Un approfondimento di Maria Giovanna Muzj in Riparazione mariana, 1991/2, pp. 7-10.
INTRODUZIONE
Maria, la Vergine Madre, ha vissuto in pienezza, nella fede, la triplice dimensione storica del mistero cristiano: il prima, il dopo, il non ancora. Un viaggio attraverso l'iconografia mariana evidenzia come la Vergine raffigurata in atteggiamento di Orante è in rapporto alle due venute del Signore Gesù. La vita cristiana è fortemente caratterizzata dalla dimensione storica; tutto quanto riguarda il mistero della fede si rifà alla storia della salvezza: non un tempo ciclico, che ritorna implacabilmente su se stesso, ma un tempo unidirezionale, che si apre sull'eternità. In questa storia di Dio, che si manifesta all'uomo salvandolo, c'è un prima, un dopo e un non ancora:
- il prima è il tempo dell'attesa della manifestazione piena del Dio salvatore;
- il dopo è il tempo del Cristo che si prolunga in quello della Chiesa;
- il non ancora anticipa la fine dei tempi, quando Cristo si manifesterà a tutti nella gloria e allora il tempo non sarà più.
Questa dimensione storica è sempre presente alla Chiesa che la proclama in ogni celebrazione eucaristica: «Annunciamo la tua morte Signore... nell'attesa della tua venuta». Tale attesa è il mistero stesso della vita della Chiesa e dei suoi membri, dalla Pentecoste alla Parusia del Signore. Maria, la Vergine Madre, ha vissuto in pienezza, nella fede, questa triplice dimensione. Considerando la sua persona, a partire da quella contemplazione simbolica del mistero cristiano, cercheremo di individuare, per immagini, le caratteristiche salienti del suo atteggiamento in rapporto ai diversi tempi della storia salvifica. Procederemo dunque alla luce dell'iconografia mariana, considerando la prima venuta nella storia, la seconda venuta alla fine dei tempi e il tempo intermedio, che è il tempo della Chiesa, ovvero della presenza invisibile del Signore risorto nelle anime dei credenti. Nel far questo, cercheremo di lasciarci ammaestrare dall'insegnamento positivo delle opere figurative, senza volerne forzare il messaggio. Questo viaggio ci riserva non poche e non piccole scoperte!
LA PRIMA VENUTA NELLA STORIA
La prima venuta è la venuta nella storia: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,5).
La Vergine Orante
II tempo della vita di Maria che precede l'istante del passaggio tra il prima e il dopo - l'Annunciazione - e che la tradizione cristiana, esprimendo simbolicamente la sua intuizione spirituale ha visto riempito dalla sua permanenza, consacrata a Dio, nel tempio di Gerusalemme, è tipo dell'attesa di salvezza da parte di tutta l'umanità, del popolo d'Israele, della Chiesa storica, del singolo credente. Un'antica immagine si riferisce esplicitamente a questo tempo della vita di Maria, raffigurandola in atteggiamento di Orante. Si tratta di una illustrazione di fattura molto semplice, incisa su una lastra di marmo attribuita al V-VI secolo e ritrovata nella chiesa di Saint Maximin in Provenza. L'iscrizione dice: «Maria Vergine consacrata al servizio del Tempio». Presso tutti i popoli dell'antichità (Babilonesi, Egiziani, Greci, Romani) e anche presso il popolo d'Israele, l'atteggiamento della preghiera è simboleggiato dal gesto delle braccia allargate, con le palme delle mani rivolte verso l'alto, compiuto in piedi. Si legge nella Scrittura: «Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 141,2); «Ascolta la voce della mia supplica quando ti grido aiuto, quando alzo le mie mani verso il tuo tempio» (Sal 28,2); «Alzate le mani verso il tempio e benedite il. Signore» (Sal 134,2); «Voglio dunque che gli uomini preghino alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese» (1Tm 2,8). Commenta A. Virel, studioso di religioni antiche: «Le braccia alzate esprimono uno stato passivo, ricettivo. E' l'azione corporea che cede il passo alla partecipazione spirituale...». E B. Laeng, in uno studio sulle icone spiega che se vediamo le mani come un sostituto iconografico universale della parola, è facile notare nella loro elevazione l'innalzamento delle parole verso l'alto, cioè della preghiera (cf Le icone. Uno studio psicologico dell'arte sacra, Roma 1990, p. 163-164). Osserviamo però che questo gesto non manifesta solo passività ma, nella misura in cui presuppone uno sforzo, esprime anche un'attività libera del soggetto che lo compie. La descrizione di Mosè al momento della battaglia contro Amalek può essere un esempio per tutti: «Quando Mosè alzava le mani Israele era più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le mani» (Es 17,11-12). Anche tra i cristiani il gesto dell'elevazione delle mani era il gesto della preghiera; esso si arricchiva però di un significato nuovo, attraverso il riferimento specifico alla Passione del Signore. Tertulliano (II sec.) ce ne offre una bellissima spiegazione: «Noi non alziamo soltanto le braccia ma le allarghiamo e, imitando così la Passione del Signore, pregando noi professiamo la nostra fede in Cristo» (Orationes 14,1). L'arte paleocristiana assume il tipo dell'Orante dall'iconografia funeraria corrente. Nei primi secoli tale tipo fu usato comunemente per rappresentare i cristiani defunti in genere, poi, a partire dalla fine del IV secolo, fu riservato ai martiri e alla Madre di Dio. La figura in piedi con le braccia simmetricamente levate dispiega tutta la sua ricchezza simbolica, quando viene applicata alla Vergine Maria: il gesto della mano con il palmo verso l'alto esprime l'attesa del dono da parte di Dio e al tempo stesso la totale disponibilità ad essere «colmati dall'alto». La Vergine orante simboleggia così non solo l'atteggiamento proprio dell'attesa di fede, ma anche il legame di necessità che c'è tra il gesto di apertura totale al Dio vivente e la venuta stessa di Dio. In questo modo l'immagine dell'Orante diventa anche immagine dell'Incarnazione. Questo collegamento con il mistero dell'Incarnazione si trova nel tipo della Vergine orante con il Bambino, chiamata dai cristiani russi «Vergine del Segno», in riferimento alla profezia di Isaia: «Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Qui la Vergine presenta al mondo il segno della salvezza: l'Emmanuele; non è la Vergine che ha già concepito. Comprendiamo bene allora come proprio questa icona venga a trovarsi al centro dell'ordine dell'antico Testamento nell'iconostasi delle chiese d'Oriente: la Vergine orante è realmente la Vergine dell'Avvento! Tutto quanto abbiamo detto e diremo vale in primo luogo per Maria e può riferirsi ugualmente alla Chiesa e alla singola anima. Spiega Isacco della Stella (XII sec.): «Nelle Scritture divinamente ispirate quel che è detto in generale della vergine madre Chiesa, s'intende singolarmente della Vergine Madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della Vergine Madre Maria, va riferito in generale aita vergine madre Chiesa; e quanto si dice di una delle due, può essere inteso indifferentemente dell'una e dell'altra. Anche la singola anima fedele può essere considerata sposa, del Verbo di Dio, madre, figlia e sorella di Cristo, vergine feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l'anima fedele, dalla stessa Sapienza di Dio che è il Verbo del Padre». Il tipo della Vergine orante contiene simbolicamente tutta la gamma dei temi dell'attesa e dell'apertura creaturale al dono di Dio. Vediamo ora il tipo iconografico che raffigura Maria in rapporto alla venuta nella storia del Verbo di Dio salvatore.
La Maestà della Theotòkos
Certo, viene spontaneo pensare che ogni immagine di Maria con il Bambino, cioè ogni immagine in cui ella appare come sua madre, esprime i mistero dell'Incarnazione. Ma se i linea generale questo è pur vero, noi vogliamo lasciarci ammaestrare dalla testimonianza delle opere figurative in nostro possesso. Ora, che cosa possiamo costatare? Che il tipo iconografico più antico di Maria con il Bambino, raffigurati a sé stanti, deriva direttamente dalla scena dell'Adorazione dei Magi. Ben presto, tuttavia, per esprimere la maestà di questo Bambino nel quale avviene l'epifania del Dio vivente (maestà che naturalmente si riflette nella Madre), gli artisti cristiani cambiano l'andamento laterale della scena, rendendola frontale e simmetrica: lo sganciamento dei personaggi laterali dei Magi (divenuti due o quattro per ragioni di simmetria) o la loro sostituzione con altri personaggi diventa allora estremamente facile. Se poi osserviamo le numerose composizioni di Maria con il Bambino che dal VI al XIII secolo circa vanno ad ornare i catini absidali delle chiese di tutta la cristianità, noteremo che spesso ci troviamo di fronte a questo stesso tipo risalente almeno al V secolo. Tale scelta era certo ritenuta estremamente significativa, tanto da giustificarne la preferenza per tanti secoli e su un'area geografica molto vasta. A noi ora approfondirne il messaggio simbolico espresso dalla disposizione dei due personaggi principali in rapporto uno all'altro, ed entrambi in rapporto allo spazio circostante. A parte quegli aspetti che rientrano nel linguaggio simbolico globale dell'espressione del divino e dello spirituale (frontalità, immobilità, assenza di peso e di volume, fondo d'oro), comuni anche alle raffigurazioni della maestà di Cristo, ciò che caratterizza queste composizioni è l'assialità della figura del Bambino rispetto a quella della Madre e l'andamento verticale di tutta la composizione. In realtà sarebbe più giusto dire l'assialità della figura della Madre nei confronti del Bambino, poiché la sua figura è in funzione di quella del Figlio e non viceversa. La Vergine Madre si trova in secondo piano anche cromaticamente: il blu scuro del suo mantello crea infatti una profondità sulla quale si stacca il Bambino-Dio che indossa il mantello d'oro del Signore glorioso. Con la sua figura, Maria magnifica ed esalta, nel senso dell'altezza, quella del Figlio. E questi, a sua volta, è tutto nel senso della verticalità: così, anche quando la Madre siede in trono, la posizione del Bambino non è naturale; egli non appare seduto, appoggiato alla Madre in modo realistico, ma quasi in piedi. Le mani della Madre, il più delle volte leggermente appoggiate sulle spalle o alle braccia del Bambino, esprimono prossimità e protezione delicata, senza alcun gesto di possesso. Nell'insieme la figura di Maria non esprime nessuna attività: la sua unica funzione è quella di presentare al mondo il figlio Gesù. A differenza della Madre, Cristo è raffigurato nell'atto di agire: è lui che rivela «il mistero avvolto nel silenzio dei secoli eterni» (Rm 16,25) - la sinistra regge il rotolo della Legge di vita; è lui che salva e redime - la destra benedice. In queste composizioni non risulta nessuno scambio affettivo tra Madre e Figlio: guardano infatti entrambi avanti a sé. La pura presenza dell'uno all'altra esprime simbolicamente che essi formano una diade - unità inseparabile di due - e che questa diade è tutta orientata in senso verticale. Lo schema simbolico fondamentale che sottosta a questo tipo iconografico è quello dell'asse del mondo, raffigurato simbolicamente anche come colonna o torre o scala. Si spiega così la visione di Giacobbe, tradizionalmente riferita alla figura di Maria: «[Giacobbe] fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Allora Giacobbe sì svegliò dal sonno e disse: "Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo" » (Gn 28,12.16-17). E si spiegano anche quelle invocazioni delle Litanie che riprendono in un linguaggio poetico le figure: della scala (nel suo equivalente simbolico che è la torre), della casa, cui questa scala conduce, della porta che da accesso alla dimora celeste: «Turris davidica»; «Turris eburnea»; «Doraus aurea»; «lanua coeli». Si potrebbe dunque dire che questo tipo iconografico - sia nella sua forma più frequente, con la Vergine Madre seduta in trono, sia in quella dove la Vergine sta in piedi - presenta Maria nella sua funzione unica di Theotòkos, genitrice dì Dio. Qui il mistero dell'Incarnazione è considerato nel suo aspetto ontologico di riunione del cielo e della terra, del divino e dell'umano. Il disegno del Padre infatti è «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra» (Ef 1,10). Tale ricapitolazione si è svolta attraverso la discesa e poi l'ascesa del Verbo incarnato lungo un simbolico asse cosmico che collega di nuovo la terra al cielo (cf Ef 4,8-10). Nell'arte cristiana Maria costituisce lei stessa visivamente questo asse verticale che collega la terra al cielo: l'umanità che il Verbo di Dio ha ricevuto da lei è stata scelta nel disegno provvidenziale della Trinità, per essere asse di congiunzione tra la terra ed il cielo: «Dio diede a Maria il Figlio suo unico che aveva generato dal suo seno uguale a se stesso e che amava come se stesso, e da Maria plasmò il Figlio, non un altro, ma il medesimo, in modo che secondo la natura fosse l'unico e medesimo Figlio comune di Dio e di Maria. Dio creò ogni creatura, e Maria generò Dio: Dio che aveva creato ogni cosa rifece lui stesso creatura di Maria, e ha ricreato così tutto quello che aveva creato» (Sant'Anselmo). Il ruolo di Maria nell'Incarnazione è unico: da lei sola il Verbo prese carne. Ma il messaggio simbolico di queste immagini cristiane si applica anche alla maternità della Chiesa e della singola anima: infatti, analogamente alla Vergine Maria, la Chiesa e l'anima credente, generando Cristo nella fede, hanno un'unica funzione: presentare Cristo al mondo.
IL TEMPO DELLA CHIESA
San Carlo Borromeo, a proposito dell'Avvento e della presenza del Cristo Signore nelle anime dei credenti, dice che la grazia della prima venuta del Signore nel tempo è sempre attuale se, per mezzo della fede e dei sacramenti, noi l'accogliamo e ordiniamo la nostra vita nell'obbedienza ad essa (cf Lettere pastorali: Lettera sopra l'Avvento, in Acta Ecclesiae Mediolanensis, t. 3, p.481). L'accento è dunque posto sulla vita del cristiano, fondata sulla visione di fede, sull'incorporazione a Cristo attraverso i sacramenti e sulla docilità allo Spirito (l'«obbedienza alla grazia», di cui parla san Carlo). I tipi iconografici mariani che corrispondono a questa situazione esistenziale del cristiano saranno dunque quelli che esprimono simbolicamente un simile modo di vivere; da una parte la «visione dell'invisibile» propria della fede (cf Eb 11,27), dall'altra il rapporto personale di discepolato, di imitazione e di adesione profonda al mistero di Cristo. Il modulo iconografico della Vergine orante in mezzo agli apostoli, sotto ad una teofania del Signore glorioso, è il modello dell'atteggiamento della fede che «vede» il Signore risorto presente e operante nella Chiesa e nel singolo credente. Vi sono poi due tipi iconografici mariani: la Vergine Hodighitria e la Vergine detta della Tenerezza, i quali visualizzano entrambi, con intensità e modalità diverse, la relazione interpersonale che unisce la Vergine e il Figlio e quindi sono modello del rapporto personale di sequela e adesione totale alla persona di Cristo.
La Vergine orante tra gli apostoli
Incominciamo dunque dalla Vergine orante al centro del gruppo degli apostoli e sotto ad una raffigurazione del Cristo glorioso. Questo schema, anche se il più delle volte appare legato all'evento dell'Ascensione, è autonomo, come lo dimostrano le composizioni absidali delle cappelle copte del VI-VII secolo. D'altra parte, l'evento dell'Ascensione, configurandosi ben presto quale contemplazione del mistero della presenza invisibile del Signore glorioso in mezzo alla sua Chiesa, non è stato raffigurato nel suo aspetto temporale storico: nel Cristo che vediamo nella parte superiore di queste immagini, gli artisti non intendono raffigurare il Cristo storico del momento dell'Ascensione, ma una visione teofanica visibile solo con gli occhi della fede. Quanto questo sia vero ce lo dice sia la presenza stessa di Maria in mezzo agli apostoli, alla quale i Vangeli non fanno nessun riferimento esplicito, sia l'importanza primaria significata dal posto centrale attribuitole. La Madre di Dio non tiene alcun libro tra le mani, né fa il gesto di colui che insegna, ma è di nuovo raffigurata come Orante. Immobile, al centro degli apostoli, spesso raffigurati negli atteggiamenti movimentati dei testimoni di una visione, Maria è invece colei che vede a faccia a faccia nella visione atemporale della fede il Signore della gloria, invisibile agli sguardi corporei; quel Signore che ha detto: «lo sono con voi tutti I giorni, fino alla fine del mondo» (Mt28,20). Non dunque una visione temporanea, ma uno «stare alla presenza di». «Stabat Mater»: questo stare in atteggiamento di elevazione e di fiduciosa apertura al dono dall'alto non vale solo per la Croce, ma è l'espressione simbolica dell'atteggiamento interiore che ha caratterizzato tutta la vita di Maria, la sua fede incrollabile nell'adempimento della parola del Signore. La Vergine orante, al centro degli apostoli, appare così quale modello e al tempo stesso figura della Chiesa nell'aspetto più interiore e segreto della sua vita: Maria, la Chiesa, l'anima è colei che vive nella fede, alla presenza del Signore Gesù, il Signore della storia, il quale tornerà alla fine dei tempi. Qui il significato di apertura attiva al dono dall'alto, proprio dell'Orante, acquista una nuova determinazione per la presenza simultanea, sulla verticale, della figura del Signore glorioso. L'Orante appare così direttamente in funzione di Cristo, mentre il cerchio della mandorla di gloria che avvolge il Signore trova la sua rispondenza terrena nella coppa disegnata dalle braccia dell'Orante.
L'Hodighitria
Originariamente questo tipo iconografico presentava la Madre in piedi o seduta in trono con il Bambino in braccio. Solo per ragioni di comodità, con il diffondersi delle immagini portatili, la figura evolve, presentandosi il più delle volte in una composizione a mezzo busto. Tre elementi caratterizzano questo tipo: la collocazione laterale del Bambino, seduto sul braccio della Madre; la posizione eretta di Madre e Bambino; il gesto che Maria compie con la destra. Qui il significato primario della verticalità della figura non è in funzione dello spazio circostante, come nel caso precedente della Maestà, ma in primo luogo in funzione del rapporto reciproco tra i due personaggi. Non a caso la denominazione Hodighitria - legata al nome del monastero «delle guide» di Costantinopoli, dove era venerata la più antica raffigurazione della Vergine Madre portante questo nome - acquista ben presto un significato personale, diventando «Colei che indica la via». La posizione di Maria, in quanto espressione di una modalità del suo rapporto al Figlio, partecipa del simbolismo universale della stazione eretta: questa, legata al primo sforzo dell'uomo per sollevarsi da terra, è espressione dello stato di veglia e della prontezza a mettersi in cammino e, dal punto di vista etico, simboleggia l'ascensione, la lotta virile, ma anche la lucidità e la rettitudine morale (cf Ch. A. Bernard, Teologia simbolica, Roma 1984, p. 191). Maria è colei che ha percorso l'itinerario della fede camminando nella fiducia «senza sapere dove andava» (Eb 11,8), unicamente seguendo il Figlio. La sua mano estesa verso di lui lo indica al tempo stesso quale via da percorrere e quale termine già raggiunto, poiché la Via è lui stesso (cf Gv 14,6). Il Bambino-Dio nelle braccia della Madre testimonia infatti che Colui il quale per sua natura è irraggiungibile ha colmato l'abisso invalicabile che ci separava da lui. In questo modo l'immagine dell'Hodighitria riassume simbolicamente l'atteggiamento del cristiano che vive nella fede e cammina con coraggio «senza sapere dove va» (Eb 11,8), ma riconosce il Signore invisibile presente accanto a sé. Volutamente ripreso dal tipo iconografico dell'Intercessione, il gesto della mano libera estesa, oltre ad avere un significato indicativo, ha anche la valenza della supplica, come vedremo più avanti.
La Vergine della Tenerezza
Ciò che distingue questo tipo iconografico da quello dell'Hodighilria è la posizione reciprocamente inclinata della Madre e del Bambino, è il fatto che il Bambino guarda la Madre. Ma anche in questo caso le prime composizioni presentavano la Vergine Madre seduta o stante. II movimento parte dal Bambino: è lui che stringendosi alla Madre guancia a guancia, e spesso passandole anche un braccio intorno al collo, cambia completamente la struttura della composizione a due e la rende un unico blocco. Ciò che è primo, è l'espressione della tenerezza del Figlio verso la Madre. Ora, la tenerezza è il sentimento generato dalla percezione della vulnerabilità dell'essere amato. Questa tenerezza materna, unita al senso della trasmissione della vita; di una vita sempre minacciata nella sua fragilità essenziale, Dio stesso se l'attribuisce al fine di spiegare in termini umani la qualità del suo amore per gli uomini: «lo li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Qs 11,4). Il Bambino guarda la Madre: che cosa significa questo sguardo? Vi si può riconoscere prima di tutto il riflesso dello sguardo creatore: Dio ha guardato con amore l'uomo, sua creatura, e così guardandola l'ha fatta «a sua immagine». Non però in un senso statico, bensì imprimendo in lei il dinamismo stesso di questo sguardo. Come fa notare felicemente P. Waaijman, rilevando una espressione del Siracide (17,7), è «lo sguardo di Dio» deposto «nel cuore dell'uomo» che riconosciuto a poco a poco dalla creatura la muove e la spinge a trasformarsi in questo stesso sguardo e a diventare così «immagine di Dio». E commentando un'affermazione del Cantico spirituale (12,7) di san Giovanni della Croce, lo stesso autore spiega: «Anche qui il significato più profondo di immagine di Dio è il dinamismo dell'unificazione con Dio: la trasformazione attraverso e nell'amore, che inizia con un abbozzo del viso dell'Amato a livello della volontà e sfocia in una unificazione nell'amore in cui 'l'Amato è riprodotto in maniera così viva e fedele da potersi veramente dire che l'Amato è nell'Amante, e. che l'Amante vive nell'Amato» (K. Waaijman. «Imago Dei» nella Bibbia, in L'antropologia dei maestri spirituali, Milano 1991, p.51). «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1,31): nello sguardo straordinariamente intenso del Verbo incarnato posato su Maria si può forse riconoscere non solo il «primo» sguardo di Dio - lo sguardo creatore e vivificatore - ma anche quello che, dal punto di vista umano, potrebbe essere chiamato il suo «secondo» sguardo: quello cioè che Egli posa sulla creatura che, a sua volta, lo ha guardato e lo ha amato; lo sguardo dell'Amante riamato.
LA SECONDA VENUTA ALLA FINE DEI TEMPI
Maria non è soltanto figura della Chiesa e del singolo credente nel tempo della presenza invisibile del Signore risorto; ella svolge anche una funzione fondamentale di intercessione proiettata verso il ritorno del Signore alla fine dei tempi.
La Vergine che intercede
Fin dal II secolo, sant'Ireneo definisce la Vergine Maria «advocata» (cioè chiamata a patrocinare la causa..., a intercedere per...) della vergine Eva. Questa convinzione è certamente uno dei contenuti più antichi della devozione verso Maria, come attesta anche la più antica preghiera mariana conosciuta, il Sub tuum praesidium (Papiro egiziano risalente al III secolo): «Sotto la tua protezione ci rifugiamo, Madre dì Dio; non disdegnare le nostre preghiere nelle necessità, ma liberaci dai pericoli, tu sola santa, tu sola benedetta». Nell'iconografia cristiana, tale significato di intercessione fu riconosciuto in primo luogo alla figura dell'Orante diventata, a partire dalla fine del IV secolo, la figura propria dei martiri. Ma nell'ambiente del tempo, e in particolare le cerimonie della corte imperiale, fornivano agli artisti cristiani un altro modulo gestuale che esprimeva al tempo stesso la venerazione e la supplica: il gesto dell'estensione del braccio o della mano. Questo gesto, strettamente imparentato con quello dell'Orante, e il cui significato simbolico ha una portata universale, fu dunque adottato anche dai cristiani, che ben presto Io attribuirono a coloro che essendo i testimoni privilegiati dell'Incarnazione del Verbo di Dio e del suo mistero pasquale, hanno un ruolo eminente nella corte celeste, dove hanno la doppia funzione di adoratori-testimoni di Cristo glorificalo e di potenti intercessori presso il trono di Dio: innanzi tutto la Vergine Madre, poi gli apostoli e i martiri. Il mosaico di «San Teodoro e la Vergine» (Salonicco, VII sec.) è una composizione molto interessante, perché vediamo qui come il gesto si riferisca al Signore raffigurato in alto, nella lunetta e al quale è indirizzata la supplica scritta sulla pergamena svolta che Maria tiene nella sinistra; possiamo ugualmente notare con quale facilità si passi dall'immagine frontale dell'Orante a quella laterale della venerazione-supplica. E' più facile allora comprendere le numerose immagini in cui Maria appare sola, raffigurata di profilo, nell'atto di sollevare la mano destra o entrambe le mani verso l'alto. Per ragioni di equilibrio compositivo, si configurò ben presto un gruppo di tre immagini: la triade con Cristo al centro, la Vergine alla sua destra e un santo alla sua sinistra, diviene così un insieme iconografico stabile, abitualmente indicato come gruppo della «Deesis» (parola greca che significa: preghiera). Secondo la testimonianza di Sofronio, patriarca di Gerusalemme, una simile composizione «molto grande e stupenda» con san Giovanni Battista alla sinistra di Cristo, si trovava in una chiesa di Alessandria che risaliva al V secolo (cf G. Giamberardini, II Culto mariano in Egitto, I, Gerusalemme 1975, p. 160). La triade della Deesis conobbe una grandissima diffusione soprattutto nella sfera di influsso bizantino, andando a piazzarsi molto naturalmente al di sopra della barriera simbolica che, fin dai primi secoli cristiani, separava la zona del santuario da quella della navata e che, verso la fine del primo millennio, cominciò a prendere proporzioni più considerevoli (si parla allora di «iconostasi»).
CONCLUSIONE
Una costatazione si impone: in rapporto ad ognuna delle situazioni esistenziali del credente (l'attesa del Salvatore, la vita di fede nella Chiesa, l'attesa del ritorno del Signore alla fine dei tempi) abbiamo trovato dei tipi iconografici specifici: Maestà, Intercessione, Hodighitria, Tenerezza, e un tipo comune, quello dell'Orante. E l'arte cristiana ci riserva un'ultima sorpresa: infatti lo stesso atteggiamento dell'Orante è proprio anche delle immagini di Maria in Paradiso; e questo vale sia per l'Oriente che per l'Occidente cristiano, dove la posizione dell'Orante è sostituita da quella con le mani giunte o incrociate sul petto diffusasi a partire dal XII secolo. Che Maria possa essere raffigurata quale Orante in rapporto alle due venute del Signore e che lo sia ancora in Paradiso, ci aiuta a fare un ultimo passo e comprendere che la validità dell'iconografia dell'Orante è direttamente legata al tema della somiglianza all'Immagine, poiché la Vergine in atteggiamento di Orante nel giardino del Paradiso è colei in cui risplende senza macchia alcuna, nello splendore di una bellezza totale, la somiglianza all'Immagine increata del Verbo del Padre, in lei presente in modo pieno sin dal momento della sua concezione, ma da lei liberamente conservata nella fede, nell'obbedienza e nell'amore. In realtà, la Vergine orante nel giardino del Paradiso compendia in sé l'inizio e la fine: «E' l'immagine in cui il Padre diceva al Figlio: Facciamo l'uomo a nostra immagine e nostra somiglianza» (Origene, Hom. Gn. XIII, 3). E' la Gerusalemme celeste che sarà manifestata alla fine dei tempi, ma che l'Apocalisse ci mostra nell'atto di «scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2): tale era l'umanità nel disegno del Padre.