Il Magistero su Maria e i Santuari
Data: Domenica 29 Luglio 2018, alle ore 8:39:54
Argomento: Magistero


Da Dossier Fides:  I Santuari e la devozione mariana in Africa, Agenzia Fides del 13 agosto 2009.



Maria di Nazareth unisce i tre grandi momenti della vita del Figlio: l'incarnazione, la sua testimonianza di vita e la risurrezione. Maria è l'unica a essere presente in tutti e tre questi momenti. Secondo il famoso mariologo Stefano de Fiores “la Vergine è "attraente" anche perché si presenta come una madre, con una santità e una verginità che la rivestono quasi di un paradosso e di mistero: "figlia del tuo figlio", l'ha definita anche Dante. Inoltre porta in sé una bellezza e una pienezza uniche nella storia. Per questo essa attrae e affascina anche i non credenti”.

Papa Benedetto XVI, commentando la festa dell'Assunzione di Maria, ha illustrato chiaramente i tratti così belli della persona della Madonna. “Nel cielo abbiamo una madre. É la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: “Ecco la tua Madre!” Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore.” La dinamica della nostra fede, centrata sul mistero di Cristo, si nutre anche del mistero di Maria, come di un dono prezioso ed essenziale della nostra vita cristiana. Come Maria desidera che Dio sia grande nel mondo, sia grande nella sua vita, sia presente tra tutti noi, così, continua il Papa, Ella “non ha paura che Dio possa essere un “concorrente” nella nostra vita, che possa toglierci qualcosa della nostra libertà, del nostro spazio vitale con la sua grandezza. Ella sa che, se Dio è grande, anche noi siamo grandi. La nostra vita non viene oppressa, ma viene elevata e allargata: proprio allora diventa grande nello splendore di Dio.

La tentazione di 'sentire' Dio come un rivale che ostacola la nostra realizzazione è presente fin dalle origini, nel racconto della Genesi. Il fatto che i nostri progenitori pensassero proprio così fu il nucleo del peccato originale. Temevano che, se Dio fosse stato troppo grande, avrebbe tolto qualcosa alla loro vita. Pensavano di dover accantonare Dio per avere spazio per loro stessi.  Questa è stata anche la grande tentazione dell’epoca moderna, degli ultimi tre-quattro secoli. Sempre più si è pensato ed anche si è detto: “Ma questo Dio non ci lascia la nostra libertà, rende stretto lo spazio della nostra vita con tutti i suoi comandamenti. Dio deve dunque scomparire; vogliamo essere autonomi, indipendenti. Senza questo Dio noi stessi saremo dei, facendo quel che vogliamo noi. Prima si pensava e si credeva che, accantonando Dio ed essendo noi autonomi, seguendo solo le nostre idee, la nostra volontà, saremmo divenuti realmente liberi, potendo fare quanto volevamo senza che nessun altro potesse darci alcun ordine. Ma dove scompare Dio, l’uomo non diventa più grande;  perde anzi la dignità divina, perde lo splendore di Dio sul suo volto. Alla fine risulta solo il prodotto di un’evoluzione cieca e, come tale, può essere usato e abusato.  É proprio quanto l'esperienza di questa nostra epoca ha confermato.”

Maria quindi è la strada ‘maestra’ per comprendere la bellezza della fede e i tratti che definiscono il cammino dell’uomo in ricerca della felicità e della pienezza di vita. La Madonna ci aiuta a capire questa profonda verità. Come dice con forza il Santo Padre Benedetto XVI: “non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diventiamo divini;  tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro. Applichiamo questo alla nostra vita. É importante che Dio sia grande tra di noi, nella vita pubblica e nella vita privata. Se Dio entra nel nostro tempo, tutto il tempo diventa più grande, più ampio, più ricco. Maria vive della parola di Dio, è pervasa dalla parola di Dio. E questo essere immersa nella parola di Dio, questo essere totalmente familiare con la parola di Dio le dà poi anche la luce interiore della sapienza. Chi pensa con Dio pensa bene, e chi parla con Dio parla bene. Ha criteri di giudizio validi per tutte le cose del mondo. Diventa sapiente, saggio e, nello stesso tempo, buono; diventa anche forte e coraggioso, con la forza di Dio che resiste al male e promuove il bene nel mondo. E, così,  Maria parla con noi, parla a noi, ci invita a conoscere la parola di Dio, ad amare la parola di Dio, a vivere con la parola di Dio, a pensare con la parola di Dio. Proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi.

Maria che accoglie Cristo ci indica la via: ecco perché accogliere Lei significa accogliere il Figlio e la via mariana è la via dell’incontro con Dio. La vera e autentica devozione mariana è sempre cristologica, cioè ci avvicina, ci unisce ancora di più a Gesù. Già San Luigi de Montfort, apostolo della consacrazione a Maria, affermava  che “la vera devozione, quella della tradizione, quella della Chiesa... tende essenzialmente all’unione con Gesù, sotto la guida di Maria” e lo stesso Giovanni Paolo II, il cui motto è stato "totus tuus", in riferimento alla Madre di Dio, scrive, nella Redemptoris Mater n.48,  “la consacrazione a Cristo per le mani di Maria, è un mezzo efficace per vivere fedelmente gli impegni battesimali.

In ogni epoca il popolo di Dio ha voluto segnare e ‘fissare’ i luoghi significativi per la fede, come un punto di riferimento vitale per il rapporto con Dio e ricordare le gesta salvifiche del Redentore. Secondo il Codice di Diritto Canonico (can 1230-34) “col nome di santuario si intendono la chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l'approvazione dell'Ordinario del luogo.” Ci sono santuari locali, nazionali o internazionali, a seconda che siano approvati dall’ordinario diocesano, dalla Conferenza Episcopale o dalla Santa Sede. Per la loro importanza “ai santuari si potranno concedere taluni privilegi, ogniqualvolta sembra che lo suggeriscano le circostanze dei luoghi, la frequenza dei pellegrini e soprattutto il bene dei fedeli.” Nell’ultimo canone si delinea in sintesi il programma pastorale e il senso spirituale del santuario: “nei santuari si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell'Eucaristia e della penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare. Le testimonianze votive dell'arte e della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodite con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti”.

Come aveva detto Giovanni Paolo II, “il santuario è la casa di Maria, la dimora della fede, dove il Signore è accolto costantemente dalla Vergine e incessantemente donato al mondo. I pellegrini vi si recano con sicuro intuito, per cercare “nella fede di Maria il sostegno per la propria fede” (Redemptoris Mater, 27). Entrando nella casa di lei essi trovano sempre, come i magi, “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2, 11) e prostrandosi lo adorano. Tale esperienza di Dio non si deve però esaurire nel santuario, essa deve determinare una svolta decisa, aprire un cammino nuovo di testimonianza nella vita di ogni giorno.” I luoghi della pietà mariana devono essere sempre veramente “templi di Dio, dove i fedeli possano fare una particolare esperienza del soprannaturale, dove possano ricevere una catechesi sempre sicura e formativa, pienamente inserita nel messaggio evangelico e illuminata dal magistero perenne della Chiesa; dove, infine, mediante il sacramento della Penitenza, la direzione spirituale e la Comunione eucaristica, possano attingere copiosamente alle fonti della grazia e del conforto divino, per essere pronti ad affrontare le difficoltà della vita e a testimoniare con coraggio la fede cristiana nel proprio ambiente sociale.

Non si può pensare al santuario senza associarlo alla particolare e feconda esperienza del pellegrinaggio. La stessa Scrittura ne attesta il valore e il significato: il pellegrinaggio al santuario è visto come punto qualificante della vita spirituale (cf. Dt 16, 16), come gioiosa esperienza comunitaria (cf. Sal 84, 12) a cui annualmente partecipava anche Gesù con i suoi genitori (cf. Lc 2, 41-42); esso conduce davanti al Signore, a ricercare il suo volto a sperimentare la gioia della sua casa, ombra-figura di quel tempio escatologico in cui si trarrà dalla diretta visione di lui una felicità senza fine. Sarà un giorno senza tramonto nella casa di Dio, che vale ben più di mille giorni passati altrove (cf. Sal 84, 11). L’esperienza del tempio - con la sua storia, i suoi ricordi, la sua grazia, il suo splendore - suscita lo stupore del pellegrino, la gioia della fede, il proposito di percorrere strade nuove e di raccontare a tutti come i pastori e gli apostoli quello che si è visto e udito (At 4, 20).

Nei santuari si intreccia spesso un fecondo connubio tra la sublimità della liturgia cattolica e la semplicità della religiosità popolare. Come diceva Giovanni Paolo II “la Sacra Liturgia, che la Costituzione Sacrosanctum Concilium qualifica come il culmine della vita ecclesiale, non può mai essere ridotta a semplice realtà estetica, né può essere considerata come uno strumento con finalità meramente pedagogiche o ecumeniche. La celebrazione dei santi misteri è innanzitutto azione di lode alla sovrana maestà di Dio, Uno e Trino, ed espressione voluta da Dio stesso”. La religiosità popolare, invece, “costituisce un’espressione della fede che si avvale di elementi culturali di un determinato ambiente, interpretando ed interpellando la sensibilità dei partecipanti in modo vivace ed efficace. Essa, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri.” Queste due espressioni della fede si alimentano a vicenda se mantenute entro criteri corretti, soprattutto se si tiene sempre a mente che “la religiosità popolare ha il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò deve essere illustrato con un’appropriata catechesi.

 “Agli occhi della fede” - ricorda il Direttorio su pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti (n. 263) - “i santuari sono:
- per la loro origine, talvolta, memoria di un evento ritenuto straordinario che ha determinato il sorgere di manifestazioni di duratura devozione, o testimonianza della pietà o della riconoscenza di un popolo per i benefìci ricevuti;
- per i frequenti segni di misericordia che vi si manifestano, luoghi privilegiati dell’assistenza divina e dell’intercessione della Beata Vergine, dei santi o dei beati;
- per la posizione, spesso elevata e solitaria, per la bellezza ora austera ora amena, dei luoghi in cui sorgono, segno dell’armonia del cosmo e riflesso della divina bellezza;
- per la predicazione che vi risuona, richiamo efficace alla conversione, invito a vivere nella carità e a incrementare le opere di misericordia, esortazione a condurre una vita improntata alla sequela di Cristo;
- per la vita sacramentale che vi si svolge, luoghi di consolidamento della fede e di crescita nella grazia, di rifugio e di speranza nell’afflizione;
- per l’aspetto del messaggio evangelico che esprimono, peculiare interpretazione e quasi prolungamento della Parola;
- per l’orientamento escatologico, monito a coltivare il senso della trascendenza e a dirigere i passi, attraverso le strade della vita temporale, verso il santuario del cielo (cf Eb 9, 11; Ap 21, 3)"

Il documento tratta poi del santuario
- come luogo di celebrazioni cultuali (nn. 265-273)
- come luogo di evangelizzazione (n. 274)
- come luogo della carità (n. 275)
- come luogo di cultura (n. 276)
- come luogo di impegno ecumenico (nn. 277-278).

 

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