Un
articolo di Nicola Bux, in Path (2004), pp. 467-480.
La fede delle Chiese d’Oriente verso la Madre di Dio si esprime quasi
esclusivamente attraverso i testi liturgici, ispirati e composti in gran parte
da scrittori e innografi del periodo patristico, ritenuto normativo anche
per la dottrina mariana1. I componimenti poetici alla Madre di Dio ricorrono frequentemente nella Divina Liturgia e nell’Ufficio delle Ore, non
solo delle feste mariane ma di tutto l’anno liturgico. Attraverso questi
testi, molto usati anche dalla pietà popolare, si può in qualche modo configurare una “mariologia sistematica”2; però, si deve anche osservare la
difficoltà di considerare isolatamente gli attributi fondamentali della
Vergine Maria. Nondimeno cercheremo di avvicinarci ad uno di essi, la
“concezione di Maria”, secondo la comprensione che ne hanno gli
Orientali.
Le liturgie aramaico-antiochene
Esichio, vescovo di Gerusalemme (†dopo il 450) definisce Maria colei che ci
«liberò dalla colpa di Eva e dal peccato di Adamo e vinse la temerità del
serpente; colei che non fu toccata dalla ruggine della concupiscenza; colei che
il verme della libidine non ferì… Tu hai mantenuto incorrotto e libero da ogni sporcizia il tempio; perciò il Padre abita in te,
lo Spirito Santo ti copre con la sua ombra e l’Unigenito è generato, assumendo la sua carne da te»3. È il primo ad adoperare i termini che porteranno i padri e gli scrittori greci e latini a riflettere sul fatto che Maria sia
stata immune da ogni peccato, compreso quello di origine compiuto dai
Progenitori. Intanto, di quelle espressioni si servono le liturgie di tradizione aramaica per tessere le lodi della Vergine.
La Chiesa siriaca, erede delle tradizioni giudeo-cristiane di Gerusalemme, nel suo rito antiocheno, usato oltre che dai giacobiti anche dai
maroniti e malankaresi, ha conservato una notevole impronta mariana,
ricorrendo, soprattutto nel mese di dicembre, agli Inni alla Vergine di S. Efrem (†373), forse il massimo innografo orientale di Maria, e alle
Omelie mariologiche di Giacomo di Sarug (†521). Un esempio efficace ci è fornito dai maroniti, che dedicano alla Madre di Dio il mercoledì di ogni settimana; in un inno usato nell’ufficiatura eucaristica si rivolgono a lei con
queste espressioni:
«Beata Te,o Maria, che santamente divenisti Madre di quel Santo che le cose sante affidò ai figli di Levi. Beata te, o Maria, nel cui seno santamente discese l’Unigenito e il
raggio del Padre, che al Padre è consostanziale… perché il Figlio che nacque da Te
estirpò dal mondo la maledizione»4.
Si consideri il ricorrente avverbio “santamente”, in rapporto al “Santo”,
cioè all’Altissimo: esso implica una separazione dalla colpa in vista della
missione redentiva del Figlio. Il termine “santo” è forse il più antico titolo cultuale di Maria, chiamata anche “tutta santa” (in greco
panaghía)
dagli apocrifi come il Protovangelo di Giacomo, dall’iscrizione di Abercio,
ma specialmente da Giustino e da Ireneo che se ne servono per il parallelismo antitetico tra Eva e Maria: la prima all’origine del peccato e la seconda senza peccato d’origine; la santità appare come effetto e nello stesso tempo condizione della sua missione materna e della sua associazione
all’opera salvifica di Cristo. Proprio Efrem vi ricorre spesso, ponendo però la
purificazione di Maria dal peccato originale in un momento posteriore all’Annunciazione, quindi la constatazione di fatto che ella è «senza
macchia»5. Epifanio (†403) divulgherà questo epiteto nel senso di partecipazione all’assoluta santità divina, e non solo nel senso della purezza
morale6. Almeno nei primi secoli, col termine “immacolata” si intendeva
la piena purezza e integrità verginale, più che l’esenzione della Vergine
dalla colpa originale.
Il nestorianesimo non favorirà il suo approfondimento, forse perché
avrebbe finito per esaltare in Maria proprio quella maternità divina che
invece negava. Così, a motivo di questa eredità da cui discendono, la
Chiesa assira e quella caldea, il cui rito è adottato anche dai Malabaresi
dell’India, hanno solo tre feste mariane. Però, i caldei, che sono cattolici,
hanno introdotto anche la festa romana dell’Immacolata Concezione.
Le liturgie copto-alessandrine
La Chiesa copta, erede del rito alessandrino, ma anche quella etiopica da lei generata, ha il maggior numero di feste mariane, specialmente in
dicembre. Alessandria fu un centro irradiatore del culto mariano, già
prima del concilio di Efeso e di Cirillo Alessandrino; il motivo va individuato, innanzitutto, nella tradizione evangelica, tenuta viva in Egitto, della
venuta e della permanenza della S. Famiglia. Dal sec IV si fa memoria della
Vergine e si accenna alla sua santità nell’anafora eucaristica7. Mentre una
dossologia alla salmodia8 dice: «La tua grandezza, o Maria, Vergine Immacolata, è
simile all’altezza della palma di cui parla Salomone». Ancora più iperbolica è
l’anafora etiopica di N. Signora Maria9: «Tu sei la pura tra i puri, invochiamo
la tua grandezza ineffabile. Ti supplichiamo, o Vergine, commemorando gli
antichi padri che si addormentarono nella retta fede…O Maria, salvezza di Adamo, accettatrice dell’oblazione di Abele, nave di saggezza di Enoch, il quale per mezzo tuo passò dalla morte alla vita. O Maria, arca di Noè, che
navigasti in mezzo al diluvio e che nascondesti tutte le creature dalle onde delle
acque. O Maria, sovrabbondanza della grazia di Sem, riparatrice della maledizione di
Jafet. O Maria, purezza del sacerdozio di Melchisedek, e campo di Abramo, che producesti l’ariete per il riscatto di Isacco…».
È possibile osservare che gli attributi della Vergine sottintendono la
singolare elezione del Padre, che è esplicita nel termine “immacolata”,
perché Maria diventa “causa” di salvezza dei patriarchi; questo avviene
evidentemente “nel” Figlio, a motivo della pienezza di purezza e di grazia
che implica, come per Gesù Cristo, l’assenza di peccato sin dall’origine;
altrimenti non potrebbe avere un effetto retroattivo sulla storia sacra
dell’Antico Testamento.
Le liturgie armena e greco-bizantina
Sebbene la Chiesa armena, pur avendo attinto all’antica liturgia gerosolimitana, costituisca una tradizione a sé, nondimeno contempla Maria
con un afflato mistico che richiama i testi mariani bizantini. Un esempio
fra tutti: dopo la prima incensazione nella Messa solenne10 si dice:
«Dalla santa Chiesa è riconosciuta e confessata l’immacolata Vergine Maria, Genitrice
di Dio, per la quale ci venne comunicato il Pane dell’immortalità e il calice consolatore; a Lei date benedizione con cantico spirituale».
È un testo, però, che denota nei termini anche l’influsso della liturgia
latina medievale.
Ma veniamo alla liturgia bizantina, la più “mariologica” tra le liturgie
orientali, perché ricca di testi eucologici sulla Madre di Dio (in greco
Theotòkos e in slavo Bogoròditsa)11. Nella
Divina liturgia di S. Giovanni
Crisostomo12 vi sono invocazioni dirette e indirette alla Madre di Dio, nelle
quali è invocata come santa e immacolata. Davanti alla sua icona, a sinistra delle porte regali, il sacerdote prega:
«O Madre di Dio, fonte di misericordia, rendici degni della tua compassione; rivolgi il
tuo sguardo sul popolo che ha peccato; mostra, come sempre, la tua potenza. Sperando
in te, ti gridiamo: “Salve!” come già Gabriele, il Principe delle schiere incorporee».
Nel dare il congedo dal rito della Pròtesi invoca l’intercessione della
tuttasanta e immacolata Madre.
Il diacono, a conclusione delle invocazioni di pace fatte all’inizio della
liturgia dei catecumeni, canta:
«Facendo memoria della tuttasanta, immacolata, benedetta, gloriosa Signora nostra,
Madre di Dio e sempre vergine Maria, insieme con tutti i Santi, raccomandiamo noi
stessi, gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio».
Questa conclusione delle litanie, si ritrova più volte nella Divina
Liturgia, nei vespri e nelle più importanti ufficiature.
Durante l’anafora, dopo le parole dell’anamnesi e aver agitato il velo
sui S. Doni, il Sacerdote, preso il turibolo, incensa tre volte la sacra
Mensa, dicendo ad alta voce:
«In modo particolare ti offriamo questo sacrificio per la tuttasanta, immacolata, benedetta, gloriosa Signora nostra, Madre di Dio e sempre vergine Maria».
Il coro canta:
«È veramente giusto proclamare beata te, o Deipara, che sei beatissima, tutta pura e
Madre del nostro Dio. Noi magnifichiamo te, che sei più onorabile dei Cherubini e
incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, che in modo immacolato partoristi il
Verbo di Dio, o vera Madre di Dio».
È la preghiera dell’Axiòn esti, la più usata dai bizantini, al punto da
dare il titolo ad una icona, nella quale il Figlio, in braccio alla Madre,
regge un cartiglio con quel testo.
Ancora, prima di comunicarsi, il sacerdote chiede a Dio:
«per l’intercessione della tua purissima Madre sempre vergine rendimi degno di ricevere il prezioso ed immacolato tuo Corpo…».
Al congedo si invoca anche l’intercessione della «tuttasanta e immacolata Sua Madre». Nella liturgia bizantina, unitamente alla compieta, nei vespri dei primi
cinque venerdì di Quaresima, viene cantato in piedi l’inno che riassume in
qualche modo tutti i più eccelsi epiteti alla Vergine: l’Akàthistos alla tuttasanta Madre di Dio13.
Lo accostiamo badando essenzialmente alle espressioni “tuttasanta” e
“immacolata”. Nella “stanza” 6, si descrive lo stato d’animo dello Sposo
di Maria:
«Come un mare in tempesta
il prudente Giuseppe
si turbò,
la mente oppressa da pensieri contrastanti.
Convinto della tua verginità,
suppone altre nozze nascoste,
o Immacolata.
Conosciuto poi il tuo concepimento
da Spirito Santo, disse:
Alleluia».
Nella “stanza” 19 si inneggia alla Semprevergine, creata Immacolata
dal Creatore e perciò fonte di rigenerazione verginale per coloro che sono
“concepiti nel peccato”. Poiché l’uomo è creato a immagine di Dio, la sua
natura originale era in stato di grazia, mentre dal peccato d’origine in poi,
la natura cade in disgrazia, facendo concepire e nascere nel peccato.
A motivo di ciò, nella “stanza” 21, Maria può essere così invocata:
«Ave, tu riproduci il simbolo della vasca battesimale.
Ave, tu cancelli la macchia del peccato».
Infatti, come dalla Vergine nasce verginalmente l’uomo nuovo Gesù
Cristo, così dalla vasca battesimale nasce per grazia, verginalmente dalla
Chiesa la nuova creatura umana.
Nella seconda parte dell’Akàthistos, un canone di nove odi con linguaggio più semplice, scandita anche dall’invocazione
«Santissima Madre di
Dio, salvaci!», Maria è il libro sigillato (cf. Ap 5) aperto dall’Agnello, tutta
immacolata. L’ode 5, saluta Maria ancora come tutta immacolata e sposa divina.
Ma la liturgia bizantina non parla solo il linguaggio dell’eucologia e
dell’innodia, ma anche quello dell’iconografia che completa i primi, rendendoli più comprensibili ed efficaci. Nelle icone Maria è sempre raffigurata in rapporto al Figlio, Sposo dell’umanità, e a Giovanni il Precursore,
amico dello Sposo, come nella Dèesis dell’iconostasi; ella è la nuova Eva,
ovvero la Chiesa, che intercede affinché l’“acqua” della natura umana sia
mutata nel vino della “grazia”, come a Cana. In lei la natura mutò il suo
corso, per avviarsi alla restaurazione dell’immagine creata da Dio, perduta per il peccato della prima Eva; quindi va imitata per il modello di umanità trasfigurata che già offre in se stessa. Qui risiede il motivo essenziale
che porta il popolo cristiano ad invocare Maria a protezione dal peccato e
dal male.
Nell’icona della Madre di Dio, la sua figura appare sempre in atteggiamento umile, ad indicare che Dio si è fatto carne in una “terra”
(humus) vergine – secondo un’espressione di Giovanni Damasceno14
e di
altri padri –, cioè esente dalla superbia del peccato d’origine. Si osservi
innanzitutto l’icona della sua Natività, dove questo è evidente nella apparente marginalità della figura di Maria bambina.
Altrettanto dicasi per quella dell’ingresso al tempio della S. Madre di
Dio. Bambina di tre anni, secondo il Protovangelo di Giacomo, è simbolo
essa stessa del tempio nel quale è entrato il Verbo, come si ricorda ai
vespri:
Nel Santo dei santi, la Santa e Immacolata viene introdotta dallo Spirito Santo per
abitarvi ed essere nutrita da un angelo; ella è il più santo tempio del Santo Dio
nostro; col suo ingresso santifica ogni cosa e divinizza la natura umana decaduta15.
Nella icona della Dormizione o transito di Maria, questo evento è ben
rappresentato con la separazione dell’anima dal corpo: l’anima di Maria è come
avvolta da bende tra le braccia del Figlio, il quale non ha permesso che la
Madre conoscesse la corruzione del sepolcro, ma, all’uscita da questo mondo, ha
trattenuto con sé l’anima per ricongiungerla al corpo e permetterne l’assunzione
al cielo. Se così è stato, perché non pensare che analogamente sia avvenuto al momento del suo concepimento, quando l’anima fa il suo ingresso nel mondo? Lo stesso Verbo, per mezzo del quale il
Padre crea ogni anima, avrebbe preservato dal peccato originale quella
della sua predestinata Madre.
Proprio la fede nell’intervento divino traspare particolarmente nelle
icone per la festa della Concezione di S. Anna, il 9 dicembre: sia quella
che descrive l’annunciazione dell’angelo separatamente ad Anna e a
Gioacchino, sia quella che rappresenta l’incontro tra i due alla Porta
Aurea del tempio di Gerusalemme con lo scambio di un casto bacio. In
entrambe, in base al Protovangelo di Giacomo, viene illustrata l’eccezionalità del concepimento della Madre di Dio, anzi, nella seconda, se ne simboleggia quasi il momento fisico che prelude alla nascita della creatura
benedetta dallo Spirito Santo.
La festa orientale del 9 dicembre
I vangeli apocrifi che raccontano l’infanzia di Maria, come lo PseudoMatteo e il
Vangelo dell’infanzia armeno, ma anche il Libro sulla natività di
Maria, dipendenti in buona parte dal Protovangelo di Giacomo, riferiscono che suo padre Gioacchino, dimorava a Gerusalemme con sua moglie
Anna, ma era originario di Nazareth di Galilea, oppure di Sefforis, la
città-capitale a 6 km da Nazareth, dove nel 570 il pellegrino di Piacenza
racconta di aver visto la sedia su cui Maria sedeva al momento dell’apparizione dell’arcangelo e che, secondo una tardiva tradizione medievale, era
pure il luogo nativo di Anna. Gli scavi archeologici nell’area della piscina
di Bethesda, presso il tempio di Gerusalemme, hanno messo in luce una
chiesa di S. Maria sorta nel sec VI, sul luogo sacro al ricordo della sua
concezione e nascita. Ora, nel Calendario georgiano in uso nella Città
Santa (sec. VII-VIII) sono riportate due feste liturgiche di Maria,
l’Annunciazione al 25 marzo e la Natività all’8 settembre, da celebrare in
quella stessa chiesa di S. Maria; essa fu intitolata a S. Anna nel sec XII,
nome che conserva fino ad oggi.
È noto che nei secoli VIII-IX la liturgia bizantina riceve una più marcata
connotazione storica ed attuale, grazie a Germano di Costantinopoli16. Così il calendario bizantino, in uso presso gli ortodossi e cattolici greci e
slavi, include al 9 dicembre la Súllepis tês aghías Annes, cioè la
“Concezione di Anna, madre della Madre di Dio”, secondo l’attestazione
di un inno introitale di Andrea di Creta17 o anche “Concezione di Maria o
della santa Theotókos”; ma vi sono anche una serie di cantici e canoni di
Giuseppe l’Innografo (†883), composti per la stessa festa. Si osservi che la
ricorrenza cade nove mesi prima dell’8 settembre (21 del mese ebraico di Elūl), giorno della sua natività, secondo gli antichi calendari; non è un particolare secondario, perché lo stesso calcolo si può riscontrare nei calendari siriano, bizantino e romano, per l’annuncio-concezione e la natività di
Giovanni il Precursore (23 settembre e 24 giugno) e per quelle di Gesù (25
marzo e 25 dicembre)18. Sennonché, gli apocrifi ricordano che la gravidanza di Anna ebbe del prodigioso; infatti, secondo il
Vangelo dell’infanzia
armeno, durò duecentodieci giorni; dunque tra apocrifi e calendari, almeno apparentemente, c’è discrepanza circa il computo della data della concezione in rapporto a quello della natività di Maria.
In ogni caso, se le Chiese stabilirono le celebrazioni “liturgiche” per
queste date, era per sanzionare una memoria popolare ancora viva.
Inoltre, esse se le comunicavano; per questo tutte le grandi feste del
Signore e della Madre di Dio vengono dall’Oriente palestinese, prima dei
grandi scismi del V secolo.
Giovanni di Eubea (†750), in un’omelia, ricorda che la prima festa
della Madre di Dio da celebrare «è quella nella quale Gioacchino ed Anna
ricevettero la lieta notizia della tutta immacolata e Madre di Dio Maria.
La seconda è l’augustissima nascita di Maria; nella prima, dico, celebriamo il concepimento»19. Siamo ancora agli inizi della sua diffusione in
Oriente; progressivamente la festa si afferma in tutto l’impero bizantino,
come è attestato dal Nomocanon di Fozio20 e dai
sermoni del metropolita di Nicomedia, Giorgio21. Poi, attraverso l’Italia Meridionale (la festa si
trova nel calendario marmoreo di Napoli, della prima metà del sec. IX,
Conceptio sanctae Mariae Virg.)22 giungerà in Occidente, preparando in
qualche modo il terreno a quella dell’Immacolata Concezione23.
La festa è pure nel calendario etiopico, al 7 di Nahase (mese tra il 25
luglio e il 27 agosto). Il calendario armeno la include tra le feste fisse
come i bizantini al 9 dicembre.
Dunque, lo stesso fatto dell’esistenza di questa festa, come annota M.
Jugie24, porta a ritenere fondato l’assioma di Teodoro Prodromo (sec XI) sulla
concezione di Maria: «non si può senz’altro pensare o immaginare in lei
l’esistenza di alcunché d’impuro o di peccato»25. Pertanto, questa festa
confermerebbe che per molti secoli l’Oriente bizantino abbia creduto
all’Immacolata Concezione26. In realtà, dai testi liturgici, dagli inni e dai
commentari patristici27 si deduce che l’oggetto della festa non è solo il
concepimento attivo di S. Anna, come è raccontato dal Protovangelo di Giacomo28,
ma quello passivo della Madre di Dio29. Quindi si può distinguere l’annuncio
angelico della concezione, come si desume dal racconto apocrifo, la prodigiosa
concezione in Anna che era sterile, infine, l’oggetto della concezione, la
Vergine Maria, nel quale il Padre col suo intervento di grazia, sottrasse la
Vergine, sin dal primo momento dell’esistenza, dal potere del Maligno. Forse la
festa ha avuto origine dal primo dato “storico”, cioè l’annuncio a Gioacchino e
ad Anna, a cui si sono aggiunti gli altri due30. Però, il
Protovangelo, secondo cui sant’Anna concepì la vergine senza concorso
del marito, costituisce «una prima presa di coscienza intuitiva e mitica
della santità perfetta e originale di Maria nella sua stessa concezione»31,
che influirà notevolmente sulla teologia. In definitiva, la Immacolata
Concezione riguarda l’anima di Maria e fu sviluppata a partire dalla liturgia con i dommi del peccato originale e della redenzione universale. In
merito si può convenire su quanto dice G. Söll: «Nonostante la poca chiarezza nella determinazione dell’oggetto della festa, anche allora la liturgia
si rivelò come il contenitore per la verità non ancora approfondita sufficientemente e come lo stimolo per un chiarimento teologico»32. Oggi, i
cristiani orientali credono che Maria sia vissuta senza macchia di peccato
attuale, quindi sia immacolata nell’anima e nel corpo, anche se non tutti
giungono alla fede nel suo immacolato concepimento.
La dottrina degli Ortodossi
La grande Chiesa bizantina ha in Gregorio di Nazianzo (†390) colui
che sostenne la necessità che Maria fosse esentata da ogni macchia di peccato attuale per opera dello Spirito Santo al momento dell’Annunciazione
(prokatharazeísa) prima di diventare la Madre di Gesù il Cristo33. Secondo
i bizantini, la Vergine partecipa all’incarnazione e non alla redenzione,
quindi appare più organica alla cristologia (e alla pneumatologia) che alla
ecclesiologia; però, il fatto che la santità di Maria sia legata pure alla sua
funzione di Madre del Redentore, alla quale fu preparata – anche se non
si può intendere come preservata dal peccato originale –, fu riconosciuto
da molti Padri greci e, come abbiamo visto, dalla liturgia bizantina. Fozio
(† fine sec. IX), in verità, superò la posizione di Gregorio, dicendo che
Maria «fu santificata sin dalla sua infanzia, come tempio vivo per Dio»34.
Mentre nel tardo medioevo, Gregorio Palamas (†1359) è stato tra quelli che hanno ritenuto Maria del tutto immacolata prima della nascita perché
Gesù stesso era esente dal peccato originale35.
La tradizione bizantino-greca fino alla fine del XV secolo e quella
slava fino alla metà del XVII non avevano dubbi, salvo qualche eccezione,
nel proclamare l’Immacolata Concezione, questo a motivo della sua missione di Madre di Dio. Progressivamente l’atto dell’esenzione, che da
Gregorio Nazianzeno era collocato all’Annuncio dell’angelo, fu spostato
al momento della sua nascita e poi alla sua gestazione nel grembo di
Anna, appunto secondo Gregorio Palamas. Poi, avrà inizio la controversia
con i cattolici36.
Dunque, se la liturgia bizantina, non diversamente dalle altre liturgie
orientali e occidentali, costituisce la regola della fede ortodossa, si deve
dire innanzitutto che le espressioni e gli attributi di Maria in essa contenuti, provengono dalla riflessione di fede della Chiesa, in primo luogo dei
padri e degli innografi greci, e ancor prima di quelli siriaci, dei quali sono
stati dati alcuni stralci.
Maria è la “corona dei dogmi” in quanto lo Spirito posandosi sulla
sua libertà ha reso possibile la sua totale santità: ecco l’epiteto di Tuttasanta. Si deve perciò osservare che non si possono disgiungere tra loro gli
attributi della Vergine, peraltro collegati alla sua vita con Cristo: verginità,
maternità, assunzione, santità piena e purezza da ogni peccato, anche se
nell’anno liturgico sono celebrati singolarmente. Questo, perché dalla
riflessione su ciascuno di essi consegue la comprensione degli altri. Per
esempio, la teologia ortodossa sostiene che la verginità perpetua di Maria è il
risultato del sinergismo interiore tra Dio e l’uomo, che porta alla purezza
integrale e all’impeccabilità della nuova creatura, Madre di Dio e cuore della
Chiesa. Così, la sua radicale purezza e il dono di non peccare ricevuto dopo la
nascita – che non è l’Immacolata Concezione per singolare grazia e privilegio,
ricevuta prima della nascita, secondo il dogma cattolico – la fa tutta santa e
pura. Il peccato resta, ma è inoperante, grazie allo Spirito che agisce
attraverso i suoi santi genitori e gli antenati, nonché la stessa Vergine pura. In secondo luogo, se dalla liturgia si deve dedurre in qualche modo la
dottrina, appare strano che, malgrado le testimonianze patristiche, ancora
gli orientali rifiutino il domma dell’Immacolata Concezione. In sua assenza, la teologia ortodossa cade quasi nel pelagianesimo, in quanto offusca
la nozione di gratuità che l’Immacolata Concezione implica, esaltando il
merito di Maria37. Infatti, la santità di Maria viene “limitata” in quanto
consiste nell’esenzione da ogni peccato personale cosciente e volontario,
ma non del peccato originale, per il quale condivide la condizione peccatrice del genere umano38.
Se ella è stata purificata dal Logos, per cui il peccato originale fu
assolutamente inoperante39, si può porre una semplice questione: se questo intervento divino in Maria non possa essere avvenuto prima e fuori del
tempo e quindi con l’esenzione dal peccato originale. Quindi, se la redenzione compiuta dal Logos
incarnato ha attraversato il tempo, anche quello precedente l’evento, Maria è stata redenta dal primo istante del suo
concepimento soprannaturale, nella mente di Dio e nell’atto naturale dei
suoi genitori. A Dio nulla è impossibile. Se si obietta che ciò sottrarrebbe
Maria alla solidarietà con l’umanità in vista della redenzione di Cristo,
allora si deve constatare che questo già avviene con la purificazione compiuta dalla grazia divina, che la si ponga al momento della nascita o dell’annunciazione.
La questione reale è che gli ortodossi non hanno una posizione concorde, a motivo dell’assenza di un magistero condiviso e aggiornato.
Pertanto, resta in piedi solo l’accusa di “giuridismo” alla Chiesa cattolica,
rivolta per primo da Sergej Bulgakov40, per il fatto che il Vescovo di Roma in
uno con il collegio episcopale, ha proclamato il dogma al di fuori di un
concilio. Qui, però, entriamo nella differenza sostanziale tra ortodossi e
cattolici, costituita dall’ecclesiologia, in specie dal Primato. Il magistero della Chiesa cattolica abbraccia la tradizione patristica e
liturgica latina e greca in modo complementare e non alternativo, appunto in modo “cattolico”; perciò ha coscienza di aver arricchito la dottrina
mariana con lo sviluppo dommatico dell’Immacolata Concezione, e nello
stesso tempo, in quanto magistero vivente e attuale, di dover sempre progredire nella conoscenza della verità sotto la guida dello Spirito che assiste indefettibilmente la Chiesa.
NOTE
1 Cf. S.P. GEORGIU, Maria nella vita liturgica ortodossa, in AA.VV.,
Maria nella Comunità Ecumenica, Roma 1982, p 81.
2 Cf. G. GHARIB, Oriente cristiano, in S. DE FIORES - S. MEO (edd.),
Nuovo Dizionario di Mariologia, Roma-Torino 1986, p 1031.
3 Sermo de Deipara, PG 93, 1465; cf. Id., Sermo 5: PG 93, 1461. 1468.
4 M. HAYEK, Liturgie Maronite. Histoire et texte liturgiques, Paris 1964; una ed. italiana: P. SFAIR,
La Messa siro-maronita, Roma 1946, p 38.
5 Carmina nisibena 27,8, ed. Bicknell, London 1866. 6 Cf. Hereses 78,18: PG 42, 1050-1051.
7 Cf. G. GIAMBERARDINI, Il culto mariano in Egitto, I, Gerusalemme 1975, 134-138.
8 M. BROGI (a cura di), La santa salmodia annuale della Chiesa copta, Centro
Francescano Studi Orientali Cristiani, Cairo 1962.
9 L’Ordinario e 4 Anafore della Messa etiopica, Città del Vaticano 1969.
10 Liturgia armena della S. Messa, Ed. italiana, Milano 1976.
11 Cf. la voce Maria, a cura di A. RAES, in Enciclopedia Cattolica, col. 105.
12 I testi sono tratti dalla edizione greco-italiana La Divina Liturgia del Santo nostro
Padre Giovanni Crisostomo, Monastero Esarchico S. Maria di Grottaferrata, Roma 1967.
13 I testi, in versione italiana, sono tratti dall’Horologion, Roma 1937.
14 Homélies sur la Nativité et la Dormition, SC (=Sources Chretiennes) 80, p 194.
15 Tropario dei vespri della festa del 21 novembre.
16 Cf. Le rite byzantin. Bref historique, Paris 1996, p 52.
17 Cf. C.A. BOUMAN, The Immacolate Conception in the Liturgy, in E.D. O’CONNOR
(a cura di), The dogma of the immacolate Conception. History and significance, Notre
Dame-Indiana 1958, p 114-115.
18 Per il confronto con i calendari in uso nel I sec. d.C: S. TALMON, The Calendar
Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in
Scripta
Hierosolymitana, vol IV, Jerusalem 1958, p 162-199.
19 Sermo in Conceptionem sanctae Deiparae, 10: PG 96, 1474-1475.
20 Cf. Tit VII, cap I: PG 104, 1069.
21 Cf. BOUMAN, cit., p 115, nota 179.
22 Riportato in DACL 11/2. 1591-1592.
23 Cf A. WILMART, Sur les fêtes de la Conception de Ste. Anne, Ephemerides
Liturgicae, t XLII (1928) p 238-268.
24 Cf. DTC, t VII, col 904.
25 Nostra versione italiana dal testo latino in: H.M. STEVENSON, Theodori Prodromi
commentarius in carmina sacra melodorum Cosmae hierosolymitani et Ioannis Damasceni,
Romae 1888, p 52.
26 Cf. P. DE MEESTER, La festa dell’Immacolata Concezione nella Chiesa greca, Bessarione, Ser. II, t VII (1904) p 89-102.
27 Cf. S. EUTIMIO, Homilia de zona BMV, DTC, t VII, col 930; cf. T. TOSCANI - J.
COZZA-LUZI, De Immacolata Deiparae Conceptione hymnologia Graecorum, Roma 1872.
28 Cf. 1-4: L. MORALDI, Apocrifi del Nuovo Testamento, I, Torino 1971, p 123-126, nota 30.
29 Cf. Ibidem, p 101.
30 Cf. DTC, t VII, col 959.
31 R. LAURENTIN, Maria nella storia della salvezza, Torino 1972, p 139.
32 Storia dei dogmi mariani, Roma 1981, p 281. 33 Cf. Or 38,12: PG 36, 325B.
34 Hom. I in Annuntiatione: in S. ARISTARCHIS, Photíou lóghia kaì omilíai,
Costantinopoli 1901, t. II, p 236, 372-374. Cf. M. JUGIE, Photius et l’Immaculée
Conception, EO, t. XIII (1910) p 198-201.
35 Cf. M. JUGIE, Grégoire Palamas et l’Immaculée Conception, Revue
Augustinienne, t. XVII (1910) p 175 s.
36 Cf. M. GORDILLO, Compendium theologiae orientalis, Roma 1950, p
139-147.
37 Cf. R. LAURENTIN, La Madonna. Questioni di teologia, Brescia 1964, p 127.
38 Cf. N. NISSIOTIS, Maria nella Teologia ortodossa, Conc XIX (1983) 1270-1275.
39 Cf. S.P. GEORGIU, o.c., p 88.
40 L’Orthodoxie, Paris 1932, p 165.