Un articolo su Madonna della Neve, n. 7
agosto/settembre 2021, pp.8-9.


Si conosce ben poco della vita e della personalità di Nicola di Sant'Albano,
eppure il suo pensiero mariano è stato molto studiato a causa della sua presa di
posizione in favore della verità della concezione immacolata. Non conosciamo
l'anno di nascita, ma sappiamo che nel 1141 Nicola era priore dell'abbazia
benedettina di Sant'Albano, nello Hertfordshire, e forse ne divenne anche abate.
La sua morte e da datarsi dopo il 1174. É
stato protagonista di una controversia scoppiata fra lui e Pietro di Celle, che
chiamava in causa l'insegnamento di san Bernardo. Nicola aveva scritto un
trattato in favore della celebrazione della festa della Concezione di Maria
contro il santo di Chiaravalle che, nella sua lettera ai canonici di Lione, si
era dichiarato contrario a questa celebrazione. In difesa di Bernardo era
insorto Pietro di Celle con una lettera indirizzata a Nicola, il quale a sua
volta rispose ribadendo la sua posizione. Il trattato di Nicola ha notevolmente
contribuito al progresso della dottrina favorevole alla concezione immacolata.
Egli espone il problema in termini di esenzione del peccato originale e di
pienezza di grazia fin dall'istante dell'infusione dell'anima nel corpo; e
definisce questo privilegio come un dono assolutamente eccezionale da parte del
Figlio alla Madre. L'argomentazione del benedettino inglese muove all'interno
della storia della salvezza: «Siccome quelli che dovevano essere redenti
dovevano essere liberati dalla corruzione, era necessario che il prezzo della
redenzione fosse incorrotto. Per questo fu scelta una madre vergine, affinché
[il Redentore] nascesse incorrotto da una vergine, immacolato da una donna pura,
unico da una donna singolare, affinché il Figlio, che in cielo era tale quale il
Padre, così in terra fosse tale quale la Madre».
Gesù è tutto da Maria
In questo Maria è accomunata al Precursore, del quale si festeggia la natività:
«Pur essendo simili agli altri uomini per la condizione di natura, ne furono
dissimili per il merito, essendo stati elevati al di sopra degli altri da un
dono di grazia». É chiara l'allusione al
privilegio riconosciuto a Giovanni Battista, quello di essere stato santificato
nel grembo della madre. «Ma ciò che la beata Madre di Dio ha di singolare,
diversamente da Giovanni, lo ha in comune con colui che ella ha generato, ossia
la celebrazione del concepimento. Ciò che il figlio dell'uomo ha in comune con
l'uomo [ovvero la natura umana], la Madre lo accoglie quale dono singolare in
occasione del gioioso concepimento, con la grazia dell'annunciazione. Egli
infatti non è stato concepito da seme virile, ma per intervento dello Spirito
Santo. Invece la beata Madre sua è stata bensì generata conformemente alla
natura comune degli uomini da un amplesso virile, ma secondo una grazia
speciale, in vista della comune salvezza degli uomini». Sembra chiaro che la
piena santità dell'umanità di Cristo deriva dal fatto che la sua carne non ha
avuto a che fare con seme virile; nel caso di Maria, invece, in forza di una non
ben precisata «grazia speciale». Che cosa significhi questo, Nicola non
sembra in grado di spiegarlo: «La grazia di questa generazione in parte la
conosciamo, in forza dell'esperienza che abbiamo del beneficio concesso; in
parte la ignoriamo piamente, a causa della complessità del mistero nascosto».
Complessità che il religioso benedettino accomuna al mistero dell'assunzione: «Il
modo della trasmissione, come del resto anche quello dell'assunzione, la pietà
cristiana ha scelto di tenerlo nascosto sotto il sigillo dell'ignoranza. In
effetti, se sia stata assunta con il corpo o se sia morta lasciando quaggiù il
suo corpo, secondo quanto dice Girolamo,1
è più saggio ignorarlo piamente piuttosto
che affermare temerariamente qualcosa che non può essere provato dall'autorità
delle Scritture». Nicola, dunque, si pone positivamente sul versante
dell'immacolata concezione, ma senza essere in grado di offrire una spiegazione
teologicamente accettabile: «Se la Chiesa insegnasse infatti che [Maria] è
stata generata attraverso la trasmissione del peccato, temerebbe di oltraggiare
la sua così grande integrità; invece escludere il peccato, sembrerebbe recare
pregiudizio alla singolarità del Verbo che doveva incarnarsi».
Nel cuore del mistero
In fondo, Nicola si muove secondo la prospettiva agostiniana condivisa anche dai
detrattori della concezione immacolata: il peccato originale viene trasmesso
materialmente attraverso l'azione generatrice da parte del genitori in forza
della libidine che la caratterizza. Nel caso di Maria si può immaginare una
sorta di attenuazione (forse sospensione) di questa condizione.
É quello che
cerca di dire Nicola, attingendo anche ai racconti apocrifi. «I genitori
della Vergine furono dunque dotati di una conveniente bontà di costumi e
pertanto degni senza dubbio di procreare una così degna prole. Essi, al comando
dell'angelo, fecero lecito uso dell'onesta funzione della concupiscenza,
cosicché senza peccare, o peccando lievissimamente, generarono la distruttrice
del peccato. [ ... ] É ancora più probabile
che la libidine mancasse del tutto, dal momento che, in coloro che sono svegli
e nei dormienti che non desistono da un uso casto della mente, sovente avviene
una polluzione senza la sensazione della libidine e non si avverte ciò che è
avvenuto nei sensi». Questo, infatti, sarebbe stato il modo con cui
avrebbero generato Adamo ed Eva se non avessero peccato: «Certamente
avrebbero generato come oggi, mediante la medesima congiunzione carnale, ma
senza il vizio di un istinto vergognoso. I genitori che meritarono di generare
la riparatrice della natura, non dovettero generarla mediante l'uso della natura
corrotta». Insomma, l'ipotesi di Nicola è una sorta di sospensione e/o
attenuazione degli effetti del peccato originale. «Ma la madre Chiesa non può
ricorrere ad una testimonianza certa della Scrittura canonica, che dica se la
restauratrice dell'integrità è stata concepita secondo la modalità introdotta
dalla nostra corruzione, oppure nel modo originario che salvava l'integrità e
che non fu mai sperimentato prima del peccato. Confessando di ignorare piamente
le due possibilità, non dimostra che sia stata concepita nella libidine, e
neppure nega che lo sia stata senza libidine».
1 Ma in realtà Pascasio Radberto,
nella lettera "Cogitis me"
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