Due ''Sì'' per una realtà stupenda
Data: Mercoledi 15 Marzo 2017, alle ore 10:19:46
Argomento: Culto


25 marzo: Annunciazione del Signore. Dal libro di D. M. Sartor, Le feste della Madonna. Note storiche e liturgiche per una celebrazione partecipata, EDB, Bologna 1988, pp. 81-87.



Evidentemente la festa dell'Annunciazione, celebrazione insieme del Signore e della Vergine di Nazareth, ha per oggetto il racconto di Luca 1,26-38, che da sempre - anche al di là dell'istituzione di un'apposita celebrazione - aveva richiamato l'interesse delle comunità cristiane, che lo usavano nella liturgia in connessione con la memoria dell'incarnazione del Verbo. Infatti, l'episodio lucano potrebbe essere chiuso convenientemente con l'affermazione giovannea: «E [in quel momento] il Verbo si fece carne ed abitò con noi» (Gv 1,14).

1. Una festa davvero universale

a) In Oriente

La nostra festa, con il nome di Annunciazione o Evanghelismos della santissima Theotokos e sempre vergine Maria, è sorta in oriente e, come sembra, solo dopo il secolo V. Aumentata l'importanza della festività della nascita-manifestazione del Signore e formatosi attorno ad essa un piccolo ciclo liturgico, il racconto di Luca fu avulso dal suo nucleo primitivo e trasformato in una festa autonoma: e questo sotto l'imperatore Giustiniano I, tra il 530 e il 550. Prima testimonianza sicura dell'esistenza di questa celebrazione si ha nel Chronicon Paschale di Alessandria all'anno 624. Fin dalle origini la festa dell'Annunciazione venne fissata al 25 marzo, sia in funzione del 25 dicembre (= tempo della gestazione tra concepimento e nascita di Cristo) sia per la credenza diffusa allora, che cioè Cristo si fosse incarnato nell'equinozio di primavera, tempo a cui si riallacciava anche la creazione del mondo e la morte dello stesso Salvatore. C'era, però, l'inconveniente che in questa data la celebrazione cadeva in Quaresima, quando - secondo l'austero costume della chiesa antica - era rigorosamente vietata ogni festa particolare. Il concilio Trullano celebrato a Costantinopoli nel 691, risolse il problema, facendo un'eccezione alla regola e stabilendo che «il santo giorno dell'Annunciazione», una delle feste più importanti dell'anno liturgico bizantino, al fine di non alterare il suo stretto rapporto cronologico con il Natale, doveva essere celebrato anche con l'eucaristia - senza spostamenti - in qualsiasi giorno cadesse, si trattasse pure del Venerdì santo o della domenica di Pasqua. Tale prescrizione rimase in vigore fino ai nostri giorni: questo fatto crea la necessità di pagine e pagine di rubriche dettagliate per prevedere tutte le possibili ricorrenze.
L'ufficiatura, oltre al giorno della festa, prevede la vigilia il 24 e riserva il 26 alla commemorazione dell'arcangelo Gabriele. Molti dei testi liturgici propri si ritrovano anche nell'ufficiatura del quinto sabato di Quaresima, detto sabato dell'Akathistos. Con quest'inno cardine della pietà mariana orientale, essi hanno in comune soprattutto l'amplificazione del saluto angelico; per questo ne riportiamo qualche saggio: «Gabriele, accorso - o fanciulla - per svelarti il disegno stabilito dall'Eterno, ti salutò e disse: Salve, terra non seminata; salve, roveto incombusto; salve, abisso insondabile; salve, carro che porta ai cieli e scala elevata apparsa a Giacobbe; salve, brocca santa della manna; salve, distruzione della maledizione; salve, richiamo di Adamo: il Signore è con te! Salve, o piena di grazia; salve, ricettacolo della natura incontenibile: perché colui, che i cieli non potevano contenere, è stato contenuto nel tuo seno; salve, o benedetta, riscatto di Eva, gioia del mondo ed allegria del nostro genere: il Signore è con te! Salve, trono infuocato più glorioso del quadriga; salve, cattedra celeste del Re; salve, montagna intatta, ricettacolo degno di ogni onore; salve, fanciulla non sposa, ignara di nozze: il Signore è con te! Salve, maestra; salve, vergine tutta casta; salve, ricettacolo di Dio; salve, lampada della luce; salve, montagna santa, santuario illustre e camera nuziale dell'immortalità!».
Ma i formulari della festa soprattutto vedono in Maria il consenso dell'umanità alla grazia, la sua libera collaborazione alla propria salvezza. L'incarnazione redentrice è, per essi, dovuta alla fede docile di Maria, che con la sua obbedienza annulla la disobbedienza di Eva.

b) In Occidente
Per l'occidente il Liber Pontificalis assicura che la festa dell'Annunciazione del Signore (così viene chiamata) era celebrata nel secolo VII anche a Roma, poiché Sergio I (687-701) decretò che si solennizzasse insieme alle altre tre feste di importazione orientale (Natività, Presentazione e Dormizione) con una grande processione stazionale dalla diaconia di S. Adriano a S. Maria Maggiore. E la sua diffusione nei paesi latini fu assai rapida: la troviamo, infatti, in tutti i martirologi dell'epoca carolingia. Solo la celebrazione in Quaresima, nella quale - secondo la disciplina di quel tempo - non si ammettevano feste di santi, impedì che divenisse universale. Per questa stessa ragione nella Spagna, nella quale veniva celebrata in giorni diversi, per un decreto del concilio di Toledo del 656, fu trasportata in modo stabile, per tutta la nazione, al 18 dicembre. Nel medioevo, tuttavia, anche qui la festa dell'Annunciazione venne di nuovo trasportata secondo l'uso romano al 25 marzo, ritenendo la festa del 18 dicembre col nome di «festa dell'aspettazione del parto della Vergine». Anche la chiesa di Milano ammise una duplice celebrazione del mistero narrato da Luca: al 25 marzo e nella sesta domenica di Avvento, che immediatamente precede la vigilia di Natale. S. Carlo, ossequiente al canone di non celebrare feste di santi nel tempo quaresimale, abolì la solennità del 25 marzo, e lasciô come unica e ufficiale celebrazione dell'Annunciazione quella della sesta domenica di Avvento. Ma nel 1897 fu ristabilita la festività in Quaresima (il 25 marzo), senza però che ne sia stato ben definito I'oggetto, avendo la liturgia ambrosiana del giorno il duplice titolo In festo Annunciationis beatae Mariae virginis - Solemnitas Domini. Quindi dai secoli VI/VII oriente e occidente puntualizzano e celebrano il mistero dell'incarnazione del Verbo nel seno di Maria il 25 marzo, esattamente nove mesi prima della di lui nascita (25 dicembre): così l'Annunciazione è una vera festa dell'incarnazione del Verbo, ben distinta da quella del suo natale non solo per la data, ma anche per il contenuto. In entrambe la Vergine Madre sta al primo posto.
La nostra festa è stata designata lungo i secoli con vari nomi, che possono essere ridotti a due filoni, secondo che si sottolineasse maggiormente nel racconto lucano la persona di Maria o la persona da lei concepita: avremo così da una parte «Annunciazione della Beata Maria Vergine», «Annunciazione dell'angelo», «Saluto di Maria», «Annunciazione di santa Maria intorno alla concezione»; e dall'altra «Annunciazione Dominica», «Annunciazione di Cristo o del Signore», «Inizio della redenzione», «Concezione di Cristo», «Festa dell'incarnazione». E la cosa si spiega molto bene: infatti, questo evento dell'inizio della redenzione trova strettamente associati il Messia e la Madre sua. Ora il nuovo Calendario liturgico ha preferito il termine «Annunciazione del Signore», perché si possa capire più direttamente che si tratta in primo luogo di una festa cristologica, senza però detrimento per il ruolo speciale di Maria in quest'evento di salvezza. La Marialis cultus è esplicita a questo proposito: «Per la solennità dell'Incarnazione del Verbo, nel Calendario romano, con motivata risoluzione, è stata ripristinata l'antica denominazione di "Annunciazione del Signore", ma la celebrazione era ed è festa congiunta di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa "figlio di Maria" (Mc 6,3) e della Vergine che diviene Madre di Dio» (n. 6: EV 5/26). A nostro avviso, se un cambiamento era da fare, doveva portare al cuore del mistero celebrato, denominando questo giorno come «Festa dell'incarnazione». Si sarebbero così evitate inutili suscettibilità circa la preferenza tra Cristo e Maria; soprattutto si sarebbero meglio superate quelle difficoltà psicologiche che sorgono vedendo una simile festa cadere spesso prima della settimana santa e sempre nel tempo quaresimale (si sa, infatti, che da noi se cade entro la settimana santa o nell'ottava di Pasqua, viene trasferita al lunedì dopo la domenica in albis). E questo perché nell'ottica dei padri della chiesa bisognerebbe ricordare che l'incarnazione dice rapporto indissolubile con la redenzione e il mistero pasquale; ed è in questo senso che deve essere celebrata questa solennità del Signore come sottolineano alcuni testi della messa: la colletta che parla di Cristo «redentore», la preghiera dopo la comunione che ricorda «la potenza della sua risurrezione», e specialmente la seconda lettura tratta da Eb 10,4-10 con pieno riferimento all'oblazione sacrificale di Cristo.

2. «Dio ha bisogno degli uomini»

Il lavoro di revisione dei formulari liturgici di questa solennità è stato davvero vistoso, rilevando così una volontà di arricchimento tematico della celebrazione; e noi crediamo con forti sottolineature esistenziali. I testi propri della messa del giorno chiariscono subito l'oggetto della celebrazione: l'orazione sopra le offerte lo delimita in forma perentoria («celebriamo l'incarnazione del tuo unico Figlio»), l'orazione dopo la comunione determina quale deve essere il nostro atteggiamento di fronte all'evento celebrato («riconosciamo nel figlio della Vergine il tuo Verbo fatto uomo») e altrettanto fa, ma con maggiore incisione, la colletta («adoriamo il mistero del nostro Redentore, vero Dio e vero uomo»). Il centro della festa è, dunque, il Figlio di Dio che s'incarna nel seno della Vergine, unendo divinità e umanità in un mistero che deve essere adorato. E questo secondo il disegno eterno del Padre, il quale «ha voluto che il suo Verbo si facesse uomo nel grembo della vergine Maria» (colletta), come conferma la prima lettura (Is 7,10-14), richiamata anche dall'antifona alla comunione: «Dio stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele, cioè Dio-con-noi». Tutto questo piano di Dio è riassunto bene dal prefazio: «All'annunzio dell'angelo la Vergine accolse nella fede la tua parola, e per l'azione misteriosa dello Spirito santo concepì e con ineffabile amore portò nel grembo il primogenito della nuova umanità, che doveva compiere la promessa di Israele e rivelarsi al mondo come il Salvatore atteso dalle genti». Abbiamo, cioè, un disegno di salvezza da parte di Dio, che egli - secondo il suo solito - non «impone» ma «propone», e due persone, il Figlio e Maria, che dicono «» alla proposta e permettono a Dio di attuare fino in fondo il suo progetto. Giustamente la Marialis cultus, presentando il contenuto della festa, mette in risalto l'incontro di questo duplice fiat, che permette il compiersi delle promesse antiche in un momento culmine della storia della salvezza.

a) Il «sì» del Figlio di Dio
«Relativamente a Cristo l'oriente e l'occidente, nelle inesauribili ricchezze delle loro liturgie celebrano tale solennità come memoria del fiat salvifico del Verbo incarnato, che entrando nel mondo disse: "Ecco, io vengo ( ... ) per fare, o Dio, la tua volontà" (cf. Eb 10,7; Sal 39,8-9)» (Marialis Cultus, n. 6: EV 5/26). La cosa e puntualizzata dal salmo responsoriale (Sal 39) e dalla seconda lettura (Eb 10,4-10), richiamata anche dall'antifona d'ingresso. I sacrifici offerti precedentemente erano di valore inadeguato all'espiazione della colpa, ma soprattutto all'edificazione del nuovo ordine progettato dal Creatore. Occorreva per questo un sacrificio umano-divino, terrestre-celeste, finito-infinito, temporale-perenne; un sacrificio comprensivo di tutti i valori umani-divini, causa di tutti i beni, punto centrale del nuovo ordine di cose, chiave di volta della nuova costruzione eterna. Allora il Padre propose a suo Figlio unigenito di assumere un corpo, proprio per rendere possibile, nella sua persona e con la sua immolazione, un tale sacrificio. E il Figlio di Dio accettò generosamente questo programma, dicendo: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà». E il suo fiat mentre entra nel mondo, è il suo «» che abbraccia da ora tutta la sua vita!

b) Il «sì» della Vergine Madre
«Relativamente a Maria [le liturgie d'oriente e d'occidente celebrano tale solennità] come festa della nuova Eva, vergine obbediente e fedele, che con il suo fiat generoso (cf. Lc 1,38) divenne, per opera dello Spirito, Madre di Dio, ma anche vera Madre dei viventi e, accogliendo nel suo grembo l'unico Mediatore (cf. 1Tm 2,5), vera Arca dell'alleanza e vero Tempio di Dio» (Marialis cultus, n. 6: EV 5/26). Questo libero consenso della Vergine e il suo relativo concorso al piano della redenzione viene messo bene in risalto dalla terza lettura (Lc 1,26-38), sincopata anche come acclamazione al Vangelo. Nella pienezza dei tempi, Dio fece annunciare dall'arcangelo Gabriele la sua volontà alla Vergine di Nazareth. Ella accondiscese subito al volere divino e così per opera dello Spirito santo si compì in lei il grande mistero dell'incarnazione. Come la volontà del Padre diventa volontà offertoriale e sacrificale del Verbo, così la volontà del Verbo diventa la volontà di offerta di Maria, che si dichiara disponibile per il programma salvifico del Padre. É l'incontro di due «», che mette in atto il progetto del Dio di misericordia. Questo insistere sull'obbedienza generosa di Cristo e piena di fede della Vergine, e questo proiettarla verso il suo culmine, cioè verso la morte e morte di croce (Fil 2,8), inserisce bene la festa nel contesto quaresimale-pasquale: quello che si realizza a Pasqua è già in nuce nel mistero dell'Annunciazione, che davvero inizia la nostra redenzione.

c) Il «sì» della chiesa
E un tema caro alla patristica quello di sottolineare come la disobbedienza di Adamo e di Eva furono causa di perdizione per il genere umano, mentre l'obbedienza di Cristo e di Maria portarono salvezza. Inoltre, l'incarnazione è anche il momento di avvio della collaborazione responsabile di Cristo e di Maria al piano di salvezza del Padre. Ne consegue che noi pure da una parte non dobbiamo imitare i nostri progenitori nella loro disobbedienza, dall'altra dobbiamo seguire l'esempio di Cristo e della Madre, dicendo il nostro «si» alla proposta divina e collaborando così attivamente alla redenzione. A questo sembra far allusione l'orazione sopra le offerte: «Fa' che la tua chiesa riviva nella fede il mistero in cui riconosce le sue origini»; anche se più sfumate sono le petizioni della colletta e dell'orazione dopo la comunione (rispettivamente «concedi a noi [ ... ] di essere partecipi della sua vita immortale» e «per la potenza della sua risurrezione guidaci al possesso della gioia eterna»). La salvezza in definitiva dipende da questo monosillabo «»: ai due grandi «» di Cristo e di Maria devono far riscontro i nostri piccoli «» di ogni momento, - perché Dio non salva noi senza di noi. Ci vuole coscienti collaboratori al suo progetto di sposarci al divino: egli rimane «proposta» e «annuncio»; dipende da noi - dalla nostra risposta - ogni realizzazione. Dio non è più «onnipotente» da quando ha voluto «aver bisogno» degli uomini e si è imposto il rispetto della loro libertà, senza violenza alcuna. Davvero è questa la festa del trionfo sia del divino sia dell'umano, senza umiliazione da parte di nessuno: l'incarnazione, o armonioso coesistere della divinità con l'umanità, non è statica, ma è un fatto che continua. L'ufficiatura del giorno gioca tutta su questa stupenda realtà. Basti ricordare un passo della lettura patristica, presa dalla lettera di Leone Magno a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, che ben riassume l'evento celebrato: «Come Dio non è alterato dalla sua misericordia, così l'uomo non è annientato dalla sua nuova dignità».
 

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