa nella Chiesa con ininterrotta successione: i testimoni cioè e le pietre miliari della «Tradizione». La Chiesa Cattolica non può – come hanno tentato di fare gli iniziatori del protestantesimo – scavalcare i secoli e rifiutare la «Tradizione », per collocarsi direttamente e individualmente davanti al Cristo e alla Bibbia. Sotto questo profilo i Padri conservano un valore perenne. Scrive il Papa Giovanni Paolo II: «Della vita attinta dai suoi Padri la Chiesa ancora oggi vive; e sulle strutture poste dai suoi primi costruttori ancora oggi viene edificata, nella gioia e nella pena del suo cammino e del suo travaglio quotidiano. Padri dunque sono stati e padri restano per sempre: essi stessi, infatti, sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono a una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuol essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il loro magistero» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica «Patres Ecclesiae», AAS 72 [1980] p. 5-6). Non va però dimenticato che anch’essi sono figli del loro tempo, del loro ambiente, della loro cultura: che quindi rivestono la immutabile Verità con elementi umani, non tutti e non sempre immutabili. Hanno dunque dei limiti. Ma anche in ciò restano pionieri e stimolo per una ricerca appassionata della verità, fonte di geniali intuizioni, esempio di audaci iniziative. Il ricorso ai Padri diventa così scoperta e verifica a tutti i livelli. Scrive la Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica: «Essi sono più vicini alla freschezza delle origini; alcuni di loro sono stati testimoni della Tradizione apostolica, fonte da cui la Tradizione stessa trae origine; specialmente quelli dei primi secoli possono considerarsi autori ed esponenti di una tradizione “costitutiva”, della quale nei tempi posteriori si avrà la conservazione e la continua esplicitazione» (Lo studio dei Padri..., n. 19). Non è fuor di luogo un cenno alla fonte primaria dei Padri: le divine Scritture, di cui intessono i propri scritti, che trasmettono e commentano ai fedeli con autorità e spirituale afflato: freschezza sorgiva, che ognuno assapora, leggendoli. Ultimo come rilievo, ma primo per importanza: nei Padri e nel loro insegnamento noi ritroviamo quasi la loro fisionomia spirituale: l’esperienza che essi per primi e profondamente hanno vissuto, e hanno poi cercato di trasmettere ai fedeli: «Essi sono il più delle volte degli specialisti della vita soprannaturale; comunicano ciò che hanno visto e gustato nella loro contemplazione delle cose divine» (Istruzione, n. 39). Questo rilievo vale anche della dottrina mariana: la quale, presso di loro, non è mai astrazione teoretica, ma esperienza cercata, trovata e vissuta.

        2.4. LA «Tradizione» Apocrifa
        Stanno assumendo sempre maggiore considerazione gli apocrifi del Nuovo Testamento, come testimonianza di una fede e di una espressione di culto popolare, verso il quale oggi si inclina con maggiore propensione. Le Chiese orientali, diversamente dalla Chiesa occidentale, hanno sempre considerato gli apocrifi come portatori di una verità che – illuminata dalle supreme verità della fede testimoniate dalla sacra Scrittura, dai Concili e dai Padri –, può essere assunta nel Credo del popolo di Dio e celebrata nella sua Liturgia. Tra i testi apocrifi assunti dai Padri greci e da loro introdotti nell’Omiletica e nella Liturgia, hanno un posto preminente: Il Protovangelo di Giacomo (sec. II) sull’infanzia di Maria e il Transitus o Dormizione della Madre di Dio, comunemente attribuito all’apostolo Giovanni. Nelle Omelie mariane infatti, come negli inni e tropari liturgici, sovrabbondano i dettagli trasmessi da questi due apocrifi. Anche le rispettive feste della Natività di Maria (8 settembre), del suo Ingresso nel tempio (21 novembre), della Concezione di Anna (9 dicembre) e della gloriosa Dormizione (15 agosto) attingono ispirazione agli apocrifi.

3. LA SACRA LITURGIA

Ho già riferito più sopra il documento della Congregazione per le Chiese orientali, che mette in luce il valore primario della santa Liturgia per l’Oriente cristiano. Dobbiamo riconoscere che «la Liturgia», considerata in tutta la vasta estensione del termine e dei contenuti, costituisce il respiro di tutte le Chiese orientali. La Liturgia è un magistero vivente e perenne di dottrina e di vita. È anche il vincolo di comunione fra le Chiese e comunità di uno stesso rito. Le Chiese di rito bizantino, ad esempio, benché costituite e rette in autocefalie, mantengono gelosamente il legame che tra di loro le unisce e le caratterizza come «ortodosse»: la dottrina dell’antica Tradizione (specialmente dei sette primi concili ecumenici), e la Liturgia. Nella Liturgia infatti, in modo privilegiato, talvolta unico, viene proclamata e spiegata la Parola di Dio; nella Liturgia si ascoltano i testi dei Padri; con la Liturgia si prega, sempre, anche prolungando fuori della Chiesa la propria preghiera personale: si cantano i salmi e i cantici, intercalati con testi melodici ed inni composti dai Padri o da grandi dottori di ciascuna Chiesa; nella Liturgia si fa l’esperienza della divina Presenza e del dono effuso dello Spirito Santo; nella Liturgia si vive la Chiesa... In tal modo, le Liturgie orientali sono il fulcro della vita cristiana dei popoli, ieri e oggi: luogo di formazione permanente, di catechesi, di esperienza di vita. Ciò vale in modo peculiare della «Liturgia» per antonomasia: la celebrazione dell’Eucaristia. Ma anche la preghiera liturgica che scandisce la giornata, attualizzando di volta in volta i misteri celebrati, porta una carica di spiritualità ai partecipanti, che li sostiene nel loro quotidiano agire e soffrire. Molte sono le componenti che formano la Liturgia orientale: a cominciare dall’edificio sacro, che ha un’importanza anche simbolica di primo piano, perché è il luogo dove si manifesta sulla terra la Presenza divina e si rifrange la Liturgia celeste; e nell’edificio sacro, la serie delle «icone», quasi sacramentale che fa trasparire intuitivamente il divino. Le «icone» della Madre di Dio – nelle chiese, nelle strade, nelle case – costituiscono un elemento non decorativo, non simbolico, ma reale e profondamente sentito, del vero culto di venerazione e di implorazione verso di lei da parte di tutti i fedeli. Accanto alle icone, altrettanta importanza nelle liturgie dell’Oriente hanno i gesti e i canti: le processioni con l’Evangeliario o con i Santi Doni, le incensazioni solenni, che caratterizzano in modo singolare la Liturgia alessandrina del mattino e della sera, il canto dei Salmi, che copre tanta parte di ogni Liturgia orientale, il canto di inni e tropari, il canto compartecipato dall’assemblea delle innumerevoli litanie di supplica che scandiscono ogni celebrazione liturgica, ecc. Né si deve mai dimenticare che la Liturgia della terra è un’immagine di quella del cielo, con la quale vuole costantemente essere in intima comunione, sotto i veli dei segni e della fede.

Inserito Venerdi 12 Giugno 2020, alle ore 10:22:47 da latheotokos
 
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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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