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  Maria, paradigma delle donne e non dell'eterno femminino 
Donna

dal libro di René Laurentin, Maria chiave del mistero cristiano. La più vicina agli uomini perché la più vicina a Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, pp. 51-65.





 

Parlare di Maria come modello delle donne sembra anacronistico per due ragioni:
- che significato potrebbe mai avere un modello vecchio di due millenni in un mondo in trasformazione radicale?
- non è un'offesa alla promozione delle donne?
Evidentemente Maria non è un modello materiale, il prototipo di una catena di montaggio. Non si tratta di « riprodurre » questa donna d'altri tempi - il suo ambiente, la sua situazione economica e alimentare, la sua cultura, la sua civiltà patriarcale -, ma il suo slancio e la sua ispirazione provenienti da Dio solo.

Bisogna « smitizzare » e « rimitizzare » Maria?

Per giunta, l'ideologia del femminismo radicale, che si è procurato un grande potere teologico in America, considera Maria come un modello impossibile e pericoloso, perché nessun'altra donna sarà « vergine e madre ». Questa premessa ha suggerito una valanga di slogan: si tratta di un mito artificioso, fabbricato a bella posta dal clericalismo maschile per mortificare e per svilire le donne; così il fanatismo maschile l'ha proclamata « unica pura tra le puttane » per disprezzo delle altre donne, bollate come personificazione della tentazione, del peccato, perfino dell'inferno.
Il femminismo si è assunto il compito di « smitizzare » questo mito patriarcale, per « rimitizzarlo » secondo altri valori. Mary Daly, autorevole capofila del movimento cattolico, invitava a rinnovare la teologia e la mariologia secondo tre modelli estranei al cristianesimo:
- le dee femminili, per vivificare la conoscenza di Dio;
- le streghe, rappresentanti infelici delle forze vive della natura e delle religioni antiche, mandate al rogo dai chierici celibi;
- gli omosessuali, per svelare i valori specifici della femminilità, e perciò l'antropologia cristiana.
Questo metodo rivoluzionario l'ha portata progressivamente a invocare un « anticristo femminile » e ad abbandonare la comunione cattolica.
Certo, il femminismo che sale sulle cattedre di teologia americane ha attenuato e corretto, in misura diversa, questo modello radicale. Tuttavia queste tre fonti conservano un'influenza considerevole. Per esempio il recente Dietionary of Catholic Spirituality americano (1993) non fa più riferimento al modello dell'omosessualità (tuttora esaltato negli ambienti femministi, dove le donne sposate, e soprattutto le madri di famiglia, fanno una magra figura di fronte alle lesbiche che parlano con sussiego), ma continua a riservare un posto ragguardevole al duplice riferimento alle dee e alle streghe delle quali viene compilato con erudizione il martirologio.

Il cancro delle ideologie

La teologia non progredisce di certo alla luce delle ideologie. Perciò è davvero sorprendente che i cattolici siano tanto sensibili a questa tentazione. In Francia, i generosi movimenti dell'Azione Cattolica e dei preti operai, andati incontro al mondo del lavoro cantando: « Rifaremo cristiani i nostri fratelli », ritennero necessario riciclarsi nell'ideologia marxista in quanto unico modo di liberare la classe operaia.
Allo stesso modo l'ideologia femminista ha fatto ricorso a valori estranei al cristianesimo e a questi cerca di convertire la Chiesa: la accusa sistematicamente di essere patriarcale, così come i cattolici marxisti l'accusavano di perpetuare strutture feudali e borghesi tramontate. Seppure queste critiche contenevano una parte di verità, che del resto la Chiesa ha riconosciuto al fine di correggere i propri errori, tuttavia essa deve opporsi alle aberrazioni e alle perversioni insite nelle ideologie rivoluzionarie, ai metodi violenti della lotta di classe così come della lotta dei sessi (femminismo contro patriarcato). La Chiesa ha sempre lottato contro l'iconoclastia che distrugge i segni autentici per innalzare segni derivati da pulsioni mitologiche che la lotta rivoluzionaria fa proliferare.
Alcune teologhe, come Ronda Chervin, Mary Nelle, Gloria F. Dodd, reagiscono talvolta energicamente contro queste aberrazioni. Pur essendo completamente aperte ai valori della modernità, mantengono e difendono i valori propriamente femminili che il femminismo radicale attacca per appropriarsi di valori spesso maschili, anzi distruttori della femminilità. In effetti, sono aperte molte altre strade per la liberazione e la promozione delle donne, al riparo dalle contaminazioni.

Un femminismo consacrato a Maria

A questo riguardo è significativo il movimento femminista russo, sorto alla fine degli anni settanta. Nacque presso le donne che appartenevano alla terza generazione educata nel materialismo ateo: Tatiana Goriceva e le sue compagne.
Per il marxismo russo trionfante, la comparsa stessa di un femminismo era non soltanto inaccettabile, ma inconcepibile, perché il materialismo affrancatore da tutte le sovrastrutture aveva risolto il problema: aveva realizzato l'uguaglianza perfetta dei sessi. Il regime la illustrava per mezzo di fotografie che mostravano donne alla guida di grossi trattori o di grosse macchine, dal momento che fra i massimi dirigenti del partito e dello stato non c'erano donne da esibire. Perciò il femminismo russo nacque nella clandestinità. Pubblicava in samizdat. Appena fu scoperto, i suoi capi furono espulsi come un virus temibile. Questa generazione spontanea era nata cristiana e accorreva nei monasteri, per trovare, presso gli star¿y, i segreti di vita proibiti dal regime.
Si trattava in effetti del risultato di una lunga ricerca. Da lungo tempo, Tatiana, filosofo, lettrice di Sartre e di Rahner, era alla ricerca dello spirituale. Ne cercava le sorgenti disperatamente un po' ovunque. Sperava di trovarle in Oriente, nella meditazione trascendentale, popolata da divinità pagane. Eppure, un giorno, il suo spirito paradossale le fece scegliere un mantra cristiano: il Padre nostro. Lo ripeteva coscienziosamente, con una concentrazione perfetta, e a un tratto una nitida certezza si impone alla sua mente: È VERO! Nello stesso tempo Tatiana intravede la salvezza in Gesù Cristo e si dà a una vita di preghiera intensa. Scopre la Vergine Maria come la sua liberazione e come la liberatrice delle donne. Fonda un sodalizio sotto la sua protezione e lo battezza « Maria ». Tatiana conosceva le dee pagane, così come Mary Daly e le sue discepole americane che in quelle cercavano fonti anticristiane, ma per lei, alla luce del cristianesimo, diventarono un contraltare. Scrive: «Grazie a Maria, ho potuto ritrovare me stessa ritrovando Dio. (...) Maria cancella la maledizione che tutte le religioni anteriori hanno fatto pesare sul femminismo. Astarte si contrappone a Geova. La « grande madre » delle religioni pagane incarnava l'irrazionale, le forze oscure del corpo. Soltanto nel cristianesimo si è realizzata la glorificazione completa del corpo (l'incarnazione). Soltanto il cristianesimo distrugge il dualismo fra corpo e spirito».1
Tatiana trovava in Maria il superamento dei due archetipi (contrapposti) della psiche femminile secondo C. G. Jung: « L'identificazione con la madre e la rivolta contro la madre ». Per lungo tempo ella aveva fatto parte del secondo tipo che « conduceva le donne a diventare delinquenti, anarchiche, prostitute », ma ora denunciava la causa di questa perversione: « L'educazione sovietica orientata verso un ideale astratto, unilaterale, pseudomaschile ».2 Questo materialismo ateo distruggeva ad un tempo la virilità degli uomini e la femminilità delle donne, oppresse dall'abbrutimento e dall'alcolismo maschile. Il guaio delle donne non era tanto il fanatismo maschile quanto l'ateismo marxista. Tatiana ritrova il lirismo dei padri greci per cantare Maria: « Con la Vergine santa, per la prima volta nella storia dell'umanità, si compie la purificazione perfetta della corporeità e dell'inconscio. La femminilità, degradata nelle religioni pagane al livello del demoniaco, qui è santificata a tal punto, innalzata a vette talmente inaccessibili, che diventa il ricettacolo dello Spirito Santo: « Le tue viscere sono più vaste dei cieli. Rallégrati, tempio aurifero dello Spirito ». (...) É venuta a noi colei che viene a salvare i morenti. « Rallégrati, porta della salvezza ». La preghiera rivolta alla madre santa di Dio mi ha aiutata a scoprire, a far nascere in me il principio femminile in tutta la sua purezza e la sua assolutezza. Mi è apparso evidente, innanzi tutto, il significato spirituale della virtù principale: la castità, (...) che, dopo di lei (Maria), hanno praticato i monaci, ma anche quelli che vivono nel matrimonio cristiano. (...) Come il nuovo Adamo ha riscattato i peccati dell'antico, così la nuova Eva ha liberato l'antica Eva dalla maledizione che pesava su di lei, ed è diventata il prototipo della Chiesa. La madre di Dio dà ragion d'essere alla femminilità e all'essere umano in generale. Ci dà l'immagine dell'essere perfetto. All'inverso dell'orientamento asociale, statico, mortifero, la madre di Dio è interamente rivolta verso l'esterno. Essa ascolta, (...) completamente consacrata alla volontà di Dio di cui « ripone le parole nel cuore ». In lei si trovano congiunti nello stesso tempo il compimento perfetto della vita e l'abbandono sacrificale a Dio. È questo il motivo per cui è chiamata « prototipo della Chiesa ». La preghiera che le viene rivolta illumina ad un tempo tutti gli abissi dell'inconscio (...) e l'altezza delle vette. Rallégrati, abisso inaccessibile ai pensieri umani ».3
L'espulsione di queste donne ha stroncato il femminismo russo. Le altre, private dei loro profeti e minacciate da ogni parte, sono state ridotte al silenzio. Tatiana, dal canto suo, accolta fraternamente dalle femministe occidentali, ma estranea alla loro ideologia, si è consacrata all'evangelizzazione, che le è sembrata più essenziale.
La promozione delle donne era necessaria nella nostra civiltà dove per così lungo tempo si è abusato, e si abusa ancora, delle donne. Esse sono sempre state la risorsa e il sostegno fondamentale a cui ogni civiltà e ogni uomo devono tutto, sin dal principio della loro esistenza (gestazione, prima e fondamentale educazione), ma occorre che questa promozione non sacrifichi i valori insiti nella natura, per quanto scandalosa possa sembrare l'enunciazione di questa parola e questa realtà. Il femminismo è giunto a evocare, ottenendo grande risonanza presso i mezzi di comunicazione di massa, le possibilità scientifiche di trasferire la gestazione agli uomini. Questo colmo di assurdità ridicolizza, anziché onorare, il femminismo radicale. E così le donne meno umane e meno femminili sono state le promotrici vittoriose della crociata per l'aborto, senza sospettare che in questo modo esse erano spesso gli strumenti di un disegno maschile.
Occorre che la promozione delle donne non distrugga i valori essenziali dei quali il mondo è a loro debitore e senza i quali diventerebbe un inferno. È quello che hanno scoperto intuitivamente, irresistibilmente e poeticamente le femministe russe. È anche quello a cui si consacrano con discrezione innumerevoli donne, troppo assorbite dai loro compiti essenziali per esternare il loro convincimento e la loro esperienza nei mezzi di comunicazione di massa.

La promozione delle donne nel vangelo

I valori femminili fanno parte della rivelazione. La Bibbia fa delle donne le perle preziose della santità, la cui gloria sarà rivelata soltanto nell'ultimo giorno. Il femminismo ha esplorato poco i suoi valori specifici; e i lavori ai quali mi sono dedicato per mostrare la novità del vangelo in questo campo non hanno quasi avuta eco, poiché andavano controcorrente rispetto alle ideologie in voga.

Lo sguardo nuovo di Cristo

Eppure è essenziale.
Innanzi tutto, Cristo ebbe uno sguardo nuovo verso le donne.
- Non soltanto uno sguardo di misericordia per « scacciare i sette demoni » da Maria di Màgdala (Lc 8,1-3) o per salvare la donna adultera dalla condanna prescritta dalla legge dicendole: « Va', e d'ora in poi non peccare più » (Gv 8,1-11).
- Contrariamente alla tradizione rabbinica, egli le ha accolte come discepole, e questo era uno scandalo. Erano discepole a tutti gli effetti, lo seguivano nei suoi spostamenti (Lc 8,1-3); e furono esse « i discepoli » più fedeli: quelle che ebbero il coraggio di seguirlo sul Calvario, mentre i discepoli « uomini » erano scappati. Furono le prime al sepolcro e Gesù onorò Maria Maddalena della sua prima apparizione. La loro precedenza è evidente e significativa.

Una nuova antropologia femminile

Ma non è tutto. I vangeli (quanto meno quelli di Luca e Giovanni, i più espliciti) abbozzano un'antropologia femminile che manifesta la priorità e i valori specifici delle donne: intuizione profetica e generosità senza riserve.
Il vangelo di Luca pone in netto contrasto Zaccaria (Lc 1,4-25) e Maria (Lc 1,26-38). Il sacerdote Zaccaria, che officia nel tempio, non ha diritto alla parola davanti a Dio. La sua domanda dettata dal buon senso quando gli viene annunciata la nascita del figlio Giovanni Battista: « In che modo potrò conoscere questo? Io infatti sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni » (Lc 1,18), gli vale una punizione: sarà muto fino al giorno in cui la predizione si sarà compiuta.
Ma l'obiezione analoga sollevata dalla giovane Maria: « Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo? » (Lc 1,34), riceve una risposta in cui culmina la sua gloria: « Lo Spirito Santo scenderà sopra di te... ».
E così i primi due profeti del Nuovo Testamento sono due donne:
- Elisabetta esalta Maria (Lc 1,42-45);
- Maria le risponde con una profezia ancora più profonda in cui attribuisce tutta la gloria a Dio solo, in un impeto di gioia (il Magnificat: Lc 1,46-56).
Le donne sono le prime a comprendere, a vivere e a donare al mondo il mistero di Dio, non compreso dal sacerdote. Esse precedono gli uomini sin dalla nascita del Signore, così come li precederanno alla risurrezione, dove Luca (24,11) sottolinea: « Ma queste parole parvero ad essi come un'allucinazione e non credettero alle donne».
Questa medesima antropologia femminile ispira in modo più strutturale il vangelo di Giovanni. Ognuno dei tre libri che lo compongono comincia con due episodi in cui le donne hanno un'iniziativa che anticipa e mette in moto il piano divino.
1. All'inizio del libro dei segni (Gv 2-10) Maria suggerisce a Gesù il suo primo miracolo. Dapprima sembra che Gesù rifiuti, ma poi compie su richiesta di lei « il suo primo segno in Cana di Galilea e i suoi discepoli credettero in lui » (Gv 2,11). Questo segno fonda la fede stessa dei discepoli che a loro volta fonderanno la Chiesa. Maria è all'origine della loro fede, così come è stata l'origine della venuta di Gesù fra gli uomini. Allo stesso modo, la samaritana è la prima evangelista dei samaritani che « credettero in Gesù per la parola della donna» (Gv 4,39).
2. Il libro della passione (Gv 11-19) comincia parimenti con due iniziative profetiche e anticipatrici di due donne: la fede di Marta ottiene la risurrezione del fratello, segno della Pasqua (11,21-27); sua sorella Maria fa l'unione di Betania: segno della « sepoltura » e risurrezione (Gv 12,7-8), come la interpreta Cristo stesso.
3. Il libro della risurrezione (Gv 20-21) manifesta questa priorità femminile con un risalto ancora maggiore. Maria Maddalena fa con grande coraggio la prima visita al sepolcro vuoto (20,1-2). Riceve la prima apparizione (20,14-17) e così diventa la prima evangelista degli evangelisti, come diceva san Pietro Crisologo già nel secolo V.
La struttura, che è così ben delineata nel vangelo di Giovanni, è già riconoscibile nei sinottici, soprattutto in Luca, e deriva appunto dallo sguardo nuovo e dall'atteggiamento nuovo di Cristo nei riguardi delle donne, conformemente a una comprensione profonda, al di qua del linguaggio maschile.
Non si dica che il vangelo contrappone la purezza di Maria all'impurità del resto delle donne. In Luca, così come in Giovanni, Maria non è affatto contrapposta alle altre. Al contrario, si inserisce in quest'antropologia femminile il cui significato è universale.
- Nel vangelo di Luca, Elisabetta (1,42-45) profetizza prima di Maria (1,46-55), ed entrambe profetizzano prima di Zaccaria (1,68-79) e Simeone (2,29-35).
- Nel quarto vangelo, Maria è senza dubbio in testa (Gv 2,1-12) e al centro (19,25-27), ma in rapporto fortemente strutturato con le altre donne. Nel « libro dei segni », la samaritana fonda la fede dei samaritani (4,39) così come l'intercessione di Maria (2,4) fonda la fede dei discepoli (2,12). E nel « libro della risurrezione », la testimone pilota è Maddalena, non Maria.
Dunque Maria incarna, al livello più alto, i valori iniziatori, anticipatori, profetici delle donne: la sensibilità straordinaria che permette loro di penetrare intuitivamente e di far fruttificare il dono di Dio. Maria, la più perfetta fra le semplici creature, donne o uomini, ha realizzato in modo paradossale i valori essenziali e più divini del femminino, quelli legati più strettamente all'amore:
- verginità: segno dell'amore escatologico e trascendente di Dio solo;
- fecondità-maternità, per l'incarnazione di Dio stesso nella vita del mondo;
- coniugalità - tenerezza: poiché era sposata con Giuseppe, un vero matrimonio la cui ispirazione paradossale poche coppie cristiane ritrovano qualche volta.
É vero altresì che Maria ha rinunciato all'eros del matrimonio e lo dichiara dicendo: « Non conosco uomo » (Lc 1,34), secondo l'accezione biblica e sessuale della parola « conoscere ». Il presente esprime una decisione, così come si dice: « Non bevo, non fumo ». Da due secoli l'esegesi razionalista, financo cattolica, si ostina a eliminare o travisare queste parole ovvie. Il dono esclusivo di Maria a Dio solo sarebbe anacronistico, fuori della portata di questa piccola ebrea insignificante. Eppure non era lei la meglio predisposta a scoprire ciò che altre fanciulle hanno scelto dopo di lei, per chiamata interiore di Dio, più spesso di quanto non si pensi? Il fascino della verginità era un arduo percorso di guerra in una civiltà in cui la donna non era padrona del suo destino e doveva venire a patti con l'autorità della famiglia, come è accaduto molte volte fino ai primi anni del nostro secolo. Fu il caso di Yvonne Beauvais, negli anni fra il 1918 ed il 1920.
Le pressioni ideologiche contro la verginità di Maria sono state così forti che la prima traduzione liturgica francese di Lc 1,27 soppresse deliberatamente, ancorché ripetuta due volte, la parola « vergine » (nel suo senso forte come in Matteo 1,23).
D'altra parte, i traduttori annacquarono la domanda di Maria e la sua decisione. Secondo la traduzione parafrasata: « Come avverrà questo poiché io sono vergine? » (Lc 1,34), si reintroduceva questa parola, eliminata in Lc 1,27, là dove Luca non la usava più. Secondo questo annacquamento di Lc 1,34, Maria non oppone più alla nascita una decisione, ma un semplice fatto: e non se ne capisce la ragione, dato che per una fidanzata la condizione di vergine è ovviamente soltanto provvisoria. Questa traduzione è messa a disposizione dei predicatori per presentare Maria come il modello delle innamorate. Certo, l'amore coniugale è meraviglioso e santo. Ma Maria era orientata da Dio in un'altra direzione. E proprio di questo essa chiede spiegazione, come tutti avevano capito fino all'inizio del nostro secolo.
Anche Harnack, non trovando scappatoia per eludere questo senso, espungeva questo versetto sulla base di fragili argomenti di « critica interna »: scappatoia... Usava violenza al testo, e non ha fatto scuola. Ma in seguito sono stati trovati molti altri sotterfugi di ripiego per escludere a ogni costo il senso ovvio mediante diverse interpretazioni tendenziose.
Maria ha percorso una via disseminata di sacrifici, come hanno ben appreso le femministe russe, anch'esse impegnate in cammini logoranti. Ma hanno ben capito che la croce è un cammino di salvezza e di approfondimento. La vita di Maria andava controcorrente.
- Il celibato, per la cultura ebraica e biblica, era un'incompiutezza. In Giudici 11,37-38 la figlia di Iefte, condannata a morte, chiede due mesi per « piangere la sua verginità ». Nel caso di Maria, si trattò dello slancio di un dono esclusivo e spontaneo a Dio per non essere colmata che da lui solo, al di là delle attrattive di questo mondo. Cosa che avvenne, ad un grado inimmaginabile.
- La rinuncia alla maternità la sospingeva nella categoria maledetta delle donne sterili, disprezzate, secondo la mentalità biblica (Gn 11,30; 20,18; 25,21; 29,31; Es 23,26; Dt 7,14; Gdc 13,2-3; lSam 1,5-6; Gb 3,7, ecc.).
Da questo punto di vista, il suo cammino è singolare, poiché Dio l'ha scelta come madre di suo Figlio, ma questa maternità trascendente non si realizzerà nella gloria, apparentemente promessa, di un trono regale (Lc 1,33-34), ma attraverso prove tragiche. Dapprima si presentò il rischio di essere accusata da Giuseppe e da tutto il paese; e senza dubbio proprio per sottrarsi a sospetti mortali (Dt 22,23), Maria, insieme a Giuseppe, ha colto l'occasione del censimento per nascondere la nascita a Betlemme. E venne il lungo viaggio sui sentieri sassosi e accidentati, attraverso le colline. Maria, appesantita dal fardello della gravidanza, accettava nell'oblio di se la nuova vita che stava formando con la sua: la vita del Figlio di Dio in persona. Come molte madri, operava un distacco dall'ego nell'accoglienza gratificante dei valori sublimanti della maternità. Poi venne lo squallore di una stalla per la nascita.
Maria visse una condizione subalterna in una società in cui il potere maschile era assoluto e i compiti delle donne particolarmente gravosi. Come molte altre donne, visse un amore incessantemente più forte della subalternità e dell'avversità (benché la comunione di intenti, di comprensione e di tenerezza con Giuseppe e con suo Figlio abbia reso questo fardello più leggero); ma quanto fu penosa per lei quella puntata del clan familiare per ricondurre a Nazaret Gesù che giudicavano matto per essersi messo a fare il profeta (Mc 3,21)!
Dio ha chiesto a Maria il superamento di molti valori normali (piacere, godimento...), poiché era chiamata a realizzare l'amore nelle sue forme supreme, perfette e perfino trascendenti, al di là dei valori esaltanti di questo mondo. Ha rinunciato radicalmente all'eros per realizzare in pienezza l'agape: l'amore di Dio, ella seppe viverlo nella pienezza. Ha preso le distanze nei confronti del desiderio per realizzare il dono perfetto in cui ritrovava il centuplo di cui parleremo più avanti. Maria, insomma, seppe accettare anche le tribolazioni della condizione femminile per mezzo di un amore più forte delle frustrazioni e delle tribolazioni.
È vero che con tutto questo Maria è estranea a molti obiettivi per i quali si batte il femminismo ideologico radicale:
- libertà sessuale a tutto campo;
- libertà di godere senza concepire;
- libertà di uccidere (di abortire), sull'esempio dei poteri guerrieri maschili;
- conquista dell'avere, del sapere e del potere.
Maria ha saputo realizzare un'estrema autonomia, non lottando contro la dominazione maschile, né attraverso il soddisfacimento dei desideri, ma mediante la generosità del dono totale, in un disinteresse assoluto, che le faceva scoprire, dall'interno, il senso nascosto di questa massima del vangelo: « Chi vuoi salvare la propria vita, la perderà; chi invece perderà la propria vita a causa mia, la troverà» (Mt 10,39; 16,25).
La sua cooperazione al sacrificio redentore l'ha portata all'apice estremo di questa via.
Proprio sacrificando certi valori reali ed ovvi della femminilità (e dell'umanità), Maria li ha realizzati in modo eccezionale, in pienezza. Allo stesso modo, il vangelo esorta gli uomini a rinunciare alle glorie del maschilismo per l'umanità, il servizio, il perdono dei nemici.
Maria ha realizzato in Dio e per mezzo di Dio, in modo straordinariamente efficace e supremo, i valori umani e femminili della sua condizione, ed esorta ogni donna e ogni uomo ad imboccare questa medesima via delle beatitudini (differenziate a seconda delle situazioni e dei generi di vita), per realizzare la medesima pienezza, ciascuno secondo le sue capacità e la sua condizione, come esemplifica così bene la massima che Teresa di Lisieux imparò da una delle sue sorelle maggiori: un bicchiere piccolo e un bicchiere grande possono essere ugualmente pieni.
Non c'è vita scevra di sacrificio. Anche a questo riguardo, Maria è un modello per tutti e un vertice. Simeone le aveva rivelato la sua vocazione di anima vittima, nella direzione del martirio: « Una spada trapasserà la tua anima » (Lc 2,35). E Maria conobbe la spada e il martirio peggiori al momento della sua compassione.

Niente a che vedere con l'eterno femminino

Al tempo della « mariologia dei privilegi » si è creduto di modernizzare la gloria di Maria definendola « l'eterno femminino ». Quali che fossero le buone intenzioni e i valori messi in luce con questa bella formula, essa aveva l'inconveniente di fare di Maria un mito, di idealizzarla nell'astrazione. Ebbene, Maria è l'esatto contrario di un mito e di un'astrazione: il contrario altresì delle dee pagane, incarnazioni mitiche delle forze della natura. E un essere umano, nato nella Palestina del I secolo; una ragazza molto concreta e vivissima: dovette lottare contro le difficoltà quotidiane dell'esistenza e visse la sua vita con quel dinamismo che faceva dire al cardinale Saliège: « Un giorno bisognerà pur liberare le energie esplosive nascoste nel cuore delle donne».
In quel tempo le donne, per sopravvivere e per far sopravvivere la loro famiglia, dovevano ogni giorno coltivare e raccogliere, prima di preparare le vivande; macinare il grano, impastare la farina, cuocere il pane, alimentare il fuoco, così difficile da accendere; filare, tessere, cucire gli abiti. Il destino delle donne era allora, più che oggi, un eterno ricominciare daccapo. In quest'economia povera e in quest'igiene ignara di medicina scientifica, il corpo era sottoposto a dura prova. In una società in cui l'autorità era affare degli uomini, occorreva un'inventiva inesauribile per far sì che l'ubbidienza non fosse distruttiva ma costruttiva, che un soffio perenne di calore umano, di raccoglimento sereno e di amore venissero a ravvivare l'orizzonte austero della vita. La donna è l'anima della casa, è stato detto.
Maria riversò tutto l'amore possibile nelle piccole azioni della vita quotidiana. E questo amore costruì l'avvenire, attraverso la lotta umana e spirituale a cui nulla si sottrae in questo mondo di peccato. Il vangelo ci lascia intravedere i momenti critici: i problemi suscitati dalla concezione verginale (Mt 1 e Lc 1), la separazione da Gesù durante la vita pubblica, il dramma della passione, la separazione ultima dell'ascensione (At 1,10-14), le tensioni della comunità primitiva di Gerusalemme in cui Maria era una delle vedove ebree, dapprima avvantaggiate rispetto alle vedove greche, poi private dei loro privilegi a motivo all'incarico affidato ai « sette » i cui nomi indicano appunto che erano tutti greci (At 6,1-6).
Maria non è una femminilità vagante nella stratosfera. É una libertà vivente in cammino verso Dio, nel rendimento di grazie, un dinamismo irresistibile proteso a edificare dall'interno il mondo e la salvezza del genere umano. Maria seppe vivere lo slancio dei misteri gioiosi (non senza austerità) e accettare i misteri dolorosi verso la gioia perfetta dei misteri gloriosi.
Le donne allora, insieme ai bambini, ai poveri e ai malati, erano tra i « poveri in spirito » (Mt 5,3) ai quali Gesù annunciò la buona novella del vangelo. Maria ha saputo, meglio di chiunque altro, far tesoro di tutto, anche delle sofferenze, per portare a compimento l'opera di Dio sulla via della felicità. E senza dubbio capocordata in questa ascesa: ammirevole, ma imitabile.

NOTE

1 Des femmes: délivrées des larmes d'Ève, réjouis-toi, in Femmes et Russie, 1980, pp. 27-28; traduzione dall'almanacco del gruppo « Maria » pubblicato in samizdat.
2 Ibid.
3 Ibid., p. 28



 

Inserito Mercoledi 27 Aprile 2011, alle ore 9:51:44 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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