Un intervento di Mons. Krzysztof Charamsa, XXXVII Sabati Mariani “Un
cammino di speranza, con Maria” Roma, sabato 11 gennaio 2014.
1. In cammino con Maria
1.1. Il cammino
In realtà, il “cammino” è un’immagine pertinente e felice per descrivere
tutta la vita della Chiesa e dei singoli cristiani. Non a caso nel tempo postconciliare sono spuntate molte iniziative, per la maggior parte suscitate dai
fedeli laici di cosiddetti movimenti ecclesiali laicali, ma anche sacerdotali, che si
sono ritrovate nell’immagine dinamica della strada, della via, del cammino, cioè
di movimento, contro le possibili tentazioni di staticità e immobilità. Ogni
missione ha bisogno di un cammino da percorrere e in questo modo anche di una
speranza che si apre in un cammino. Così l’esperienza neocatecumentale ha
preso appunto il nome di un Cammino: Cammino neocatecumenale. Il fondatore
dell’Opus Dei, Josemaría Escrivá de Balaguer ha intitolato le sue meditazioni
“Cammino” (in castellano “Camino”, del 1934). Ogni movimento ecclesiale
indica e apre un cammino. In realtà qualsiasi vera esperienza ecclesiale, sia nelle
parrocchie sia nella congregazioni religiose nuove e antiche, potrebbe essere
espressa come l’itinerario di un cammino, con tutta la dinamicità ed esigenza di
questa immagine. Il cammino verso Dio e vero uomo…
Beato Giovanni Paolo II aveva aperto il suo lungo e rivoluzionario
pontificato con questa immagine della via di un cammino verso Dio, «cammino
del Popolo di Dio verso la Terra Promessa»1. Nella prima enciclica diceva
anche, non senza una grande audacia, che: «l’uomo, nella piena verità della sua
esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e
sociale – nell’ambito della propria famiglia, nell’ambito di società e di contesti
tanto diversi, nell’ambito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo
del clan, o tribù), nell’ambito di tutta l’umanità – quest’uomo è la prima strada
che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la
prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che
immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della
Redenzione»2.
In effetti, il cammino verso Dio non è un insieme di teorie e speculazioni
lontane dalla vita reale, concreta, quotidiana. Non è un ideale sognato e in
definitiva irrealizzabile. Il cammino della Chiesa passa attraverso il realismo e
l’inquietudine dell’umano, attraverso la realtà di singolo uomo concreto, che
desideroso, coscientemente o no, della salvezza, anzi già redento dal Salvatore,
che è l’Uomo perfetto. Continuava Giovanni Paolo II con perspicace
concretezza: «Quest’uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo,
alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché
l’uomo – ogni uomo senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché
con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo
unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole: “Cristo, per tutti
morto e risorto, dà sempre all’uomo” – ad ogni uomo e a tutti gli uomini – “luce
e forza per rispondere alla suprema sua vocazione” (Gaudium et spes, 10)»3.
La vita cristiana è un cammino, perché Gesù si è presentato e offerto ai
suoi discepoli come la nostra via: «Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno
viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Non a caso una delle sfide
dell’inizio del nuovo millennio era per i cristiani la necessità di riscoprire che
«tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre,
di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana,
ed in particolare per il “figlio perduto” (cf. Lc 15,11-32). Tale pellegrinaggio
coinvolge l’intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per
raggiungere l’intera umanità»4. Il pellegrinaggio è un altro nome per dire il
cammino. La Chiesa si ritrova sempre più nella dinamicità della sua identità,
rifiuta ogni staticità, immobilità, ogni “sentirsi già arrivati”. La Chiesa è in
cammino verso la gloria dei cieli. Anche nel compimento del suo arrivo escatologico il
suo essere in Dio nella gloria non sarà qualcosa di statico. La pienezza di vita
eterna non sarà una noia, come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI nella sua
lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana (30 novembre 2007)5.
Tutti siamo in cammino di speranza eterna e lo siamo con Maria affianco.
Anche Lei è in cammino. «Il cammino di Maria verso il Cielo – come ha
ricordato Papa Francesco – è cominciato da quel “sì” pronunciato a Nazaret, in
risposta al Messaggero celeste che le annunciava la volontà di Dio per lei. E in
realtà è proprio così: ogni “sì” a Dio è un passo verso il Cielo, verso la vita
eterna. Perché questo vuole il Signore: che tutti i suoi figli abbiano la vita in
abbondanza! Dio ci vuole tutti con sé, nella sua casa!»6. «Ella è la donna di fede,
che cammina nella fede»7.
Con Lei siamo anche noi in cammino di santità per una vita beata. Però in
quale tratto dell’essere di Maria si rivela per il meglio il suo camminare davanti
e accanto alla Chiesa e ad ogni suo figlio, se non nelle sue virtù. Nella fede,
speranza e carità.
1.2. Il cammino di speranza e di amore con Maria “dipinta” dal Papa
Francesco
Oggi, in particolare, vorrei con voi
scrutare come il cammino di Maria e con Maria, per giungere a vedere la
speranza, è e deve essere segnato dall’amore. Credo che una tale riflessione può
corrispondere all’intuizione dei nostri Sabati: “Sul cammino evangelizzatore,
tracciato dal Papa Francesco”. Lui già da non pochi è stato visto come il Papa
della carità8. Come non è un mistero che l’ispirazione di
Sabati mariani di
quest’anno è stata data dall’insegnamento e dall’esempio del Papa Francesco
offertoci in questi primi mesi del suo pontificato, penso che vedere la carità
di Maria come la via per giungere alla speranza potrebbe corrispondere a questa
buone intuizione dei nostri Sabati9.
Oserei dire, che già in questi primi mesi del pontificato anche il Papa
Francesco ci ha “abbozzato” il volto della Vergine con le proprie “pennellate”,
che attingono dalla sua profonda devozione mariana. Con vigore pastorale ha
riaperto il cammino di speranza: “con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo
volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso”10.
Come ci ha ricordato nella sua Omelia del 1° gennaio 2014: “Il nostro
cammino di fede è legato in modo indissolubile a Maria da quando Gesù,
morente sulla croce, ce l’ha donata come Madre (…) Maria diventa così
sorgente di speranza e di gioia vera! La Madre del Redentore ci precede e
continuamente ci conferma nella fede, nella vocazione e nella missione. Con il
suo esempio di umiltà e di disponibilità alla volontà di Dio ci aiuta a tradurre la
nostra fede in un annuncio del Vangelo gioioso e senza frontiere. Così la nostra
missione sarà feconda, perché è modellata sulla maternità di Maria” (cpvv. 6-7). Un cammino missionario ed evangelizzatore di speranza, in modo
indissolubile con Maria.
Questo slancio di un cammino è stato segnato da Papa Francesco nella Evangelii gaudium
sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre
2013): “Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo
comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione” (n. 284). E
più avanti continua: “Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova
creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che
camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti
i misteri del Vangelo. Al Signore non piace che manchi alla sua Chiesa l’icona
femminile. Ella, che lo generò con tanta fede, accompagna pure «il resto della
sua discendenza, […] quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in
possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12,17)” (n. 285). Possiamo esserne
sicuri che Lei, “come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed
effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (n. 286). Il Papa
Francesco concludeva trovando in Maria lo stile appropriato del cammino
missionario della Chiesa, della sua nuova evangelizzazione: “Vi è uno stile
mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. ogni volta che guardiamo a
Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e
dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei
deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi
importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché «ha
rovesciato i potenti dai troni» e «ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc
1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia.
È anche colei che conserva premurosamente «tutte queste cose, meditandole nel
suo cuore» (Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei
grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È
contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana
di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra
Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri
«senza indugio» (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di
contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello
ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera
materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti
i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo” (n. 288).
2. Che cosa è la vera carità?
È giusto chiedere prima di tutto a Lei stessa – «ardente nella carità»,
«ispirata da una ardentissima carità»11 – aiuto anche nel comprendere il
cammino della speranza e l’essenza della vocazione alla santità e alla carità. Il
rapporto di Maria alla virtù della carità fu del tutto speciale, perché fu unita in
modo speciale e unico nella storia al Dio-Amore, quale Madre del Verbo. In
questo senso Lei apre e riassume la peregrinatio della santità realizzata da Gesù
Cristo nella storia.
Ma che cosa è la carità? Un mistero tra i più spinosi del cristianesimo,
perché la carità (caritas), da una parte, è il nome stesso di Dio, che si presenta
come l’Agape eterna e perfetta (1Gv 4,16; Gv 17,24-26). Dall’altra parte, essa
riguarda la creatura: quello dell’amore è il più sublime dei comandamenti di Dio
(Mt 22,37-40), ma è soprattutto il dono della virtù infusa, che rimane per sempre
(1Cor 13,13) e offrirà la misura del giudizio finale (Mt 25,31-46). Amando Dio,
che è il Bene immutabile, Dio stesso si ritrova in chi lo ama. «Chi sta nell’amore
dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16). Dio che è amore e il suo Cristo,
che è amore, cerca nella creatura ciò che gli è simile, ossia lo stesso amore. In
questo dono e, al contempo, impegno dell’uomo di assomigliare a Dio nella
carità, l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono inseparabili (Ger
22,15-19)12. «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno
mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di
lui è perfetto in noi» (1Gv 4,11-12): «amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è
da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio» (1Gv 4,7)13. La
carità è il momento rivelatorio più affascinante del cristianesimo ed insieme il
suo impegno più arduo, il suo movimento, il suo cammino più esigente14. È la
parte più luminosa di quel squarcio, che Gesù Cristo ha portato nella storia
dell’umanità e il testamento più difficile da realizzare da parte dei suoi discepoli
finché egli verrà.
Una delle più alti riflessioni teologiche sulla carità è quella proposta nella
sistematica di San Tommaso, che riprende e ordina il pensiero agostiniano al
riguardo. L’Aquinate pone questa virtù esattamente nel centro stesso della sua
opera più grande: la Summa Theologiae nella parte II-II, questioni 23-33. Egli
descrive la caritas come l’amicizia più alta: «La carità è un’amicizia dell’uomo
con Dio. Ebbene, nell’amicizia si riscontrano diverse specie. Prima di tutto in
base alla diversità dei fini: e in tal senso abbiamo tre specie di amicizia, e cioè le
amicizie basate sull’utile, sul piacere e sull’onestà. (…) Ora, la carità non può
essere suddivisa in nessuno dei modi indicati. Infatti il suo fine è unico, vale a
dire la bontà divina. Ed è unica la compartecipazione della beatitudine eterna, su
cui si fonda questa amicizia. Perciò rimane che la carità è in modo assoluto
un’unica virtù, senza pluralità di specie»15. Per l’Aquinate la carità è la
madre di tutte le virtù, la radice delle virtù infuse e il primo principio
dell’intera vita spirituale16. Un tratto, che preme ad essere sottolineato nel
vissuto della virtù della carità è la gioia, il gaudio del cuore, che offre
l’adeguata prospettiva di speranza e di fiducia per il cammino cristiano. Per
Tommaso la gioia è il primo effetto interiore dell’amore, seguito dalla pace e
alla misericordia17. Come insegnava Paolo: «il regno di Dio infatti non è cibo o
bevanda, ma giustizia, pace e gioia
nello Spirito Santo» (Rm 14,17): per mezzo di questo Spirito, che ci è stato dato,
è stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio (cfr Rm 5,5). Dio stesso si trova
in colui che lo ama con la gioia spirituale, che è il suo effetto più nobile18.
Mentre la fede coglie il mistero di Dio come qualcosa ancora non visto
con i nostri occhi e la speranza tiene Dio come non ancora raggiunto, la carità
aderisce a Dio come al bene assoluto in sé. In questo senso la carità è la virtù più
nobile tra tutte le virtù teologali e cardinali, la virtù eccellentissima19, che corona
il cammino e lo guida con la forza della Terza Persona della Trinità: lo Spirito,
Dono e Amore20.
3. Maria, icona di carità
Bisogna sempre tener presente come fondamentale dato di fede il fatto che
solo Dio Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – conoscono la piena grandezza
dell’amore, senza ombre di possibili difetti creaturali, perché solo le Tre Persone
divine si conoscono reciprocamente nella loro comunione di amore. Il
medioevale Riccardo di san Vittore possiede al riguardo delle pagine di
straordinaria lungimiranza nella sua opera De Trinitate. Nondimeno, anche le
creature sono capaci di aiutarci a comprendere molte sfumature dell’amore.
Come accennavamo poco anzi, i santi sono capaci di far vedere il vero volto
dell’amore e tra i santi prima di tutto è la Vergine di Nazaret ad essere testimone
dell’amore di Dio. Così Paolo VI esclamava: «l’amore, quello vero: è lo Spirito
Santo, carità divina, di cui Maria fu irradiante custodia; la cerchiamo in Lei, con
Lei»21.
Nella prospettiva incarnazionista quel mistero lo contemplava Giovanni
Paolo II: «l’eterno amore del Padre, manifestatosi nella storia dell’umanità
attraverso il Figlio che il Padre diede “perché chiunque crede in lui non muoia,
ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), un tale amore si avvicina ad ognuno di noi
per mezzo di questa Madre ed acquista in tal modo segni più comprensibili ed
accessibili a ciascun uomo. Di conseguenza, Maria deve trovarsi su tutte le vie
della vita quotidiana della Chiesa»22. Lei in quanto è chiamata ad essere Madre
di Dio è da considerare Madre dell’Amore23. Quando San Massimo il Confessore
(579/580-662) nella sua Vita di Maria descrive il rapporto tra Maria e Gesù,
nota che ella divenne discepola del Figlio e da lui apprendeva ciò che sono i
principi della vita virtuosa: «tali precetti sono: l’amore di Dio e degli uomini, la pietà, la giovialità, la dolcezza,
la pace, l’umiltà e la pazienza, il rispetto e l’ubbidienza ai genitori, il digiuno, la
preghiera e ogni opera buona. L’amabile Signore li insegnava agli uomini prima
con i fatti e poi con le parole»24. A questa scuola cristologica, come dice il
Massimo, Maria per prima apprendeva l’amore di Dio e degli uomini, che
riassume tutte le virtù, doni, carismi e opere buone.
Il Papa Benedetto XVI ha portato poi l’espressione del rapporto tra Maria
e la virtù della carità al suo essenziale, quando disse nella sua Deus caritas est
semplicemente: «Maria è una donna che ama», perché «nella fede pensa con i
pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio»25.
Se nei santi della Chiesa ci si trovano svariati “colori” espressivi della
carità, che si svelano nei secoli, si può presumere che nella Madre di Dio si
ritrova l’essenziale della carità e pertanto si possono vedere tutti i “colori” della
carità cristiana. In un certo senso, con la Bibbia alla mano, nella prima chiamata,
nella prima cristiana, in Maria sono già raggruppate tutte le potenzialità
dell’amore cristiano.
Dio è Amore e se l’amore di Maria nasce dal pensare con i pensieri di
quel Dio amoroso e dal volere con la volontà del Signore misericordioso, questo
significa che nella Madre di Dio si rispecchia tutta la gamma dell’amore come è
presente nella sua fonte divina (la fonte che sta nell’amore vicendevole delle
Persone della Trinità).
3.1. L’amore che parte dal Dio-Amore
La Vergine nell’annunciazione mostra il primo tratto dell’amore, ovvero
la sua priorità incondizionata (Lc 1,26-38). Lei ama prima di tutto Dio ed è
questo il primo amore nell’ordine della carità, il cui nucleo risiede nella
comunione personale del Dio Trinità. Solo amando Dio prima di tutti gli altri
esseri si riesce amare se stesso e il prossimo, come lo ha dimostrato la donna di
Nazaret. Maria è la prima testimone dell’Amore incarnato, ovvero di ciò che
insegna Giovanni: «In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha
mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo
di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati» (1Gv 4,9-10). L’incarnazione del Verbo, che Maria accoglie è sempre poi
un’icona dell’Amore trinitario. Dove c’è Cristo, là si trova sempre anche il
Padre e lo
Spirito Santo. A Nazaret si inizia ad avere l’accesso, attraverso il cuore di Maria,
al mistero della vita intima di Dio, in cui Egli «“è amore”, amore essenziale,
comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito
del Padre e del Figlio. Per questo, egli “scruta le profondità di Dio”, come
amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio
uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e
che per lo Spirito Santo Dio “esiste” a modo di dono. È lo Spirito Santo
l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono. Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un
approfondimento ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la
Rivelazione ci fa conoscere. Al tempo stesso, lo Spirito Santo, in quanto
consostanziale al Padre e al Figlio nella divinità, è amore e dono (increato), da
cui deriva come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature
(dono creato): la donazione dell’esistenza a tutte le cose mediante la creazione.
la donazione della grazia agli uomini mediante l’intera economia della salvezza.
Come scrive l’apostolo Paolo: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato”»26. La Vergine
dell’Annunciazione, piena dello Spirito Santo, diventa il canale benevolo della
discesa dell’amorosa vita intima di Dio in mezzo agli uomini.
3.2. L’amore umile del servizio
Il suo amore, pertanto, è capace correre con sollecitudine verso il mondo e
chiamarsi il servizio, come avviene nella visitazione (Lc 1,39-45)27. Il Papa
Francesco dice che proprio il mistero della visitazione «mostra come Maria
affronta il cammino della sua vita, con grande realismo, umanità,
concretezza»28. Nei suoi concreti passi rivolti al prossimo, l’amore di Maria è
molto più di una benevolenza, di un fare del bene altruistico, di un prendersi
cura, di solidarietà. È l’amore che scaturisce dalla comunione della Trinità e così
crea la comunione con Dio e con gli uomini.
Nel suo servizio incondizionato Lei anticipa quanto esprimerà san Paolo
nelle istruzioni alla comunità cristiane: «portate i pesi gli uni degli altri, così
adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2). Si esprime così tutta la libertà
dell’amore che libera colui che ama dal dominio del proprio io egoistico e lo
apre all’orizzonte sconfinato della libertà amorosa di Dio. Lo stesso Paolo ai Galati assicurava: «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che
questa libertà non divenga però un pretesto per vivere secondo la carne,
mediante
l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la
sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal
5,13-14).
3.3. L’amore preferenziale per i poveri del Signore
Il Magnificat, l’inno dell’amore della Vergine inizia proprio da una lode
che magnifica Dio, vuole dire la sua grandezza tanto amorosa da farsi prossima
dell’umanità intera. È la grandezza della santità divina, che umanamente deve
intimidire, ma che nell’Incarnazione non provoca la paura dei piccoli, ma si
rivela come fonte infinita di generosità, benevolenza, tenerezza e misericordia.
Si rivela l’Amore, si rivela Dio ricco di misericordia (Dives in misericordia,
Ef
2,4). La misericordia (eleos, hesed) è la porta di accesso alla santità di Dio, che
non resta inaccessibile, ma aperta ed accogliente, attraente con la sua forza. «Di
generazione in generazione la sua misericordia [il suo amore – come
propongono di tradurre questo passo alcuni commentatori] per quelli che lo
temono» (Lc 1,50).
Nel Magnificat l’amore dell’umile serva mostra pertanto un lato specifico
di questo amore infinito e incondizionato. Fa vedere la sua sollecitudine
preferenziale per il poveri (Lc 1,46-56). Nel magistero di Giovanni Paolo II si
trova una perspicace analisi di questo fatto: «Il suo amore di preferenza per i
poveri è inscritto mirabilmente nel Magnificat di Maria. Il Dio dell’Alleanza,
cantato nell’esultanza del suo spirito dalla Vergine di Nazareth, è insieme colui
che «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, ... ricolma di beni gli
affamati, e rimanda i ricchi a mani vuote, ... disperde i superbi ... e conserva la
sua misericordia per coloro che lo temono». Maria è profondamente permeata
dello spirito dei “poveri di Yahvé”, che nella preghiera dei Salmi attendevano da
Dio la loro salvezza, riponendo in lui ogni fiducia (Sal 24,1; Sal 30,1; Sal 34,1;
Sal 54,1). Ella, invero, proclama l’avvento del mistero della salvezza, la venuta
del “Messia dei poveri” (Is 11,4; Is 61,1). Attingendo dal cuore di Maria, dalla
profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova
sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio
che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo
amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si
trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù»29.
3.4. L’amore di sposa e di madre
Nella ricerca di Gesù dodicenne, rimasto nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-52), Maria mostra l’amore di sposa, preoccupata a fianco di Giuseppe, e
l’amore premuroso di madre, che si mette in cammino nella ricerca del figlio (Lc
2,44-45). Una volta trovato, cerca di capirlo (Lc 2,48) e lo segue nella sua
crescita in sapienza, età e grazia (Lc 2,52).
Nell’icona del ritrovamento si vede come l’amore inizia dai più prossimi,
abbraccia per primo la famiglia: coloro che ci sono più cari, il Figlio, lo sposo
per estendersi al proprio popolo, alla propria patria e terra. Se tale esperienza è
in sé vera e matura, sarà capace estendersi anche verso gli orizzonti più
universali. Nel caso di Maria, il suo amore di madre si estende in effetti verso
tutta la Chiesa e verso il mondo intero. Il suo amore sponsale è poi il modello
universale della carità matrimoniale.
3.5. L’amore che abbraccia tutto l’umano
A Cana Maria abbraccia il mondo dell’amore umano, dei suoi sentimenti
e vissuti: si preoccupa per gli sposi (Gv 2,1-12). In un certo senso presenta
l’amore umano a Cristo perché ciò che l’uomo sente e vive sia benedetto da Dio
e possa far parte dell’amore divino, fedele fino alla fine.
Nel suo amore Maria si fa “intercessione” costante a favore dell’umanità
bisognosa, non in un modo generico, ma toccando i bisogni concreti delle
singole persone reali. È il suo realismo dell’amore raggiunto nella massima
espressione. «Maria in perfetta docilità allo Spirito sperimenta la ricchezza e
l’universalità dell’amore di Dio, che le dilata il cuore e la fa capace di
abbracciare l’intero genere umano. È resa, in tal modo, Madre di tutti noi, e di
ciascuno di noi, Madre che ci ottiene la misericordia divina»30.
3.6. L’amore di una sorella nella sequela del Signore
Nell’arco della missione pubblica di
Gesù, l’amore di Maria ci mostra un tratto nuovo, quello della discrezione e
dell’umiltà fino all’abnegazione totale di se, fino a scomparire dalle pagine
del Vangelo, per lasciare lo spazio al Figlio (Mc 3,31-35). Il nascondimento di
questo amore non significa però inoperosità o disinteresse. È l’amore che si
pone da parte della Chiesa nascente nella prima comunità dei discepoli per
ascoltare la voce del Figlio. Appare qui il tratto fraterno della carità di
Maria. La Madre di Dio nel suo amore ci assicura, con la pagina marciana, che è
veramente anche sorella nostra. Per di più, nel suo amore nascosto, che rinuncia
al posto che spetterebbe alla madre del Maestro, che si fa umile e piccolo
davanti a Dio, Maria è anche modello dell’amore che deve distinguere le consacrate. Così, se da una parte
offre la lezione agli sposi, nello stesso tempo è l’esempio per i consacrati.
3.7. L’amore di Maria, che è misericordia
Un tratto particolare dell’amore di Maria si sta ripescando
nell’insegnamento del Papa Francesco. È una caratteristica importantissima, che
troppo spesso viene dimenticata dai cristiani e Santo Padre con insistenza di un
buon maestro ce lo pone davanti agli occhi dei nostri cuori. Si tratta della
misericordia. L’amore di Maria che è misericordia. Nel suo primo Angelus del
pontificato in Piazza San Pietro ha invocato la compagnia di «Madonna che ha
avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta uomo»31. Per il Papa
Francesco Maria è Madre della Misericordia e senza dubbio l’amore
misericordioso è già diventato il tratto distinguibile e il programma del servizio petrino del Papa32.
L’assomigliare Maria nel suo cuore misericordioso, apprendere lo spirito
misericordioso della Madre, che non giudica, non critica, non minaccia, ma
accompagna e guarda con misericordia tutti è una sfida che ai figli della Chiesa
ha proposto efficacemente Santo Padre Francesco. È la sfida dell’onnipotenza
della misericordia, della vera e definitiva potenza dell’amore.
3.8. L’amore che prefigura la sconfitta della morte
Sul Calvario (Gv 19,25-27) è anche
l’amore di Maria che, in collaborazione con il Figlio crocifisso e senza perdere
la fede in Lui, inizia a sconfiggere la morte in questa donna e madre dolorosa.
Sulla Croce l’amore vince il peccato e la morte, nel cuore di Maria l’amore
pregusta già questa vittoria di Dio. Il momento più buio della storia fa nascere
la luce dell’amore di questa povera donna, che Cristo può offrire al discepolo
e, tramite suo, alla Chiesa, affinché sia la casa della fede, della speranza e
della carità. Nel mistero dell’assunzione della Vergine la vittoria della carità
di Dio è compiuta realmente in eterno. In realtà, l’amore di Maria trapassa la
storia della Chiesa e la storia personale dei credenti. Nella sua carità la
Madre tocca l’ultimo momento della vita di ciascuno dei suoi figli. Esso si
esprime nella sua potente intercessione, che interessa l’ultima ora di ogni
persona. È la carità materna che si estende e avvolge la ora della morte e che
va anche invocata dai credenti. Il vescovo Tonino Bello (1935-1993) invocava la
Donna dell’ultima ora con una preghiera personale, che vogliamo far nostra:
«Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà ne barlumi del crepuscolo,
mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. È un esperienza che
hai già fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece buio su
tutta la terra. Questa esperienza ripetila con noi. Piantati sotto la nostra croce e
sorvegliaci nell’ora delle tenebre. Infondi nell’anima affaticata la dolcezza del
sonno. Che la morte, comunque, ci trovi vivi! Santa Maria, donna dell’ultima
ora, disponici al grande viaggio. Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura.
Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto. Se ci sarà il tuo visto non
avremo nulla da temere alla frontiera».
3.9. L’amore esemplare della Madre, l’esame di coscienza per i figli della
Chiesa
La carità urge la Chiesa e la impegni in un costante esame di coscienza.
Per una tale verifica, necessaria per rispecchiare la santità nella carità, la Chiesa
doge della compagnia di Maria e del suo compiuto rapporto con le virtù del
Figlio, le virtù teologali del cristiano. Maria, la credente che apre la speranza,
compie la sua vocazione nella carità. Così la vita divina non resta qualcosa di
irraggiungibile e gelosamente conservato presso Dio, ma Dio-Amore rivelandosi
nello stesso momento dello svelamento della buona notizia per il mondo,
comunica la sua virtù, al deposita nel cuore della Vergine. Nessuno nella Chiesa
non è solo: se Dio è con noi, ci resta vicina anche sua Madre. Lei, una di noi,
sorella nostra, mostra che la vita santa nella fede, speranza e carità è possibile,
offrendo il suo modello generoso da seguire.
Possiamo dire che «il giardino dell’Eden riaperto all’uomo è Maria: ella è
creazione nella quale Dio si contempla nella sua estasi d’amore fuori di Sé – ma
tutta protesa, come creazione, al compimento nell’Ipostasi del Verbo di Dio,
dove si contempla nella sua estasi d’amore in Se stesso (…) Maria, nel suo
modo, ricapitola la Chiesa come nuova creazione – è la Chiesa davanti al Verbo
di Dio, così Egli possa dire di essa: “Questa volta essa è carne della mia carne e
osso delle mie ossa” (Gen 2,23)»33. Il suo amore per Dio deve essere il nostro
per ritrovarsi nella Trinità come una moltitudine di figli.
4. Maria, icona della carità pastorale
Maria resta per ogni tempo della Chiesa anche l’icona della
carità pastorale, cioè dell’impegno zelante di portare a Cristo tutti coloro che
si incontrano nel cammino della storia. Il sacerdote o il religioso, che è
chiamato in modo, particolare alla carità pastorale, rivolta a fratelli e
sorelle, ai vicini e lontani, dovrà fare propri i sentimenti di Maria, affinché sappia inserirsi nel
mistero della Chiesa con il dono totale di sé, come lo richiede la comunicazione
dell’amore di Dio.
La risposta di Maria al dono dell’amore del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo è anche l’icona della carità dei pastori nella Chiesa attraversata
dall’offerta di sé, dal servizio disinteressato, dalla fecondità spirituale, dalla
responsabilità sacramentale, dalla capacità di compassione e di ascolto per poter
essere dispensatore del perdono e della riconciliazione. L’amore di Maria è
costituito dalla presenza dello Spirito Santo in lei con le sue virtù e doni, ed è lo
stesso Spirito, che ha sceso sulla Vergine che è l’anima della carità pastorale
della Chiesa, la sua linfa vitale, il suo nutrimento. Come la sposa dello Spirito è
proprio questa donna di Nazaret ad orientare con il suo esempio, per il futuro
della Chiesa, le modalità della carità pastorale. Certo, è Cristo che compie tutto
in noi, ma non senza la risposta dell’uomo e la prima piena riposta a lui a nome
dell’umanità fu data dalla vergine pia. I pastori della Chiesa hanno pertanto
bisogno del suo cuore materno per essere capaci di mostrare il volto caritatevole
della Chiesa.
La carità forma il fondamento stesso dell’annuncio pastorale della Chiesa.
Giovanni Paolo II lo ha più volta ricordato alla Chiesa, quando con zelo
preparava la Chiesa la terzo millennio. «L’uomo è amato da Dio! È questo il
semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo.
La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo
annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è “Via, Verità, Vita!”
(Gv 14,6). Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone
ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e
culture, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature, nelle quali
cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla
persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con
Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio»34.
Chi serve la Chiesa nel ministero ordinato, nella consacrazione della vita,
nei vari impegni e compiti ecclesiali, è in realtà chiamato ad essere
essenzialmente il testimone dell’amore, come lo fu Maria. Lo ribadiva ancora
Giovanni Paolo II: «Tante cose, anche nel nuovo secolo, saranno necessarie per
il cammino storico della Chiesa; ma se mancherà la carità (agape), tutto sarà
inutile. (…) La carità è davvero il “cuore” della Chiesa, come aveva ben intuito
santa Teresa di Lisieux, che ho voluto proclamare Dottore della Chiesa proprio
come esperta della scientia amoris: “Capii che la Chiesa aveva un Cuore e che
questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa (...) Capii che l’Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che
l’Amore era tutto”»35.
5. Pregando la Madre del bell’amore
Maria, che fu un vero gigante dell’amore, della carità
spirituale e corporale, può essere detta Madre della civiltà dell’amore… «In lei
vediamo il mondo rinnovato nell’amore»36. È la «Madre dell’amore perfetto»37,
«Madre del bell’amore»38. Ogni impegno cristiano di seguire l’esempio della
Madre inizia nella lode mariana. La preghiera apre le vie della parentela
spirituale, dell’assomiglianza, dello sforzo di imitare le virtù di Maria, la
sua fede pura, la speranza incrollabile e la carità spesa per la Carità.
L’orazione è il luogo dove si apprende il suo amore. In conclusione ci
affidiamo, pertanto, alla Madonna abbracciando, da una parte, una tradizione
locale di un popolo e, dall’altra, la tradizione universale della liturgia. Vogliamo ricordare innanzitutto come Maria è invocata nella sua carità
dai cristiani cubani. Il titolo molto caro ai Cubani è: la Vergine della Carità,
«Virgen de la Caridad de El Cobre», che fu proclamata Patrona di Cuba da Papa
Benedetto XV e da Giovanni Paolo II39 invocata in questo suo titolo
“dolcissimo” e “caritatevole” come Regina di Cuba e Madre di tutti i cubani. Da
ormai quattrocento anni nella Vergine del santuario di El Cobre, nei dintorni di
Santiago de Cuba, dove è conservata la statua miracolosa, visitata anche da Papa
Benedetto XVI40, si onora proprio il mariano volto della carità. Questa
particolare esperienza della Madre misericordiosa di una Isola ben arricchisce
il vissuto orante della Chiesa intera. Infine, facciamo nostra la preghiera
della liturgia eucaristica dedicata a Maria, Madre del bell’amore: «Guarda, o
Padre, all’umile tua serva, la Vergine Maria, che sta davanti a te rivestita
della gloria del tuo Figlio e adornata di ogni virtù e dono dello Spirito Santo;
per sua intercessione, concedi a noi di seguire ciò che è vero e giusto ai tuoi
occhi, per giungere alla fonte del santo amore (…) Aiutaci a progredire [oggi e
sempre] nella via del tuo santo amore»41. Come dicevamo, l’ispiratore di questi
Sabati mariani fu l’insegnamento e la testimonianza del Papa Francesco in questi
primi mesi del pontificato. Vorrei concludere con le sue parole della giornata
mariana dell’Anno della fede: «E io mi domando – diceva il Papa –: sono un
cristiano “a singhiozzo”, o sono un cristiano sempre? La cultura del
provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di
essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a
volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si
stanca di tenderci la mano per risollevarci, di incoraggiarci a riprendere il
cammino, di ritornare a Lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua
forza. E questo è il cammino definitivo: sempre col Signore, anche nelle nostre
debolezze, anche nei nostri peccati. Mai andare sulla strada del provvisorio.
Questo ci uccide. La fede è fedeltà definitiva, come quella di Maria»42. Questo
è un cammino di speranza, con Maria. Maria è sempre vicina alle comunità, ai
fratelli, cammina con loro, soffre con loro, e canta con loro il Magnificat
della speranza43.
NOTE
1 Redemptor hominis, 4 marzo 1979, n. 22.
2 Ivi, n. 14a.
3 Ivi, n. 14c.
4 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 10
novembre 1994, n. 49.
5 Cfr nn. 10-12.
6 Angelus, Castel Gandolfo, 15 agosto 2013, cpv. 1.
7 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo
nel mondo attuale, 24 novembre 2013, n. 287.
8 Qualcuno ha azzardato già di intravvedere nei tre ultimi Papi – i Pontefici delle virtù:
come nel pontificato di Giovanni Paolo II veniva con particolare forza riportata al mondo la
speranza, con il pontificato di Benedetto XVI veniva rinvigorita la fede, nei primi passi del
proprio cammino il pontificato di Francesco ha privilegiato la tonalità di una spiccata carità.
9 Come è noto, d’altronde, ogni Pontefice porta alla Chiesa la sua devozione mariana e
attraverso la propria sensibilità mariana ripropone e forma la fede, la dottrina e la devozione
di Maria Vergine. Così in ogni pontificato osserviamo questo geniale connubio tra il mistero
di Pietro e mistero di Maria. Ogni Papa lo arricchisce con suo proprio approccio personale.
Così fu con beato Giovanni XXIII e con servo di Dio Paolo VI, così fu con la
potente sensibilità mariana di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI. Ognuno ha offerto qualcosa del
proprio per dipingere sempre meglio l’immagine della Madre. Paolo VI ha rinforzato e
rinnovato il culto e la devozione (il Papa de Marialis cultus), Giovanni Paolo II ha rinvigorito
la presenza di Maria nella dottrina e nella vita della Chiesa (il Papa della Redemptoris mater),
Benedetto XVI ha riportato alla luce una spiccata mariologia dei Padri della
Chiesa (il Papa di Maria, donna della fede, speranza e carità).
10 FRANCESCO, Omelia del 3 gennaio 2014, cpv. 6.
11 PAOLO VI, Esortazione Apostolica Signum magnum sulla necessità di venerare e
imitare la Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa e esempio di tutte le virtù, 13 maggio
1967, nn. 6.2.
12 Cfr J. ALFARO, Esistenza cristiana, PUG, Roma 1996, 185-197. Si vedano anche:
S.P. BONANNI, L’amore che spera e crede. Nella traccia della storia, fra antropologia e
teologia, Gregorian Press, Roma 2010; K. RAHNER, «Amore», Sacramentum Mundi.
Enciclopedia teologica, Morcelliana, Brescia 1974, 61-82.
13 San Tommaso spiega la relazione tra l’amore di Dio e quello del prossimo: «la
ragione che motiva l’amore del prossimo è Dio: infatti nel prossimo dobbiamo
amare il suo inserimento in Dio. Perciò è evidente che sono identici nella
specie l’atto col quale si ama Dio e quello col quale si ama il prossimo. Per
questo l’abito della carità si estende non solo all’amore di Dio, ma anche a
quello del prossimo» (Summa Theologiae, II-II, q. 25, a. 1,
risp.).
14 Cfr P. CODA, L’agape come grazie e libertà. Alla radice della teologia e della prassi
dei cristiani, Città nuova, Roma 1994.
15 Summa Theologiae, II-II, q. 23, a. 5, risp. In un’altra opera precisa ancora circa
l’agape soprannaturale: «la carità è amicizia, ma aggiunge qualche cosa all’amicizia stessa,
ovverosia la specificazione dell’amico; perché è l’amicizia verso Dio, che è la cosa più
preziosa e più cara di tutte» (III Sent., d. 27, q. 2, a. 1, ad 7). Cfr G.M. CARBONE,
Ma la più
grande di tutte è la carità, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2010.
16 Cfr Summa Theologiae, II-II, q. 13, a. 2.
17 Cfr Summa Theologiae, II-II, qq. 28-30.
18 Cfr Summa Theologiae, II-II, q. 2, a. 1, risp.
19 Cfr Summa Theologiae, II-II, q. 23, a. 6.
20 Cfr Summa Theologiae, I, q. 38, a. 2. Circa l’inabitazione della Trinità nell’anima
attraverso la carità si vedano invece: I, q. 43, aa. 5-7 e q. 93.
21 PAOLO VI, Angelus Domini, 8 dicembre 1974, cpv. 5.
22 Redemptor hominis, n. 22.
23 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Angelus, 9 gennaio 1994, n. 3.
24 Testi mariani, vol. II, 231.
25 N. 41. Cfr E.M. TONIOLO, ed., Maria testimone e Serva di Dio-Amore, Fine d’anno
con Maria 27, Centro di Cultura Mariana, Roma 2007; D. KULANDAISAMY, «Maria icona
biblica della carità», Santa Maria Regina Martyrum 12 (2009) 3-9.
26 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Dominum et vivificantem sullo Spirito Santo
nella vita della Chiesa e del mondo, 18 maggio 1986, n. 10.
27 Cfr A. VANHOYE, Per progredire nell’amore, Edizioni ADP, Roma 1989,
11ss.; C.M. MARTINI, Su sentieri della visitazione, Ancora, Milano 1996.
28 FRANCESCO, Discorso, 31 maggio 2013, cpv. 1.
29 Redemptoris Mater, n. 37. Cfr P. CODA, L’agape come grazie e
libertà. Alla radice della teologia e della prassi dei cristiani, Città
nuova, Roma 1994, 153-157.
30 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Veritatis splendor circa lacune
questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, 6 agosto 1993, n.
120.
31 Angelus, 17 marzo 2013, cpv. 3.
32 Cfr Angelus, 15 settembre 2013.
33 G.M. ZANAGHÌ, Dio che è amore. Trinità e vita in Cristo, Città nuova,
Roma 1991, 168.
34 Christifideles laici, n. 34.
35 Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte al termine del grande giubileo dell’anno
2000, 6 gennaio 2001, n. 42. Più avanti aggiunge: «Dalla comunione intra-ecclesiale, la carità
si apre per sua natura al servizio universale, proiettandoci nell’impegno di un amore operoso
e concreto verso ogni essere umano. È un ambito, questo, che qualifica in modo ugualmente
decisivo la vita cristiana, lo stile ecclesiale e la programmazione pastorale. Il secolo e il
millennio che si avviano dovranno ancora vedere, ed anzi è auspicabile che lo vedano con
forza maggiore, a quale grado di dedizione sappia arrivare la carità verso i più poveri. Se
siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto
nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi: “Ho avuto fame e mi avete
dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt
25,35-36). Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che
proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo. Su questa pagina, non meno che sul versante
dell’ortodossia, la Chiesa misura la sua fedeltà di Sposa di Cristo» (ivi, n. 49).
36 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia sull’Eucaristia nel
suo rapporto con la Chiesa, 17 aprile 2003, n. 62.
37 GIOVANNI PAOLO II, Preghiera a Fatima, 13 maggio 1991, n. 2; Discorso, 7
settembre 1991, n. 5; Omelia, 24 marzo 1980, n. 3; Omelia, 20 giugno 1983, n. 11. Cfr Sir
24,24: «Madre del puro amore».
38 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente, 10 novembre
1994, n. 59; Omelia, 1° maggio 1979; Lettera Apostolica Dilecti Amici, 31 marzo 1985, n. 10;
Atto di affidamento, 15 agosto 1991, cpv. 3; Lettera alla famiglie, 2 febbraio 1994, n. 20;
Angelus, 24 aprile 1994, n. 3; Angelus, 3 luglio 1994, n. 3; Udienza, 13 febbraio 2002, n. 3;
etc. Como è noto, questo titolo fu uno dei prediletti dal Papa polacco e nella sua lingua natale
suona: «Matka pięknej miłości».
Si veda anche: BENEDETTO XVI, Messaggio, 21 novembre 2006, cpv. 5;
Discorso, 15 settembre 2007, cpv. 10; Angelus, 8 dicembre 2007, cpv.
3; etc.
39 Cfr Omelia e Angelus, 28 gennaio 1998, Discorso, 25 gennaio 1998.
40 Si veda: BENEDETTO XVI, Discorso, 26 marzo 2012 e Omelia,
Santiago de Cuba, 27 marzo 2012.
41 Messe della Beata Vergine Maria. Raccolta di formulari secondo l’anno
liturgico, Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano 1989, Formulario, n. 36: Maria Vergine Madre del bell’amore,
116-119.
42 Omelia, 13 ottobre 2013, n. 2.
43 Cfr FRANCESCO, Omelia, Castel Gandolfo, 15 agosto 2013, cpv. 5.