- Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pè compralla...
- E l'asinello mio dov'è finito?
- Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
- Er bove? - Pure quello…
fu mannato ar macello.

- Ma li Re Maggi arriveno? - E' impossibbile
perchè nun c'è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pè paura de quarche diriggibbile...-

Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno
tutti li campagnoli che l'antr'anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c'è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta...

- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pè vangà la terra
adesso viè addoprata unicamente per ammazzà la gente...
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?-

Ner dì così la Madre der Signore
s'è stretta er Fijo ar core
e s'è asciugata l'occhi cò le fasce.
Una lagrima amara pè chi nasce,
una lagrima dòrce pè chi more...
3

3. L'incontro con il padre Mondrone

Questo sonetto, che si collega al Natale, non è però l'unica opera di Trilussa in ambito religioso. Sono infatti note due poesie sulla Fede. La prima - La Guida - spiega con chiarezza la preziosità di questa virtù teologale e venne declamata anche da Papa Giovanni Paolo I, in un'udienza generale, in Vaticano4. La seconda esprime un Dialogo sulla fede estremamente sintetico ma efficace:

credo in Dio Padre onnipotente, ma.....
c'hai quarche dubbio? tiettelo pe' te.
La fede è bella senza li chissà,
senza li forse, senza li come e senza li perché.

Si deve infine anche ricordare un sonetto del 1917 - Er ragno bianco - composto quando Papa Benedetto XV rivolse agli Stati belligeranti un appello di pace che si concluse così:

Io nun so dove vado e quanno arrivo,
ma porto, per incarico speciale,
er seme de quell’arbero d’Ulivo
che ce darà la Pace Universale.

In tale contesto è interessante ricordare un fatto. Un giorno, padre Domenico Mondrone, gesuita, del Collegio degli scrittori di "La Civiltà Cattolica", in un incontro avvenuto a Lungotevere in Augusta, chiese a Trilussa perchè, come tanti altri poeti, da Jacopone da Todi, a Dante, a Petrarca, non aveva mai pensato di scrivere un sonetto sulla Madonna. Trilussa promise che l'avrebbe preparato in seguito.

4. Il sonetto sulla Madonna

Si accinse al lavoro quasi segretamente ma con impegno, tanto che la poesia - Pensanno a la Madonna - fu ritenuta a memoria dalla sua fedele governante Rosa Tomei, morta nel 1966, sedici anni dopo il poeta. Il testo, scritto nel 1941 circa, è quasi postumo testamento spirituale5 perchè è un commovente invito alla preghiera alla Vergine da parte di sua madre, alla quale lui, scapolo, era particolarmente legato (basti segnalare, in proposito, che durante i funerali della mamma, in chiesa, fu colpito da svenimenti). Dice così:

Quann'ero ragazzino, mamma mia me diceva:
"Ricordate, fijolo, quanno te senti veramente solo
tu prova a recità 'n'Ave Maria.
L'anima tua da sola spicca er volo
e se solleva come pe' maggìa".
..........

Ormai so'vecchio, er tempo m'è volato,
da un pezzo s'è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l'ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l'anima da sola pija er volo
6.

5. Qualche considerazione

Il sonetto qui riportato è incompleto (i trattini si riferiscono, presumibilmente, agli anni giovanili). Malgrado ciò, quest'opera di Trilussa può essere interpretata come una testimonianza di fede proiettata sull'intero arco della sua vita. Dalla fanciullezza alla vecchiaia. Colui che era stato acuto osservatore di una quotidianeità partecipata, e che - malgrado le apparenze - aveva tutelato gelosamente alcuni aspetti del suo animo7, lascia ai posteri un delicato senso di filialità verso Maria, che esprime delicatezza di approccio e palpito segreto. Ciò aiuta a rivedere la persona di Carlo Alberto Salustri anche sotto una luce nuova. Quella che traspare da certe strofe le quali, pur collocate in un contesto descrittivo non "personale", tradiscono però quella vena spirituale, derivante certamente da un positivo influsso materno, già segnalato in precedenza.

Er ceco camminava accosto ar muro
pè nun pijà de petto a le persone,
cercanno cò la punta der bastone
ch'er passo fusse libbero e sicuro.

Nun ce vedeva, poveraccio, eppuro,
quanno sentiva de svortà er cantone
ciancicava la solita orazzione
coll'occhi smorti in quell'archetto scuro.

Perchè, s'aricordava, da cratura
8
la madre je diceva: - Lì c'è un Cristo,
preghelo sempre e nun avè paura...

E lui, ne li momenti de bisogno,
lo rivedeva, senza avello visto,
come una cosa che riluce in sogno...
9

Scrive p. Domenico Mondrone: «.... Sulla fede appresa dalle labbra materne e praticata forse con fervore nel Collegio di San Giuseppe, a Piazza di Spagna, sarà caduta molta polvere, ma non la ventata della miscredenza Forse il rispetto umano, forse la consapevolezza del contrasto tra la purezza della fede e le fragilità della vita, gli avranno consigliato di non professarla a bandiera spiegata ma non di disfarsene interamente». Per lui la fede è la guida della vita.

Quella vecchietta ceca che incontrai
la notte che me persi in mezzo ar bosco,
me disse: "Se la stra nun la sai
te ci accompagno io, che la conosco".

Se ciai la forza de venimme appresso
de tanto in tanto te darò una voce
finno là in fonno, dove c'è un cipresso,
fino là in cime, dove c'è la Croce.."

Io risposi: Sarà...ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede.."
La ceca, allora, me pijò la mano
e sospirò: "Cammina". Era la fede


«Fin da bambino - ha scritto - per un istinto profondo ed invincibile ho avuto una fede assoluta in una Provvidenza che regna sugli uomini, in una Bontà e Saggezza suprema che governano il mondo: in Dio. Mi piace soprattutto dirlo ai ragazzi, perchè in questo argomento la mia fede è rimasta assoluta, intatta e semplice, come quando ero ragazzo. E mi ha sempre aiutato e confortato nella vita». É una sua preziosa confessione, che ho pescata nel "Corriere dei Piccoli" del 7 luglio 1935. Vorrei attribuire alla nostalgia di questa fede, più sentita e più vissuta, una delle liriche più belle del nostro favolista:

Davanti ar Crocefisso d'una Chiesa
una candela accesa
se strugge da l'amore e da la fede,
je dà tutta la luce

tutto quanto er calore che possiede,
senza abbadà se er foco
la logra e la riduce a poco a poco.
Chi non arde non vive.

Come è bella la fiamma
d'un amore che consuma,
purché la fede resti sempre quella!

Io guardo e penso:
“Trema la fiammella
la cera cola e lo stoppino fuma.”

E forse gli riviene in mente, con insistenza materna:

Er ritornello d'una cantilena
de quela voce che nun scordo mai:
- Ritorna presto, sai?
Sennò me pijo pena... -

E vedo una vecchietta
che sospira e n'aspetta".