Con Maria e come Maria rigenerati nella Misericordia
Data: Martedi 28 Agosto 2018, alle ore 17:12:20
Argomento: Spiritualitą


 Una meditazione di Suor Linda Pocher in ADMA, n. 2 - 24 febbraio 2016.

 



 

La sofferenza, insomma, la solitudine, l’abbandono, non sembrano essere per Gesù degli «incidenti di percorso», ma una parte importante dell’esperienza del cristiano. Ripenso ai momenti di sofferenza, di prova, vissuti nella mia vita: come li ho affrontati? Hanno lasciato in me rancore, dubbi sull’onestà e la misericordia di Dio?

Angosciati ti cercavamo

Il passaggio attraverso la prova della sofferenza è talmente necessario che perfino Maria – l’Immacolata, che non ha bisogno di essere purificata! –, è stata condotta da Gesù proprio per questa strada, anzi, è stata proprio lei la prima ad imparare a far tesoro dell’esperienza della sofferenza e dell’abbandono da parte di Dio. Lo possiamo vedere bene meditando l’episodio del ritrovamento al Tempio. La famiglia di Nazaret si era recata come ogni anno a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, ma al momento del rientro, Gesù era rimasto al Tempio, «senza che i genitori se ne accorgessero» (Lc 2,43). Possiamo immaginare che Egli fosse stato fino ad allora un bambino mite ed obbediente, non uno scavezzacollo. Anche per questo, probabilmente, i genitori non sentivano il bisogno di tenerlo sotto controllo. Proprio per questo, essi devono essersi spaventati a morte nell’accorgersi di averlo «perso».

Renè Laurentin sottolinea il fatto che l’evangelista Luca «esprime l’angoscia di Maria con una parola molto forte, quella che gli serve altrove per designare le sofferenze dell’inferno (Lc 16,24-25)». Che cos’è infatti l’inferno, se non l’esperienza di aver «perso» la comunione con Dio, nella piena consapevolezza che questo è avvenuto per colpa propria? Certamente i genitori, in quei tre lunghi giorni di ricerche, avranno temuto il peggio per il ragazzo, che era stato affidato loro direttamente da Dio, e si saranno sentiti schiacciati dal peso di una tale responsabilità. Il fatto è che qui si realizza per la prima volta la profezia di Simeone (Lc 2,35). La sorpresa consiste nel fatto che il primo colpo di «spada» che trapassa l’anima di Maria è brandito proprio dal Figlio. «Perché ci hai fatto questo?» è infatti la domanda sconcertata che prorompe dal cuore della Madre, di fronte alla scoperta che il suo ragazzo non si è smarrito, ma ha deliberatamente deciso di non seguire i genitori. Nella sua risposta, Gesù utilizza «per la prima volta, uno dei procedimenti… più sconcertanti del suo insegnamento: riprende nella sua risposta il termine usato nella domanda, ma con tutt’altro significato, un significato spirituale. "Tuo padre", dice Maria parlando di Giuseppe, il padre adottivo. "Mio Padre" risponde Gesù, senza transizione; ma si tratta del Padre celeste». Gesù, inoltre, sembra contraddirsi poiché afferma che deve occuparsi delle cose del Padre, cioè obbedire soltanto a Dio, mentre poi torna a Nazaret, dove rimane sottomesso alla madre terrena e al padre adottivo. In realtà, bisogna comprendere che qui il giovane Gesù ha compiuto un gesto profetico: l’anticipazione della sua morte in obbedienza al Padre, che si compirà trent’anni più tardi nella stessa città e in occasione della stessa festa. Anche allora la Madre dovrà lasciar passare tre giorni di angoscia e di morte, prima di poter riavere il Figlio risorto.

Maria e Giuseppe, si dice, «non compresero» il segno. Certo, poiché è solo nella luce della resurrezione che è svelato il significato di una sofferenza liberamente abbracciata per amore. Essi iniziarono però a pregustarne una prima e molto oscura prefigurazione nel segno dell’abbandono e dell’incomprensione. Maria, tuttavia, di fronte alle prove future, che saranno sempre più grandi, dimostrerà con la sua docilità e il suo contegno di aver imparato la lezione: tutto ciò che il Figlio fa o che gli accade, fa parte del piano d’amore del Padre, che non è un Dio capriccioso. Il Padre sa ciò che è bene per noi, il Figlio si fida e così pure Maria. Non c’è da temere, né da perdere la speranza, neppure di fronte alle apparenze più contrarie, perché davvero «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).

Preparati alla tentazione

Maria impara in fretta, perché in lei non ci sono ostacoli alla Grazia, neppure quando si presenta nella forma della prova. Ciò non significa meno sofferenza, al contrario: più il cuore è libero e più si fa sensibile. La differenza sta nel fatto che lei non recalcitra, come facciamo normalmente noi, ma si lascia portare dallo Spirito e dal Figlio, che possono rendere fin da subito il suo dolore molto, molto fecondo. Nel nostro caso, se impariamo ad essere docili, il primo frutto della prova è che ci permette di misurare noi stessi, di prendere consapevolezza della nostra povertà e di consegnare con autenticità la nostra vita nella mani di Dio. Nella prova, infatti, sperimentiamo la lontananza di Dio e, in quella solitudine ci rendiamo conto che non possiamo nulla senza di Lui. Questa scoperta dolorosa ci purifica dall’orgoglio e ci alleggerisce dalla presunzione e permette finalmente a Dio di togliere dal nostro cuore ciò che ci impedisce di godere fino in fondo del suo amore per noi. La prova della sofferenza e dell’abbandono diventa allora esperienza della misericordia di Dio, che anche in questo modo si prende cura di noi, occupandosi della nostra maturazione nella fede, nella speranza e nell’amore.

«Figlio – leggiamo nel libro del Siracide – se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). Proprio perché la prova della sofferenza e dell’abbandono è così importante nella nostra maturazione, il nemico della nostra salvezza sta in agguato, per approfittare della nostra debolezza e impedirci di cogliere i frutti che attraverso di essa Dio prepara per noi. L’arma usata dal nemico è la tentazione: la proposta cioè di un alternativa che appare più facile o più attraente di ciò che sappiamo essere la volontà di Dio per noi. Con le sue proposte il nemico intende fiaccare la nostra fede, la speranza e la carità e portarci a rompere volontariamente la comunione con Dio.

La prima tentazione contro la quale dobbiamo stare in guardia consiste nel pensare che Dio si sia davvero dimenticato di noi, oppure che il dolore sia una prova della sua indifferenza o inesistenza o malvagità. Al contrario, possiamo essere certi che quando sperimentiamo l’abbandono di Dio, significa che Egli ci sta chiedendo di fare un passo in più verso di Lui, che sta preparando per noi un bene più grande, che però dobbiamo «conquistare» collaborando con la sua grazia.

La seconda tentazione consiste nel pensare che la situazione in cui ci troviamo è impossibile da superare e totalmente al di sopra delle nostre forze. Contro questo pensiero è importante ricordare che, nonostante le apparenze contrarie, Dio non ci priva mai della grazia necessaria e sufficiente a resistere nel tempo della prova. Lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto nel Battesimo non ci abbandona mai!

La terza tentazione è quella della «fuga consolatoria», del trascurare il proprio dovere (in famiglia o sul lavoro o nella preghiera) per cercare piaceri facili che possano attutire il dolore. Alcuni esempi: il cibo, lo shopping, il successo a tutti i costi, relazioni affettive o sessuali disordinate... Di fronte a queste tentazioni è necessario da un lato essere pazienti con se stessi, dall’altro cercare di ancorarsi saldamente alla roccia della preghiera e del compimento esatto del proprio dovere, cosa che, sul momento, può essere lacerante, ma da cui si riceve in seguito tanta serenità e gioia. Ovviamente, affidarsi con umiltà e trasparenza ad una guida esperta è fondamentale, se non si vuole «sprecare» l’occasione della prova.







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