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  Maria e la consolazione degli afflitti 
Società

da Angelo Amato, Maria e la post-modernità, in Aa. Vv., Maria guida sicura in un mondo che cambia, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2002, pp. 31-37.



1. «Beati gli afflitti (Mt 5,5)

Le beatitudini sono momenti particolarmente intensi di felicità, quasi preludio, su questa terra, della gioia eterna in cielo. Gesù ha fatto della felicità un programma di vita, proclamando beati i poveri, i mansueti, gli afflitti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per il suo amore (cf. Mt 5,3-12).
Se i mansueti, i misericordiosi e i cercatori di giustizia e di pace possono rappresentare delle esperienze concrete di valori umani positivi e gratificanti, e, quindi, delle anticipazioni della felicità eterna, non si può dire la stessa cosa dei poveri, degli afflitti, dei perseguitati, che costituiscono, invece, degli stati di indigenza, di sofferenza, di paura.
Cosa intende dire, allora, Gesù con la beatitudine, ad esempio, sugli afflitti, che, ieri come oggi, costituiscono una moltitudine di diseredati ed emarginati, bisognosi di tutto: di guarigione se ammalati, di considerazione se emarginati, di sollievo se tormentati, di liberazione se oppressi?
Gesù intende dire che è giunta l'ora, anche per gli afflitti, di essere consolati dal Signore di ogni consolazione. È arrivato il tempo - ed è quello del regno di Dio annunciato da Gesù - in cui «chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (Sal 126,5), il tempo cioè della consolazione degli afflitti.
Ed è Gesù la fonte di ogni consolazione: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (Mt 1 1,28).
Nella sinagoga di Nazaret, infatti, Gesù applica esplicitamente a se la profezia isaiana, che nella sua interezza diceva:
«Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di misericordia del Signore,
un giorno di vendetta per il nostro Dio,
per consolare tutti gli afflitti,
per allietare gli afflitti di Sion,
per dare loro una corona invece della cenere,
olio di letizia invece dell'abito da lutto,
canto di lode invece di un cuore mesto»
(Is 61,1-3; cf. Lc 4,18-19).
Il Signore Gesù, quindi, è venuto per consolare gli afflitti, gratificandoli con la corona della vittoria, con l'olio della letizia e con il canto della lode.
Si tratta di una ricompensa non tanto dell'afflizione in sé, quanto piuttosto della fedeltà al vangelo manifestato dai discepoli. Gli afflitti delle beatitudini, sono, infatti, quei «discepoli graditi a Dio, poiché la loro afflizione è il segno della loro rottura con i valori mondani e la riprova della speranza, che orienta tutte le loro aspirazioni verso il mondo futuro»22.
In questo contesto, quindi, l'afflizione è una vera e propria beatitudine, perché indica lo stato del fedele, amico di Gesù e nemico del mondo. È l'esortazione che Gesù fa ai cristiani a perseverare nella fedeltà al vangelo, rinunciando alle false gioie del mondo.

2. Maria, la madre pietosa

Gesù, però, conosce la difficoltà di mantenersi sereni e costanti nella gioiosa attesa della manifestazione del Signore (cf. 2Tm 4,8) e offre alla Chiesa una madre, che possa essere di guida e di conforto ai figli pellegrinanti sulla terra. Sul Calvario, a Maria, che accanto alla croce lo conforta con la sua presenza e il suo affetto di madre, affida i suoi fratelli: «Donna, ecco tuo figlio» (Gv 19,26).
Maria riceve, quindi, il compito materno della «pietas», della pietà non solo verso Gesù, ma anche e soprattutto verso i fratelli di Gesù, diventati tutti suoi figli diletti. Anch'essi, durante la vita terrena, per mantenersi fedeli alla buona novella del Signore, soffrono persecuzioni e afflizioni. Anch'essi come Gesù, hanno bisogno di una madre accanto alla loro croce: una madre, che apprezzi il loro sacrificio, che li segua nel loro faticoso cammino quotidiano. che asciughi loro le lacrime della passione.
Questo compito Maria lo compie con tanta più sollecitudine, in quanto anch'essa ha sperimentato l'afflizione e nello stesso tempo la consolazione donatale da Gesù. In una Vita di Maria di un anonimo medievale, si leggono queste significative considerazioni, sull'incontro tra Gesù e Maria sua madre sulla via del Calvario:
«La Madre di Gesù si abbandonò sul petto del Figlio e lo stringeva in lacrime tra le sue braccia. Era incapace di parlare a causa del troppo dolore; ma Gesù, consolandola dolcemente, le disse: O Madre mia dolcissima, non rattristarti così tanto per la mia passione; consolati un poco perché ora sto per morire per la salvezza del mondo. Ma il terzo giorno risorgerò per rivederti. In questo momento sono più addolorato per la tua afflizione che non per la mia sofferenza. La tua tribolazione ferisce il mio cuore più che non tutta la tortura che tu vedi in me».23
Sono state queste parole del Figlio a ridare serenità al volto di Maria. Il sommo artista Michelangelo ha voluto esprimere questo sentimento di calma e di pacificazione interiore sul volto giovane e senza rughe della Pietà, che tiene sulle ginocchia il corpo inerte di Gesù, quasi trono umano di conforto al Dio della consolazione.

3. Maria, consolatrice degli afflitti

Guardando Maria, la «consolata» dal suo Figlio divino, i fedeli sono invitati a trovare conforto e sollievo al loro impegno quotidiano di santità. E per questo osano rivolgersi a lei, come figli che confidano nella bontà e nell'aiuto della loro madre misericordiosa: «a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime». Una delle più appassionate invocazioni delle litanie lauretane è proprio il titolo: «consolatrix afflictorum», consolatrice degli afflitti.
«Chi mai dunque, o Sovrana, non sospirerà a te con amore? A te sospiriamo anche nel dolore, poiché da ogni dove siamo circondati da angustie.Come non sospireremo a te, che sei la consolazione dei miseri, il rifugio dei fuggiaschi, la liberazione dei prigionieri, la medicina degli infermi, la madre dei piccoli, la sposa degli adulti, la condottiera dei combattenti, la sovrana di tutti e perfino dei nemici?».24
«Amica della compassione e consolatrice degli uomini»,25 Maria è la madre che ha conosciuto l'umiliazione di dover partorire fuori dal tepore della propria casa; di dover emigrare all'estero per salvare la vita al suo piccolo Gesù; di dover assistere all'umiliazione della passione e dell'uccisione ingiusta del suo Figlio innocente. I fedeli sanno tutto questo e contemplano la Beata Vergine, come la donna forte, che li può sostenere nelle fatiche della vita.
A lei si rivolge chi soffre afflizioni di ogni genere. E sono molti oggi gli afflitti che trovano in Maria un sostegno a superare le prove: mamme prostrate dalle malattie, mogli umiliate dai tradimenti, giovani travagliati dalla mancanza di futuro, stranieri tribolati dalla lontananza della loro patria, bambini rattristati dalla divisione dei genitori, anziani amareggiati per l'abbandono, infermi trascurati, handicappati emarginati. Ecco la galassia dell'odierna situazione di afflizione. Non manca nemmeno la voce dei «non nati», i quali, come in una celebre composizione di Giovanni Testore, intitolata «Factum est», si rivolgono a Lei per poter vedere la luce della vita, di fronte all'imminente pericolo dell'aborto voluto dalle loro madri.
Per tutti Maria ha parole di conforto, di sostegno, di speranza. Quando la notte dell'esistenza si fa buia e senza stelle, quando il crollo degli ideali ci lasciano nella polvere delle macerie, quando le onde del mare travolgono ogni cosa, noi, popolo di Dio, ci rivolgiamo confidenti a Te, Madre di Gesù e nostra.
Tu che ti curvi sopra i lamenti dei tuoi figli feriti e li abbracci teneramente, come abbracciasti il corpo benedetto del tuo Figlio divino.

4. «Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi» (Mt 11,28)

Anche Maria può ripetere le parole del Signore Gesù e chiamare presso il suo cuore di madre gli affaticati e gli oppressi.
A Valencia (Spagna) c'è una Madonna molto venerata, chiamata familiarmente con uno strano appellativo: «la gobba» ("geperudeta"). Ha il volto dolcissimo inclinato verso il basso in gesto di materno ascolto e di accoglienza di chi le si avvicina. Anche le spalle sono leggermente piegate, come la mamma che si china ad ascoltare quello che dice il suo bambino piccolo. Per questo da lontano sembra che abbia una gobba.
È la statua di «Nuestra Senora de los desamparados» (Nostra Signora degli abbandonati). Maria viene venerata come la madre che ascolta e comprende i figli più abbandonati, che solo in lei trovano accoglienza e consolazione.
In Maria si può leggere un atteggiamento spontaneo della psicologia della donna: l'accoglienza fatta con amore, rispetto, tenerezza. In lei non è solo la manifestazione naturale dell'affettività femminile, che è portata all'accoglienza e al dono. E soprattutto l'espressione del suo amore materno, che è accoglienza gratuita e incondizionata.
Si tratta di una dote naturale, che Maria ha trasformato in virtù e in missione. Gesù ha, infatti, cambiato questo gesto umano in una vera realtà di grazia. L'accoglienza di un bambino, di un afflitto, di un emarginato è allo stesso tempo accoglienza di Gesù: «Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18,5). Anzi, l'accoglienza diventa il criterio per essere grandi nella comunità cristiana.

5. Le leggi dell'accoglienza

Ai discepoli, che discutevano chi di loro fosse il più grande, Gesù prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,48; cf. anche Mc 9,37).
Maria ha realizzato in se questo comandamento: ha accolto Gesù e ha accolto i suoi discepoli come suoi figli. Accogliere Dio e i fratelli: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Di qui possiamo raccogliere alcune leggi dell'accoglienza «mariana»:
1. nella famiglia come nella comunità ognuno non solo deve accogliere, ma deve sentirsi accolto, deve trovare calore, comprensione, dialogo, possibilità di comunicazione senza essere rimproverato, zittito, umiliato o emarginato;
2. nella famiglia come nella comunità ognuno deve sentirsi accolto così come è, con il suo speciale temperamento, con le sue caratteristiche, con la sua sensibilità, con i suoi periodi di salute e di malattia, con i suoi momenti di gioia e di dolore, nei suoi stati di efficienza e di stanchezza;
3. nella famiglia come nella comunità ognuno deve sentirsi accolto in modo incondizionato, non perché è buono e servizievole, ma perché è «lui» - figlio, marito, mamma, nonna - con la sua identità personale, con la sua esperienza, con i suoi anni.
 

NOTE
22 G. HELEWA, Beatitudini evangeliche, in E. ANCILLI (a cura), Dizionario enciclopedico di spiritualità, Città Nuova, Roma 1990, vol.1, p 316.
23 Testí mariani del secondo millennio,(TMSM) vol. 4, Città Nuova, Roma 1996, p. 143.
24 GIACOMO DA MILANO, Meditazione sull'antifona Salve Regina, in TMSM vol. 4 p. 356.
25 SISTO IV, Costituzione Cum Praeexcelsa, in TMSM vol. 4. p. 660.

Inserito Sabato 21 Maggio 2011, alle ore 8:48:40 da latheotokos
 
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