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  Vergine Madre, figlia del tuo Figlio 
Cultura Commento al canto di Dante di Sergio Gaspari

Come l’arte, anche la letteratura ha sentito potentemente in ogni epoca storica, il fascino della «Donna unicamente amata fra gli uomini» (G. De Luca), la Vergine Madre di Dio, e l’ha espresso con la sublimità stilistica della poesia. È stato detto, e non senza ragione, che un buon terzo della letteratura italiana è mariana.

Per il tempo di Pasqua abbiamo scelto Dante Alighieri (1265-1321), il più grande poeta dell’Occidente, nonché teologo di notevole spessore. Dante si ispira a san Bernardo di Chiaravalle, il dottore dei dottori mariani. Non a caso Bernardo è suo portavoce presso la Vergine (cf Paradiso, XXXI, 100-102), e poi Dante affida ancora a Bernardo il compito di pronunciare quella mirabile preghiera di lode e di invocazione alla Vergine che apre il canto XXXIII del Paradiso (vv. 1-45), titolata La preghiera di san Bernardo alla Vergine. In questa preghiera il poeta presenta Maria donna gloriosa al centro del fulgore beatificante del Paradiso. E nel tempo di Pasqua, radioso e gioioso, la Chiesa contempla la Madre del Risorto, quale stella sfolgorante attorno a Cristo, sole dell’era nuova che non tramonta.

Il soccorso della Vergine Madre all’uomo pellegrino. La teologia in Dante diventa poesia e la poesia teologia. Già nel ’300, Giovanni Boccaccio nel commento alla Divina Commedia, sosteneva che «la teologia e la poesia quasi una cosa sola si possono dire dove uno sia il soggetto: anzi dico di più, che la teologia niun’altra cosa è che la poesia di Dio [...]. Bene appare non solamente la poesia essere teologia, ma anche la teologia poesia» (in B. Matteucci, Per una teologia delle lettere, I, 1980, 36s.).

Nella storia della poesia italiana e mondiale la Divina Commedia è considerata un capolavoro letterario: in essa l’autore, che accoglie l’eredità spirituale e culturale del Duecento, arricchendola della chiara consapevolezza dei valori umani e terrestri (quasi un preludio del Rinascimento), elabora una visione totalizzante delle realtà cristiane, dove affiora una teologia ricca di tonalità mariana.

Nella Divina Commedia la figura di Maria è vista nel mistero della redenzione. La tesi fondamentale del capolavoro dantesco, che si presta a vari livelli di lettura, da quello descrittivo a quello simbolico, allegorico e metaforico, è l’esaltazione del ruolo di mediazione della Vergine: si va a Dio per Cristo, ma a Cristo per Maria. La prova di questa tesi è costituita dal viaggio di Dante, parabola del pellegrinaggio terreno dell’uomo verso il Cielo. La storia di Dante è la storia dell’uomo: caduta e grazia, peccato e purificazione, pellegrinaggio e storia, sigillati dalla più bella preghiera alla Vergine Madre, che tutto orienta, protegge, anima con la sua presenza attiva di mediatrice. Orbene questo viaggio ultraterreno di Dante verso l’ultima salute, verso il Cielo per la visione di Dio, avviene per Maria e con Maria. Si inizia nell’Inferno, dove ella appare donna di misericordia che invita alla conversione, si snoda attraverso la purificazione del Purgatorio, dove Maria appare donna di virtù da imitare, giunge alla gloria del Paradiso nel segno della Vergine gloriosa. Viaggio fantastico nei tre regni dell’oltretomba che si snoda con la non richiesta presenza soccorritrice di Maria nell’Inferno, con la sua esemplarità purificatrice nel Purgatorio, e si chiude in un cerchio perfetto nel Paradiso con la sollecitata intercessione materna.

Fra tutti i poeti, e non solo italiani, Dante ha intuito, con intelletto di fede, lo splendore della Vergine e lo ha espresso in questi versi. La sua mariologia si rifà a Bernardo, che ha il compito di guidarlo alla visione di Dio. Nel canto XXXI Bernardo si mette a disposizione di Dante: lo invita a guardare Maria, prima di accompagnarlo alla vista della gran luce di Dio. Raggiunto l’empireo, nel canto successivo Bernardo sollecita Dante: «Riguarda omai nella faccia che a Cristo / più si somiglia, ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo» (Paradiso, XXXII, 85-87).

Dante obbedisce e vede che nel Paradiso la Vergine Madre è al centro del fulgore beatificante. L’arcangelo Gabriele, nella letizia degli angeli che si riversa su di lei, come all’Annunciazione, la saluta: «Ave, Maria, gratia plena». E tutta la corte celeste si associa al saluto in un crescendo di diffusa beatitudine. Il momento di vedere Dio è giunto; urge il soccorso della Vergine coronata dal volo osannante degli angeli, e Bernardo così prega: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio».

Guida luminosa verso la gran luce di Dio. Questa preghiera, composta di quindici terzine, ed eco fedele della liturgia e della fede ecclesiale, rivela una rara precisione dogmatica. Maria è la «Vergine Madre» del Figlio di Dio, e Regina che nobilita la natura umana decaduta (cf vv. 1-5), colei che fa rifiorire l’Eden del paradiso terrestre. «Nel ventre tuo si raccese l’amore» (v. 7): così è germinato Cristo fiore dell’umanità nuova (vv. 6-9).

Da sempre prevista da Dio Padre «termine fisso d’etterno consiglio» (v. 3) e novella Eva, ella è collaboratrice di Cristo nuovo Adamo. «Quasi aurora consurgens» e foriera del «Sole di giustizia» (Mal 3,20) ella avvera l’oracolo del profeta (Is 7,14). Nell’ordine della grazia, lei è «Figlia del suo Figlio» (v. 1, espressione mutuata dal Concilio Toletano XI, 48, del 685; cf Denzinger 536): così la creatura del Logos è divenuta la Madre del Logos incarnato: «’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (vv. 5-6).

Questa è la grandezza umile della Vergine, «umile e alta più che creatura» (v. 2). Umile perché obbediente a Dio (nel Purgatorio X, 28-45 Dante ha dipinto l’Annunciazione come sublime esempio di umiltà) e grande perché quaggiù è per noi «meridiana face» (v.10): volto visibile della bontà invisibile di Dio.

La Donna gloriosa del cielo («tanto grande e tanto vali»: v. 13) è necessaria per giungere alla visione beatifica di Dio. Mediatrice di grazia, avvocata tenera e pietosa («In te misericordia, in te pietate»: v. 19) che si protende sulla terra e protegge i figli dell’esilio. Pregata da Bernardo e coralmente da tutti i beati («Beatrice con quanti beati»: v. 38), ella ottiene al peccatore di «levarsi più alto verso l’ultima salute» (vv. 26-27).

Se per Bernardo Maria è la scala per salire a Dio, per san Francesco la misteriosa interlocutrice, "termine medio" tra Dio e l’uomo, per Dante, che riprende il pensiero di Bernardo, ella è mediatrice verso il porto della salvezza, fonte di speranza certa: «Giuso, intra ’ mortali, / se’ di speranza fontana vivace» (vv. 11-12) e tenera interceditrice presso il Figlio: chi vuol «grazia e a te non ricorre,/ sua disianza vuol volar sanz’ali» (vv.14-15). Se già nell’Inferno Maria, non invocata, corre in aiuto del poeta, ora «la tua benignità [...] liberamente al dimandar precorre» (vv. 16-18). Dante difatti confessa esplicitamente il suo ricorso costante alla Vergine: «Il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera» (Paradiso, XXIII), e san Bernardo chiede alla "Donna" per lui «che conservi sani, / dopo tanto veder, li affetti suoi» (vv. 35-36).

Questa splendida preghiera alla Vergine di san Bernardo rafforza l’animo del fuggiasco Dante per "sopportare" la visione diretta di Dio. Dopo il buio e i lamenti dell’Inferno, la penombra e la mestizia del Purgatorio, dopo tanto pellegrinar egli giunge alla visione beata del Paradiso, dove contempla la Regina circondata dai cori angelici e dalle luci della gloria celeste.

Inserito Giovedi 12 Novembre 2009, alle ore 0:03:40 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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