L'immagine di Maria dal Neoclassicismo all'iconografia contemporanea
Data: Sabato 22 Febbraio 2020, alle ore 23:34:17
Argomento: Arte


Di Ursula Marchese in Appunti di iconografia mariana, pp. 20-23.

Jean Auguste Dominique Ingres
Madonna dell'Ostia
Dante Gabriel Rossetti
Ecce Ancilla Domini
Philipp Veit
Immacolata Concezione
Domenico Morelli
L'Assunta
Tommaso Minardi
Madonna del Rosario
Giulio Aristide Sartorio
Madonna degli Angeli
Gaetano Previati
Trittico dell'Assunzione
Guido Galli
Regina Pacis
Ernesto Lamagna
Ecce Mater Dulcissima
Angelo Da Fonseca
Madonna del Rosario
Van Gogh
Pietà
Rodolfo Papa
Madonna del Manto

Il XIX secolo è stato spesso considerato il «secolo dell’ateismo» ed è indubbio che anche sotto l’aspetto artistico si intensifichi un crescente disinteresse nei confronti della problematica religiosa da parte dell’opinione pubblica, soprattutto quella più criticamente sensibile. È il secolo del neoclassicismo, che si esprime in un linguaggio fluido ed equilibrato, quale quello di Jean-Auguste-Dominique Ingres (Il Voto di Luigi XIII, del 1820 – 1824; La Madonna dell’Ostia, del 1854). Ma è anche il secolo del romanticismo, che volentieri attinge alla tradizione medievale per riproporre antichi soggetti soprattutto con una forte valenza nazionalistica. Due movimenti artistici, i Nazareni germanici e i Preraffaelliti inglesi, sorti a pochi anni di distanza l’uno dall’altro e con reciproche influenze, tentano di andare al di là della polemica «classico-romantico» che attraversa tutto il secolo, per risalire ad un periodo della storia artistica ritenuto paradigmatico, cioè il primo Rinascimento italiano, fiorentino in particolare: in quel periodo, infatti, la genialità estetica si era espressa in una forma nella quale l’assoluta chiarezza stilistica e contenutistica si sposava con un forte impatto sentimentale. Una certa polemica è anche nei confronti dell’impressionismo, che, proponendo un deciso ritorno alla natura, è un movimento sostanzialmente indifferente alla tradizione cristiana. In questa attenzione al passato, seppur riletto con moderna sensibilità, è inevitabile che i pittori si accostino alla problematica religiosa: i Nazareni lo fanno in modo programmatico, i Preraffaelliti in una dimensione più occasionale. Il risultato sarà costituito da alcune raffigurazioni mariane di incantevole bellezza e novità: basti pensare a L’educazione della Vergine (1849) e all’Ecce Ancilla Domini (1850) di Dante Gabriel Rossetti (Tate Gallery a Londra), al Cristo nella bottega del falegname (1850) di J. E. Millais (ibidem), all’Immacolata Concezione di Philipp Veit (chiesa S. Trinità dei Monti a Roma, prima metà del secolo). Qualche risonanza religiosa e specificamente mariana si riscontra anche nel simbolismo di Odilon Redon e nell’espressività «nabis» di Maurice Denis.
Una certa analogia con questi movimenti è riscontrabile nei vari revival di cui il XIX secolo è attraversato: il neogotico, il neorinascimento, il neobizantino, il neobarocco interessano varie nazioni europee e, insieme a risultati carenti di pregio iconografico ed estetico, lasciano anche delle opere di indubbio fascino, quali quelle di Ludwig Seitz a Loreto e Roma, la porta centrale del Duomo di Milano di Ludovico Pogliaghi del 1908, la fastosa decorazione della cupola della basilica di Loreto di Cesare Maccari inaugurata nello stesso anno, o, con tutte le riserve del caso, la Sala dell’Immacolata, affrescata da Francesco Podesti in Vaticano nel 1854.
L’iconografia mariana coinvolge, seppure occasionalmente, pittori veristi, quali Domenico Morelli (l’Assunta nella Cappella del Palazzo Reale di Napoli, 1864), o rappresentanti di nuove correnti stilistiche, come il purista Tommaso Minardi (La Madonna del Rosario del 1840 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma), l’eclettico Giulio Aristide Sartorio (Madonna degli Angeli, 1895, collezione privata) e il divisionista Gaetano Previati (il Trittico dell’Assunzione del 1903 nella Cattedrale di Genova).
Accanto a queste opere di rilevante valore artistico si diffonde sempre più una produzione di immagini dal carattere spiccatamente popolare: un contesto culturale poco stimolante, un messaggio semplice che non di rado diventa semplicistico, un uso dei mezzi espressivi che tende al sentimento e spesso sfocia nel sentimentalismo. Il «capolavoro» di questo genere, che ebbe e ha tuttora una diffusione enorme mediante innumerevoli riproduzioni, è la famosa Madonnina di Roberto Ferruzzi, presentata per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1897.
La raffigurazione mariana nel corso del secolo viene influenzata dalle  apparizioni della Vergine. Quelle più importanti sotto l’aspetto della produzione iconografica sono le apparizioni a S. Caterina Labouré a Parigi (1830),  che danno origine alla diffusione della «medaglia miracolosa», e quelle a S. Bernadette Soubirous a Lourdes (1858); anche le apparizioni ai tre pastorelli di Fatima (1917) favoriranno la divulgazione di immagini mariane. I santuari, in genere, continuano ad essere delle fucine di arte, benché quasi mai di alto valore estetico e iconografico: l’arte naïve, ad esempio, pur collegandosi con l’antica tradizione degli ex-voto, non produce, se non raramente, significative novità.  
Il ‘900 eredita molte delle inquietudini del secolo precedente e non di rado le esaspera, continuando a relegare l’iconografia religiosa in un ruolo secondario nell’orizzonte culturale. Se non si può parlare di vasta e significativa produzione mariana, non è giusto, tuttavia, considerare irrilevante il valore di singole opere che i vari autori hanno realizzato, a volte in modo coerente con la loro attività, altre volte in modo più fortuito ed estemporaneo. Perfino movimenti molto problematici, quali l’espressionismo o la Secessione, il surrealismo e l’astrattismo, nonostante che il loro orizzonte sia stato prevalentemente distante dal cammino della comunità cristiana, hanno lasciato significative testimonianze mariane: evidentemente i valori che la Vergine continua a testimoniare sono talmente nobili da esercitare un misterioso fascino anche in ambienti meno aperti al messaggio evangelico.
L’accresciuta attenzione verso i beni culturali che l’opinione pubblica, ecclesiale e non, ha manifestato in questi ultimi anni ha fatto sì che sorgessero e si rendessero di pubblica fruizione molte istituzioni museali, che testimoniano in varia misura come l’iconografia mariana non solo non sia assente ma addirittura si vada evolvendo secondo ritmi e linguaggi meno estranei all’attuale mentalità. Più che le nuove chiese, sono le collezioni di arte moderna e contemporanea o particolari musei a carattere prevalentemente diocesano a documentare tutto questo. Tra le raccolte più interessanti e poliedriche emerge la Collezione di Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani, sorta nel 1973 per iniziativa di Paolo VI: i grandi nomi della moderna storia dell’arte, da Van Gogh a Matisse, da Rouault a De Chirico, da Carrà a Dalì, proclamano la gloria della Madre del Signore nelle più diverse espressioni stilistiche.
     L’iconografia mariana novecentesca, naturalmente, oltre a risentire dell’attuale problematica culturale e stilistica, è influenzata dal progredire del dibattito teologico e soprattutto dalla prassi ecclesiale. Il dialogo ecumenico e interreligioso, in modo particolare, costituisce un orizzonte dal quale l’odierna realizzazione di immagini difficilmente potrà prescindere. La diffusione in Occidente delle iconi orientali non risponde, così, soltanto ad una moda passeggera, ma forse costituisce un interessante segno di tempi nuovi e di nuove sensibilità.
La stessa arte cristiana missionaria nel corso del XX secolo si è pienamente svincolata da ogni retaggio colonialistico, per assumere con grande consapevolezza il progetto di inculturazione della fede mediante la condivisione di categorie, materiali e stili dei vari popoli. Del resto questa ottica, che avrebbe dovuto accompagnare l’arte missionaria lungo tutta la sua storia, era inscritta fin dal principio, fin da quell’immagine che può essere considerata come il prototipo di ogni arte cristiana missionaria: la Vergine di Guadalupe, risalente al XVI secolo. A prescindere dalla problematica riguardante la sua origine (se sia, cioè, anch’essa da considerarsi acheropita), è indubbio che questa bellissima opera delinei una Madonna «meticcia», che assume in sé i tratti europei e quelli amerindi. A partire da pochi artisti, che possiamo considerare autentici pionieri e che raccolsero e svilupparono le intuizioni di alcuni missionari (quali Luca Asegawa e Takahiro Toda in Giappone, Celso Le-Van-De nella penisola indocinese, Angelo da Fonseca a Goa, lo scultore Iko in Indonesia), gli stili estetici dei nativi entrano sempre più nell’orizzonte delle comunità cristiane diffuse nel mondo e trasmettono con nuovi stilemi il messaggio mariano.
Né l’iconografia mariana contemporanea potrà trascurare le istanze sociali che maggiormente interpellano l’uomo e il credente di oggi, dal momento che Maria è il modello ideale dell’umanità e la perfetta → discepola di Cristo. Tra queste istanze, molto vive appaiono le memorie dei drammatici eventi legati alle ideologie totalitarie, le problematiche poste dal femminismo, le speranze prospettate dai movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Alcuni artisti già si sono resi interpreti di queste esigenze: pensiamo a Guido Galli e alla sua Regina Pacis (1918) in S. Maria Maggiore a Roma; a Pablo Picasso, la cui Madonna della Crocifissione si sintetizza in uno straziante urlo di dolore (1930, Parigi, Museo Picasso); a Giacomo Manzù ed Emilio Greco, le cui sculture ripropongono un’iconografia severa e solenne; all’Annunciazione di Alberto Galvez, che ripresenta in abiti e atteggiamenti contemporanei i protagonisti del sacro evento.
Maria, donna «nostra contemporanea» pienamente consapevole di se stessa e del proprio ruolo, ritorna (e ci affacciamo ormai sul XXI secolo) nel Buon annunzio di Carlo M. Mariani (2003), si interroga nel Guardar, vedere di Carlo Bertocci (2001), tende quasi a identificarsi con l’anziana madre dell’autore nell’Ecce Mater dulcissima di Ernesto Lamagna (2003). Attente alle forme classiche rivisitate con attualizzante disponibilità sono le armoniose Madonne scolpite da Alessandro Romano o dipinte da Rodolfo Papa. Igor Mitoraj, sulle porte della facciata della Basilica di S. Maria degli Angeli in Roma (2006), coglie con straordinaria intensità l’indissolubile legame tra l’annunciazione e il mistero pasquale. Una fisionomia mariana di grande fascino, che coniuga stilemi della tradizione orientale con tensioni ed emotività tipicamente occidentali, risplende nei mosaici di Alexander Kornooukhov e di Marko Ivan Rupnik nella cappella Redemptoris Mater in Vaticano (1999).
Nella nostra «società dell’immagine» anche l’immagine di Maria trova il suo posto e il suo rilievo attraverso strumenti tradizionali o canali piuttosto recenti, quali, ad esempio, la filatelia e soprattutto la fotografia, il cinema, la televisione. Anche questi mass-media costituiscono un ulteriore sviluppo delle possibilità iconografiche mariane. La loro utilizzazione in chiave catechetica si inserisce a pieno titolo nella tradizionale pedagogia ecclesiale, mentre appare ancora molto impacciato il loro uso mistagogico nella  liturgia. 
Negli anni successivi al Vaticano II, infine, la riflessione teologica, come è stato opportunamente notato, recuperando un vuoto praticamente secolare, ha iniziato a valorizzare con maggiore sistematicità la dimensione estetica del mistero cristiano. La via pulchritudinis si sta dimostrando un percorso ricco non solo di fascino, ma anche di fecondità. È logico, perciò, che la mariologia, contemplazione della tota pulchra, ne diventi un campo privilegiato di applicazione e che l’arte, produzione di bellezza attraverso l’immagine, partecipi a pieno titolo a questo sorprendente dinamismo.

 







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