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  Mirjam di Nazaret, donna, madre, sposa, vergine 
Bibbia

Dal libro di Francesco Rossi de Gasperis, Maria di Nazaret, icona di Israele e della Chiesa, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Magnano 1997, pp. 76-81



Mirjam di Nazaret è, ancora una volta, la personificazione privilegiata della vocazione e condizione "femminile" di Israele e dell'umanità. Essa è (he la donna (ghyné; Gv. 2,4; 19,26; Gal 4,4; Ap 12; ecc), che è piaciuta a Dio (heûres... chárin parà tô theô: Lc 1,30), come Ester al re Assuero (Est 2,17; 5,8; 7,3; cf. Rt 2,13; ecc.). A lei sono indirizzati i primi annunci della maternità messianica destinati dai profeti alla figlia di Sion, alla figlia di Gerusalemme (Lc 1,28.30-33; cf. Sof 3,14-18; Zc 9,9; RM 17-17).

É lei, in un certo senso, la città di David, nella quale è nato per il popolo un salvatore, che è il Messia Signore (Lc 2,10-11). Il Signore, JHWH, è con lei (Lc 1,28), in mezzo a lei (Sof 3,15.17) - questa volta davvero in maniera indubitabile (cf. Es 17,7) - così come Egli è in mezzo a Gerusalemme (Ez 48,35; Zc 2,9; 8,3). Essa è la piena di grazia (kecharitoméne: Lc 1,28; cf. Ef 1,6 e anche RM 7-11), della pienezza di nuziale favore divino che travolge tutte le frontiere, non solo quelle erette dal peccato, ma persino quelle segnate dalla creazione. La pienezza di grazia di Maria (Lc 1,28), infatti, è messa in stretta relazione con il suo concepimento di Gesù (Lc 1,30-31). Su di lei, prima che su ogni altro, scende lo Spirito della nuova alleanza (cf. At 2,1-41) e la potenza creatrice dell'Altissimo stende la sua ombra, rendendola madre del Messia - Salvatore (Lc 1, 26-38; cf Mt 1,20-25), senza spogliarla, però, della sua condizione di vergine, che diventa così il segno di una totale appartenenza sponsale a Dio solo, indivisa e celata agli occhi di ogni uomo (Lc 1,34; cf. la parthénos di Mt q,23; e Lc 1,27, e ha-'Almà di Is 7,14, dalla radice 'lm= la celata, la nascosta, la non-conosciuta. Cf. inoltre RM 17.39-47).

La maternità verginale di Mirjam di Nazaret è una verginità feconda, ed è uno dei segni più chiari ed eloquenti dell'inaugurazione dei tempi messianici e ultimi, quelli nei quali non ci si sposa più, né si è sposati (Mt 22,30; Mc 12,25; Lc 20,34-36). Sono questi i tempi nei quali più tangibilmente e gratuitamente si manifesta la potenza di Dio celebrata dalle Scritture (Mt 22,29; Mc 12,24.27): un Dio che rompe il grembi e fa partorire la donna sterile (Is 66,8-9) sette volte (1Sam 2,5), e la insedia nella sua casa quale madre gioiosa di figli (Sal 113,9; cf. Gen 17,15-21; 18,9-15; 21,1-7; 25,21; 29,31-35; 30,1-2.22-24; 1Sam 1-2; Lc 1,24-25.57-58; 23,28-29, ecc.). Il Dio che rende Sion feconda, da sterile e abbandonata che era (Is 49,8-26; 62,1-5; 66,5-18), così i figli dell'abbandonata sono più numerosi di quelli della maritata (Is 54,1-4 = Gal 4,27). Il rimanere vergine divenendo madre del Messia-Figlio dell'Altissimo (Lc 1,31-33), per opera dello Spirito Santo (Mt 1,20; Lc 1, 35-37), mette fine in Maria, e con Maria nella chiesa che da lei nasce (Gv 19,25-27; Ap 12,17), alla necessità di sposarsi per essere fecondi (Mt 22,23-33; Mc 12,18-27; Lc 20,27-40; cf. Gen 38; Dt 25,5-10; Rt 1,7-21; 3-4). Credere che questo sia un destino inevitabile e permanente per gli esseri umani è un grave errore che Gesù denuncia come un'ignoranza delle Scritture e della potenza di Dio, quella stessa potenza (dynamis) che aveva reso feconda la verginità di sua madre (Lc 1,35).

A quali Scritture allude Gesù in questa sua risposta crica il modo e il tempo della "risurrezione" (anástasis: Mt 22,23.28.30-31; Mc 12,18.23; Lc 20,27.33.35), quando l'essere figli di Dio coincide con l'essere figli della risurrezione (Lc 20,36)? Si pensa normalmente al testo di Es 3,6, che egli, infatti, cita subito dopo (Mt 22,31-32; Mc 12,26-27; Lc 20,37-38). Esso, però, viene addotto esplicitamente per confermare, contro i sadducei, che i morti risorgono davvero, perchè il loro Dio è un Dio dei vivi (cf. At 23,6-9; 24,15.21; 26,68.22-23; ecc.). Esso non tocca direttamente la questione dello sposarsi o no nel mondo dell'anástasis.

Perché, dunque, e in che cosa, i figli della risurrezione, pur rimanendo integralmente esseri umani come Abramo, Isacco e Giacobbe, vengono assimilati agli angeli di Dio nel cielo (Mt 22,30; Mc 12,25; Lc 20,36)? Gli angeli nel cielo non sono disponibili a sposarsi tra loro, essendo unicamente rivolti e costantemente intenti verso la faccia del Padre (Mt 18,10; cf. Tb 12,15; Lc 1,19; Ap 5,11-12; 8,2; e anche 2Sam 14,24). Questa sarà, dunque, anche la sorte degli uomini dell'anástasis: "Gli uomini retti vedranno il suo volto" (Sal 11,7; cf. Gb 33,26; Sal 16,11; 17,15; 24,6; 105,4; Is 38,11; Os 5,15; ecc.). Una volta contemplato il volto di Dio, essi non vorranno fissare nessun altro volto (cf. l'incanto del volto dell'amato/a in Ct 1,5-6a.9-11.15-16; 4,1-3.9.11; 5,10-13.16; 6,4-9; 7,5-7.10), se non quello del Cristo, sul quale rifulge tutta la gloria di Dio (2Cor 4,3-6; cf. Mt 17,2; Mc 9,2; Lc 9,29.32; Eb 1,3).

L'allusione di Gesù alla conoscenza delle Scritture non si limita probabilmente a ciò che esse dicono sobriamente degli angeli. Al di là di questi, la Bibbia è largamente dominata dalla figura di una donna che è chiamata vergine perchè essa è la sposa di JHWH, il quale la rende madre senza alcuna mediazione umana. Anzi, quando essa, stanca della propria condizione verginale - che, per un venir meno del suo fervore e della sua fedeltà, venga sperimentata a volte come un vuoto triste di sposa abbandonata e infeconda - si rivolgerà a un amante terreno di passaggio, al membruto egiziano, o all'assiro giovane e attraente, o al caldeo dall'aspetto elegante e imponente, essa susciterà la collera e la gelosia di JHWH suo sposo (Ger 3,1-13; Ez 16; 23; ecc.). Questa donna è la vergine figlia di Sion, che personifica la terra di Israele, la quale appartiene tutta e solo al Signore (Is 62,1-7.11-12; cf. Lv 25,23). Essa è la vergine figlia di Gerusalemme, che personifica il popolo santo, messo a parte dal Santo di Israele come suo possesso inviolato, che egli non intende condividere con nessun altro; consacrato a lui solo, suo bene amoroso esclusivo e sua eredità (Es 19,3-6; Dt 4,20; 7,6-8; Is 37,22-23; ecc.). Essa è Gerusalemme, la città santa (Tb 13,10) e vergine, sposata dal suo architetto divino (Is 62,5; cf. 54,5; ecc). Anche quando Israele, la sposa, abbia commesso crimini enormi e orribili, il Signore non cessa di chiamarla con il nome di "vergine" (betulà), un termine che, da una parte, nasconde a volte un'ironia sprezzante da parte dello Sposo tradito, e dall'altra ricorda alla sposa quella che avrebbe dovuto essere la sua fedeltà (Ger 18,13; ecc.). Alla condizione verginale della sua sposa, difatti, JHWH non rinuncia mai, ed egli non cessa di richiamarla dal fondo delle sue infedeltà e nonostante queste (Ger 31,21-22; ecc.).

NOTA
RM= Redemptoris mater, lettera enciclica di Giovanni Paolo II del 25 marzo 1987.

Inserito Venerdi 8 Gennaio 2010, alle ore 10:07:52 da latheotokos
 
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