Maria: la madre
Data: Domenica 23 Maggio 2010, alle ore 18:26:15
Argomento: Spiritualitą


Dalla Lettera Pastorale "Benedetti benediciamo (Ef 1, 3-14)" di Mons. Giuseppe Costanzo, Arcivescovo (emerito) di Siracusa, 2007-208.

 


Tra i predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà (Ef. 1,11), c’è anzitutto Maria, “termine fisso d’eterno consiglio” (D. Alighieri). Il mio legame con Lei risale agli anni della mia fanciullezza, alla formazione religiosa in parrocchia, all’esempio del mio vecchio parroco che si scioglieva in lacrime tutte le volte che parlava di Lei. L’ho sentita sempre come sorella affettuosa e come madre tenera. Ho visto in Lei la maestra dell’ascolto e il modello della sequela. A Lei – più per un bisogno istintivo che per consapevolezza teologica – affidai il cammino dell’adolescenza. Alla sua intercessione e all’azione interiore dello Spirito Santo affidai pure il lavorio di discernimento sulla mia vocazione. E fu proprio nella festa della sua Assunzione al cielo (15 agosto 1949) che compresi che il Signore mi voleva sacerdote e ottenni da mio padre il permesso di andare in Seminario. Lì due fattori contribuirono decisamente a rafforzare i vincoli d’amore e di devozione alla Madonna: lo studio della Mariologia, che mi appassionava, e il “trattato della vera devozione a Maria”, del B. Grignon de Montfort. Negli anni del ministero sacerdotale quella fiamma è rimasta sempre accesa, alimentata dalla preghiera del Rosario (a me tanto cara!), dalle giaculatorie frequentemente scoccate dal mio cuore e dai pellegrinaggi a piedi verso i santuari mariani della diocesi. Ho maturato il convincimento che è stata proprio Lei, la Madonna – che, “molte fiate liberamente al dimandar precorre” – a custodirmi in tanti momenti della vita, a “preservare i miei piedi dalla caduta” (Sal. 56,14), a tenermi sotto il suo manto, vicino al suo cuore. Ha educato i miei sentimenti, ha guidato i miei passi, mi ha ficcato in testa – ahimè con quanta fatica! – che la vera sapienza è quella del cuore docile, che la vera riuscita è la santità e che “saggio è colui che gli è fedele” (Sal. 110). Da vescovo, poi, ho avuto il singolare privilegio di portare a compimento il Santuario costruito in suo onore. Lo ritengo un segno della sua predilezione materna. E anche il fatto di venerarla sotto il titolo di “Madonna delle lacrime” non è slegato da tutte le mie vicende personali, che mi aiutano a comprendere le sofferenze – fisiche, psichiche e spirituali – di voi, fratelli e sorelle che siete miei compagni di viaggio, di voi che il Buon Pastore ha affidato al mio servizio episcopale, perché io possa incoraggiarvi a ripetere con me: “I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal. 56,9). Parlarvi della Madonna, esortarvi a conoscerla e ad amarla, è per me un bisogno del cuore, che vuole cantare le meraviglie di Dio in questa creatura, che è la più grande, la più benedetta fra tutte le donne, la Vergine Madre. Maria è la prescelta, la “predestinata secondo il piano di Cristo” (Ef. 1,11), è Colei che disse sì al progetto salvifico di Dio; è il modello del discepolo, è Colei che ha vissuto integralmente ed intensamente l’inno alla carità (I Cor. 13); è Colei di cui la liturgia può cantare con fierezza: “In te vinta è la morte, la schiavitù è redenta, ridonata la pace, aperto il Paradiso”. Maria è la creatura, nella quale “la donna reale coincide perfettamente con la donna ideale” (Paolo VI). Sono convinto che un discorso su Maria, condotto nel rigoroso rispetto del dato biblico, non può che trovare adesione cordiale da parte di tutti, anche di quei fratelli separati che hanno difficoltà ad accoglierla come la Madre di Dio e madre nostra. Ma a noi, diocesi “mariana”, è stata fatta una consegna che ci onora e ci impegna: è il tesoro di quelle lacrime, che hanno visitato la nostra città e hanno bagnato la nostra terra. Che cosa voleva dirci la Madre con quel linguaggio silenzioso ed eloquente? Voleva consolarci? Voleva rimproverarci? Non sappiamo. Certo, voleva parlare al nostro cuore, voleva provocare un sussulto di consapevolezza e di responsabilità, voleva farci sentire la sua vicinanza e la sua solidarietà. Le sue sono, certamente, come ci ha detto il Papa Giovanni Paolo II, lacrime di dolore per le offese fatte a Dio. Di fronte all’egoismo e alla prepotenza, con cui i ricchi trattano i poveri e i potenti umiliano i deboli; di fronte all’indigenza in cui vengono lasciati i deboli con l’abituale indifferenza dei “buoni”, di fronte alla frammentazione dell’uomo, della famiglia e della società, di fronte all’indurimento nel peccato la Madre non può che versare lacrime di dolore. Sono anche lacrime di preghiera. Maria intercede per noi presso il Figlio, perché il cuore degli uomini, indurito nel male, si sciolga davanti alle sue lacrime e si converta all’amore. Maria prega affinché la sofferenza sia trasformata in maturità ed in intimità. Prega affinché tanta rabbia sia trasformata in preghiera e lo scoraggiamento in fede. Sono lacrime di speranza. Speranza in un mondo rinnovato, dove le paure si convertiranno in fiducia, le crisi in crescita, la solitudine in contemplazione, le amarezze in calma interiore, le attese in speranza e le sconfitte in risurrezione. Mi chiedo e vi chiedo: che cosa ne abbiamo fatto di quel prodigio? Il tempo, purtroppo provoca abitudine, oblio, trascuratezza; attutisce l’emozione dei primi giorni, smorza l’attenzione e il fervore; ci fa dimenticare che siamo stati interpellati personalmente. Aspettiamo, per ridestarci, che pianga un’altra volta? O che il Signore ci dica, come a Gerusalemme: “Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc. 13,44)? Se è vero che amiamo la Madonna, non possiamo restare insensibili. Un figlio che vede sua madre piangere non fa finta di niente. Cerca di capire, si domanda che cosa voglia dirgli con quelle lacrime, che cosa possa fare per consolarla. A noi dunque incombe l’obbligo di riflettere su quel pianto, di comprenderne il senso, di approfondirne il messaggio. È il primo segno del nostro amore di figli. Molto è stato fatto in questi anni, ma è ancora molto ciò che rimane da fare.


 







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