Maria, la madre di Gesł, nella teologia femminista
Data: Mercoledi 2 Giugno 2021, alle ore 18:00:28
Argomento: Ecumenismo


Di Susanne Heine evangelico-luterana, in Mafred Kießig per "Catholica-Arbeitskreis", Maria, la madre di nostro Signore. Un contributo della Chiesa evangelico-luterana, Edizioni Paoline, Milano 1996, pp. 135-157.



Contro il disprezzo per il sesso femminile

La teologia femminista è protesta. Le teologhe femministe protestano contro le forme di società patriarcale e contro una Chiesa cristiana in cui gli uomini governano sulle donne1. Protestano contro una teologia sessista che giustifica il dominio degli uomini sulle donne e bolla le donne come persone di seconda categoria in quanto - così si presuppone - inferiori agli uomini nel corpo, nell'anima e nello spirito: sarebbero meno resistenti, moralmente labili e non sufficientemente dotate di ragione logica. La teologia femminista intende smascherare la millenaria discriminazione del sesso femminile. La femminista e teologa cattolica olandese Catharina Halkes si esprime in questi termini: si tratta di «rimuovere le macerie... e impiegare la dinamite»2, ma non per spazzare via le radici della rivelazione divina, né il nocciolo del Vangelo, bensì per eliminare «rigide strutture ecclesiastiche e di pensiero, che oscurano la rivelazione»2. Perciò anche Maria, la madre di Gesù, dev'essere «liberata delle proiezioni che una gerarchia sacerdotale maschile le ha cucito addosso»4. E anche le donne andrebbero liberate dalle immagini dominanti di Maria che hanno portato alla discriminazione delle donne e al deprezzamento dell'erotismo femminile5. Lo scopo dell'interpretazione femminista di Maria è dunque quello di svincolare la madre di Gesù dal suo contesto interpretativo patriarcale, affinché non sia più abusata come simbolo del minor valore della femminilità e del discredito delle donne. Gli argomenti a sostegno di tale intento si trovano a livelli molto diversi e vanno da Maria come esempio di fede non solo per le donne ma anche per gli uomini, fino a Maria come «dea segreta del cristianesimo»6. Allo scopo si ricorre all'esegesi biblica, al culto delle divinità femminili e alla psicoanalisi, con conseguenze talvolta contraddittorie, che inducono a domandarsi criticamente se le radici della rivelazione cristiana siano davvero conservate integre. La teologia femminista abbraccia in effetti posizioni molto diverse, ma un dibattito tra femministe in questo campo è frenato dal timore che possa produrre un indebolimento del movimento femminista. Che questo timore sia fondato o meno (e secondo me non lo è), induce comunque molte femministe a sostenersi a vicenda, pur partendo da presupposti diversi e pur essendo più o meno vicine al messaggio cristiano. Ciò contribuisce a sua volta a rendere confuse e contraddittorie le argomentazioni, il che non di rado ha come effetto il rifiuto globale della protesta femminista. Un tale rifiuto mi appare fuori luogo quanto l'assenso acritico a tutto ciò che offre l'interpretazione femminista. La trattazione seguente vuole quindi dar conto di questo duplice interesse, del consenso e della verifica critica.

Esperienze fatte con Maria

        Un 'immagine femminile incompleta.
        La teologia femminista parte sempre dall'esperienza delle donne. Molte donne hanno avuto con Maria o con la sua interpretazione teologica esperienze negative riconducibili a un unico comune denominatore: servirebbe a giustificare l'impotenza femminile e a confermare lo scarso senso del proprio valore da parte delle donne. «Desessualizzazione più remissività» sarebbe, secondo la teologa evangelica Dorothee Sölle, 1'« ideale femminile» connesso a Maria. Gli oppressi sono indotti all'autoppressione, «gli insicuri all'autocensura, i doppiamente sfruttati all'autosfruttamento»7. La teologa femminista cattolica Ruether ritiene, in particolare, che la verginità di Maria serva a sminuire e a dichiarare profana la normale vita di una donna e madre che ha rapporti erotici8. La critica di questa interpretazione della verginità prosegue nella critica al dogma cattolico romano dell'immacolata concezione di Maria. L'elevatezza e inimitabilità di Maria garantirebbe, secondo la ex teologa cattolica e femminista americana Mary Daly, «che tutte le donne appartengano alla casta di Eva (peccatrice)»9. Le conseguenze di ciò le trae la teologa femminista evangelica Christa Mulack: «Le donne furono costrette a considerarsi l'una con I'altra come "Eva", come creature peccaminose, di scarso valore, lontane da Dio, alle quali non restava altro che prodigarsi per l'uomo, di così tanto superiore e vicino a Dio, considerandosi a vicenda quasi esclusivamente come rivali»10. Un altro aspetto negativo è rilevato per esempio dalla teologa evangelica Hildegunde WöIler: «Il mondo, la legge, l'ingiustizia, la povertà, la schiavitù e il pregiudizio restano. Maria però versa olio sulle ferite, piange con i poveri, salva se possibile almeno le loro anime, se non la loro vita... Può alleviare, ma non può cambiare nulla»11. Anche il dogma cattolico romano dell'assunzione fisica di Maria in cielo e la concezione di Maria come Regina del cielo sono considerati criticamente da parte femminista. Maria diverrebbe così una potente, «munita dei simboli del potere», al quale partecipa mediante un atto maschile e divino; a differenza di Gesù, che ascese attivamente al cielo, Maria fu assunta in cielo solo passivamente12. La critica femminista non è però indirizzata solo alla Chiesa cattolica romana, ma anche alla Chiesa evangelica. Con la Riforma, affermano le femministe, sono sì stati aboliti il monachesimo e il celibato, ma al loro posto è subentrata la famiglia, il che non ha cambiato nulla per la posizione della donna nei vari settori della vita: «Il posto giusto per la donna era la sottomissione della creatura agli uomini che agiscono: Dio, suo Figlio e il suo rappresentante, il clero»13. La teologia evangelica avrebbe giustificato teoricamente il dominio maschile sulle donne votate all'obbedienza, come ad esempio in Karl Barth, il quale vede nel rapporto tra i sessi il modello del legame di grazia tra Dio e la creazione: il maschile starebbe al femminile così come Dio sta alle sue creature14. Sotto la spinta delle tendenze all'emancipazione in seno alla società secolare, il «protestantesimo liberale» avrebbe sì accolto un certo numero di donne nel suo clero consacrato, sussisterebbero però «enormi tensioni» a dimostrazione del fatto che le donne non sarebbero viste di buon occhio nelle Chiese e nelle facoltà di teologia. Ciò, sentenzia la Ruether15, rivela una contraddizione di fondo, quella cioè tra «l'accettazione di mala voglia dell'uguaglianza e l'effettiva subordinazione delle donne, che fa tuttora parte della teologia cristiana». Come risulta già evidente da quanto detto fin qui, tali argomentazioni di orientamento più sociologico sono collegate a quelle psicologiche. Per la Ruether, la mariologia unisce «i due aspetti delle fantasie maschili sulle donne: il bisogno di ridurre la donna a puro mezzo di soddisfazione dei desideri maschili, a mero strumento dell'ascesa maschile al cielo, e al tempo stesso di disprezzare la donna come fonte di tutto ciò che attrae l'uomo verso la corporalità, il peccato e la monte»16. In particolar modo, l'interpretazione femminista di Maria e della mariologia si rifà alla teoria dello psicologo del profondo C.G. Jung circa gli archetipi dell'anima. Una sostenitrice di spicco di questa corrente è Maria Kassel17, la quale parte dal presupposto che l'archetipo della divina Vergine-Madre sia stato storicizzato nella figura di una donna eccezionale mediante la fusione con Maria, la madre di Gesù - il processo di una proiezione.

        ...Ma conserviamo le cose positive!
        Senza dubbio la disponibilità/ricettività/atteggiamento ricettivo di Maria di fronte alla parola divina è sempre stata scambiata con la remissività delle donne nei confronti degli uomini umani. Senza dubbio esiste la paura degli uomini di fronte a donne attive e consapevoli di sé, la paura di essere trascinati dalla donna nelle bassezze della corporalità pura. Ma le persone che dicono di aver fatto la stessa esperienza, non l'hanno necessariamente vissuta allo stesso modo, e coloro che sono legati dall'aver vissuto le stesse cose possono averle affrontate in maniera diversa e averne fatto quindi un'esperienza diversa. Perciò non è un caso che le donne raccontino anche di esperienze positive fatte con Maria, in particolare le donne cattoliche, cresciute nel culto mariano proprio della loro Chiesa. Ecco, ad esempio, cosa riferisce della propria infanzia la cattolica Hildegard Lüüning: a tre anni ha imparato ad amare Maria; durante la guerra, seduti nei rifugi, i bambini e la loro mamma avevano trovato conforto nel rosario, superando così senza paura il periodo dei bombardamenti notturni su Amburgo. Da ciò la Lüning aveva tratto la convinzione «che una Madre in cielo ascolta la preghiera dei suoi figli ed è abbastanza potente da intervenire personalmente in nostro aiuto... »18. Un'altra donna cattolica, Marianne Dirks, scrive di essere andata per dovere, da bambina, alle funzioni del mese mariano e alle recite del rosario, eppure queste impressioni della sua infanzia hanno agito sugli strati più profondi della sua anima: «I canti, i fiori, le candele... e in particolare le immagini profonde delle litanie lauretane che, essendo in latino sacro e misterioso, intuivo più che capire»19. A Lourdes, poi, aveva avvertito la «serietà fiduciosa dei malati», «quel particolare rapporto di Maria con i poveri e i sofferenti»20. Infine afferma di aver capito che «l'accettazione fiduciosa da parte di Maria del messaggio di Dio e della sua inconcepibile richiesta è il modello dell'atteggiamento religioso del cristiano di fronte a Dio». Tuttavia, aggiunge: «anche dei cristiani uomini»21. Poiché la teologia femminista si concepisce al tempo stesso come teologia ecumenica, raccoglie le esperienze e le interpretazioni tanto negative che positive di Maria e della mariologia e ne trae le conseguenze, come scrive Catharina Halkes: la teologia femminista non dovrebbe essere «semplicemente una teologia di reazione... che getta via ciò che non le piace per rabbia (giustificata) e come reazione agli effetti negativi dell'abuso di potere esercitato dalla Chiesa»22. Anche Dorothee Sölle è critica nei confronti di una «teologia dedita solo a gettare via», che le ricorda la società «usa e getta». «Non ho fiducia neppure», aggiunge, «in un'esistenza apparentemente priva di immagini e di miti. É stato dimostrato che laddove le vecchie immagini vengono eliminate, sono sostituite da a!tre che non sono affatto più illuminate»23. Inoltre le appare difficile «considerare cieche o illuse i milioni di donne che, prima di me, hanno amato Maria»24. Se dunque esistono così tante e impressionanti esperienze positive riguardo a Maria, viene da domandarsi chi o che cosa sia responsabile delle esperienze negative. Catharina Halkes risponde senza mezzi termini: la «deformazione della mariologia» deriva dalla «anomalia dell'uomo»25. A questa anomalia la teologia femminista si oppone con una nuova interpretazione di Maria dal punto di vista biblico-esegetico, religioso e psicologico. Interpretazione che esporrò e discuterò nei paragrafi seguenti.

La visione femminista di Maria

        La Maria biblica.
           a) L'esame puramente storico dei testi del Nuovo Testamento, se eseguito coerentemente, esclude interpretazioni teologiche. Non c'è quindi da meravigliarsi se anche la ricerca femminista sulla ragazza storica Miriam ha rivelato solo che aveva un figlio illegittimo che in seguito fu giustiziato come rivoluzionario26. L'interpretazione storico-femminista vede in ciò il coraggio di una donna che si è espressamente opposta al «divieto patriarcale di una gravidanza fuori del matrimonio»27. Tutte le altre interpretazioni femministe non si riferiscono alla Maria storica, ma alle affermazioni teologiche su di lei. Halkes sottolinea che la maternità di Maria non andrebbe separata dal suo sì libero e attivo «di persona autonoma» e dalla sua «devota ricettività...per amore di Dio»28. Il suo «avvenga di me... » (Lc 1,38) è 1'«atteggiamento esemplare del credente», non indica «una disponibilità a servire dall'alto, bensì ad aderire fiduciosamente alla 'confusione' dei poveri, dei sofferenti, delle persone ridotte al silenzio»29. Ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica, questo atteggiamento «di ricettività positiva e creativa» è l'«atteggiamento di fede per antonomasia»30. Da qui Halkes traccia una linea fino alla predicazione di Gesù, che respinge la famiglia naturale a favore della «famiglia di Dio» dei suoi seguaci: «Perciò generare e nutrire, in sé, non possono essere chiamati beati». La fissazione delle donne sulla loro maternità biologica non corrisponderebbe al Vangelo (cfr. Lc 11,27-28). L'«avvenga di me» non vale solo per le donne, né tanto meno per il rapporto delle donne con gli uomini, bensì per tutti i cristiani, per la Chiesa, nei confronti di Dio32. Anche Mulack sottolinea: «Non divenne madre per la maternità in sé, per le gioie della maternità, per obbedienza alle funzioni femminili, bensì esclusivamente per amore di Dio, per il rinnovamento, per l'abolizione del sistema patriarcale»33. Il patriarcato diviene qui sinonimo dell'umanità caduta e quindi concetto contrapposto al regno di Dio. Perciò molte donne vedono espressa nel Magnificat la caduta del sistema patriarcale. Questo testo, che ha per contenuto il capovolgimento di tutti i valori validi fino ad allora, in quanto proclama che i potenti saranno rovesciati dai troni e gli umili innalzati, sarebbe espressione di quella misericordia divina che non pone condizioni in termini di buona condotta umana. Qui parlerebbe la «Maria della resistenza» (Mulack)34, la Maria anarchica e sovversiva (Sölle)35, che annuncerebbe profeticamente la rinuncia a valori patriarcali come il potere. Una tale mariologia desunta dal Magnificat potrebbe costituire un importante punto di collegamento tra la teologia femminista e la teologia della liberazione36. Perciò le apparizioni di Maria a Guadalupe (Messico 1531) assumono un significato particolare: «Questa "nostra Signora di Guadalupe" è divenuta la figura di identificazione del popolo messicano alienato dalle sue radici più antiche»37. La liberazione mediante un simbolo femminile potrebbe «avere un influsso positivo sulla presa di coscienza delle donne e sulla loro lotta contro il maschilismo che ancora cresce rigoglioso»38. Se Cristo è l'autoalienazione del potere divino, Maria è la Chiesa dei redenti, e cioè al tempo stesso, nell'ambito della teologia della liberazione, la Chiesa dell'umanità liberata39. Così come «la gravidanza e la nascita illegittime» vengono interpretate nel senso di un «modo di essere della donna indipendente dall'uomo», sono soggette a un'interpretazione analoga anche le affermazioni relative alla verginità della madre di Dio. Solitamente l'uomo è inteso come l'essere umano: è autarchico e completo in sé, indipendente dal sesso femminile anche nonostante il suo rapporto con una donna. Nella teologia femminista questo punto di vista viene rovesciato: Maria, la Vergine, sta per la donna come l'essere umano; anche la donna è infatti autarchica, completa, indipendentemente dal fatto di vivere o meno in rapporti sessuali con degli uomini. Maria è la prima donna «che non si definisce attraverso un uomo né si richiama a un rapporto con lui...»40. In questo senso Maria è per le donne una positiva figura di identificazione e un esempio.
            b) L'interpretazione femminista dell'umile accettazione della promessa divina da parte di Maria (Lc 1,38) come esempio dell'atteggiamento di fede di tutti i cristiani, sia donne che uomini, corrisponde al senso della propria fede delle prime comunità cristiane e della teologia di Luca. Sin dagli inizi, i cristiani si sono concepiti come una comunità in cui non doveva accadere come nel resto del mondo (cfr. Mc 10,42-44), dove gli uomini dominano sugli uomini ed esercitano la violenza. Questa differenza vuole rispecchiare l'azione divina, che si contraddistingue per il suo carattere di servizio: per amore dell'umanità, per la sua redenzione e liberazione, Dio è divenuto uomo tra gli uomini. Una tale interpretazione poggia anche su basi ecumeniche. Lo stesso vale per l'interpretazione femminista del Magnificat. Va tuttavia aggiunto che questa esegesi femminista non porta nulla di specificamente nuovo, ma ripete ciò che è già patrimonio comune dei cristiani nell'ambito dell'esegesi biblica. Oltre a ciò, la teologia femminista pratica una «esegesi selvaggia» nella misura in cui non distingue a sufficienza tra fatti storici e affermazioni di fede, tra le vane teologie del Nuovo Testamento e le molteplici forme di interpretazione negli altri testi. Viceversa si sfuma su certi testi tramandati, come ad esempio il Vangelo di Marco, la tradizione di Giovanni e la teologia paolina, che fanno a meno di una mariologia senza per questo perdere di valore come testimonianze cristiane. Paolo è controverso nell'esegesi femminista per il suo atteggiamento nei confronti delle donne (ma non possiamo addentrarci in questo argomento), ma per l'interesse femminista è pur sempre importante che tramandi la formula del battesimo di Gal 3,28 («non c'è più uomo né donna...») e menzioni e dia rilievo a un notevole numero di donne che hanno agito al servizio del Vangelo (e d'altronde, in Rm 5, attribuisca espressamente ad Adamo la storia del peccato umano). Contrariamente a Matteo e Luca quindi, la teologia paolina non si può prestare a una svalutazione delle donne desunta dalla mariologia, perché in essa Maria non svolge alcun ruolo. Questo punto meriterebbe una certa attenzione. Inoltre, la teologia femminista spesso non tiene conto delle concezioni alla base delle singole tradizioni. Se quindi l'interpretazione della verginità di Maria come indicazione di un'esistenza femminile autonoma e non derivata da alcun uomo serve allo scopo di un positivo rapporto con la tradizione cristiana, non corrisponde però certo alle intenzioni degli autori neotestamentari. I testi vengono per così dire «colonizzati», assoggettati a un interesse a essi estraneo. Neppure l'interpretazione femminista dei dogmi cattolici romani riguardanti Maria ha nulla a che fare con la concezione della Chiesa cattolica romana, come vedremo in seguito. Se tuttavia il femminismo avanza la pretesa di essere teologia, dovrebbe occuparsi delle tradizioni di pensiero esegetiche e teologiche, accettare le concezioni di sé di ciascun altro, perché altrimenti un dialogo proficuo rimarrà totalmente irrealistico. Trascurare le concezioni altrui fa sì, da ultimo, che gli interessati non si sentano rispettati e non tengano quindi conto dei mezzi di comunicazione femministi, chiudendo così le orecchie anche alle critiche femministe giustificate. Ciò purtroppo accade a tutto vantaggio delle argomentazioni antifemministe.

Maria, la donna divina

        a) Nella visione femminista, però, Maria è ancora di più di quanto detto finora. Mulack la definisce la «dea segreta del cristianesimo»41. Lo studio delle religioni matriarcali e il culto delle divinità femminili vengono valutati nella teologia femminista come un nuovo approccio a Maria. Anche qui, è centrale il «messaggio dell'indipendenza» della donna42. Il dogma della verginità, secondo Halkes, si riallaccia «all'antico mistero della grande dea, che era vergine». Indipendente dall'uomo, era radicata in se stessa43. Nelle nostre culture più antiche una dea è la fonte della vita. Questo, secondo Ruether, richiama alla memoria il concilio di Calcedonia, che ha conferito a Maria il titolo di Madre di Dio, integrando così nella tradizione cristiana «quell'onnicomprensiva potenza divina della realtà, che era "madre degli dei" e precedeva la dualità di cielo e terra e 1'abbracciava». Anche «la mariologia popolare ha conservato la tradizione di una Madre Terra autonoma, che garantisce la fertilità e il rinnovamento del mondo»44. Come più tardi suo Figlio, anche Maria sarebbe «rappresentante di valori matriarcali», «sostenitrice dell'amore, della libertà e della giustizia... in un mondo posseduto dalla follia della mascolinità»45. Su questo sfondo, anche il dogma cattolico romano dell'assunzione corporea in cielo di Maria acquista un significato positivo. Nell'assunzione di Maria Mulack scorge «una sorta di "matrimonio Santo"». Nelle donne si risveglierebbe una «sapienza prirnordiale. . . quando considerano questa immagine simbolica. Riscoprono quell'antica certezza femminile: le nostre forze si propagano nel cosmo... ». Anche il dogma cattolico romano dell'immacolata concezione di Maria può avere un senso per alcune donne: per Mulack, per esempio, Maria, libera dal peccato originale, sarebbe la negazione del mito della donna come incarnazione del male. Per Ruether Maria, come «simbolo dell'umanità innocente» sarebbe «l'immagine della "natura pura", della capacità della creazione di divenire perfetta»48 che però non esclude gli uomini: «Come il peccato originale (Gen 3) ha avuto luogo mediante l'azione congiunta di un uomo e di una donna, anche la redenzione dev'essere prodotta dall'opera congiunta di un uomo e una donna... Se l'umanità, che è fatta di uomini e donne, vuol essere redenta, la parte femminile dev'essere coinvolta in qualche modo nell'opera di redenzione»49.
        b) Come già evidenziato dall'esegesi femminista, anche nell'interpretazione religiosa generale di Maria è in primo piano la critica di una tradizione che fa equivalere l'uomo con l'essere umano, considerando al contrario il sesso femminile come una sorta di essere imperfetto, incapace di raggiungere la grandezza della natura umana, mentre il sesso maschile sarebbe in grado di portarla alla perfezione. La critica femminista a un tale modello di pensiero si priva da sola di ogni forza limitandosi a invertire il punto di vista: la donna viene dunque indicata come l'essere umano per eccellenza e rivendica, in quanto incarnazione della femminilità divina, una perfezione rispetto alla quale il sesso maschile appare svalutato. Laddove si ha una giustificazione teologica della sopravvalutazione di tutto ciò che è maschile, questa deriva dall'istituzione di un rapporto diretto di derivazione dal divino all'umano, da un Dio e Redentore maschio agli uomini maschi (cortocircuito teocratico)50, in base al quale gli uomini sono considerati più vicini al divino, il che motiverebbe il loro dominio secolare, ivi compreso il dominio sulle donne. Nella teologia femminista si ha talvolta anche a questo proposito un semplice capovolgimento del punto di vista, in quanto le donne sono considerate più vicine al divino - femminile -, mentre gli uomini possono instaurare un rapporto con la dea solo tramite la femminilità e le donne. Tali rapporti di derivazione hanno senz'altro avuto un ruolo nella storia della teologia, ma sono anche stati contraddetti. L'obiezione affonda le radici già nella profezia veterotestamentaria, che non si serve di Dio per giustificare i rapporti tra gli uomini, bensì leva una voce critica e mette in discussione il dominio umano. Il discorso di Dio come il diverso, che si differenzia da tutto ciò che è umano, chiede ragione anche di un rapporto tra i sessi che umilia le donne. Chi fa della teologia, sia esso uomo o donna, ha quindi il compito di distinguere sempre da capo tra pensiero teologico sensato e abusato. Questo sarebbe anche il compito di una teologia femminista autonoma. Mentre respinge giustamente la pretesa degli uomini di essere umanamente migliori e più vicini alla perfezione divina, la teologia femminista diviene però vittima della sua stessa critica se si limita a capovolgere «al femminile» questo modello. Così come non si può desumere la divinizzazione degli uomini da un Dio maschio, non si può neppure far discendere la divinizzazione della donne dalla dea Maria. Il messaggio cristiano della finitezza e imperfezione di tutti gli esseri umani ha il suo carattere liberatorio anche perché li tutela da tali fantasie di onnipotenza umana. Si deve comunque considerare che quanto maggiori sono le possibilità di dominio di una persona, tanto più gravidi di conseguenze sono i suoi errori e le sue colpe. Poiché gli uomini hanno sempre avuto un potere maggiore rispetto alle donne, sono soprattutto loro a dover prendere coscienza del rischio di un loro contributo ai «peccati strutturali»51.

Maria come simbolo della componente femminile (Anima)

        a) L'interrogativo femminista circa il significato di Maria per l'animo umano porta a interpretazioni psicologiche e/o psicanalitiche che si rifanno alla teoria degli archetipi di C. G. Jung. In questo contesto, Maria appare come l'archetipo della maternità, simbolo di vita, crescita, mutamento e rinnovamento. Secondo Mulack, Maria è la donna che «tende l'orecchio dentro di sé, non al mondo esterno dei divieti e delle norme patriarcali»52. Ascolta lo spirito divino, l'alito santo, quel principio femminile che percepisce nell'intimo, nel suo essere più profondo, e che l'induce alla nascita, al dare alla luce un maschio nuovo... Ma Eva non fa nulla di diverso! Anche lei ascolta il suo principio femminile, simboleggiato dal serpente, quell'incarnazione della saggezza femminile e della potenza divina...53. Così Maria diviene, e non in contrasto con Eva, il «simbolo dell'esperienza femminile»54. Su questo simbolo si fonda anche il desiderio di un «rinnovamento del maschio»55. Perché non è l'uomo, il padre, a essere il primo, bensì la donna e madre. L'uomo «può diventare padre solo seguendo la madre. Senza di lei è impensabile - tanto in cielo come in terra!»56. Il divino femminile sarebbe per C.G. Jung il simbolo dell'Anima (la componente femminile), «che integra la dimensione trascendente nella nostra esistenza», come dice Catharina Halkes57. L'uomo occidentale odierno avrebbe perso o represso la sua Anima, ma tutto ciò che è represso ritorna dall'inconscio articolandosi in nostalgie ed esigenze. La Chiesa primitiva l'aveva intuito è ne aveva tenuto conto con l'integrazione della cultura pagana, soprattutto nella mariologia. Halkes ne consegue che: «Ciò che gli uomini hanno creduto in tutti i tempi e in tutti i luoghi, e che, indipendentemente l'una dall'altra, è stato ed è ritenuto vero nella storia di tutte le religioni, contiene in sé l'esigenza della verità divina... Non è pensabile che Dio abbia creato l'uomo in modo tale che certi contenuti religiosi si affaccino sempre con evidenza alla coscienza umana, senza essere veri»58. Perciò la persona umana «non dovrebbe più essere considerata come la coscienza che riflette su se stessa (in termini psicologici: il "principio maschile") perché proprio in tal modo la rivalutazione della natura, del sentimento, dell'inconscio, del "femminile", si colloca al di fuori della fede»59. Da un punto di vista psicologico, inoltre, si è fatto notare che la mariologia consentirebbe all'uomo di «sperimentare se stesso come "femminile", di conoscere quello che è chiamato il suo "lato femminile60.
        b) La fede non è fatta solo di dottrina e morale obiettive61 ma è in stretto rapporto con l'animo umano, con le sue nostalgie e speranze, con la sua disperazione e confusione, ma anche con le sue capacità religiose, come la contemplazione, la visionarietà, l'estasi, la capacità di superare se stessi o di simbolizzare, di percepire la realtà in immagini significative. La teologia femminista intende far valere queste dimensioni, in gran parte perdute nell'umanità odierna, razionale e illuminata. La religiosità umana, però, non coincide perfettamente con la fede cristiana. La fede si richiama alla rivelazione di sé da parte di Dio, non è quindi il risultato dell'attività dell'animo umano, ma non può neppure farne a meno. In contrasto con un insegnamento ecclesiastico che pone eccessivamente l'accento su dottrina e morale, la teologia femminista si richiama unilateralmente alla forma di espressione umana del religioso, dimostrandosi così motivata solo a opporsi e dipendente dalla posizione criticata. Ciò può essere inevitabile in una fase iniziale di opposizione, ma alla lunga va superato, se la teologia femminista, com'è suo desiderio, non vuol essere solo un movimento di reazione.

Maria in una Chiesa per donne e uomini

Maria, la madre di Gesù, ha nella teologia femminista molti volti, che altro non sono che i volti contraddittori della stessa teologia femminista. Il tentativo di identificazione femminile rimane troppo facilmente intrappolato nei cliché patriarcali dei ruoli, mentre il loro rifiuto è motivato spesso da un'opposizione talmente violenta da generare condanne in blocco e immagini ostili. Così i concetti di «patriarcato» e «patriarcale» si presentano come limitazioni e vengono, per esempio, identificati in senso negativo con il pensiero, la razionalità, la ragione. Nella coscienza dell'essere umano che riflette su se stesso viene visto il «principio maschile» che va superato. Se però le donne sono esseri umani in senso pieno, questa coscienza appartiene anche a loro, così come gli uomini non esistono senza il sentimento e senza l'inconscio. Portare natura e cultura, sentimento e ragione critica, inconscio e coscienza a un equilibrato rapporto reciproco non è certo facile, fa però parte dei compiti di ogni essere umano, sia femmina o maschio. L'attribuzione unilaterale della coscienza e della ragione al maschio e dell'inconscio e del sentimento alla femmina significa rimanere aggrappati a una fissazione unilaterale: essa che contraddice la totalità dell'esistenza umana pretesa a ragione dalle femministe e conferma inoltre i tradizionali cliché circa i ruoli. Affrontare il mondo con la ragione non è tutto, ma è una parte importante della nostra esistenza ed è difficile capire perché le donne se ne vogliano escludere da sole, dopo esserne state escluse da sempre dagli uomini62. L'autonomia, l'autarchia, in breve: concedere la libertà agli uomini e negarla alle donne, non è giustificabile né antropologicamente né teologicamente. Perciò la teologia femminista rivendica l'autorealizzazione delle donne nella libertà (rimane aperta la questione di quanto abbia senso prendere proprio la madre di Gesù a simbolo di questo desiderio). E ancora una volta riappare il motivo femminista del capovolgimento per opposizione. La libertà e l'autorealizzazione, infatti, sono un aspetto importante ma solo parziale della realtà umana, che non deve andare a discapito di un'altra parte importante dell'esistenza, quella cioè della socialità. L'obiettivo dovrebbe quindi essere quello di superare l'opposizione tra i sessi per arrivare a una comunione di donne e uomini in seno alla Chiesa, ma anche al suo esterno. Le Chiese che traggono orientamento dal Nuovo Testamento e da una concezione comunitaria che si distingue da ciò che accade «altrimenti nel mondo», possono e debbono contribuire a questo. In un tale contesto di vita cristiana, anche Maria ha la sua significativa importanza teologica: come attestazione dell'incarnazione di Dio63 e come esempio di fede per la Chiesa, che dev'essere una Chiesa di uomini e donne senza discriminazioni reciproche.

NOTE
1 Secondo il sociologo Max Weber, bisogna distinguere tra il dominio come istituzione sociale e il potere come capacità personale di imporsi. Cfr. M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo), Tubinga 1963; S. Heine, Reizwort Macht (Potere, parola stimolo), in Schritte ins Offene, 6 (1988), 3-7.
2 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes Vorbild für Frauen? (Maria, un esempio che ispira o scoraggia le donne?), in E. Moltmann-Wendel e a. (a cura di), Was geht uns Maria an? (Cos'è per noi Maria?), Gütersloh 1988, pp. 113-130; 124.
3 Ibid.
4 Ibid., p. 113.
5 Ibid., p. 114.
6 Ch. Mulack, Maria. Die geheime Göttin im Christentum (Maria. La dea segreta del cristianesimo), Stoccarda 1985.
7 D. Sölle, Maria ist eine Sympathisantin (Maria è una simpatizzante), in D. Sölle, Sympathie (Simpatia), Stoccarda 1981, pp. 56-61; 56.
8 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt (Maria. La Chiesa al femminile), Monaco 1980, pp. 59-60.
9 Mary Daly, Jeinseits von Gottvater, Sohn & Co. (Al di là di Dio Padre, del Figlio & C.), Monaco 1980, p. 101.
10 Ch. Mulack,
Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 190.
11 H. Wöller, Maria: Wer bist du? (Maria: chi sei?), in AnstOjJe (Accademia evangelica di Hofgeismar), 4 (1982), 119-131; 122.
12 Ch. Mulack,
Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 236.
13 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, p. 77.
14 Ibid.
15 Ibid., p. 78.
16 lbid., p. 11.
17 M. Kassel, Maria - Urbild des Weiblichen im Christentum? Tiefenpsychologisch-feminjstisce Perspektiven (Maria, prototipo del femminile nel cristianesimo? Prospettive femministe di psicologia del profondo), in E. Moltmann-Wendel e a. (a cura di), Was geht uns Maria an?, pp. 142-160; 143.
18 H. Lüning, Wie ich lernte, Maria zu lieben, (Come ho imparato ad amare Maria), in: M. Dirks [a cura di], Glauben Frauen anders? (Le donne credono in maniera diversa?), Friburgo 1983, pp. 18-19.
19 M. Dirks,
Königin, Magd oder Schwester im Glauben? (Regina, serva o sorella nella fede?), in: W. Beinert e a., Maria - eine ökumenische Herausforderung (Maria - una sfida ecumenica), Regensburg 1984, pp. 171-184; 172.
20 W. Beinert e altri, Maria - eine ökumenische Herausforderung, p. 21.
21 Ibid., p. 174.
22 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes, pp. 122-123.
23 D. Sölle, Maria ist eine Sympathisantin, p. 60.
24 Ibid. , p. 61.
25 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes, pp. 123, con richiamo a G. H. Tavard, Women in Christian Tradition (Le donne nella tradizione cristiana), Notre Dame/Londra 1973.
26 D. Sölle, Maria ist eine Sympathisantin, p. 57.
27 Ch. Mulack,
Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 192.
28 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes Vorbild für Frauen?, p. 123.
29 Ibid., p. 124.
30 Ibid., p. 123.
31 Ibid.
32 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, p. 37.
33 Ch. Mulack, Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 156.
34 Ibid., p. 87.
35 D. Sölle, Maria ist eine Sympathisantin, p. 59.
36 Così R. Ruether in C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes Vorbild für Frauen?, p. 120.
37 Ibid., p. 121.
38 Ibid.
39 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, p. 90.
40 Ch. Mulack, Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 195.
41 Ibid.
42 Ibid., p. 87.
43 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes Vorbild für Frauen?, pp. 125-126.
44 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, p. 13 (il titolo « Madre di Dio» fu deciso già nel Concilio di Efeso).
45 Ch. Mulack, Maria. Die geheime Göttin im Christentum, p. 91.
46 Ibid., p. 237.
47 Ibid., p. 194.
48 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, pp. 14 e 72. L'idea che l'uomo possa raggiungere la perfezione non è estranea alla tradizione di pensiero teologica ed ê stata sostenuta a esempio da Erasmo da Rotterdam, contraddetto in questo da Martin Lutero.
49 Ibid., p. 69. La setta medievale dei Vilemiti (XIII sec.) sosteneva che una donna di nome Vilemina fosse l'incarnazione di Dio in una figura femminile, venuta a portare a termine l'opera di redenzione del Cristo. Cfr. l'interessantissima opera di Luisa Muraro: Vilemina und Mayfreda. Die Geschichte einer feministischen Häresie. (Vilemina e Maifreda. La storia di un'eresia femminista), Friburgo 1987.
50 Cfr. l'esposizione più dettagliata in proposito in: S. Heine, Wiederbelebung der Göttinnen? (Rinascita delle dee?), Gottinga 1987, cap. 1.
51 Questo concetto è stato coniato nel contesto della teologia della liberazione ed è stato ripreso dal papa Giovanni Paolo II nell'encidica sociale Sollicitudo rei socialis del 30.12.1987, riferendolo però in quel caso al rapporto tra ricchi e poveri.
52 Ch. Milack,
Maria. Die geheime Göttin im Christentum,
p. 193.
53 Ibid., p. 192.
54 Ibid., p. 1
55 Ibid., p. 193.
56 Ibid., p. 157.
57 C. Halkes, Maria - inspirierendes oder abschreckendes Vorbild für Frauen?, p. 126 con un richiamo a Eugen Drewermann.
58 Ibid., pp. 127-128 (riporta l'opinione di E. Drewermann).
59 Ibid., p. 129.
60 R. Ruether, Maria. Kirche in weiblicher Gestalt, p. 82.
61 Questa criticá l'ha mossa esplicitamente per esempio F. Schleiermacher.
62 Sarebbe importante chiedersi se la teoria degli archetipi di C.G. Jung, tanto amata dalla teologia femminista, serva davvero gli interessi femministi della liberazione delle donne dal dominio patriarcale.
63 Emblematicamente, non ho trovato nella letteratura femminista questo aspetto teologico centrale di una mariologia biblica. Cfr. S. Heine, Die historische Maria und die Maria des Glaubens (La Maria della storia e la Maria della fede), in Amt und Gemeinde, nn. 7/8, Vienna 1988.







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