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  Maria nel cammino della comunione ecclesiale 
ChiesaDal libro di Juan Esquarda Bifet, Maria nel cammino missionario della Chiesa, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2004, pp. 67-78.

Il termine cristiano «comunione» (koinonia) esprime uno dei contenuti più importanti della rivelazione: essere riflesso della vita intima di Dio Amore, nel cuore e nella convivenza comunitaria o fraterna. La «comunione» è un cammino che si va aprendo fino a giungere alla meta finale: l’incontro definitivo con Dio. Seguiamo il cammino sotto l’azione dello Spirito Santo, accompagnati da Cristo, verso il cuore del Padre: «Per mezzo di lui (Cristo) possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,18). Un giorno «saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). L’Eucaristia, come sacramento di unità, e Maria, come Madre di «comunione» fraterna, sono i due pilastri insostituibili del cammino di «comunione».

1. La «comunione» di Maria, immagine della Chiesa

Nel cuore di Maria, pienamente unificato, si riflette la vita trinitaria di Dio Amore. Il suo «» era e continua ad essere un’accettazione dei piani del Padre, nell’inviare suo Figlio sotto l’azione dello Spirito Santo. La «piena di grazia» fece sempre della sua vita un «», come risposta fedele e generosa all’Alleanza (cf. Lc 1,38; Es 24,7). Il suo cuore, unificato dall’amore, non era un atteggiamento soggettivista, bensì di piena disponibilità per servire i piani di Dio per la salvezza del mondo. L’angelo aveva alluso ad una realtà umana che necessitava della sua collaborazione: Elisabetta, sua cugina, era incinta. Maria, dopo l’Annunciazione, se ne andò «in fretta» a Ain Karim, il villaggio di sua cugina, e lì dimorò «circa tre mesi», per ritornare quindi alla «sua casa».
La convivenza familiare di Maria, con Gesù e Giuseppe, rifletteva gli aspetti fondamentali del suo cuore unificato. Maria e Giuseppe furono con il Bambino Gesù al tempio, «per offrirlo al Signore» (Lc 2,22). Era un gesto di oblazione, ispirato al sacrificio di Abramo e all’immolazione dell’agnello pasquale per salvare i primogeniti israeliti in Egitto. Gesù era l’unico primogenito che non fu riscattato. Il riferimento di Simeone a una «spada» (Lc 2,35) indica l’invito a condividere la stessa sorte di Cristo, «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Il nome di «Gesù» era tutto un programma, che includeva anche la collaborazione di Maria e Giuseppe, come aveva annunciato l’angelo: «Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). La vita della Sacra Famiglia era un cammino di Pasqua, che essi celebravano annualmente andando in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme (Lc 2,41). Il dolore di Maria e Giuseppe, dopo la perdita del bambino, è in linea con l’amore verso lo stesso Gesù, come tesoro affidato dal Padre. Il lamento di Maria è al plurale (assieme a S. Giuseppe) e suppone la libertà di espressione, così come, allo stesso tempo, suppone la disponibilità davanti a una nuova sorpresa di Dio: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). L’atteggiamento sereno di Gesù, che «scese con loro e venne a Nazaret, visse soggetto a loro», incontrò accoglienza nel cuore di Maria: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). Sono le relazioni familiari che si incrociano con uno stesso obiettivo: compiere i piani del Padre (cf. Lc 2,49).
Convivere con Maria equivaleva a vivere in sintonia con il suo cuore unificato. Il discepolo amato, dopo i fatti del Calvario e per incarico dello stesso Gesù, «la prese nella casa» (Gv 19,27). Fu un atteggiamento che equivaleva a vivere «in comunione di vita» con Maria. La vita di «comunione» di Maria, come cuore unificato per appartenere esclusivamente a Cristo, continua nella Chiesa. Il mistero dell’Assunzione di Maria, dal fatto di essere partecipazione alla glorificazione di Cristo (in corpo e anima), si traduce in una «presenza attiva e materna» nella Chiesa (cf. RMa 1,24). Come nella convivenza col discepolo amato (cf. Gv 19,27) e alla partecipazione di Maria nella comunità ecclesiale primitiva (cf. At 1,14), ora lei accompagna la comunità ecclesiale in tutto il suo itinerario storico, specialmente in relazione con la celebrazione eucaristica. Grazie alla sua realtà di glorificata in corpo e anima (“assunta”), Maria può stare con noi continuamente come “in casa”, senza condizionarsi nel tempo né nello spazio. «Se Chiesa ed Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia. Anche per questo il ricordo di Maria nella Celebrazione eucaristica è unanime, sin dall’antichità, nelle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente» (EdE 57). Maria è sempre «nel cuore della Chiesa» (RMa 27). La presenza eucaristica di Cristo ricorda alla Chiesa che quella carne e quel sangue si formarono nel suo seno sotto l’azione dello Spirito Santo. S. Giovanni Damasceno lo spiega con queste parole: «Domandi come il pane si converte nel corpo di Cristo? Ti basti udire che per l’azione dello Spirito Santo, nello stesso modo che, grazie alla Santissima Vergine e allo stesso Spirito Santo, il Signore, per sé e in se stesso, assunse la carne umana» (De fide ortodoxa, IV,13).
L’oblazione sacrificale di Cristo, fatto presente nell’Eucaristia, è relazionata alla sua oblazione al Padre, dal seno di Maria (cf. Eb 10,5-7) fino alla croce, ai piedi della quale Maria si associò al sacrificio redentore: «La beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cf. Gv 19,25), soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrificio, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata» (LG 58). Quando riceviamo Cristo nella comunione eucaristica, non ricordiamo soltanto che il suo corpo e il suo sangue si formarono nel seno di Maria, e che il Signore volle associarla al suo sacrificio, ma anche che ha luogo l’attualizzazione della sua maternità spirituale (sempre sotto l’azione dello Spirito Santo), perché ci trasformiamo in Cristo e viviamo della sua stessa vita (cf. Gv 6,57). Veramente, «nel sacramento dell’Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina» (TMA 55). «Nell’Eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria... Maria loda il Padre “per” Gesù, ma lo loda anche “in” Gesù e “con” Gesù. È precisamente questo il vero “atteggiamento eucaristico”... Se il «Magnificat» esprime la spiritualità di Maria, nulla più di questa spiritualità ci aiuta a vivere il Mistero eucaristico. L’Eucaristia ci è data perché la nostra vita, come quella di Maria, sia tutta un magnificat!» (EdE 58). La «comunione» che si riflette nel cuore di Maria, diventa realtà nella Chiesa, specialmente partecipando al sacramento e sacrificio dell’Eucaristia. «Dal grembo verginale della Figlia di Sion è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli ed è scaturita per tutto il genere umano la salvezza e la pace» (Prefazio dell’Avvento II/A).

2. La «comunione» della Chiesa nella sua dimensione mariana

La vita di «comunione» fraterna, nella comunità ecclesiale, segue certe regole che trascendono i contenuti meramente psicologici e sociologico-culturali. Per il fatto di essere frutto della grazia divina, la «comunione» ecclesiale si costruisce ascoltando la Parola di Dio, pregando, celebrando l’Eucaristia e condividendo i beni con i fratelli, per ricevere la forza dello Spirito Santo che spinge a condividere questa stessa «comunione» con tutta l’umanità. Queste sono le costanti che appaiono dalla Chiesa primitiva, dopo Pentecoste, visto che si tratta di costruire una comunità profetica, contemplativa, eucaristica, solidale e missionaria. Il riferimento a Maria appare dal principio, come qualcosa di intrinseco alla comunità, nella quale «tutti perseveravano uniti in preghiera... con Maria la Madre di Gesù» (At 1,14). Non sarebbe possibile giungere a conseguire la «comunione» ecclesiale, di «un solo cuore e un’anima sola» (At 4,32), senza collaborare con l’azione della grazia. Dio dà i suoi doni, perché il cuore umano si apra all’amore dello stesso Dio e dei fratelli.
Vivendo la «comunione» fraterna, la comunità si fa scuola di contemplazione (per l’ascolto della Parola), della perfezione o santità (per la fedeltà allo Spirito Santo) e di missione (per l’attuazione del mandato missionario di Cristo). La presenza di Cristo «in mezzo» ai fratelli (Mt 18,20) ha luogo per la messa in pratica del mandato dell’amore; allora la «comunione» ecclesiale è segno efficace del vangelo e strumento portatore di Cristo per tutta l’umanità (cf. Gv 13,35-37; 17,23). «Comunione» indica, poi, famiglia del Signore, che vive di lui, in lui e per lui. L’ascolto della Parola e l’unione con la volontà del Padre, sono elementi necessari per fare parte della famiglia di Gesù: «Stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,49- 50). Maria è modello di questo atteggiamento fondamentale (cf. Lc 1, 38.45). La sequela evangelica di Cristo si mette in pratica nella «comunione» con i fratelli. Dopo il miracolo di Cana (realizzato con la mediazione di Maria), i discepoli credettero nel Signore; in seguito, seguirono Cristo «con sua madre» (Gv 2,12). Questa comunità ecclesiale è costituita da vocazioni (sacerdotali, di vita consacrata, laicali), sacramenti, ministeri o servizi e carismi o doni speciali dello Spirito Santo. Per il fatto di provenire da Dio Amore, questi doni servono per costruire la comunità nell’amore fraterno. Le divisioni e le rotture indicano un uso indebito dei doni ricevuti (quando esistono).
La vera «comunione» si costruisce nelle differenze, vissute come completamento e servizio. La sintonia meramente psicologica vale poco ed è poco duratura. La società umana dell’inizio del terzo millennio necessita di vedere con chiarezza la «comunione» ecclesiale in ogni comunità cristiana, per poter constatare l’autenticità del messaggio evangelico delle beatitudini e del mandato dell’amore. L’unità ecclesiale, come «comunione» universale, può ricomporsi seguendo le regole che lo Spirito Santo ha dato ad ogni comunità. I veri doni di Dio Amore portano all’unità di «comunione»: «Quest’unità, che non manca di realizzarsi concretamente nella Chiesa cattolica, nonostante i limiti propri dell’umano, opera pure in varia misura nei tanti elementi di santificazione e di verità che si trovano all’interno delle altre Chiese e Comunità ecclesiali; tali elementi, come doni propri della Chiesa di Cristo, le sospingono incessantemente verso l’unità piena» (NMi 48).
In ogni epoca storica, lo Spirito Santo suscita nuovi gruppi ecclesiali per rinnovare la Chiesa nel suo vissuto evangelico e nel suo impegno missionario. L’effervescenza iniziale deve irrobustirsi nel crogiuolo e purificarsi, per non finire in divisione. Il segnale della maturità di un gruppo o comunità non consiste nella terminologia («movimento», istituzione, cammino, opera, etc.), bensì soltanto nella carità della «comunione» con le altre comunità e con la Chiesa intera. Allora le comunità ecclesiali si convertono in scuole per «promuovere una spiritualità della comunione» (NMi 43).

3. Maria nel cammino di «comunione» della Chiesa

La comunità ecclesiale vive la «comunione» fraterna, pregando, celebrando il mistero pasquale e evangelizzando, «con Maria e come Maria» (RMi 92). La presenza di Maria è di «salutare influsso» (LG 60) come Madre e figura della Chiesa. L’itinerario della «comunione ecclesiale si percorre con Maria». «Vi è la convinzione che la presenza di Maria abbia un’importanza fondamentale sia per la vita spirituale di ogni singola anima consacrata, sia per la consistenza, l’unità, il progresso di tutta la comunità» (VC 28). Ricordando, in modo permanente, il fatto paradigmatico del Cenacolo (cf. At 1,14), la Chiesa riconosce in Maria, la Madre dell’unità. In campo ecumenico, il dialogo fra le diverse confessioni e comunità cristiane necessita dell’atteggiamento previo di chi vuole imitare la fedeltà di Maria ai piani di Dio. «Una migliore comprensione del posto di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa... rende più spedito il cammino verso l’incontro» (MC 33). La nascita di Cristo per mezzo dei segni della Chiesa è una realtà materna che ha Maria come modello (cf. LG 65). La «comunione» è uno dei segni più efficaci e indispensabili nel cammino della santificazione e della missione. Maria, con la sua presenza e la sua preghiera, è principio e stimolo di questa «comunione» ecclesiale, «fin tanto che tutte le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità» (LG 69).
La «novella Pentecoste», come desiderava Giovanni XXIII, è un’attualizzazione della prima Pentecoste nella Chiesa di tutti i tempi. Maria è vincolo di unione tra tutti i momenti pentecostali e garanzia di continuità. Nel cenacolo, «vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all’annunciazione, l’aveva presa sotto la sua ombra» (LG 59). La realtà pentecostale degli inizi della Chiesa, si fa presente, in qualche modo, in tutto il corso della storia ecclesiale: «Fu dalla Pentecoste infatti che cominciarono gli “atti degli apostoli”, come per l’opera dello Spirito Santo nella Vergine Maria Cristo era stato concepito, e per la discesa ancora dello Spirito Santo sul Cristo che pregava questi era stato spinto a cominciare il suo ministero» (AG 4). I momenti di maggior esperienza della «comunione», sono i momenti più fecondi della storia della Chiesa. Le comunità che vivono intensamente la presenza di Maria, sono comunità vive nella solidarietà, nella perfezione e nella missione.
La «memoria» di Maria nella celebrazione eucaristica, ricorda alla Chiesa il suo impegno di costruirsi come «comunione», nel dire «» («amen») all’azione di Dio. È l’«amen» che la comunità pronuncia, a imitazione di Maria, nella celebrazione eucaristica, prima del «Padre nostro» e dell’abbraccio della pace. Così ci uniamo al «» di Cristo al Padre (cf. 2Cor 1,20). Nel periodo postconciliare del Vaticano II, come preparazione al terzo millennio, troviamo inviti insistenti a vivere la «comunione» ecclesiale nel Cenacolo con Maria. «Al mattino della Pentecoste, ella ha presieduto con la sua preghiera all’inizio dell’evangelizzazione, sotto l’azione dello Spirito Santo: sia lei la Stella dell’evangelizzazione sempre rinnovata che la Chiesa, docile al mandato del suo Signore, deve promuovere e adempiere, soprattutto in questi tempi difficili ma pieni di speranza» (EN 82).
«Anche noi, ben più degli Apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo Spirito» (RMi 92; cf. RH 22; DeV 25; RMa 24). Maria accompagna sempre la Chiesa nel suo cammino storico, che si dirige e dirige tutta l’umanità verso la realtà del «nuovo cielo e nuova terra» (Ap 21,1), nella misura in cui riflette Dio Amore, costruendo la comunità umana secondo il mandato dell’amore. S. Germano di Costantinopoli pregava così la Vergine: «Poichè continui ancora a camminare corporalmente tra noi, come se fossi ancora qui viva, gli occhi dei nostri cuori si sentono attratti a guardarti tutto il giorno... Tu visiti tutti e vegli per tutti... Non hai abbandonato questo mondo perituro... ma stai molto vicina a chi ti invoca» (Omelia per la Dormizione della Madre di Dio).

Inserito Lunedi 14 Settembre 2020, alle ore 8:52:33 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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