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  La Vergine Maria e il ministero dei Sacerdoti 
Chiesa

Dal libro del Card. Pierre Paul Philippe, O.P., La Vergine Maria e il Sacerdozio, Edizioni Cantagalli, Siena 1987, pp.141-157.



Chiamata a collaborare con Cristo all'opera della salvezza, Maria continua questa cooperazione con i suoi sacerdoti. Li aiuta nel loro ministero con una sollecitudine e delicatezza incomparabili, e questo perché ritrova in essi il Sacerdozio di Cristo.

I - L'unione a Cristo sacerdote nel ministero delle anime (G.P. II, 6-V-'79)

S. Tommaso dice che il sacerdote ha due poteri: uno riguarda il corpo reale di Cristo e l'altro il suo corpo mistico, ma aggiunge che questo doppio potere è puramente strumentale: noi non siamo, egli dice, che ministri, strumenti per trasmettere la grazia che discende dal capo nelle membra per la nostra mediazione122. Il che non equivale forse a dire che le anime di cui abbiamo la responsabilità ci sono veramente affidate? Noi ne siamo i pastori, i padri, le conosciamo per nome e le guidiamo, le generiamo alla vita spirituale e le risuscitiamo se l'hanno perduta, con una sola assoluzione cambiamo la loro eternità, insegniamo loro le parole di verità e di vita. Insomma, esercitiamo su di loro un potere più grande di qualunque sovrano della terra poiché entriamo nelle coscienze e le dirigiamo.
Tuttavia il nostro non è che un potere ministeriale perché, in definitiva, queste anime non ci appartengono. Esse sono di Cristo, di Dio e noi non siamo che servi inutili, strumenti per se stessi molto limitati e deboli, ma resi forti da lui. «Dei adjutores sumus » (1 Cor 3, 9)123. Così pure dobbiamo avere un immenso rispetto delle anime, non accaparrarle, non imporre loro il nostro modo di vedere, non abusare del nostro potere, ma cercare di discernere le intenzioni del Signore su ciascuna di loro per condurle secondo i disegni di Dio.
La ragione profonda della dipendenza reciproca del sacerdote e delle anime sta nel fatto che il sacerdote, tanto nel suo ministero apostolico come all'altare è un prolungamento di Cristo. Non è un semplice delegato che può agire mentre colui che lo manda è distratto, ma un altro lui stesso, uno strumento che è una cosa sola con lui (G.P. II, 6-X-'86). Il sacerdote è come il sacramento dell'amore di Cristo per le anime, il segno vivente ed efficace della misericordia infinita di Dio per gli uomini. É ciò che insegna S. Tommaso: «Poiché è posto tra Dio e gli uomini, il sacerdote deve toccare Dio con la sua preghiera e toccare l'uomo con la misericordia e la compassione»124. Così il sacerdote è là, sospeso fra cielo e terra, come Cristo, mediatore e unico sacerdote. Deve essere per gli uomini il rappresentante autentico della misericordia e della compassione di Gesù. Per il suo atteggiamento e più ancora per il suo amore, deve far comprendere alle anime l'amore e anche la persona di Cristo (G.P. II, 17-lX-'87). É un dato di fatto che i fedeli vogliono vedere in noi il riflesso di Cristo e si scandalizzano quando scorgono qualche cosa che non è compatibile con l'idea che hanno di lui. E poiché per loro Gesù è essenzialmente misericordia, pazienza e bontà, sono feriti soprattutto quando vedono un gesto di durezza, un atteggiamento un po' sprezzante, degli interessi umani. Come potremmo, invece, con la nostra indulgenza e delicatezza far intravvedere a coloro che ci avvicinano qualcosa di Cristo! (G.P. Il, 9-VI11-'85).
La maggior parte di essi non medita spesso il Vangelo, gli episodi e gli atteggiamenti del Signore, per cui l'unica rappresentazione di Cristo è per loro quella che offrono i sacerdoti che hanno occasione di vedere. Così è della massima importanza che nel ministero siamo immagini viventi di Gesù Cristo. Ma il sacerdote non è solo sacramento dell'amore di Cristo per le anime che lo vedono, lo è anche, in qualche modo, per se stesso. Niente ci fa meglio comprendere la persona di Cristo che il nostro ministero. Senza dubbio, nella Messa, entriamo nelle regioni più segrete del cuore di Gesù poiché comunichiamo all'offerta di se che egli ha fatto al Padre sulla croce e che rinnova in noi (G.P. Il, 31-III-'87); dunque partecipiamo alle relazioni intime del Figlio col Padre, siamo i testimoni di questo atto d'amore che è stato sufficiente a pagare il debito alla giustizia infinita di Dio. Ma questo mistero è così soprannaturale e si compie nella nostra anima in regioni così elevate che, essendo uomini di carne e ossa, rischiamo di non esserne commossi. Invece, al confessionale, sperimentiamo quasi sensibilmente quest'azione misericordiosa di Cristo in noi; vediamo quasi, come gli apostoli, i malati guariti per la nostra preghiera; almeno, se non vediamo sempre gli effetti delle nostre assoluzioni, comprendiamo senza difficoltà, per i sentimenti di compassione che proviamo per le povere anime che sono davanti a noi, quale fu o piuttosto qual è attualmente la misericordia infinita del Signore per i peccatori, per questo peccatore che è qui, ai nostri piedi (G.P. II, 31-III-'87).
Quando non sappiamo che cosa consigliare a un'anima e non possiamo consultare nessun confratello, come fa bene chiedere la luce a Cristo sacerdote che è in noi, com'è meraviglioso, che noi possiamo, poveri uomini anche noi, parlare a Dio dell'eternità di un'anima che ha creata, che ama e che ci ha affidata. Quando, dopo tante assoluzioni, la vediamo ritornare con le stesse colpe senza che apparentemente dia il minimo segno di conversione, o quando ci troviamo davanti a un'anima piena di orgoglio che quasi sfida il Signore e che saremmo tentati di spezzare in due o di attirare su di lei il fuoco del cielo, come comprendiamo allora la pazienza, la longanimità, l'indulgenza del Signore! O ancora, quando ogni nostro tentativo naufraga nell'insuccesso perché ci troviamo come di fronte a un muro, davanti a una di quelle anime chiuse alla grazia e, dopo aver fatto di tutto per aprirla, dopo aver pregato, dopo esserci imposti anche dei sacrifici per guadagnarla a Cristo, dobbiamo riconoscere che non abbiamo ancora potuto far niente, allora come è facile per noi intuire la sofferenza che Cristo ha dovuto provare sulla croce quando vide quell'anima resistere così a lungo alla grazia e quando vide tutte le anime che si sarebbero perdute, benché egli si offrisse e morisse veramente per loro. Che grande mistero queste grazie potenzialmente efficaci, ma rese sterili dalla nostra cattiva volontà e come è necessario allora che anche noi ci uniamo alla sua adesione alla volontà del Padre!...
Veramente il nostro ministero è santo perché ci unisce al cuore di Cristo sacerdote; egli forma il nostro cuore a immagine del suo, fa di noi dei buoni pastori che amano le loro pecore e i loro agnelli e li conoscono per nome (Gv 10, 3-14).
La carità sacerdotale, che ha la sua sorgente nella grazia sacerdotale, nella grazia sacramentale dell'Ordine che abbiamo ricevuto, questa carità ha una caratteristica particolare che non è quella della carità dei semplici cristiani e che ci fa amare le anime come le ama Cristo sacerdote. Essa mette in noi non soltanto l'« occhio », ma oserei dire, il cuore del maestro. Vedere le anime come le vede Cristo, amarle come lui le ama, ancor di più: attingere dal suo cuore, ogni volta che avviciniamo un'anima, questa conoscenza e questo amore divino, tale è il grande segreto della fecondità del nostro ministero sacerdotale come pure della nostra santità personale.
Certe opere di spiritualità ci presentano la vita contemplativa come ideale di vita spirituale e considerano l'apostolato come qualcosa di minor valore richiesto necessariamente dalla salvezza delle anime. E nei nostri ritiri non abbiamo forse avuto qualche volta la tentazione di pensare a una vita in cui la contemplazione di Dio potesse avere più largo spazio? Certo, non si tratta di deprezzare la pura vita contemplativa e di sottovalutare il tempo consacrato alla preghiera. Ma forse non è inutile ricordare qui un principio di S. Tommaso che è allo stesso tempo molto rasserenante e singolarmente esigente. Al di sopra della vita attiva e al di sopra anche della vita contemplativa, S. Tommaso pone la carità e si sa che per carità egli intende una vera amicizia con Dio, una sete ardente della gloria e degli interessi di Dio. Egli dice: «Darsi alla salvezza del prossimo pur subendo, per amore di Dio e del prossimo qualche danno nella propria contemplazione, è segno di una più grande perfezione della carità che l'attaccarsi talmente alla dolcezza della contemplazione da non volerla lasciare a nessun costo, neppure per la salvezza delle anime (...). Ma questa perfezione della carità non si trova nella maggior parte di coloro che si dedicano all'utilità del prossimo, perché il tedio della vita contemplativa li spinge verso le cose esteriori»125.
Bisogna infatti che sia la sovrabbondanza dell'amore di Dio che ci spinge a caricarci del grave compito della salvezza delle anime. Dice S. Agostino in un testo che S. Tommaso cita spesso: « Se nessuno ci mette questo peso sulle spalle, non rimane che attendere alla contemplazione della verità »126. La carità ben ordinata comincia da se stessi: « Che giova all'uomo guadagnare l'universo se poi perde la sua anima? »127. Deve essere unicamente con la preoccupazione di fare la volontà di Dio e quindi per suo amore che si lasciano le consolazioni personali dell'orazione per dedicarsi alla salvezza delle anime128 (G.P. II, 2-III-'79). Occorre- come dice S. Paolo - essere messi alle strette fra il desiderio di raggiungere Cristo e la necessità di restare tra le anime che ci sono affidate (Fil 1, 23). Quanto è lontano l'Apostolo da coloro ai quali allude S. Tommaso - e sono purtroppo la maggior parte! plerique - perché essi abbracciano il ministero per fuggire il tedio della vita di preghiera, contemplativae vitae taedium ad exteriora deducit. Quanto è dunque esigente la dottrina di S. Tommaso per noi sacerdoti.
Abbiamo visto in precedenza che, secondo S. Tommaso, al sacerdote si richiede la perfezione, la santità e anche una santità superiore allo stato monastico. Questo è vero soprattutto in riferimento all'atto principale del nostro sacerdozio, che è la celebrazione della S. Messa, ma è anche richiesto, ora lo comprendiamo, per la natura del ministero apostolico. Tuttavia, se questa dottrina di S. Tommaso è esigente, è anche molto consolante, perché ci insegna che ben più della vita contemplativa ci è richiesta la carità. Dunque, la regola suprema della nostra vita sacerdotale deve essere l'amore di Dio, il desiderio di fare la sua volontà e il beneplacito divino. In definitiva il nostro ideale e anche tutta la nostra ragion d'essere è la nostra unione, la nostra identificazione al cuore di Cristo sacerdote, al suo amore per Dio e per le anime. Questa è dunque la nostra missione: continuare il ministero di Cristo, essere Cristo per le anime che ci vedono, essere come un sacramento di Cristo sacerdote, un sacramento dell'amore infinito del cuore di Gesù sacerdote (G.P. II, 11-VIII-'85).

I I - L'assistenza della Vergine Maria nel ministero sacerdotale (G. P. II, 30-IV-'82)

Se Cristo si è degnato di aver bisogno di Maria nell'opera della Redenzione è senza dubbio, almeno in parte, perché voleva insegnarci che non avremmo potuto fare a meno dell'assistenza della Vergine Maria nel nostro ministero. Il primo atto del ministero pubblico di Gesù fu compiuto per la preghiera della Madonna: il miracolo delle nozze di Cana. É lei ad affrettare il momento in cui il Signore si rivelò al popolo e lo fece esponendo al Figlio le necessità di quella brava gente: « Vinum non habent, non hanno più vino » (Gv 2, 1). Come una madre prega alla vigilia dell'Ordinazione del proprio figlio, Maria ottenne agli apostoli con la sua preghiera l'abbondanza delle grazie dello Spirito Santo di cui avevano bisogno per essere colonne della Chiesa, cosicché, se essi hanno potuto realizzare l'opera gigantesca che hanno compiuto, è per l'intercessione di Maria. Nessun dubbio che ella li abbia poi seguiti con la sua preghiera durante gli anni che passò sulla terra in casa di S. Giovanni. Domandava ed otteneva per loro le grazie necessarie alla loro missione: la grazia di un'efficace predicazione, la grazia di convertire i pagani, la grazia di essere primi testimoni della fede. La Madonna era là, come una madre nascosta, per vegliare sulla fondazione delle Chiese. Ma, in cielo, la sua regalità non incontra più ostacoli; ella vede e fa tutto insieme a Cristo Re, per nulla limitata dal numero o dallo spazio. Prega per ciascuno di noi perché il nostro ministero sia fecondo, ci ottiene luci e aiuti che senza di lei non avremmo avuto e che, forse, non avevamo neppure chiesto. Esercita poi su di noi un ruolo speciale, che le è proprio a motivo della sua maternità e della sua unione con noi: ci insegna ad essere non soltanto padri per le anime, direttori che le guidano e maestri che insegnano loro la verità, ma anche madre. E questo è necessario poiché Dio non è solamente Padre, ma anche Madre, in quanto raduna in se in modo eminente tutto ciò che nella natura è distinto.
Senza dubbio il sacerdote poteva imparare da Cristo il modo di esercitare questa missione materna, poiché Gesù è eminentemente Padre e Madre delle anime. Ma la imitazione della sua santa umanità ci porta a cercare in lui le qualità di maestro e di capo e anche di padre delle anime, più che quelle di madre. Ecco perché ha voluto che avessimo una Madre e una compagna per assisterci nelle nostre necessità e consolarci con la sua spirituale presenza, e anche per integrare quanto mancherebbe al nostro ministero se cercassimo di soprannaturalizzare in noi solo le qualità virili della nostra natura. É lei che ci dona quella inesauribile compassione per quelli che soffrono e per quelli che sono deboli, quello spirito di sacrificio che si dona senza misura, senza badare né alla fatica né alla salute. E lei che ci insegna la delicatezza e il rispetto del segreto delle anime. E lei, infine, che ci insegna ad unire la semplicità della colomba alla prudenza del serpente. Tutto quello che in Eva diventa doppiezza e puerilità in Maria è magnanimità e rettitudine perfetta e, nello stesso tempo, umiltà eccelsa. Ella sa tacere quando è necessario: preferì stare in silenzio piuttosto che giustificarsi davanti a S. Giuseppe prima dell'ora di Dio (cfr. Mt 1, 18-24). Ma sa affrettarsi quando è in gioco la gloria di Dio, come dimostra alle nozze di Cana (cfr. Gv 2, 1-11). Ecco la vera prudenza cristiana, che giudica tutte le azioni da compiere alla luce del fine, che è la volontà di Dio e la sua gloria. Appoggiamoci su di lei, chiediamole spesso consiglio. Ella, siamone certi, sarà sempre là, invisibilmente presente, di quella presenza di azione di cui già abbiamo parlato e che non le fa lasciare il cielo, come non lo lascia l'umanità di Gesù, che tuttavia agisce in noi per la presenza della sua virtù santificatrice.
Infine la Vergine Maria ci insegna a vivere la nostra vita sacerdotale in unione con Dio e anche in questo esercita una missione particolare poiché, come noi, viveva in terra nella fede la stessa vita umana e cristiana che noi dobbiamo vivere. Affidiamole la nostra vita di preghiera perché custodisca il raccoglimento della nostra anima fra le occupazioni spesso opprimenti delle nostre giornate; lei più di ogni altro sa quanto è difficile conservare questo contatto con Dio e con Cristo, perché noi non li vediamo e la nostra attenzione è assorbita dalle mille preoccupazioni del ministero. Chiediamole soprattutto che purifichi la nostra carità affinché sia unicamente lo zelo della gloria di Dio che ci spinge a prodigarci così per la salvezza del prossimo. Allora la Madonna sarà veramente per noi, come lo fu per Cristo nella sua opera redentrice, una Madre e una dolcissima compagna nella quale il nostro cuore potrà riposarsi dalle fatiche del lavoro apostolico.

III - Il sacerdote, servo di Maria (G.P. Il, 8-XlI-'78)

Se il sacerdote ha bisogno di Maria, anche Maria ha bisogno del sacerdote. Niente di sorprendente in questo, perché Cristo stesso ha voluto aver bisogno di noi per continuare il suo sacerdozio nel mondo, per applicare a ciascuna anima i frutti della redenzione. Nell'ordine attuale della Provvidenza e salvo qualche eccezione individuale, senza di noi Cristo non può far nulla per stabilire il suo regno nelle anime. Quindi non c'è da meravigliarsi che Maria santissima, che, per di più non è sacerdote nel senso sacramentale del termine, non possa nulla senza i sacerdoti. Ella ha bisogno di noi per stabilire il suo regno, che è il regno di Cristo, con questa nota particolare e assai misteriosa, ma innegabile: Maria vuole avere dei figli privilegiati, i suoi servi. Attende da noi che le diamo delle anime, che la facciamo conoscere ai fedeli insegnando loro ad abbandonarsi a lei. Anche in questo caso siamo mediatori, intermediari e vincoli di unione tra Maria e le anime per la maggior gloria di Cristo e del Padre. Così, come abbiamo potere sul corpo di Cristo e sul suo corpo mistico, abbiamo anche potere sulla Madonna in quanto è il membro più eminente del corpo mistico. E poiché ci è stato dato, serviamoci dunque di questo potere meraviglioso sul suo cuore per dare Maria alle anime, come diamo alle anime Cristo e il suo sacro Cuore. È così che noi saremo veri servi di Maria, come lo siamo di Cristo, « servi inutili », ma servi pieni di amore il cui unico pensiero è la gloria di Dio129.

CITAZIONI

GIOVANNI PAOLO II - 30-IV-'82
« Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa » (Gv 19, 27). Si può dire altrettanto di noi? Accogliamo anche noi Maria nella nostra casa? Infatti, dovremmo inserirla a pieno titolo nella casa della nostra vita, della nostra fede, dei nostri affetti, dei nostri impegni, e riconoscerle il ruolo materno che le è proprio, cioè una funzione di guida, di ammonimento, di esortazione, o anche solo di silenziosa presenza, che da sola a volte può bastare per infondere forza e coraggio.

Ibid. - 6-V-'79

Egli ha bisogno, vuole avere bisogno delle vostre persone, della vostra intelligenza, delle vostre energie, della vostra fede, del vostro amore, della vostra santità. Se è al sacerdozio che Cristo vi chiama, è perché egli vuole esercitare il suo sacerdozio attraverso la vostra consacrazione e missione sacerdotale. Vuole parlare agli uomini d'oggi con la vostra voce. Consacrare l'eucaristia e perdonare i peccati per mezzo di voi. Amare con il vostro cuore. Aiutare con le vostre mani. Salvare con le vostre fatiche. Pensateci bene. La risposta che molti di voi possono dare è rivolta personalmente a Cristo, che vi chiama a queste grandi cose. Troverete delle difficoltà. Pensate forse che io non le conosca? Vi dico che l'amore vince ogni difficoltà. La vera risposta ad ogni vocazione è opera di amore. La risposta alla vocazione sacerdotale, religiosa, missionaria può sorgere soltanto da un profondo amore a Cristo. Questa forza di amore ve la offre lui stesso, come dono che si aggiunge al dono della sua chiamata e rende possibile la vostra risposta. Abbiate fiducia in "colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ef 3, 20).

Ibid. - 6-X-'86

Ciò che noi dobbiamo realizzare, non è dunque la nostra opera, è il disegno del Padre, è l'opera di salvezza del Figlio. Lo Spirito Santo si serve del nostro spirito, della nostra bocca, delle nostre mani.... Non è solo un compito che abbiamo ricevuto, una funzione qualificata da adempiere al servizio del popolo di Dio. Qualcuno può parlare del sacerdozio come di un mestiere, di una funzione, ivi compresa la funzione di presidenza del raduno eucaristico. Ma noi non veniamo ridotti a esserne dei funzionari. Innanzitutto perché è nel nostro stesso essere che, attraverso l'ordinazione, siamo segnati da un carattere speciale che ci configura a Cristo sacerdote onde renderci capaci d'agire in nome del Cristo capo in persona.

Ibid. - 1 7-lX-'87
La gente si aspetta che siamo uomini di fede e di preghiera. La gente guarda a noi per la verità di Cristo e per l'insegnamento della Chiesa. Chiede di vedere l'amore di Cristo incarnato nelle nostre vite. Tutto questo ci rammenta una verità molto fondamentale, che il sacerdote è "un altro Cristo". in un certo senso, noi sacerdoti siamo Cristo per tutti coloro ai quali provvediamo.
Ibid. - 9-VIII-'85
Quando esercitate la vostra carica in nome di Cristo, avete l'autorità di un inviato di Cristo, e dovete essere accolti e rispettati come tali dai credenti che comprendono il vostro sacerdozio. Ma questa autorità esclude ogni autoritarismo: "Senza spadroneggiare"; essa esclude la ricerca di ricchezze personali: "Non per interesse, ma di buon animo"; essa esclude ogni durezza: "Non per forza, ma volentieri". Si, siate sempre i pastori coraggiosi e fermi di cui vi parlavo, ma buoni, umili, accoglienti, devoti, disinteressati. Ecco ciò che attendono i fedeli del vostro gregge.
Ibid. - 31-111-'87
Figli carissimi, abbiate consuetudine con il divino Maestro realmente presente nell'Eucaristia....Siate testimoni delI'amore di Cristo-eucaristia; un amore che suscita una generosità senza limiti e una offerta senza riserve a lui e, attraverso di lui, a chiunque lo cerca con cuore sincero. Come potrete altrimenti scoprire il significato della vostra vita consacrata e il senso della vostra offerta totale senza questo quotidiano e intimo incontro con Cristo?
Ibid. - 31-111-'87
A voi sacerdoti, quali ministri della riconciliazione, rivolgo l'esortazione di prestare una rinnovata attenzione alla celebrazione di questo sacramento, in cui Gesù si serve di voi per arrivare al più profondo del cuore. Non cessate di studiare e pregare per essere all'altezza del mistero della pacificazione dell'uomo con Dio, facoltà così inaudita, che provocò l'esclamazione stupefatta: "Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?" (Mc 2, 7).
Ibid. - 2-111-'79
Infine, trova posto qui il problema dello "stile" della vita interiore del sacerdote in cura d'anime. Il Concilio lo ha affrontato con coraggiosa chiarezza: "I presbiteri - osserva il Decreto or ora citato - immersi ed agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con l'azione esterna. Ed effettivamente, per ottenere questa unità di vita, non bastano né l'ordine puramente esterno delle attività pastorali, né la sola pratica degli esercizi di pietà, quantunque siano di grande utilità. L'unità di vita può essere raggiunta invece dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare l'opera sua" (n. 14). Queste parole costituiscono una reintegrazione specifica delle molte e preziose riflessioni, maturate nei secoli, sui rapporti tra vita activa e vita contemplativa. Una cosa è certa: se la coscienza del sacerdote è penetrata dall'immenso mistero di Cristo, se essa ne è totalmente posseduta, allora tutte le sue attività, anche le più assorbenti (vita activa) troveranno radice ed alimento nella contemplazione dei misteri di Dio (vita contemplativa) di cui egli è "amministratore".
Ibid. - 11-VIII-'85
Sarete dei maestri di preghiera: dovrete anzitutto, come gli apostoli sulla montagna, praticare con il Signore la preghiera d'intimità, che vi permetterà di vivere sotto lo sguardo del Cristo tutti gli atti e tutti gli incontri del vostro ministero. Anzi di più: voi siete chiamati ad esprimere, in nome del popolo di Dio e del mondo, I'azione di grazie e la supplica. Voi siete al servizio degli uomini nel loro rapporto con Dio..., ma quanto a voi, non lasciatevi assorbire dalle attività profane, mentre c'è tanto da fare per il regno di Dio al quale avete donato la vostra vita. Onorate la chiamata di Cristo! Possano i fedeli comprendere, attraverso la testimonianza della vostra vita, che voi gli consacrate non solo il vostro tempo, ma le potenze dell'amore che sono in voi, per servirlo nella castità, in una vita povera e tutta disponibile a Dio e agli altri. Allora, le prove, le incomprensioni, perfino le calunnie e le persecuzioni potranno venire, come è detto nelle beatitudini, come è annunciato ai discepoli del Cristo crocifisso, ma voi rimarrete saldi. Il Cristo vi sosterrà; voi conoscerete la pace e la gioia promesse ai suoi servi buoni. Il vostro cuore resterà sul Tabor.
Ibid. - 30-lV-'82
Nella famiglia di Dio, e tanto più nella famiglia presbiterale, Maria custodisce la diversità di ciascuno all'interno della comunione fra tutti. E nello stesso tempo ella può esserci maestra di disponibilità allo Spirito Santo, di trepida condivisione della dedizione totale di Cristo alla volontà del Padre, soprattutto di intima partecipazione alla passione del Figlio e di sicura fecondità spirituale nell'espletamento del nostro ministero. "Ecco la tua madre" (Gv 19, 22): ciascuno senta rivolte a se queste parole e perciò attinga fiducia e slancio per un cammino sempre più deciso e sereno sulla strada impegnata della propria vita sacerdotale.
Ibid. - 8-XII-'78
Il Papa, agli inizi del suo servizio episcopale nella cattedra di S. Pietro a Roma, desidera affidare la Chiesa in modo particolare a colei in cui si è compiuta la stupenda e totale vittoria del bene sul male, dell'amore sull'odio, della grazia sul peccato; a colei della quale Paolo VI disse che è "inizio del mondo migliore", all'Immacolata. Le affida se stesso, come servo dei servi, e tutti coloro che egli serve, e tutti coloro che con lui servono. Le affida la Chiesa romana, come pegno e principio di tutte le chiese del mondo, nella loro universale unità. Gliela affida e offre come sua proprietà! "Totus Tuus ego sum ei omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia!" (Sono tutto tuo, e tutto ciò che ho è tuo. Sii tu mia guida in tutto). Con questo semplice e insieme solenne atto di offerta il vescovo di Roma, Giovanni Paolo 11, desidera ancora una volta riaffermare il proprio servizio al popolo di Dio, che non può essere nient'altro che l'umile imitazione di Cristo e di colei, che ha detto di se stessa: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1, 38).

NOTE
122 S. TOMMASO, Suppl., q. 36, a. 2. e a. 3.
123 Cfr. le magnifiche pagine del P. Th. Dehau O.P., in Le Bon Pasteur, Paris, 1942.
124 « Debet esse medius inter hominern et Deum: sicut ergo per devotionem orationis debet tangere Deum tamquam unum extremum, sic per misericordiam et compassionem dehct tangere alterum extremum,. scilicet hominem». S. TOMMASO, In Ep. ad Hebr., V, lect. 1.
125 «Intendere saluti proxhnorum cum aliquo detrimento contemplationis propter amorem Dei et proximi, ad maiorem perfectionem caritatis videtur pertinere quam si aliquis in tantum dulcedini contemplationis inhaereret quod nullo modo eam deserere vellet, etiam propter salutem aliorum... Quae tamen perfectio caritatis in plerisque proximorum utilitate vacantibus non invenitur, quos magis contemplativae vitae taedium ad extcriora deducit ». S. TOMMASO, De perfectione vitae spiritualis, c. 23. Cfr. anche De Carit.. a. 11, ad. 6.
126 S. AGOSTINO, De civit. Dei, XIX, 39. Cfr. S. TOMMASO, II-II, q. 182, a.1, ad. 3.
127. Cfr. S. TOMMASO, Quod., 3, a. 17, ad. 6.
128 «Ex dilectione Dei videtur procedere quod homo, praetermissa propria consolatione, voluntatem Dei implere studeat in aliorum salutem ». S. TOMMASO, III, «Sent.» d. 35, q. 1, a. 4, ql. 2, ad. 2.
129 Cfr. S.L.M. GRIGNON DE MONTFORT, Traité,  nn. 55-59 e pp. 54-59 (ed. francese).
130 BOSSUET, Panégyrique de saint Jean l'Évangéliste, ed. Lebarcq, Paris 1891, t. II, pp. 526-545.
 

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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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