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  Il segreto spirituale di Maria 
Spiritualità

Dal libro di Mariano Magrassi, Maria stella sul nostro cammino, Edizioni Scala, Noci 1992, pp. 59-77.



1. È possibile conoscere il segreto spirituale di Maria?

Cosa intendo per segreto spirituale? Quella idea forza o idea luce che troviamo nella vita di tutti i santi: gli uomini di Dio. Faccio qualche esempio dell'epoca recente. Prendiamo Elisabetta della Trinità: una carmelitana beatificata recentemente. La sua intuizione di fondo è racchiusa in queste parole: «Ho trovato il paradiso sulla terra, perché il paradiso è Dio e Dio abita in me. Da quando l'ho scoperto, tutto per me si è illuminato»1. E se voi percorrerete i suoi scritti (mi ha affascinato fin da giovane), vi accorgerete che tutto ruota intorno a questa idea forza. Se poi volessi prenderne un'altra - ancora una volta si tratta di una donna - santa Teresa di Lisieux2, allora l'idea forza è di sentirsi piccola davanti a Dio: la piccola via, quella dell'umiltà, attraverso la quale sa che Dio diventa per lei tutto. Se prendessimo ancora dom Marmion, soprattutto in «Cristo, vita dell'anima»3, ci accorgiamo che la sua idea di fondo è Cristo che è diventato per lui "giustizia, perfezione e santità". Non c'è che da rivestirsi della sua santità e sentirsi veramente con lui «figli nel Figlio». Questa è l'idea forza. L'idea catalizzatrice di tutti i pensieri di queste persone. E se prendiamo adesso Maria, possiamo individuare una idea forza, un segreto di tutta la sua santità? Dice Sant'Efrem (che è la "cetra dello Spirito Santo", come dice la tradizione): la Madonna è «l'immagine perfettissima di Dio, che al vivo ha dipinto lo Spirito Santo». Vediamo un po' qual è stato il segreto, l'idea forza che ha permesso a Maria di diventare questa "immagine perfettissima di Dio". Il discorso è piuttosto ampio. Sappiamo che esistono nel piano divino delle costanti. Quelle che qualche teologo chiama i "costumi di Dio": Dio crea, Dio giudica, Dio fa alleanza, Dio usa misericordia, ecc. Dio nella storia fa sempre le stesse cose. Ma ogni volta che le fa, le fa in modo più meraviglioso. Altro è l'alleanza con Noè, altro è l'alleanza con Abramo, altro l'alleanza del Sinai, altro l'alleanza nel sangue di Cristo.


2. Il valore che Maria incarna in forma tipica


Maria incarna una di queste costanti di Dio. E qual è il valore divino che incarna in forma tipica e perfetta? La maternità divina? Certo, è una cosa meravigliosa. La liturgia canta: «Colui che i cieli e la terra non possono contenere, è stato racchiuso nel tuo grembo»4. Oppure l'idea che ella è Madre del Cristo totale? Certo, sulla croce ce l'ha data come madre, ed è un compito meraviglioso! Oppure è il fatto che è la nuova Eva? Per quanto siano centrali questi temi, mi pare che non sia in essi il segreto ultimo di Maria. Esiste un punto unico e globale, un nodo che spiega tutto il resto, da cui tutto deriva? Voi capite che è una domanda molto impegnativa. Per trovare la risposta bisogna collocare Maria nell'insieme della teologia. Voi sapete che il Concilio l'ha collocata all'interno del mistero della Chiesa. Qui bisogna collocarla all'interno del cristianesimo, nella sua globalità. Cosa è il cristianesimo? Cominciamo a dire che non è una conquista o una scoperta dell'uomo. Prima di essere il cammino dell'uomo che va a Dio con le sue forze, è il cammino di Dio che viene incontro a noi. Sono emblematiche al riguardo le parole di Sant'Agostino: «Non lo cercheresti se egli non ti avesse cercato prima»5. Oppure le parole di Giovanni: «In questo sta l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma nel fatto che Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). È sempre Lui che incomincia. Il Cristianesimo è iniziativa divina. Da parte dell'uomo è soltanto accoglienza. È il cammino di Dio incontro all'uomo. Abbiamo questa bontà preveniente che viene descritta molto bene nel Prefazio della preghiera eucaristica IV, che come sapete, non può essere mai staccato dal resto della preghiera eucaristica: «... Tu solo sei buono e fonte della vita, e hai dato origine all'universo, per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce»6. Ecco, è Dio che si dona e questo dono divino noi lo chiamiamo con alcuni termini, uno più bello dell'altro: grazia, un termine che evoca bellezza e insieme gratuità; redenzione, liberazione dal nostro male profondo; salvezza. E potremmo continuare. Vorrei sottolineare anzitutto che questo dono divino - dono con cui ci viene incontro per salvarci - prima di essere qualcosa di Dio (spesso immaginiamo la grazia come un fluido divino che viene in noi mentre Dio rimane intatto nel cielo) - è anzitutto il Dio vivente che entra nella vita dell'uomo. Questa è la grazia. La grazia increata! E qui mi piace evocare la parola di sant'Ireneo: «L'uomo è una mano che si presenta a Dio per essere colmata di lui. È un vaso vuoto che attende di essere riempito: «exceptorium bonitatis Dei»7. Per cui, in questa povera cosa che è la mia vita, entra il Dio vivente. È l'agape che si dona. E il movimento dell'agape è quello di donarsi. Questo, da parte di Dio, è il cristianesimo. Si è donato a noi nel Cristo. Attraverso quell'«admirabile commercium»8 che canta la liturgia natalizia, ha preso la nostra povertà e ci ha dato la sua ricchezza. Ha preso la nostra morte e ci ha dato la sua vita! Ha preso il nostro dolore e ci ha dato la sua gioia! Ecco, questo è il cristianesimo da parte di Dio.


3. Una mano aperta al dono


E da parte dell'uomo, che cosa è? Da parte dell'uomo è un atteggiamento d'amore con cui accogliamo il dono. L'uomo è essenzialmente "accoglienza del dono". Un atteggiamento che si rivolge anzitutto verso Dio per accogliere Lui nella nostra vita: accogliere il Vivente in questa realtà che è la mia esistenza quotidiana. E poi si rivolge verso il fratello per riversare su di lui il dono ricevuto, diventando benedizione per i fratelli. Come Abramo, sarà benedizione per tutte le genti (cf Gn 12,2: 18,18; 22,18). Questo, dunque, mi pare il nodo essenziale del cristianesimo. Adesso mi chiedo: e quando è che questo atteggiamento cristiano è perfetto? (perché qui di perfezione si tratta, almeno nel caso di Maria). Il cristianesimo è perfetto quando quest'accoglienza al dono afferra tutto l'essere, tutta la vita, cioè ciò che io sono, ciò che ho, ciò che faccio, ciò che soffro: tutto quello che vivo. E questo sia nel profondo del mio essere personale (quello che la Bibbia chiama "cuore": quella parte intima in cui si annoda il mio destino, in cui sono quello che sono), sia nel mio rapporto con gli altri, nella mia missione verso i fratelli. Accogliere Dio in tutta la mia vita sia nella dimensione personale che nella dimensione sociale verso gli altri. Maria è la realizzazione perfetta di questa accoglienza di Dio. Lo accoglie anzitutto nel suo intimo, nello spirito, attraverso la fede e l'amore, nel suo seno, nel suo corpo, nella concretezza della sua persona. I Padri, che non hanno paura delle parole dicono: «prius mente quam ventre»9.  Ma, comunque, l'ha accolto in tutto il suo essere: l'ha accolto interiormente, in un assenso totale e incondizionato di fede. Abbiamo visto quanto è difficile, attraverso quante prove e quale maturazione nella fede. Ma abbiamo visto che quel «Si» è rimasto sempre «sì», nonostante tutte le difficoltà. E lo ha accolto nel suo rapporto con gli altri: nella sua funzione unica verso l'umanità. Quel Gesù, che è suo figlio, è la salvezza di tutti. Non l'ha accolto solo per sé: l'ha accolto anche per noi. L'ha ricevuto a nostro profitto. Qui mi rifaccio a un testo estremamente semplice, ma anche trasparente di san Tommaso. Il dottore angelico ha il dono di dire le cose più sublimi con le parole più semplici, pur essendo un filosofo e uno scolastico. Dice: «È una gran cosa quando un santo ha ricevuto tanta grazia che non serve solo a lui, ma serve per molti altri»10. Pensiamo a san Giovanni Bosco che è stato dichiarato dal papa Giovanni Paolo II "Padre della gioventù". Non ha ricevuto una grazia solo per sé: ha ricevuto una grazia per tanti altri. Pensiamo gli oltre 20.000 salesiani sparsi nel mondo e a tutto il bene che fanno, attraverso i limiti e i valori che tutte le persone hanno. Questo vale un po' per tutti quegli uomini che hanno avuto un seguito, anche se non hanno fondato una Congregazione religiosa. Ma quando ci fosse qualcuno, il cui dono di grazia bastasse per gli uomini di tutto il mondo, questo sarebbe il vertice. E san Tommaso con la sua precisione dice che questo si attua in Cristo e in Maria accanto a Cristo e in linea, naturalmente, secondaria11. La grazia che Maria riceve è a servizio degli altri. Maria è piena di grazia. Ha ricevuto un «pléroma»: «Kecharitoméne» (Lc 1,28). Su questa parola i teologi hanno versato fiumi d'inchiostro. Ha ricevuto tale pienezza da farla ridondare su tutti noi. Certo, il «pléroma» è il Cristo. E questa parola si potrebbe tradurre così, con un'immagine: un vaso pieno, che traboccando tenda a sua volta a colmare. Il termine teologico di pienezza si applica anzitutto a Cristo, ma accanto a lui è Maria che riceve dalla sua pienezza. Una pienezza che ridonda su tutti noi. Questa ricettività del dono, che si è attuata nella sua vita e che si è espressa nella pienezza di grazia, si perpetua in cielo, nell'Assunta, che rimane sempre mediatrice di grazia12. Maria, dunque, è il tipo perfetto in cui si rivela cosa è la Chiesa, cosa è la grazia, cosa è la salvezza. Il cristianesimo: accoglienza di Dio nella concretezza dell'essere umano. In lei il Dio vivente è entrato nella vita dell'uomo in modo nuovo e meraviglioso. La maternità divina è un fatto a un tempo fisico e spirituale, non è solo un fatto biologico. Lei è il punto della storia in cui la salvezza entra dall'alto per espandersi su tutta l'umanità. Segna lo scoccare dell'ora della salvezza. È il nodo decisivo della storia che è opera di Dio e opera dell'uomo insieme, perché questa accoglienza del dono è accoglienza attiva. Non dimentichiamo che il verbo «accogliere» è un verbo attivo. Non si tratta di subire il dono di Dio, anzi Maria incarna questa necessaria collaborazione dell'uomo per la sua salvezza. Se ho sottolineato il primato di Dio, non era per mettere in ombra questa necessità dell'accoglienza del dono, che è un fatto estremamente attivo. Lei l'ha accolto per tutti. L'ha accolto per se e lo ha accolto per noi, nel modo più perfetto. Quanto profondamente dev'essere entrato in lei e con quanta apertura deve averlo accolto, perché questa accoglienza ridondasse su tutti noi! Il quadro plastico è proprio Maria che stava ai piedi della Croce (cf Gv 19,25-27): era là a cogliere il frutto della salvezza per se e per tutti noi.


4. La «povera» che Dio ha colmato di doni

Ma non ho ancora risposto alla domanda iniziale. Mi chiedo adesso, facendo un passo innanzi: qual è il segreto di questa ricettività? Cioè, che cosa è che le ha permesso di accogliere con tanta pienezza il dono di Dio? Qui non possiamo lavorare di fantasia. Dobbiamo guardare il libro sacro e soprattutto quello che ha detto lei. Mi pare che la parola chiave sia quella che lei ha pronunciato nel momento dell'Annunciazione: «Ecco la serva». In quel momento si mette nella schiera dei poveri di Jahvè, che in lei trovano la configurazione più splendida e più concreta. Maria incarna una delle costanti maggiori dell'economia della salvezza che può essere formulata così: «Dio si dona ai poveri». Chi sono i poveri di Jahvè? Sono quelli che umanamente non hanno alcun prestigio: non hanno niente e nessuno su cui contare. Perciò contano soltanto su Dio: diventano i clienti dell'Altissimo. Aspettano tutto da lui. A me pare che la spiritualità dei poveri di Jahvè sia espressa stupendamente in quel versetto 7 del salmo 36: «Nel silenzio sta innanzi a Jahvè e spera in lui». Quando Cristo ha detto: «Beati i poveri di spirito» (Mt 5,3), ha beatificato questi poveri di Jahvè, che, sapete, sono «il resto d'Israele» (cf 2 Cr 34,21; Ger 41,10; Rm 11,5, ecc.). É un tema biblico di enorme rilevanza: quel piccolo filone d'oro che attraversa tutta la storia sacra, è proprio quello dei poveri di Jahvè. Del resto Cristo stesso si è fatto povero: «Da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9). È interessante notare che nella liturgia primitiva la conclusione delle orazioni liturgiche non era quella attuale: «Per Dominum nostrum», ma era: «Per servum tuum Iesum Christum». Sono vere tutte due le cose: è vero che Cristo è il Signore, ma è altrettanto vero che il Signore si è fatto servo (cf Fil 2,7). Questo non deve farci dimenticare la sua grandezza. Ma rimane sempre il fatto che si è fatto servo. Maria è nella schiera degli «Anawim». È Anaw. È nella schiera dei poveri. Ciò che è caratteristico in questi poveri è che sono pienamente disponibili all'intervento di Dio. Sono pronti ad arrendersi alla sua iniziativa. E solo agli Anawim che Dio si dona. Di essi è il Regno dei cieli: di quelli che sono poveri di spirito, miti, perseguitati, disprezzati. Ho già sottolineato il fatto che forse è meglio tradurre anziché «serva», «schiava», quando si tratta di Maria. E sappiamo quale era la condizione degli schiavi dell'antichità, anche presso gli Ebrei. Gli schiavi sono a totale disposizione dei padroni: in balia quasi totale. Il padrone aveva diritto di vita e di morte. Maria si proclama «schiava di Dio». Vede la sua vita nelle mani del Signore. Lui può fare quello che vuole. Con questo ella si svuota di sé. Per il Cristo parliamo di kenosis: facendosi servo, si è svuotato della sua natura divina. Parole abissali che non finiremo mai di comprendere, che si capiscono solo alla luce del mistero della Croce. Si è svuotato di sé. Ecco, Maria è vuota di sé. E allora Dio l'ha riempita della sua gloria. E con questo svuotamento di se - vorrei dirlo subito, a scanso di equivoci - non è che abbia cessato di essere se stessa, anzi è una realizzazione in pienezza della propria persona. Perché il Dio della grazia non può smentire il Dio della natura, che ci ha fatto irrepetibili, che ha messo in noi dei doni particolari. Questo vale per Maria come per ciascuno di noi: occorre essere in balìa di Dio, che è l'architetto della nostra vita e che sa bene cosa vuoi farne. Non è che Dio prima ci fa e poi pensa cosa vuoi fare di noi. Aveva presente a che cosa ci destinava nel momento stesso in cui ci plasmava. Quindi questo svuotamento di sé perché Dio possa fare quello che vuole, non elimina la persona, i doni naturali, ma li esalta. L'umiltà non annienta, ma potenzia la persona.


5. Perché Dio si dora soltanto ai poveri di spirito?


Ma non ho ancora finito di cogliere questo segreto, perché voglio pormi una domanda ulteriore. Va bene! Dio si dona agli Anawim, ai poveri e quindi il segreto di Maria è stato di mettersi nella schiera degli Anawim per accogliere in pienezza Dio nella sua vita. Ma mi chiedo ancora: perché Dio si dona soltanto ai poveri di spirito? E anche qui siamo davanti a una costante dell'economia divina. Il perché è detto con chiarezza in tutta la Bibbia. Nel Deuteronomio il Signore dice a Israele: "Se ho scelto te come popolo prediletto, non è perché fossi un popolo migliore degli altri. Anzi, sei un popolo di dura cervice. Non sei un popolo migliore degli altri (cf Dt 7,6-7; 9,6). San Paolo lo dice chiaramente quando si tratta di se stesso: «Il signore sceglie ciò che non è, per confondere ciò che è» (1 Cor 1,27-28). Perché il Signore sceglie "ciò che non è", cioè sceglie i poveri, sceglie gli umili? Perché la potenza e la grandezza umana possono far velo alla potenza e alla grandezza di Dio. C'è una pagina in cui Sant'Agostino sostanzialmente dice: "Si ritiri il senatore e venga avanti il pescatore. Si ritiri il senatore, perché avendo una potenza umana forse può pensare che ciò che esce dalle sue mani è opera di Dio. E tutto può risolversi in una sua esaltazione. Venga avanti il pescatore. Lui è un uomo rozzo, ignorante. Di lui mi voglio servire per realizzare il mio disegno. Si ritiri il senatore e venga avanti il pescatore!»13. Dio sceglie le realtà umili di questo mondo per far risplendere la sua potenza. Perché la grazia appaia come grazia, cioè come puro dono. Maria personifica il povero di Jahvè che viene innalzato. Povera, umile, nascosta, sepolta in una vita ordinaria, nulla in lei vela la potenza unica di Dio. Tutto in lei glorifica soltanto il Signore. È pura ricettività. E umiltà che fiorisce sotto lo sguardo di Dio. Un'anima libera, immensamente aperta, in cui tutte le fibre attendono il Signore. E mentre «i suoi non l'hanno accolto» (cf Gv 1,11), lei l'ha accolto. Lei era tutta attesa: lei che si considerava la più piccola, per questo è la più grande nel regno dei cieli. Proprio perché «chi si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). Era la più piccola, sapeva di esserlo, l'ha proclamato e per questo Dio l'ha innalzata. San Benedetto nel prologo della sua regola, che è un po' l'espressione più completa della sua spiritualità, parlando dei monaci dice: «Esaltano quel Signore che opera in loro»14. Maria è sempre in quest'atteggiamento. Non ha l'umiltà pelosa che non riconosce i doni di Dio, anzi li riconosce apertamente. Però sa che è il Potente che ha fatto in lei le grandi cose (cf Lc 1,49). Non è lei. Lei è la schiava: lei è la serva. Il Dio vivente le è andato incontro e lei è diventata l'appuntamento meraviglioso del Redentore con questa umanità in attesa della salvezza. Quando noi salutiamo i fedeli con il saluto liturgico nella comunità, diciamo: «Il Signore sia con voi!». Il sacerdote dice ai fedeli: «Il Signore sia con voi». Ma l'angelo a Maria dice: «Il Signore è con te» (Lc 1,28). È vero che «Dominus vobiscum» potrebbe essere anche tradotto: «Il Signore è con voi». Ed è certo che è così, perché dal momento che siamo radunati nel suo nome, Lui è in mezzo a noi. Ma il modo in cui Egli è con Maria trascende tutti gli altri.


6. Disponibilità totale


Terminando, vorrei sottolineare come questo atteggiamento di Maria descritto fin qui viene plasticamente espresso nell'Annunciazione. E qui vorrei appellarmi soltanto a un piccolo avverbio: «Ecce» (Lc 1,38). E così bello, così scattante questo avverbio «ecce»! È un avverbio che ha tutta una storia anche nella Bibbia. Nell'ebraico, quando bisogna esprimere lo stupore davanti a un evento che è insolito, si dice: «... ed ecco». Per esempio, quando trovano Mosè nel Nilo e aprono quel cestino: «... ed ecco: c'era un bambino» (Es 2,6). «Ecco» esprime nell'Antico Testamento questo stupore davanti a un accadimento che fa rimanere così... a bocca aperta. Nel Nuovo Testamento, invece, «ecco» è l'avverbio scattante che esprime la disponibilità di tutto l'essere. Quella piccola parola esprime un movimento di meravigliosa purezza. Ecco è la disponibilità totale: «avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). E la fiducia, l'abbandono. Una semplice domanda: «Come accadrà questo?». E poi capitola. É il movimento tipico della fede cristiana. Per questo Maria è la prima credente. «Beata te che hai creduto, perché si compirà in te la parola del Signore» (Lc 1,45). É l'anima spalancata. E per questo la «capacità di Dio» (un tema vastissimo presso i Padri) si è amplificata. Dicono questi Padri che la «capacità di accogliere Dio si amplifica col desiderio»15. Lei era tutto desiderio! Gli Anawim sono una mano aperta al dono. Sono lì davanti a Dio, perché Lui ricolmi l'anima della sua grazia. Lei è la serva accanto al Servo. É la luna: non è il sole, Maria. La sua è tutta luce riflessa. La luna brilla soltanto della luce del sole. Bisogna dire che quella luce riflessa ha un fascino particolare. Sappiamo che ha incantato tutti i romantici, la luna. Poi, quando ci sono andati sopra e han visto lo squallore che c'è, questa poesia si è un po' intaccata! Comunque, Maria è come la luna. Tutto quello che c'è in lei è un riflesso di Dio: da lei niente, tutto da Lui. È tutta un riflesso della gloria di Dio. Ma lei ha saputo rifletterlo come uno specchio terso, cristallino. Ripeto: lei è la serva davanti al Servo! Mi pare che sia questo il segreto di Maria. Si possono dire mille cose della Madonna e veramente di libri su Maria ne escono a dozzine ogni anno. Però le cose essenziali sono poche. Vi accorgete che anch'io comincio a ripetermi, cioè alla fine ritorno sempre nel nodo, perché il nodo è uno solo. Il nodo è questo. Secondo me altri nodi non ce ne sono. Il segreto di Maria è questo: è la serva che accoglie il Signore, nell'apertura e nella disponibilità totale.

NOTE
1 ELISABETTA DELLA TRINITÀ, Lettera 107 (alla contessa De Sourdon) In ID, Scritti, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1967, p. 204: «Noi portiamo in noi il nostro cielo poiché colui che sazia i glorificati nella luce della visione, si dà a noi nella fede e nel mistero. E la stessa cosa! Mi sembra di aver trovato il mio cielo sulla terra perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima. Il giorno in cui ho capito questo, tutto s'è illuminato in me e vorrei sussurrare questo segreto a coloro che amo, perché anch'essi, attraverso ogni cosa, aderiscano sempre a Dio e si realizzi quella preghiera del Cristo "Padre che siano consumati in uno"(Gv 17,21)».
2 Cf  S. TERESA Dl G. B., Manoscritti autobiografici. Storia di un anima. Ed. Ancora [a cura della Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi], Milano [1969] pp. 349 passim.
3 Cf C. MARMION, Cristo, vita dell'anima. Conferenze spirituali, Ed. Vita e Pensiero [Milano 196717] (Biblioteca ascetica, 7) pp. IX+548.
4 Ufficio divino [ ..]. Liturgia delle ore secondo il rito romano, 1. Tempo di Avvento, Tempo di Natale. Responsorio [dopo le letture]: ed. Tipografia Poliglotta Vaticana 1975, p. 1194.
5 S. AGOSTINO. L'anima e la sua origine IV, VII, 11; PL 44, col. 530: «Nec tamen quaereres, nisi te posse sperares»; cf anche ID., Le Confessioni 1, 1.1; CCL 27, p. l.
6 Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, e promulgato da papa Paolo VI, [a cura della] Conferenza Episcopale Italiana, Preghiera eucaristica IV, prefazio; ed. Libreria Ed. Vaticana (1983) p. 411.
7 Cf S. IRENEO, Contro le eresie IV, 11, 1-2; ed. L. Bellini [Jaca Book, Milano 1981] pp. 323-324.
8 Ufficio divino [...]. Liturgia delle ore 1 gennaio. Nell'ottava di Natale. Maria SS. Madre di Dio. Primi Vespri, 1 ant., p. 466.
9 S. AGOSTINO, Discorsi CCXV, 4; PL 38, col. 1074. S. LEONE MAGNO, Discorso I del Natale del Signore 1; PL 54, col. 191.
10 S. TOMMASO D'AQUINO, Somma Teologica p. III, q 27, a. 5, ad 1; ed. P. CARAMELLO (Marietti, Torino 1962) t. III, pp.157-158: «Ad primum ergo dicendum quod unicuique a Deo datur gratia secundum hoc ad quod eligitur. Et quia Christus, inquantum est homo, ad hoc fuit praedestinatus et electus ut esset "praedestinatus filius Dei in virtute sanctifcationis" (Rm 1,4), hoc fuit proprium sibi, ut haberet talem plenitudinem gratiae quod redundaret in omnes, secundum quod dicitur Joan. I "De plenitudine eius nos omnes accepimus" (Gì 1,16). Sed beata virgo Maria tantam gratiae obtinuit plenitudinem ut esset propinquissima auctori gratias, ita quod eum qui est plenus omni gratia, in se reciperet; et, eum partendo, quodammodo gratiam ad omnes derivaret».
11 Ibidem a. 6, pp. 158-159.
12 CONCILIO VATICANO II, Cost. «Sulla Chiesa», nn. 62, 65-66, 68.
13 S. AGOSTINO, Spiegazioni sui Salmi XXXVI, 14: CCL 38, P. 356: «Ipse est enim qui Spiritu sancto ditavit corda pauperum, et exinanitas animas confitendo peccata, implevit opulentia iustitiae; qui potuit divitem facere piscatorem dimittendo retta sua (cf. Lc 1,53; Mt 4,19-21), quod habebat contemnentem, quod non habebat haurientem. Infirma enim mundi elegit Deus, ut confùnderet fortia (cf 1Cor 1,27). Et non de oratore piscatorem, sed de piscatore lucratus est oratorem, de piscatore est lucratus senatorem, de piscatore lucratus est imperatorem»; ID., Discorsi XX/A, 9: CCL 41, p. 273: «Non enim dicturus est Deus in iudicio suo: ""Accedat ad me senator, recedat plebeius". Sed neque hoc dicturus est: "Accedat plebeius, recedat senator". Non dicturus est: "Accedat ad me imperator, recedat miles". Sed neque illud dicturus est: "Accedat miles, recedat imperator". Sed: "Accedat justus, recedat jniustus"». Ibidem XLIII, 6, p. 511: «Quamquam et senatorem et oratorem et imperatorem ego sum facturus: quandocumque facturus ego et senatorem, sed certius ego piscatorem. Potest senator gloriari de semetipso, potest orator, potest imperator. Non potest nisi de Christo piscator. Veniat propter docendam salubrem humilitatem. Prius veniat piscator. Per ipsum melius adducitur imperator».
14 S. BENEDETTO, Regola, prologo 30: «operantem in se Dominum magnificant».
15 Cf S. AGOSTINO, Discorsi CLXX, 10: PL 38,932; ID., Spiegazioni sul salmi XXIX, 3: PL 36,434: ID. Trattato sul Vangelo di Giovanni VI 1-2: PL 35, 1425-1426; Ibidem CI, 6, 1895-1896 («desiderii parturitione»); S. GREGORIO MAGNO, Omelie sul Vangelo XXV, 1-2: PL 76, 1189B.
16 Cf S. MODESTO GEROSOLIMITANO, Lode alla B. Vergine III PG 86/bis, col. 3285; S TEODORO STUDITA, Discorsi V,l (per la «Dormitio» della Theotókos): PG 99 721A; S. BERNARDO, Discorsi II. Nell'Assunzione della B. V. 2,9: EC (Roma 1968) vol. V, p. 238; Ibidem, Nella Natività della B. V., 9, p. 281.

 

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Inserito Lunedi 6 Febbraio 2012, alle ore 18:01:52 da latheotokos
 
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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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