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  Critica testuale, critica letteraria e analisi semiotica di Mt 1 e 2 
BibbiaDalle dispense del Prof. E. Peretto, Pontificia Facoltà Teologica Marianum, Roma 1999-2000.


 Critica testuale

Il problema che ha fatto versare fiumi di inchiostro è la variante relativa alla verginità in 1,16. Sono attestate tre lezioni della fine della genealogia:
- “Giuseppe, l’uomo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, che è chiamato Cristo”;
Questa versione è riportata dalla quasi totalità dei manoscritti, versioni e citazioni;
- “Giuseppe, a cui la Vergine Maria, generò Gesù Cristo”.
Questa versione si trova in un gruppo di manoscritti detto “gruppo Ferrar” e intendeva sottolineare che Gesù apparteneva a Giuseppe, secondo anche 1,18-25. Secondo la mentalità di allora, in base alla quale una donna generava “per suo marito”. La lettura vuole precisare che Maria genera un figlio che appartiene al capofamiglia, così come confermato da Dio stesso (1,20-21). Ma tale lezione non priva di incoerenze, diede origine alla terza interpretazione.
- “Giuseppe, a cui era fidanzata Maria, la Vergine, generò Gesù chiamato il Cristo”.
a) E’ una versione siriana sinaitica. Essa si avvaleva di una verosimiglianza storica con la genealogia conservata a Nazaret o nella famiglia di Gesù, essendo il segreto della sua nascita rimasto nascosto ed essendosi diffuso solo come una voce, sena essere archiviato. Essa è un’evidente corruzione del testo e tuttavia evita di chiamare Giuseppe “sposo di Maria” come faceva la prima lezione e dice quest’ultima soltanto “fidanzata” e continua a designarla come Vergine.
b) “Giuseppe generò” si presenta come una lezione facilitante: dopo 39 ripetizioni del verbo “generò” per ogni generazione, lo scriba era portato a ripeterlo una 40esima volta. Secondo diversi studiosi, tuttavia, anche la versione siriana non intendeva il “generò” in senso biologico, cosa che contrasterebbe con il seguente testo, ma solo in senso di paternità legale.
La quasi totalità degli autori seguono la prima lezione che è presente nella quasi totalità dei manoscritti e spiegano le altre due come corruzioni dovute ai copisti.

Critica letteraria

Composizione
- L’analisi letteraria più acuta è quella di A. Paul che propone la divisione delle pericopi in due gruppi rispondenti ai due capitoli:
I – Genesi di Gesù:
a) Da chi deriva Gesù (1-7)
b) Il come di questa genesi (18-25)
Matteo I si presenta come un dittico. Ognuna delle due pericopi comincia con il titolo “Genesi di Gesù Cristo”. Questotenore desta sorpresa alle soglie di una genealogia, cosè che la volgata ha tradotto “Libro della generazione”. Ma a “generazione” corrisponderebbe “gennésis”, mentre è “genêsis” la parola che Matteo ripete all’inizio delle due pericopi: Libro della genesi di Gesù Cristo (1,1); “Ecco quale fu la genesi di Gesù Cristo (1,18). Questo significa che il vangelo è come na nuova genesi, un nuovo inizio. Gesù Cristo realizza la nuova creazione promessa dai profeti per i tempi escatologici. Dio, padrone della storia, inaugura il tempo del Salvatore e della Salvezza.
II - Manifestazione di Gesù
a) La visita dei magi ( 1° episodio di Erode) (1-12)
b) La fuga in Egitto (2 sogno di Giuseppe (13-15)
c) Strage degli Innocenti ( 2° episodio di Erode) 16-18)
d) Ritorno dall’Egitto (3° e 4° di Giuseppe) 19-23)
Matteo II è composto di brevi sequenze in cui si alternano Erode da una parte e Giuseppe guidato dall’angelo in sogno dall’altra.
Le osservazioni letterarie principali da fare sono queste:
- Il racconto suggerisce un’analogia tra Giuseppe padre adottivo di Gesù con Giuseppe il patriarca: l’uno e l’altro figli di Giacobbe, l’uno e l’altro hanno un sogno, sono esiliati in Egitto e minacciati di morte;
- Le due serie di episodi relativi ad Erode da un lato e Giuseppe dall’altro, sono analoghe per stile e scrittura. Si potrebbero molto bene unire senza farle alternare. Questo potrebbe essere l’indizio almeno di due tradizioni su i due personaggi.
- Il lavoro coordinatore di Matteo è segnalato dalla ripresa di termini – chiave da un episodio all’altro. Come reola, l’ultimo termine di ogni episodio è ripreso all’inizio di quello successivo.La sesta e ultima sembra far eccezione a questo concatenamento. Ciò può far pensare che la quinta è stata aggiunta tardivamente.
Funzione delle citazioni bibliche
Altra caratteristica di questi capitoli è che ciascuno dei racconti fornisce una citazione biblica esplicita. La pericope dei magi fa eccezione solo a metà alla regola, perché essa implica un reimpiego di Is. 60,6 e del salmo 72, 10-11,15.
Genere letterario
Il genere di Matteo è meno vario di quello di Luca: una genealogia seguita da racconti ciascuno dei quali finisce con una citazione biblica che giustifica sconcertante. Definisce egli stesso il suo genere letterario “genesi”, racconto delle origini, di questa nuova creazione che è la nascita di Gesù Cristo. Probabilmente il modello dell’infanzia di Mosé secondo la letteratura ebraica, ha potuto influire sul secondo capitolo, ma in modo molto lontano
Matteo 1-2 è un racconto d’infanzia compiuto alla luce delle scritture, ma in maniera più esplicita da Luca. Anche in Matteo il midrash si capovolge: l’evento Cristi illumina le scritture più di quanto le scritture illumino l’evento Cristo.
Matteo, estraneo alle favole glorificanti degli apocrifi, indica soltanto che quest’infanzia, minacciata di morte, prefigura la passione.

 Analisi semiotica

A – DATI
Grammatica
- Il futuro delle profezie bibliche “Sarà chiamato”, gli ordini impartiti in sogno: “Gli darai il nome di Gesù, perché egli salverà…” , programmano l’avvenire. Dio dirige la storia: da lontano con le predizioni profetiche, da vicino con gli oracoli degli Angeli
- Il soggetto dei verbi attivi sono Giuseppe, i Magi, Erode, mai Maria.
Spazio e topografia
Matteo non nomina alcun luogo. La topologia si affaccia all’inizio del capitolo 2. Il 1° versetto situa la nascita di Gesù a Betlemme di Giuda; l’ultimo lo situa a Nazaret che Matteo sottolinea con la profezia: “Sarà chiamato Nazareo”. La topologia di Gesù interferisce con quella di Erode che si trova a Gerusalemme e con quella dei Magi venuti dell’Oriente.
Durata
Il primo capitolo non ha altra datazione ad di fuori della successione delle generazioni con quella degli antenati – re contemplata dalla Bibbia. Il tempo dei re interferisce con quello della stella, riferito a Dio padrone del tempo e dei profeti che annunciano l’avvenire alla fine di ogni sequenza.
Categorie morali
- Il volere omicida di Erode è opposto al volere trascendente di Dio che guarda gli eventi dall’alto;
- Il dovere compare contemporaneamente in Giuseppe, il Giusto, le cui decisioni sono regolate dalla giustizia o dagli ordini dello stesso Dio;
- Il sapere è il Sapere di Dio che porta a termine la genesi, malgrado le opposizioni, l’esilio e le persecuzioni. Questo Sapere guida Giuseppe e i Magi, è regale e teocratico, ma si incontra con la realtà terrena;
- Il potere di Erode, terribile e solitario, si oppone al potere di Dio che lo riduce a impotenza.
L’essere e il fare
- L’essere del Messia è espresso anzitutto con la qualifica “Figlio di Davide” e poi con il termine “bambino” con l’umiltà passiva che questo termine neutro comporta; con “figlio di Dio” e con “Dio con noi”;
- Il fare e il far fare hanno come soggetti i destinatari quello terreno e quello celeste: Erode, che utilizza sacerdoti, magi e soldati nel campo dei poteri di questo mondo; Dio Onnipotente, ispiratore dei sogni che conduce il gioco previsto dalle profezie concludenti ogni pericope.

B – PROGRAMMA NARRATIVO
Esaminiano adesso qual è il programma narrativo di Matteo.
Prima difficoltà: Gesù figlio di Davide?
LA GENEALOGIA
Parlare di programma narrativo per la prima pericope è improprio, dato che la genesi di Gesù non è espressa in forma di racconto, ma di genealogia. Essa tuttavia implica un programma, ricapitola infatti la storia del popolo eletto mediante una discendenza che va da Adamo a Cristo:
- il 1° versetto: “Libro della genesi di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo” è una genealogia breve che risale da Cristo – a Davide – a Abramo e quindi una genealogia ascendente che annuncia, come un programma narrativo, quello che sarà specificato nella genealogia discendente. Questo versetto riassume tutta la genealogia partendo da colui che ne è il termine e l’essenziale, per risalire ai due anelli più significativi: Abramo, come punto di partenza e soprattutto Davide, l’antenato, che qualifica normalmente Gesù come Messia.
- La genealogia discendente procede in tre serie uguali:
o 14 non – re, da Abramo a Davide;
o 14 re, da Davide all’esilio di Babilonia, fine della dinastia;
o 14 non – re, dall’esilio di Babilonia a Cristo.
Davide polarizza e struttura tutta la genealogia. Le stesse serie di 14 riportano il numero di Davide DWD secondo il sistema ebraico ove le lettere erano gli unici segni numerici.
- Ma la genealogia progredita rigorosamente da generante in generato, si interrompe bruscamente in un generato non generante. Dopo la ripetizione di 39 “generò”, ci si attendeva meccanicamente “Giuseppe generò Gesù”. Il nome di Giuseppe, invece, non è seguito da “generò” ma da dieci parole di estrema importanza: “sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù che è chiamato il Cristo”. Alcune osservazioni:
o Cristo conclude la genealogia, è generato ma non generante. Il Re Messia lascia perciò il mondo senza generare e significa che questo re, senza regno, nato dalla decadenza del regno, è un re successore non dinastico, né politico. Egli instaura dunque la regalità su un piano nuovo, in rottura con le concezioni tradizionali. Qui appare una regalità trascendente che non avrà fine, quella del “Dio con noi” che resterà fino alla consumazione dei secoli. Gesù non è quindi un anello dinastico ma il compimento del regno, come sarà poi esplicitato dal vangelo;
o Più sconcertante è notare come Giuseppe non sia generante. Ma qui sorge la domanda: se Giuseppe, discendente di Davide, non ha generato Gesù, chi lo ha generato allora? E perché è discendente di Davide se in Giuseppe l’anello si rompe? Matteo non lo dice. La formula passiva che egli usa, non gli fa specificare grammaticalmente il soggetto, mai: 1,16: Maria dalla quale è stato generato Gesù; 1,20: Ciò che è stato generato in Lei; 2,1: Dopo che Gesù fu generato in Betlemme. Maria non è la generante. Ella non supplisce Giuseppe nel suo ruolo di padre, non è la generante al suo posto. Maria è la quinta donna nominata nella genealogia. Ma, mentre per le altre quattro si dice chi è il padre che genera “da”, in Maria manca l’indicazione del padre. Nemmeno lo Spirito Santo, menzionato due volte nelle pericopi successive, viene presentato come generante, inoltre il termine “Spirito” in ebraico è femminile e quindi esclude ogni teogamia. I vangeli dell’infanzia cercano di evitarla in ogni modo.
o Gesù “è generato” ma che “è chiamato” Cristo. Questa seconda formula passiva permette a Matteo non solo di occultare chi genera, ma anche di chiamare Gesù “il Cristo”. Secondo la teologia del vangelo di Matteo, la generazione, senza titolare biologico, si riferisce in profondità a Dio, solo Padre di Cristo. Essendo egli suo Figlio, non dovrà essere nuovamente generato, bensì assumere la sua nuova condizione umana. Per Matteo, Cristo non ha altro Padre che Dio. Così se Gesù è chiamato Cristo, lo è similmente anche da parte di Dio.
o La genealogia finisce così come era cominciata col nome di Gesù chiamato Cristo. Questo ritorno all’inizio passa attraverso una rottura poiché Giuseppe, ultimo anello della catena, non genera e non è quindi il padre di Gesù. Ma allora come mai Gesù è figlio di Davide?
COME GESU’ E’ FIGLIO DI DAVIDE?
Matteo cerca di spiegarlo a partire da 1,18 (“Ecco quale fu la genesi di Gesù Cristo”):
a) Problema e programma di Giuseppe: Giuseppe si rene conto che il figlio di Maria proviene da Dio. Il problema che a lui si pone non è il fatto bruto che Maria sia incinta, ma la causa trascendente di questo fatto fuori dell’ordinario e cioè lo Spirito Santo. Il fatto che Giuseppe volesse lasciarla non perché sospettasse l’adulterio, bensì per la causa soprannaturale. È spiegato dal termine attribuito a Giuseppe e cioè “giusto”. Se egli avesse giudicato colpevole la sposa, la giustizia avrebbe richiesto che applicasse la legge e questa non conosceva procedure secrete, ma soltanto il libello ufficiale del ripudio. S. Girolamo si chiede come potrebbe essere giudicato “giusto” Giuseppe, se nasconde il crimine di Maria. In ogni caso se egli, convinto del delitto di Maria, l’avesse voluta risparmiare, la sua non sarebbe stata “giustizia” ma “bontà”, “mansuetudine”. Giuseppe è convinto quindi di ciò che di straordinario è avvenuto in Maria e da uomo “giusto” cioè timorato di Dio, non vuole appropriarsi di una posterità sacra che non è sua, né di questa sposa che appartiene solo a Dio. Egli si ritira con discrezione evitando di attirare su Maria conseguenze incresciose e lascia il seguito a Dio, autore dell’evento, che farà il resto.
b) Il mandato di Giuseppe: E’ in risposta a questo progetto che l’angelo gli appare in sogno. Secondo il coordinamento delle particelle greche “gar” “de”, il Pelletier traduce le parole dell’angelo in questo modo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere in casa Maria, tua sposa, perché, quantunque ciò che è stato generato in lei venga dallo Spirito Santo, sarai tu a chiamare il Figlio che ella genera col nome di Gesù”. Il programma davidico, perciò, spezzato dalla rottura genealogica, è ristabilito dalla missione affidata a Giuseppe: benché non sia generante e la generazione è di origine divina, sarà lui a svolgere il ruolo di padre. Egli prenderà in casa Maria, prenderà il bimbo come figlio adottivo, farà atto di padre imponendogli il nome. Dio affida dunque a Giuseppe un ruolo decisivo. Matteo risolve il problema della concezione verginale, sconosciuta alla tradizione ebraica, trovandone la giustificazione in Isaia 7,14.
c) L’esecuzione: Il versetto 24 racconta l’esecuzione dell’ordine divino: “Svegliatosi dal sonno Giuseppe fece come l’angelo del Signore gli aveva ordinato: prese la sua sposa e non la conobbe fino a che ella partorì un figlio e gli diede nome Gesù”. Il termine greco “ergethei”=”svegliatosi” esprime la lucidità attiva di Giuseppe che prende adesso per sua sposa quella che aveva deciso di ripudiare in segreto. La formula: “Non la conobbe fino a che ella partorì”, non pregiudica affatto quello che succederà dopo. Secondo l’uso semitico questa formula indica il termine e il limite di interesse. Il fatto che Giuseppe impone il nome a Gesù, lo abilita ad esercitare la sua autorità protettrice lungo tutto il capitolo 2.
FORMALIZZAZIONE
Formalizzando in termini semiotici possiamo dire: il Messia doveva essere congiunto al re Davide per mezzo di Giuseppe figlio di Davide. La disgiunzione genealogica è riparata da Dio che conferisce a Giuseppe una paternità adottiva. La disgiunzione paradossale è l’inverso di una congiunzione trascendentale del Messia con Dio che sarà presto precisata come figliolanza divina. La pericope sottolinea l’origine di Gesù unicamente da Dio nello Spirito, fa passare la regalità messianica a un piano trascendente. Rinunciando al ripudio per ordine di Dio, Giuseppe mantiene la congiunzione del matrimonio che sarà coniugale ma non sessuale. Egli darà così al Messia una famiglia legittima, fondata su Dio stesso.
Seconda difficoltà: Nazaret
IL PROBLEMA DI MATTEO
Il capitolo 2 affronta e risolve una seconda difficoltà: il Messia sembrava originario di Nazaret in Galilea. Questi due nessi disprezzati costituivano uno scandalo. Come risolvere questo problema? Matteo pone immediatamente l’elemento di valore: “Genesi di Gesù Cristo figlio di Davide”. Gesù non è originario di Nazaret di Galilea ma di Betlemme in Giudea, luogo originario anche di Davide, cosa che rafforza il legame davidico messo in discussione nel primo capitolo. Come ha potuto Gesù apparire originario di Nazaret? Perché si è manifestato inizialmente in Galilea, la “Gliela dei pagani” tanto poco conveniente a un Messia. Il racconto formerà una duplice giustificazione: storica e profetica. Essa manifesta anzitutto il riconoscimento del Messia e questo ad opera dei Magi, di questi stranieri che costituiscono il pendant universalistico dei pastori ebrei di Luca. La persecuzione, prefiguratrice della passione, spiegherà poi l’umiliante esilio del re – Messia in un villaggio disprezzato.
IL PROBLEMA DEI MAGI
I Magi fanno la figura di un soggetto collettivo in cerca del “re dei Giudei” e si qualificano in base al segno dato dal cielo: una stella. L’elemento sorprendente di questo inizio è la ripetizione del termine “re” sia per Erode che per il bambino. Questi è ancora anonimo per i Magi ed è quindi qualificato con il titolo funzionale di “re dei Giudei”. Questo pone un programma polemico: il conflitto tra monarca politicamente stabilito sul popolo e il neonato re stellare.
IL PROGRAMMA DI ERODE
Non stupisce quindi che Erode si turbi alla notizia ignorata di un rivale. La cosa sorprendente è che con Erode tutta Gerusalemme si turba. Ciò si iscrive nella prospettiva di Matteo, secondo la quale “Gerusalemme uccide i profeti”. Matteo non menzionerà alcuna delle apparizioni di Gesù in questa città, dove egli è stato messo a morte. Così la capitale appare fin dall’inizio malefica. Matteo presenta l’infanzia nella prospettiva del seguito, ivi compresa la passione.
Erode progetta il suo piano che si affianca a quello dei Magi e di Dio: sopraffare il “re dei Giudei”. Egli mobilita il sapere dei sacerdoti che gli citano le antiche profezie e anche quello astrologico dei Magi che invia nel luogo identificato dai sacerdoti invitandoli alla ricerca. Ripartendo i Magi scoprono con gioia l’astro che si era occultato. La sincronizzazione tra la loro congiunzione col Messia e la stella, tende a identificare l’uno e l’altro secondo la profezia di Balam che sembra qui soggiacente. Giunti alla meta essi realizzano il programma enunciato in 2,2: l’omaggio al neonato re. Maria, così in ombra fin ora, riappare come un segno del neonato bambino-re: lei, non Giuseppe. Questi scompare per la nascita come per la concezione, per riapparire più avanti nel suo programma di protettore.
L’adorazione dei Magi è prolungata dalla loro offerta. Essi avevano identificato il re mediante un segno celeste; il loro programma era adorarlo. Tale programma è ora compiuto. Invece di ritornare a Gerusalemme, ritornano per altra via al loro paese. Si disgiungono da Erode e dal suo programma di morte: Dopo la loro piena congiunzione col re-bambino, scompaiono nella sola orbita di Dio.
FUGA IN EDITTO
In 2,13-15 abbiamo nuovamente Giuseppe, il cui nome compare per la prima volta in questo capitolo. Anche lui è avvertito come i Magi in sogno, dove apprende per rivelazione divina, che Erode cerca di uccidere il bambino. L’esilio del Salvatore è identificato con l’Esodo, secondo il profeta Osea: “Di notte egli riparò in Egitto e vi rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quanto il Signore aveva annunciato per mezzo dei profeti”. Qui Matteo traspone una profezia che riguarda il popolo esiliato. Di quest’esilio la profezia è preannuncio, realizzazione, completamento di se stessa. Gesù diventa il Messia, colui che, a somiglianza di Israele, immagine della sua figliolanza, sarà dal Padre liberato dall’esilio. Questo è ancora un’immagine della Passione, dove appunto, manifestandosi come Figlio di Dio, provocherà la sua condanna a morte.
LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
La quarta pericope ritorna ad Erode che si vede raggirato nel suo programma e giocato dai Magi. Egli ignora che questo è avvenuto per agire di Dio, autore del programma messianico e infallibilmente vittorioso, per cui riprende imperturbabile l’esecuzione del suo piano che è quello di uccidere il re rivale. Non lascia nulla a caso e sicuro di riuscirci lascia uccidere in tutta la regione, tutti i bambini fino ai due anni, secondo il tempo della stella appreso dai Magi. Ma Dio gioca nuovamente Erode. Avverte in sogno Giuseppe che scappa col bambino e sua madre. Egli non muore per mano di Erode, perché dovrà morire per altra morte il cui racconto sarà fatto alla fine del vangelo. La profezia di Geremia descrive il senso di questo evento di morte: non viene descritto il felice salvataggio del Messia, ma la morte di questi bambini.
L’antiprogramma di Erode è fallito. Esso provoca l’esilio del Messia, allontanato dal luogo che lo qualifica. Egli sfugge alla morte per mezzo della fuga e dell’oscurità. Più tardi non vi sfuggirà in questa medesima Gerusalemme. Il senso verrà spiegato da Matteo alla fine del vangelo.
IL RITORNO
Anche il ritorno in Israele avviene da Dio. Si compirà in due tempi con due ordini dettati da Dio a Giuseppe in due sogni: il primo è l’invito a tornare nella terra di Israele; il secondo di ritornare nella Giudea perché, anche se Erode è morto, suo figlio Archelao regna a Gerusalemme.
Il fatto che il Messia sia uscito da quel luogo disprezzato è dunque divinamente giustificato per tre motivi:
- ciò è conseguenza della minaccia di more che prefigura la passione;
- è accaduto su avvertimento di Dio;
- si tratta della realizzazione di una profezia proveniente anch’essa da Dio.
La conclusione del capitolo 2 è simile a quella del primo: essa riguarda anche il nome di Gesù: “Gli darai nome Gesù” (1,25); “Sarà chiamato Nazareno” (2,23). I passi corrispondono anche a Luca 1,35 e 2,23: “Sarà chiamato santo”.
In tutti e due i vangeli cogliamo che i nomi qualificano, esprimono e manifestano l’essere stesso del Messia Salvatore.
FORMALIZZAZIONE
Riassumendo le cose dette sul capitolo 2, si può affermare:
- il racconto pone anzitutto la congiunzione di Gesù con Betlemme, città originaria di Davide;
- i Magi realizzano il loro programma: la congiunzione con il Messia, grazie alla congiunzione con la stella che lo manifesta;
- la ricerca dei Magi scatena la furia omicida di Erode che vuole uccidere il “re dei Giudei”;
- il programma di Erode viene efficacemente contrastato da quello di Dio che provoca la disgiunzione del Messia dal suo luogo davidico, dapprima con l’esilio, poi con il semi – esilio non più in Giudea, patria di Davide, ma nella provincia periferica della Galilea. Questa congiunzione è programmata da Dio stesso. Egli ha inviato i sogni, che sottraggono il Messia dall’ostilità e lui fa realizzare l’antica profezia di Geremia: “Sarà chiamato Naziz” cioè “Santo”. Questa entrata in Galilea prefigura l’apparizione di Gesù in Galilea: così come comincia il 2,23, Matteo finirà allo stesso modo il capitolo 28.
Conclusione
Matteo con i suoi racconti giustifica e spiega i due scandali dell’infanzia di Cristo:
- la concezione verginale che sembrava sottrarlo alla linea profetica predetta dai profeti;
- infanzia umiliata in una cornice indecente per un Messia: Nazaret in Galilea.

Quadro semiotico

La struttura di Matteo 1-2 e imperniata su due poli in connessione costante: generazione e regalità.
Generazione
Il verbo “generare” ricorre 43 volte:
- 39 volte alla terza persona singolare dell’ariosto attivo per concatenare i nomi degli antenati di Gesù: ogni generato diviene il generante dell’anello successivo. Dopo il 39 la catena si spezza: Giuseppe non genera Gesù;
- il verbo “generare” rimane tuttavia ancora il termine chiave. Compare ancora 4 volte, ma al passivo: Gesù è generato, cosa che permette di occultare chi è il generante;
- il sostantivo “geneai”, le generazioni, ricorre 4 volte in 1,17;
- dopo 2,4 il verbo “generare” scompare, ma la generazione è implicita nella relazione di figlio (per Gesù) di padre per Erode;
- la morte, inerente alla successione delle generazioni, è espressa con insistenza 4 volte per Erode, in stretta concatenazione con i suoi progetti omicidi, per sopprimere ad ogni costo il re – Messia;
- le due genealogie di Erode (2,22) e del Messia (1, 1-16) sono dinastiche e legate alla nozione correlativa di “regalità”.
Regalità
Il sostantivo “re” e il verbo “regnare” non hanno la stessa frequenza del verbo “generare”. Il termine “Messia” è sinonimico. Tanto in ebraico (Mesiah) quanto in greco (Christos) esso significa re, a motivo dell’unzione che lo costituisce tale. Gesù realizza questa qualità di Messia in maniera inattesa, perché non riceverà l’unzione regale d’olio come Saul e Davide. La sua unzione sembra significata dall’azione dello Spirito con questa isotipia Spirito – unzione. Il titolo “Messia” significa quindi “re”. Esso compare:
- all’inizio della genealogia: “Genesi di Gesù CRISTO”;
- alla fine, in ognuno dei due versetti 1,16 e 1,17;
- appare infine in 1,18 con lo stesso inizio: “Genesi di Gesù CRISTO”, sequenza che finisce con la citazione della profezia di Isaia 7,14, col titolo trascendente dato al re – Messia, misteriosamente qualificato come “Dio con noi”. Egli è re non tanto come figlio di Davide, quanto piuttosto per l’investitura divina (unzione dello Spirito 1,16-18) e come “Figlio di Dio” (2,15);
- questo seme della regalità viene ad occupare un posto determinante nel contrasto significativo tra la serie dei 14 non – re che sfocia nel re Davide; la serie dei re conosciuti come tali e la nuova serie dei 14 non – re decaduti, ma eredi della promessa a un regno senza fine secondo la profezia di Natan.
- Il capitolo 2 si apre con l’opposizione tra il re Erode e il neonato re dei Giudei. Il Messia appare così come il rivale nascosto dell’Erode regnante. Erode finisce di essere chiamato re a partire dal momento in cui le sue intenzioni omicide sono svelate da racconto. Pure il nome “Messia” scompare per indicare il bambino braccato, nascosto, esiliato, a parire dal momento in cui Erode lo ha identificato.
Implicazioni
Regalità e generazione sono implicate l’una all’altra perché si tratta sempre di regalità dinastica per il Messia come per Erode. Esse sono come la catena e la trama di Matteo 1-2. E la progressione manifesta la regalità in maniera sconcertante e contrastata:
- la fondazione dinastica con davide (1,5)
- la sua decadenza a motivo della cattività (1,11)
- il suo ristabilimento tramite Gesù (2,1): Non e un vero ristabilimento ma una risorgenza paradossale, non genealogica (perché Giuseppe non è padre), non politica (poiché Gesù non regna), poiché l’una e la’latra dinastia lo bracca e lo obbliga a fuggire appena nato: la sua unzione regale è trascendente e nascosta, è opera dello Spirito (2,16-18), che ne connota il carattere spirituale.
L’implicazione regalità – generazione è un motivo non soltanto genealogico, ma filosofico e teologico. Esso esprime la novità inaudita di questo Messia che viene in maniera diversa da come lo si attendeva. E questa è la questione fondamentale di Matteo: In che modo questo Gesù marginale, oscuro e braccato, è il re – Messia? Matteo:
- lo mostra anzitutto qualificato dall’azione = unzione dello Spirito Santo;
- caratterizza la sua origine e la sua regalità mediante il luogo davidico di Betlemme, mediante tre specie di oracoli:
o la stella individuata dalla scienza astrologica dei Magi;
o le profezie individuate dai sacerdoti;
o l’azione immediata, provvidenziale e oracolare di Dio nei sogni di Giuseppe e dei Magi.
- risponde al quesito affermando che il Messia è da Dio, solo principio della sua generazione e della sua regalità, la qual cosa riduce solo all’adozione la figliolanza davidica;
- spiegherà nel seguito del vangelo in che senso egli è il “Dio con noi”, manifestando la trasposizione della regalità umana e politica alla regalità divina della generazione umana, alla figliolanza divina.
Il nuovo re, nato non per generazione umana, ma per intervento divino, un re senza gloria e in maniera diversa da Davide e dai suoi eredi, sarà il Salvatore – Signore che in un regno che non è di questo mondo, manifesterà la sua regalità liberando gli uomini dalla schiavitù, identificandoli con lui come figli di Dio, lui che prima di tutti i secoli e prima di essere uomo, è Figlio di Dio e Dio lui stesso.

Inserito Domenica 13 Settembre 2009, alle ore 9:52:23 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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