Stavano presso la Croce
Data: Mercoledi 7 Aprile 2010, alle ore 13:05:59
Argomento: Bibbia


Una Lectio divina su Gv 19, 25-27 di Suor Anna Maria Calzolaro, Missionaria dell’Immacolata Padre Kolbe.



Il brano evangelico (Gv 19, 25-27)

25 Stavano presso la Croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala.
26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre:”Donna ecco il tuo figlio!”
27 Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Gv. 19,25-27).

Contesto

Siamo al momento culminante della vita di Gesù: la croce. Giovanni, all’inizio del cap. 13 del suo vangelo, prima di descrivere l’episodio della lavanda dei piedi, che è già un’anticipazione del dono d’amore di Cristo sulla croce, scrive: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). La croce è, dunque, l’amore di Gesù per noi, fino all’estremo, sino alla fine. “Non c’è amore più grande di questo” (Gv 15,13)! La morte di Gesù sulla croce è il segno più grande dell’amore con il quale il Padre ci ha ricolmati da sempre. Egli ha voluto che il suo Figlio venisse in mezzo a noi, perché noi conoscessimo il suo amore [“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16)]. E Gesù è venuto, come ogni bambino, dal seno di una donna, Maria, si é rivestito della nostra debolezza e ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Ci ha amato tanto da non ritirarsi nemmeno quando si è prospettata la persecuzione e la morte. Qualcuno ha cercato di provocarlo al momento cruciale: “Se tu sei Figlio di Dio scendi dalla croce e ti crederemo” (cfr. Mt 27,40; Mc 15,30; Lc 23,35). Ma Gesù non viene meno alla sua decisione di amarci sino alla fine, fino a dare la vita per noi. Gesù vive alla lettera quanto è scritto nel Cantico dei Cantici: “forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6). Per questo lo vediamo là, sul Calvario, fatto oggetto di scherno persino dai soldati che si dividono le sue vesti e che gettano la sorte sulla sua tunica (cfr. Gv 19,23-24). Lo contempliamo con le braccia aperte per abbracciare il mondo e ancora in atteggiamento di dono! Accanto a lui vi sono la “Madre” e il “discepolo amato”, insieme ad alcune donne. Cercheremo di comprendere chi sono questi personaggi (la madre e il discepolo in particolare) per comprendere in che cosa questa scena ci riguarda, se ci riguarda. Subito dopo questo episodio Gesù “dona lo Spirito” (cfr. Gv 19, 30) e un soldato lo colpisce al costato. L’evangelista osserva che dal costato di Cristo sgorgano sangue ed acqua, simboli dei sacramenti della Chiesa: il battesimo e l’eucarestia. In questo episodio (Gv 19,25-37), Gesù dona la vita per noi, dona la Madre, dona lo Spirito, dona la Chiesa. In questo ampio contesto si colloca il nostro brano. Maria è uno dei doni preziosi di Gesù morente.

Lectio

Guardiamo ora, con attenzione, passo dopo passo, la scena:

v. 25: “Stavano presso la croce di Gesù, sua Madre…”

Maria sta, è ferma ai piedi della croce. È arrivata anche lei sul monte del dolore voluto dall’amore. Ma come ci è arrivata? E perché? Questo “stava” (stavano), non è semplicemente la constatazione di un dato di fatto. Esprime, soprattutto, condivisione di vita, di sentimenti, indica partecipazione profonda. Maria è "là dov'è il suo tesoro" (cfr. Mt 6,21). Dal momento in cui ella aveva detto "sì" all'annuncio dell'angelo, era iniziato un lungo pellegrinaggio di fede e di crescita nell'amore verso il suo Figlio. Da quel momento era cominciata la sua "sequela di Gesù" che l’avrebbe vista percorrere varie tappe, miste di gioia e di dolore. Ricordiamo, in particolare, l'episodio della presentazione al Tempio, quando Simeone predice a Maria: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,35). Maria ritorna ogni giorno su questa profezia e lascia che la spada le attraversi la vita. Lascia, cioè, che la Parola e gli eventi, giorno dopo giorno le insegnino che seguire Gesù vuol dire accogliere la sfida di un amore che va fino al dono della vita. C'è una sottolineatura di Luca che ci aiuta a capire come Maria apprendesse dal suo Figlio, giorno dopo giorno, a credere in lui e ad amare come lui: "Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19.51). Maria, infatti, collegando gli eventi e le parole della sua vita col Figlio, fa suoi i sentimenti di Gesù (Cfr. Ef 2,5), cioè i suoi sentimenti di amore, di tenerezza, di compassione per noi. Quando vediamo Maria ai piedi della croce, allora, dobbiamo supporre il lungo cammino di sequela, di assimilazione a Gesù. Maria non solo piange il suo Figlio, come ovvio, ma è lì a "morire con lui" (Cfr. Rut 1,17), come era "vissuta per lui" (Cfr. Sal 22,30). Ella condivide l'amore appassionato di Gesù per noi.
Qui abbiamo già un'indicazione preziosa per la nostra vita. Gesù mi ama fino a dare la vita per me! Quanto ci credo? Quanto mi tocca tutto questo? Maria ha appreso questo amore, giorno dopo giorno. Si è sentita amata, prima di tutto, e lo ha cantato nel Magnificat: "Ha guardato la piccolezza della sua serva" (Lc 1,48). Ha stretto fra le sue braccia il dono più grande dell'amore del Padre: Gesù. Si è lasciata coinvolgere e plasmare dal suo Figlio: dalla rivelazione di un Padre che ci ama, che ama i "piccoli" e i "poveri". Maria ha compreso, vivendo intimamente unita al suo Figlio, che seguirlo significa: credere nel suo amore ed amare come lui ci ama (Cfr. Gv 13,34). "Stavano presso la croce di Gesù…". C'era Maria e c'erano le donne e il discepolo. La provocazione è quella di camminare giorno dopo giorno con Gesù, meditando nel cuore la Parola, per scoprire e dire "grazie" per un amore che non ha l'eguale e imparare ad amare come lui, facendo nostri i suoi sentimenti di amore verso i fratelli.

v. 26: "Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava…"
Prima di entrare in merito alle parole di Gesù, cerchiamo di capire chi è "il discepolo che egli amava". La tradizione ci dice che è Giovanni, l'autore del IV Vangelo. Lo stesso protagonista racconta ciò che ha visto e udito dal Maestro (cfr. 1Gv 1,1-3). Ma il fatto che l'indicazione non sia precisa, cioè che non ci sia il nome del discepolo, dice che ciò che conta non è il personaggio in questione, ma il suo ruolo. Il discepolo è colui che è chiamato a seguire Gesù fino alla croce: "Se qualcuno vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 9,34). Questo discepolo ha seguito il Signore fino alla croce, gli altri sono fuggiti, lui è là a condividere la passione dell'amato maestro. Sì, perché il discepolo amato è colui che vive un'intimità di rapporto con il suo Signore, che "rimane nel suo amore" (Gv 15,9). Il discepolo “amato” è ogni discepolo, perché ognuno è amato personalmente e chiamato all’amore (Cfr. Is 43,1-5; Gv 15,9-17). Tutti siamo amati fino al punto di vedere Gesù che muore sulla croce per noi. “Sono io il discepolo amato fino alla fine”: ognuno di noi può dirlo. Giovanni dice anche di essere testimone di questo amore (Gv 19,35). Anche questo è il “discepolo amato”, è colui che si sente amato al punto da diventare testimone dell’amore che Gesù ha per lui.

v. 26 “Disse alla madre:«Donna, ecco il tuo figlio»”.
Questa espressione usata dall’evangelista - dicono gli esperti - indica che Gesù sta rivelando una nuova missione alla madre. Gesù, in un certo senso, dice alla madre: “Fino ad ora eri mia madre, ora sei madre di tutti coloro che io amo e per i quali sto morendo”. Maria è coinvolta da Gesù nel suo amore verso l’umanità. Egli muore per questa umanità e chiede a Maria di farsene madre, di prenderla a cuore.
È bello, però, che il discorso non sia “generale”, ma personale. Gesù non dice: “Ecco i tuoi figli”, ma “Ecco il tuo figlio”, perché ogni uomo è figlio. Il rapporto con la madre è personale. A Maria non è affidata l’umanità in genere, ma ogni uomo in particolare: ciascun uomo amato da Gesù, chiamato ad essere suo discepolo. E’ davvero consolante pensare che ciascuno di noi era nel cuore del Signore quando si rivolgeva alla madre dicendo: “Ecco il tuo figlio”. Maria, pertanto, è nostra madre, per volontà del Signore, per un eccesso di amore e di tenerezza nei nostri confronti. E qui dobbiamo fare riferimento ad un altro brano, quello di Cana, strettamente collegato al brano della croce (Cfr. Gv 2, 1-12). Maria è presentata chiaramente nel suo ruolo materno. Maria è attenta, sollecita, si prende cura, il vino di cui mancano gli sposi è simbolo di tutte le carenze che l’uomo sperimenta e per le quali si rivolge a Dio. Ma quel vino è, soprattutto, simbolo di Cristo stesso, del suo amore versato senza misura, amore che toccherà il suo culmine proprio alla croce. Il “vino” di cui si occupa Maria è quello che ci manca veramente: Gesù. Se abbiamo lui abbiamo la gioia della vita, se non abbiamo lui nulla ci disseta! A Maria sta a cuore che conosciamo lui, che facciamo esperienza del suo amore, cioè che ci lasciamo amare, per questo lo indica e ci rimanda a lui: “Fate tutto quello che egli vi dirà” (Gv 2,5). Maria è madre perché ha generato nella carne Gesù, il Figlio di Dio. Anche nella nostra vita ella esercita la sua maternità generando Gesù in noi. Ella vuole conformarci e rigenerarci ad immagine del suo Figlio, ma ad una condizione: che la accogliamo e la prendiamo con noi.

v. 27 “Ecco la tua madre! E da quell’ora il discepolo la prese con sé”.
Gesù, si rivolge anche al discepolo, anche a lui rivela la sua condizione di figlio di questa madre. È un affidamento reciproco! A ciascuno di noi è data in dono questa madre, ma perché ella eserciti la sua maternità è necessario che noi facciamo proprio quello che ha fatto il discepolo: “prenderla con noi”. “Da quell’ora – specifica l’evangelista – il discepolo la prese con sé”. L’ora per Giovanni è l’ora della croce, l’ora della glorificazione di Gesù sulla croce, l’ora della nostra salvezza dal male e dalla morte, l’ora della sua passione-morte-risurrezione.  Dal cuore del mistero pasquale di Cristo scaturisce il dono della madre, perché quello è il cuore e il centro del mistero di Cristo. Da quel momento il discepolo la prese con sé, cioè nella sua vita, nella sua interiorità. La sua vita di discepolo, a partire dal mistero pasquale di Cristo è segnata dalla tenera presenza di questa madre. Sta a noi, allora, “accoglierla in tutto lo spazio della nostra vita interiore” (Cfr. RM 45), permetterle di esercitare la sua maternità e di ascoltarne l’invito: guardate a Gesù, andate a Lui. Esiste una bellissima icona della crocifissione dove Maria è rappresentata ai piedi della croce con lo sguardo rivolto a chi guarda e la mano rivolta verso il Figlio. È una raffigurazione bellissima del brano che abbiamo commentato. Maria sembra dire a colui che contempla la scena: “Guarda a Gesù, credi al suo amore per te; ascolta la sua Parola. È pazzo d’amore per te. È su questa croce perché ti ama, ha dato tutto per te. Questo amore non chiede che di essere riamato e di essere imitato. È questa la via della felicità: l’unica, percorretela secondo il suo invito. Solo amando come lui, fino a dare la vita, potrete scoprire la gioia vera”. Come non ricordare, a questo proposito, l’esperienza entusiasmante di S. Massimiliano. Egli, davvero ha accolto Maria in tutto lo spazio della sua vita interiore, si è consegnato a lei con fiducia illimitata nella sua maternità. E lei dove lo ha condotto? A imitare Gesù, ad amare come lui, fino a dare la sua stessa vita. Massimiliano ha imparato, in questa comunione di vita con Maria, a vivere il vangelo alla lettera: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per gli amici”, e S. Massimiliano ha fatto proprio così.

Maria ai piedi della croce è la memoria vivente del vangelo di Cristo, cioè del Vangelo dell’amore. Per questo ci è stata donata come madre, perché sostenga e accompagni i nostri passi, giorno dopo giorno, nell’avventura della sequela di Cristo, nella scoperta quotidiana del suo amore e nel cammino di crescita verso un amore sempre più simile a quello del Signore Gesù.


 







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