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  Giovanni Pascoli: il suo canto a Maria Vergine 
Cultura Un articolo di  Giuseppe Bortone s.j. sulla rivista Gesù Nuovo  del 2006, alle pagine 21-23.  

Nel 2005 è ricorso il 150° anniversario della nascita del poeta Giovanni Pascoli (31 dicembre 1855), un artista letterario che è senza dubbio uno dei padri della poesia e della sensibilità moderna: si pensi al "Frammento Letterario", che poi sarà ripreso da Clemente Rebora in "Frammenti Lirici" o alla "Breve composizione Poetica" e all’atmosfera impressionistica, dominanti in "Myricae", poi riprese dai poeti ermetici, come Rebora, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Luzi ecc.
In Pascoli va anche rilevato il canto degli affetti familiari, presente nella "Cavallina storna" e nel "X agosto", che ritorna nelle due composizioni in Ungaretti:  La Madre " e la silloge "Il Dolore", ripreso da Quasimodo nella celebre poesia "Dulcissima Mater" e da Montale nella poesia "A mio padre". Molto viva nel poeta romagnolo è la tematica della casa e della terra natia, come si evince rileggendo la lirica "Romagna". 
Presente e sentita dal Pascoli è la tematica religiosa, cui ha dedicato un’intera silloge intitolata "Piccolo Vangelo", dove emerge per tenerezza e liricità la poesia "Gesù": si rappresenta la scena di Gesù che accarezza i fanciulli, compreso anche il figlio di Barabba:
"Gesù" 
E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte:
il suo giorno non molto era lontano.

E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: Ave, Profeta!
Egli pensava al giorno di sua morte.

Egli si assise all’ombra d’una meta
di grano, e disse: Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta.

Egli parlava di granai ne’ Cieli:
e voi, fanciulli, intorno a lui correste
con nelle teste brune aridi steli.

Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: Se costì siedi, 
temo per l’inconsutile tua veste.

Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
– Il figlio – Giuda bisbigliò veloce –
d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra’ piedi:

Barabba ha nome il padre suo, che in croce
morirà. – Ma il Profeta, alzando gli occhi,
– No –, mormorò con l’ombra nella voce;

e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

Accanto alle tematiche, già esposte, non si può passare sotto silenzio quella "Mariologica". Essa è implicita nel " Sogno della Vergine" e in "Digitalis purpurea", per divenire diretta, esplicita, nella poesia "Purificazione", recentemente scoperta negli archivi di Messina. Va qui ricordato che Pascoli esercitò il suo primo magistero universitario a Messina, così come aveva iniziato a Matera il suo insegnamento liceale. Va senz’altro sfatato il vecchio pregiudizio secondo cui Pascoli non avrebbe composto poesie sulla Madonna, al di là di qualche sporadico accenno (1). Io ritengo inesatta questa osservazione. Thallusa, la schiava protagonista dell’omonimo poemetto cristiano, è un nitido riflesso della delicata, universale maternità di Maria. Si pensi all’affettuosa Ninna-Nanna in versi saturni, cantata da lei al bambino della sua padrona. Un altro richiamo indiretto emerge dal poemetto "Il Sogno della Vergine" (Canti di Castelvecchio), in 5 parti; ora, a mio parere, questo poemetto acquista un significato pieno, profondo, solo se lo si riferisce a Maria che contempla, parla al suo figlio Gesù, nato nella verginità.
Sembrano intuire ciò le espressioni "fiore non nato da seme", "tu fiore non retto da stelo, tu simile a stella del Cielo", o i versi della quinta parte: "il fiore improvviso non sorto da seme... svanito nell’alito chiaro dell’alba".
Indubbiamente domina un’aura di mistero che fa pensare ad un intimo colloquio tra Maria Vergine e il piccolo Gesù che dorme "nel tremolio muto dell’esile cuna". Per onestà critica, devo anche riferire l’altra ipotesi dello studioso Arnaldo Colasanti, che legge il "Sogno della Vergine" alla luce dell’altro poemetto pascoliano "Digitale purpurea" (Primi Poemetti) (2). Certo non è immediata l’impostazione mariana del "Sogno...": però la mia ipotesi è per lo meno plausibile e non va esclusa.

"Il sogno della Vergine"

[I] La vergine dorme. Ma lenta
la fiamma del puro alabastro
le immemori membra tenta;
[...]
Tu fiore non retto da stelo,
tu luce non nata da fuoco,
tu simile a stella del cielo.

[V] Il lume inquieto ora salta
guizzando, ora crepita e scende:
s’è spento. Quiete più alta.

Nell’ombra già rara, già scialba
traverso le immobili tende
si sfuma la nebbia dell’alba.

Il fiore improvviso, non sorto
da seme, non retto da stelo...
Svanito! Non nato, non morto:

svanito nell’alito chiaro
dell’alba! Svanito dal cielo
notturno del sogno! — Cantarono

i galli, rabbrividì l’aria,
s’empì di scalpicci la via;
da lungi squillò solitaria

la voce dell’Avemaria.

Invece di chiara impostazione mariana è la silloge "Creature", composta anch'essa in 5 parti. Nella II e V stanza domina, accanto alla madre terrena che va lentamente spegnendosi, la dolce Madre di Cristo: lei viene camminando sulla neve e vive nell’umile casa accanto alla madre che muore e al bimbo orfano. Una donna anziana canta la ninna-nanna al bambino solo: Però accanto a lui scende Maria, gli parla e poi esaudisce il desiderio del bimbo, che vuole riunirsi alla mamma in cielo.
Ma la testimonianza sicura di una poesia pascoliana alla Vergine, composta nel 1901 per la festa della "Purificazione di Maria", ci viene da una recente scoperta di Anna Maria Andreoli: la studiosa l’ha scoperta a Messina e l’ha pubblicata in "Rivista Pascoliana" del settembre 1996. È una poesia semplice, descrittiva di un quadro cinquecentesco del pittore siciliano Girolamo Aliprandi sulla "Purificazione", mistero cristologico-mariano, attestato dall’evangelista Luca e che si festeggia il 2 febbraio. Metricamente la poesia si compone di 6 quartine di endecasillabi a rima alternata. Semplice la struttura discorsivo-estetica: però, come osserva Giorgio Calcagno, si percepisce l’unghiata del maestro nel verso: "e mosse, Elí, dicendo, Elí, pur ella". Qui lo scambio fra Elí (Dio) ed Ella (Anna), attraverso un gioco fonico, evidenzia lo stretto rapporto tra Anna e Dio: Dio l’invisibile, divenuto visibile in Cristo, figlio di Maria.

Odi. Compiuti i giorni erano e monda
era secondo il rito di Mosè.
Ella ascenderà con umiltà profonda
Vergine e madre, alla città dei re.

Avea negli occhi un dolce ardor di madre,
mentre passava tra le siepi in fiore;
ma le due bianche tortori leggiadre
piangean vicino al suo virgineo cuore.

Quand’ella entrò nel tempio, un bianco vecchio
dimenticato dalla morte, udì...
Venne stridor di cardini all’orecchio
Suo ... Mosse. Elí, dicendo, Elí.

Anche una vecchia era nel tempio nata
Da Fanuel, della tribù d’Aser.
Ed ella udì sotto la grande arcata
Venir quei passi ed un fruscio legger.

E mosse, Elí, dicendo, Elí, pur ella:
or la mia vita prendere puoi tu!
E videro ambedue la verginella
che aveva in collo il pargolo Gesù,

che avea negli occhi il dolce ardor di madre
mentre movea nel tempio del Signore
e le due bianche tortori leggiadre
piangean vicino al suo virgineo cuore.

Note

Cfr. G.B.PROIA, "I poeti Italiani a Maria", Edizioni Basilica Lateranense, Roma 1994.

Inserito Domenica 6 Settembre 2009, alle ore 22:40:25 da latheotokos
 
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