Maria dinanzi al silenzio di Dio
Data: Domenica 19 Giugno 2011, alle ore 9:01:08
Argomento: Spiritualitą


dal libro di Ignacio Larranaga, Il silenzio di Maria, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987, pp. 67-84.



Per chi vive nella ricerca del Signore, un giorno dopo l'altro, come itinerante della fede ciò che più sconcerta è il silenzio di Dio. « Dio è colui che sempre tace, fin dal principio del mondo: qui sta il fondo della tragedia », diceva Unamuno.

PROFONDO TURBAMENTO

San Giovanni della Croce esprime mirabilmente il silenzio di Dio nei suoi versi immortali:
Dove ti nascondesti, o Amato,
e mi lasciasti nel lamento?
Come il cervo fuggisti, avendomi ferito;
uscii dietro di te, gridando: eri partito!
L'esperienza vissuta della fede, la vita con Dio, sono un esodo, un continuo uscire « dietro di te, gridando ». Comincia qui l'eterna odissea dei cercatori di Dio, la storia pesante e monotona, capace di mettere fuori combattimento qualsiasi resistenza: in ogni istante, a ogni tentazione di orazione, quando si credeva di avere scoperto il tuo « volto », o Dio, già « eri partito ». Il Signore si avvolge nel manto del silenzio e si sottrae. Sembra che il suo sia un « volto » perpetuamente fuggitivo e inaccessibile: appena appare, scompare; si avvicina e immediatamente si allontana; sembra concretizzarsi e subito svanisce.
Se un cristiano si è lasciato sedurre dalla tentazione, o è stato vinto dalla debolezza, Dio tace. Non dice neppure una parola di biasimo. Supponiamo pure il caso contrario: se con uno sforzo generoso supera la tentazione, Dio tace ancora: neppure una parola di approvazione. Hai passato una notte intera, in veglia, dinanzi al Santissimo Sacramento. Oltre il fatto che soltanto tu hai parlato per tutta la notte, mentre l'interlocutore ha taciuto, all'alba, quando esci dalla cappella, stanco e sonnolento, non sentirai nessuna parola amabile di gratitudine o di cortesia. L'Altro ha taciuto per tutta la notte e, al momento della separazione, continua a tacere. Se vai in giardino, ti parlano i fiori, ti parlano gli uccelli, ti parlano le stelle: solo Dio tace. Si dice che le creature parlano di Dio, però Dio tace. Tutto, nell'universo, è un'immensa e profonda evocazione del mistero, ma il mistero svanisce nel silenzio. All'improvviso, la stella scompare dall'orizzonte e i Magi restano completamente disorientati. Gesù stesso sulla croce prova la tragica esperienza della solitudine, dell'assenza del Padre: oltre a tutti gli amici terreni, anche il Padre l'ha abbandonato.
L'universo intorno a noi si popola di enigmi e di interrogativi. Quanti anni aveva quella mamma? Trentadue! È morta divorata da un carcinoma, lasciando due bambini. Com'è possibile? Era una cara creatura di tre anni, una meningite acuta l'ha resa invalida per tutta la vita. Un'intera famiglia è perita in un incidente, il pomeriggio di una domenica, tornando dalla spiaggia. È una cosa accettabile? La manovra calunniatrice di un maniaco frustrato ha costretto al licenziamento un padre di famiglia, lasciandolo senza prestigio e senza mezzi di sostentamento. Dov'era Dio? Un agente dell'ordine, di 34 anni, sposo da due e con un figlioletto in fasce, è stato colpito a morte da un terrorista. Su tutti i giornali campeggia la fotografia della moglie in preda alla disperazione. E questa la giustizia? E quelle allucinanti periferie delle grandi città dove vive un popolo di baraccati in condizioni subumane... non gridano vendetta? Che cosa fa Dio? Non è padre? Perché si mantiene assente?
E un silenzio ostinato e insopportabile che mina lentamente la resistenza più solida. Prende piede la confusione. Si levano voci inquietanti; non sai di dove vengano, se da sotto terra o dal subconscio o forse da nessuna parte, e interrogano: «Dov'è il tuo Dio?» (Sal 41,11). Non è l'eco di un sarcasmo volterriano, né l'argomento corrosivo di un ateo intellettuale. È il credente a essere invaso per primo dal « dramma » del silenzio di Dio, che lo avvolge e sconcerta, e a poco a poco viene assalito da una vaga impressione di insicurezza. E comincia a domandarsi se vi è almeno un briciolo di verità nelle sue credenze, o non si tratta piuttosto del frutto di elucubrazioni mentali le quali si rivelano sempre più incapaci di interpretare la realtà autentica dell'universo. Così cade in balìa di acque fluttuanti, vittima dello stesso silenzio di Dio. Già il vecchio buon israelita supplicava: « Svegliati, perché dormi, Signore?... Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? » (Sal 43,24-25). Il profeta Geremia fece un'esperienza terribilmente angosciosa del silenzio di Dio. « Tu lo sai, Signore, ricordati di me e aiutami... Nella tua clemenza non lasciarmi perire, sappi che io sopporto insulti per te... Perché il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuoi guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti » (Ger 15,15.18).
Soltanto un profondo spirito di fede e di abbandono e una fede adulta libereranno l'anima dal turbamento e le eviteranno la « disperazione » di fronte al silenzio del cielo: « Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza... io sarò con te per salvarti e per liberarti » (Ger 15,19-20). La fede adulta è quella che vede l'essenziale e l'invisibile. Essa « sa » che Dio respira dietro il suo stesso silenzio, così come da dietro le montagne viene, lenta, l'aurora. L'essenza della realtà rimane sempre nascosta alla retina umana, sia a quella dell'occhio fisico che a quella degli occhi dell'intelligenza. L'essenziale, la realtà definitiva, può essere scorta soltanto dallo sguardo penetrante di una fede pura e nuda, di una fede serenamente matura.

LA MARCIA DELLA FEDE

Vediamo ora quale fu il comportamento di Maria dinanzi al silenzio di Dio. Nazaret dista da Betlemme circa 150 chilometri, lungo la strada attuale; è probabile che a quel tempo la distanza fosse alquanto maggiore. « Le strade della regione, non ancora tracciate e mantenute dai Romani, maestri in materia, erano cattive e appena adatte a carovane di cammelli e di asini; in quei giorni poi, col subbuglio del censimento, saranno state più frequentate del solito e quindi anche più scomode. I due coniugi, nella migliore delle ipotesi, avranno avuto a loro disposizione un asino, che sarà stato caricato anche delle cibarie e degli oggetti più necessari, uno di quegli asini che ancora oggi in Palestina si vedono precedere una fila di cammelli o seguire un gruppetto di pedoni »6.
Non sappiamo se Maria era obbligata a presentarsi per il censimento: sembrerebbe di no. Comunque, Giuseppe si diresse a Betlemme « con Maria, sua sposa, che era incinta » (Lc 2,5).
Queste parole possono benissimo valere come delicato accenno a una almeno delle ragioni per cui venne anche Maria, cioè la vicinanza del parto in cui essa non doveva esser lasciata sola7.
Maria non poteva viaggiare in carovana, per il suo stato di gravidanza. Le carovane procedevano quasi sempre tenendo una certa velocità che una donna incinta, al nono mese, non poteva sostenere. La madre dovette, quindi, camminare lentamente, con fermate di riposo, in compagnia di Giuseppe, seduta su uno di quegli asini mansueti di cui abbiamo letto poco sopra. A causa del suo stato, il viaggio fu per lei lento e debilitante; possiamo calcolare che, date le circostanze, sia durato tra gli otto e i dieci giorni. A novembre, in Palestina, comincia l'epoca delle piogge. Quelle strade carovaniere potevano essere piene di fango, con pantani e in alcuni tratti quasi intransitabili. Certamente il freddo li accompagnò per tutto il tragitto, specie nelle pianure su cui batte con forza il vento che cala dall'Ermon.

DOLCEZZA IMPERTURBABILE

Arrivarono a Betlemme, quando Dio volle. Luca ci riferisce il primo impatto col villaggio: « Non c'era posto per loro nell'albergo » (Lc 2,7). Da questa notizia possiamo dedurre l'emozione profonda di Maria e trarne motivi per la nostra contemplazione. L'albergo di cui parla Luca era semplicemente quello delle carovane, l'attuale khan palestinese: Un mediocre spazio a cielo scoperto recinto da un muro piuttosto alto e fornito di un'unica porta... Le bestie erano radunate in mezzo nel cortile, a cielo scoperto, e i viandanti si ricoveravano sotto il portico o dentro lo stanzone finché c'era posto, altrimenti si accampavano fra le bestie: le camerette più piccole, se esistevano, erano riservate a chi poteva permettersi quella comodità pagando. E là, fra quell'ammasso di uomini e di bestie, tutto alla rinfusa, si questionava d'affari e si pregava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava, si poteva nascere e si poteva morire...8.
Quando Luca dice che « non c'era posto per loro nell'albergo », la frase è più meditata di quanto non sembri. « Un posto qualunque Maria e Giuseppe l'avrebbero certo trovato; non capita mai in oriente che, in simili occasioni, il padrone del locale ammetta che tutto è occupatore. Fisicamente il posto c'era. Quando specifica « per loro », velatamente vuoi dire che il posto non era adatto per il parto imminente. Altrimenti, I'evangelista avrebbe detto soltanto che non c'era posto. Tutto ciò significa che quando Giuseppe e la sua sposa si affacciarono al caravanserraglio e videro quell'incredibile baraonda di uomini e bestie, rimasero talmente sbigottiti al pensiero che il parto sarebbe dovuto avvenire in mezzo alla curiosità generale, che preferirono cercare un altro posto, anche se scomodo e umido, purché fosse solitario e riservato. Di modo che i motivi storici per cui Gesù nacque in una grotta furono due: la povertà e la riservatezza. La povertà, perché il denaro apre tutte le porte di questo mondo; e la riservatezza, cioè quell'aura di delicatezza, dignità e purezza da cui la Vergine ci appare sempre aureolata. Maria, nella sua delicatezza, preferì un posto tranquillo, sebbene incomodo, pur di evitare la curiosità generale. Il Ricciotti dice che Maria « volle circondare il suo parto di riverente riserbo ».
Dal fatto che abbiamo analizzato si possono dedurre altre considerazioni. I due sposi avevano cercato, come ultima ipotesi, un cantuccio nel caravanserraglio. Ciò significa che erano prima stati esauriti tutti gli altri tentativi di trovare un posticino in casa di parenti, amici o conoscenti che, senza dubbio, dovevano avere in Betlemme. Abbandonarsi alla volontà del Padre non significa incrociare le braccia e aspettare, ma cercare di fare tutto quanto è possibile per trovare una soluzione nelle difficoltà. Al momento dei risultati, poi, qualunque essi siano, ci si affida alle mani del Padre. Senza dubbio, Maria fece così.
La leggenda popolare ha figurato a questo punto le commoventi scene della « ricerca dell'albergo ». Maria e Giuseppe vanno di porta in porta e vengono sempre respinti... Negli evangeli veramente non si fa parola di tutto ciò. Però tra l'arrivo a Betlemme e la richiesta d'alloggio deve essere avvenuto qualcosa di simile... sarebbe stata la cosa più naturale "'.
Entriamo ancora una volta nell'intimo di Maria. Il cielo non si manifesta. Urge provvedere un asilo: i dolori del parto possono cominciare da un momento all'altro. A ogni porta di parenti o amici a cui bussano, si intreccia una illusione con una delusione: l'illusione che, chissà, sia disponibile un angolo per l'evento imminente; la delusione quando, con parole all'apparenza amorevoli, tutte le porte vengono puntualmente richiuse. Maria era giovane, non era stata ancora provata dai colpi della vita. Era inoltre sensibile per età e per temperamento, come si vedrà più avanti. Inoltre, lo stato di emozione e di timore, in cui psicologicamente si trova ogni donna che sta per partorire la prima volta, doveva aggravare tale sensibilità. C'erano, in effetti, tutte le circostanze per sconvolgere l'equilibrio emozionale della donna più forte. Ma nel nostro caso neppure gli eventi più crudeli devono essere stati capaci di perturbare l'equilibrio interiore della giovane sposa. Di volta in volta, il suo perpetuo fiat la libera dall'ansietà e dalla prostrazione, le conferisce una fortezza indistruttibile e la lascia immersa in uno stato di pace, dolcezza, grazia e dignità incomparabili. Quando, alla fine, furono esaurite tutte le possibilità, il cielo era ancora muto e Dio silenzioso. Che fare? Dev'essere stato quello il momento in cui Giuseppe e Maria, instancabili, fecero il tentativo di trovare un cantuccio nel caravanserraglio. Vedendo che il luogo non era adatto, intrapresero l'ascesa su per il monte, in cerca di un posto tranquillo e riservato. E così, « la serva del Signore », completamente abbandonata nelle mani del Padre, aspettò, piena di ineffabile dolcezza, il grande momento.

LA MADRE FUGGITIVA

All'improvviso, il cielo parlò nel sonno a Giuseppe: « Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò » (Mt 2,13). Queste poche parole, riferitele prontamente dal suo sposo, dovettero popolare di interrogativi la mente di Maria. Perché Erode cerca il bambino? Come ha avuto notizia della sua nascita? Che male ha fatto perché il re ne voglia la morte? « In Egitto »? E perché non in Samaria, in Siria, nel Libano, dove non regna Erode? Come ci guadagneremo la vita? Quale lingua parleremo? In quale tempio andremo a pregare? Fino a quando dovremo starci?
« E resta là finché non ti avvertirò » (ivi). I persecutori sono vicini. Ancora una volta il terribile silenzio di Dio, simile a una nube oscura, si abbatté sulla giovane Madre.
Quante volte non accade la stessa cosa nella nostra vita! All'improvviso, tutto ci sembra assurdo, senza senso, simile a una sinistra e cieca fatalità. Noi stessi ci sentiamo come un giocattolo travolto da un vortice. Dio? Se esiste ed è onnipotente, perché permette tutto questo? Perché tace? Verrebbe voglia di ribellarsi e negare tutto.
La Madre non si ribellò; si abbandonò. Rispose col suo « avvenga di me » a ogni interrogativo. Una serva non domanda, si dona. Mio Signore, mi abbandono in silenzio, nelle tue mani. Fa' di me ciò che vuoi; sono disposta a tutto, accetto tutto. Lotterò con ogni forza per conservare la vita del bambino e la mia, ma depongo nelle tue mani la mia esistenza, durante la lotta e dopo. Così, la Madre, in silenzio e con pace, intraprese la fuga verso una terra sconosciuta.
Da questo momento, Maria entra nella condizione di un profugo politico. La vita del bambino minaccia la sicurezza di uno scettro; e lo scettro, per consolidare il proprio potere, minaccia la vita del bambino, costretto alla fuga tra le braccia di sua madre. Per conoscere lo stato d'animo della Madre durante la fuga, dobbiamo tenere presente la psicologia d' un perseguitato politico. Egli passa da un soprassalto a un altro, non può dormire due notti di seguito nello stesso posto; ogni sconosciuto è per lui un eventuale delatore, qualunque persona sospetta può essere un agente di polizia: insomma, vive in un continuo stato di timore, sempre sulla difensiva.
Così visse la povera Madre in quei giorni: passando da uno spavento all'altro. Quelli che ci seguono apparterranno alla polizia di Erode? E quelli che ci vengono incontro... quelli fermi, laggiù?... Ci converrà dormire qui? Sarà meglio viaggiare di notte o di giorno?... Con circospezione, ma con sollecitudine, presero la via per l'Ebron, Bersabea, l'Idumea. Urgeva uscire dal regno di Erode oltrepassando la frontiera di el-Arish. All'avvicinarsi al delta del Nilo, s'estende il deserto classico, « il mare di sabbia », ove non si trova né un cespuglio né un filo d'erba né un sasso: nulla, se non sabbia. I tre profughi dovettero trascinarsi faticosamente di giorno sulle sabbie mobili e nell'arsura spossante, passar la notte stesi a terra, e fare assegnamento solo su un poco d'acqua e di cibo che si portavano appresso: ciò per una settimana. Per farsi un'idea di tali traversate l'europeo odierno deve aver passato notti insonni allo scoperto nella desolata Idumea (il Negheb della Bibbia); e di giorno deve aver intravisto attraverso la nebulosità sabbiosa sospesa sul deserto di el-Arish passargli d'appresso un gruppetto di pochi uomini, accompagnati da un asinello carico di provviste o di una donna con un bambino al petto, e tutti pensosi e taciturni, come per fatale rassegnazione, allontanarsi nella solitudine verso un'ignota meta. Chi ha fatto tali esperienze e tali incontri in quel deserto ha visto, più che scene di colore locale, documenti storici riguardanti il viaggio dei tre profughi di Bethlehem »11. In mezzo a tale desolata solitudine e avvolta nel silenzio ancora più impressionante di Dio, passa la Madre profuga come una figura patetica, ma dal portamento dignitoso; è umile, abbandonata nelle mani del Padre, piena di una dolcezza inalterabile; ella va ripetendo continuamente il suo amen, mentre cerca di non lasciarsi scoprire da coloro che attentano alla vita del Figlio che le è stato affidato.

LA PROVA DEL LOGORIO

Tra le tattiche umane più efficaci per demolire una persona o un'istituzione c'è la guerra psicologica del logorio. Si sa che l'acqua, cadendo goccia a goccia, finisce col forare la pietra. Essere eroici per una settimana o per un mese, è relativamente facile, forse addirittura produce emozione. Non lasciarsi vincere dalla monotonia degli anni è molto più difficile.
Sappiamo che la prova più forte per la fede di Maria fu quella del Calvario; ma la prova più rischiosa dov'essere stata quella dei trent'anni nascosti nella « catacomba » del silenzio di Dio. La ferita della « spada » che le trapassò l'anima ai piedi della croce, per quanto profonda e sanguinante dovette essere, non mise in tanto pericolo la stabilità emozionale della fede di Maria, quanto quegli interminabili anni che ne avvolsero psicologicamente l'anima con la nebbia dell'abitudine e del logoramento. Per comprendere quanto fu pericolosa la traversata della Madre attraverso il « deserto » dei lunghi anni, richiamiamo agli occhi della nostra mente altri casi di esemplari « pellegrini della fede ».
Secondo la Bibbia, ad Abramo viene promesso un figlio all'età di settantacinque anni. Ma Dio dilaziona il compimento della promessa e sottopone Abramo alla prova del logoramento. Passano gli anni, il figlio non arriva e la fede di Abramo comincia a illanguidirsi... fino a quando prende a scivolare per un piano inclinato. Egli cade in una profonda depressione e per non soccombere esige da Dio una garanzia visibile, un fenomeno sensibile, un « segno » (Gn 15,8). Verso la metà del secolo scorso, Bernardetta Soubirous ebbe, a Lourdes, una splendida serie di manifestazioni celesti. Poi, all'improvviso, il cielo tacque e fu accompagnata dal silenzio fino al giorno della morte. Dicono i biografi che quel silenzio fu così sconcertante per lei che la sprofondò in dubbi angosciosi circa l'obiettività delle lontane apparizioni12.
Si ripete sempre lo stesso fenomeno: quanto più intensa è la luce del sole, tanto più intense sono le ombre. Quanto più clamorosa è la manifestazione di Dio, tanto più insopportabile è il silenzio che la segue. E quello che accadde alla Madonna. Gli anni passano. L'impressione viva e confortante dell'annunciazione svanisce, non ne rimane che un ricordo sfumato, come un'eco lontana. La Madre si sente stretta tra lo splendore delle antiche promesse e la realtà presente, così opaca e anodina. La monotonia prese dimora a Nazaret, tra gli orizzonti geografici inalterabili e le speranze umane paralizzate. La monotonia ha sempre lo stesso volto: le lunghe ore, i lunghi giorni, interminabili stagioni e anni. D'inverno fa notte presto, i vicini si ritirano in casa, chiudono porte e finestre, e la piccola « santa famiglia » vive le sue ore di profondissima intimità. La Madre osserva ogni cosa con legittima trepidazione. Il Figlio è lì: lavora accanto a « suo padre », mangia, prega... sembra che non debba mai compiere nulla di diverso, ne oggi né mai. Che cosa faceva Maria lungo le ore del giorno? Compiva i gesti normali di ogni donna e madre di Nazaret: macinava il grano, impastava il pane, raccoglieva la legna nel bosco, attingeva alla fontana. Soprattutto, ripensava le parole che un giorno - quanto lontano! - il celeste messaggero le aveva proferito all'orecchio: « Sarà grande; sarà chiamato Figlio dell'Altissimo... il suo regno non avrà fine » (Lc 1,32-33). Erano parole antiche e splendenti, ma la realtà che si srotolava sotto i suoi occhi era così diversa. Quel Figlio se ne stava lì, silenzioso, riservato, quasi rassegnato... « Sarà grande ». Al momento non era affatto grande, no! Era un ragazzo come tutti gli altri. Non vorremmo ingannarci; ma la perplessità deve aver più di una volta fatto capolino nella mente e nel cuore della madre. Sarà stato vero? Forse un'allucinazione? Un vano sogno di grandezza?
È questa la suprema tentazione della nostra vita di fede: volere l'evidenza, voler afferrare con le mani la realtà, voler palpare l'obiettività come una pietra; pretendere di uscire dalle acque fluttuanti e calpestare la terra ferma; voler sfuggire alle spire della notte per aprire gli occhi e vedere il sole. Quasi voler dire a Dio: Padre incomparabile, garantiscimi che tutto questo è vero; trasformati qui, dinanzi a me in fuoco, tormenta o uragano! La Madre non si comportò così: perplessa, non si agitò, ma se ne stette quieta, in un abbandono senza condizioni e senza resistenze, tra le braccia della monotonia, che era per lei espressione della volontà di Dio. Quando tutto appariva assurdo, rispondeva il suo amen allo stesso assurdo, e l'assurdo si trasfigurava. Al silenzio di Dio, rispondeva il suo « avvenga di me », e il silenzio si trasformava in presenza. Invece d'esigere una garanzia di veracità, la Madre si afferrava alla volontà di Dio. Rimaneva in pace e il dubbio si tramutava in dolcezza.
Anche la vita sociale, a Nazaret, era inesorabilmente monotona. Le notizie circa le agitazioni nazionaliste e le repressioni imperialiste romane giungevano come un'eco spenta e ritardata che non urta, non sfida, né disturba i placidi abitanti. Il ragazzo raggiunse i quindici, diciotto, vent'anni. Tutto restava avvolto nel silenzio; mai una novità né una manifestazione. Era un pericolo per la fede di Maria; poteva restare avvilita dallo scoraggiamento o dal vuoto. Ma la Madre ricacciò prontamente indietro ogni tentazione di sfiducia: « Beata colei che ha creduto... » (Lc 1,45).
Il Figlio è ormai un uomo adulto; si avvicina ai trent'anni. Giovanni, suo cugino, figlio di Zaccaria, metteva in agitazione la Palestina, trascinando le folle nel deserto. E lui? Se ne sta qui: parla appena, va per le case riparando finestre, tavole, sedie; sale sul tetto per riparare una trave, carica tronchi per farne gioghi per i buoi. La Madre osserva, medita, tace. Il Figlio non si prepara per nessuna missione; pare anzi che sia meno interessato degli altri a progettare un avvenire, una famiglia, un posto nella società. E lei? Non aveva cantato, un giorno: « Tutte le generazioni mi chiameranno beata »? (Lc 1,48). Un'illusione! Si andava avvicinando al tramonto della vita, sembrava prematuramente invecchiata, come accade sempre alle persone che vivono nei paesi sottosviluppati. La sua vita trascorreva esattamente come quella delle sue vicine. Da tanti anni non le era accaduto nulla di speciale e, a dire il vero, nessuna novità si scorgeva all'orizzonte. Tutto sembrava così vuoto, così privo di senso... Sono sicuro che la fede di Maria fu assalita e combattuta - però mai abbattuta - da un turbinio di domande che si proponevano a ondate successive. Per non soccombere, la Madre dovette sviluppare una enorme quantità di fede adulta, fede pura e nuda, quella che si appoggia solo su Dio. Il suo segreto fu questo: non resistere, ma donarsi. Ella non poteva cambiar nulla: né il misterioso ritardo della manifestazione di Gesù, né la monotonia dell'abitudine che come un'ombra andava avvolgendo e invadendo tutto, né lo sconcertante silenzio di Dio... Se Maria non poteva cambiare le cose, a che scopo resistere? Il Padre voleva così o lo permetteva: « Padre mio, io mi abbandono a te! ». Soltanto una vita di grande intimità col Padre e di radicale abbandono nelle sue mani liberò Maria, nella sua peregrinazione, dallo scoglio peggiore. Passò così il tempo della fede di quei trent'anni.
Avviene altrettanto per chi si consacra nella vita religiosa o assume il ministero del sacerdozio. Nei primi anni tutto è nuovo: la generosità degli inizi fa sì che si spieghino potenti energie e si ottengano risultati brillanti i quali, a loro volta, accendano la fiamma dell'entusiasmo. Passando un certo numero di anni, tuttavia, il senso di novità si spegne. Senza saper come e senza quasi accorgersene, l'abitudine, come un'ombra invisibile, invade tutto: l'ufficio, la parrocchia, la scuola, l'ospedale, la cappella e soprattutto... la vita. Viene la stanchezza ed è difficile esser fedeli e molto più difficile continuare « a risplendere instancabilmente come le stelle eterne » (Dn 12,3).
Lo stesso accade nel matrimonio. La novità e la freschezza dei primi tempi, nell'attesa del primo figlio, sono capaci di mantenere la fiamma dell'amore a un livello molto alto. Ma poi, che accade? Col passare degli anni, gli sposi si muovono nel circuito chiuso degli stessi orizzonti; comincia l'invasione della monotonia, l'abitudine sostituisce la novità e cominciano le crisi che minacciano, talvolta seriamente, la stabilità matrimoniale...
Per qualunque persona o stato di vita, Maria è il modello. Il suo coraggio e la sua fortezza, la sua fede adulta libereranno anche noi da qualunque asfissia.

UNA SPADA

Il concilio Vaticano II dice che « la Beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede », e aggiunge che Maria « serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette soffrendo profondamente col suo unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata » (Lumen gentium, 58). Con queste espressioni e soprattutto col loro contesto, il concilio sembra volerci dire che il momento culminante - anche la prova, perché non c'è grandezza senza prova - per la fede di Maria fu sul Calvario.
In un altro paragrafo dello stesso documento viene messo in risalto, con un'espressione lapidaria ed emotiva, che la fede di Maria raggiunse la più alta espressione sotto la croce. Infatti, parlando del « consenso » di Maria, « fedelmente prestato nell'annunciazione», il concilio aggiunge queste significative parole: « e mantenuto senza esitazioni sotto la croce » (ivi, 62). In questo modo ci viene ripetuto che la prova più difficile per l'adesione di Maria al volere di Dio fu il disastro del Calvario.
Senza uscire dallo spirito del concilio, vorrei proporre qui alcune riflessioni, perché tutto ridondi a gloria della Madre.
Probabilmente la storia più laconica ma nello stesso tempo più completa e patetica della Bibbia è riassunta in queste parole: « Stavano presso la croce di Gesù sua Madre... » (Gv 19,25). Viene qui evocato un vasto mondo, con implicazioni trascendenti per la storia della salvezza. La domanda chiave per ponderare il merito e, di conseguenza, la grandezza della fede di Maria è questa: conosceva Maria tutto il significato di ciò che stava accadendo quel pomeriggio sul Calvario? Sapeva, per esempio, tutto quello che noi sappiamo circa il significato trascendente e redentore di quella morte sanguinosa? A seconda della risposta a tali domande si potrà misurare l'altezza e la profondità della fede di Maria. E la risposta dipenderà dall'immagine o dal preconcetto, molte volte emotivo, che ciascuno di noi ha sulla persona di Maria. Su questo punto, infatti, mi sembra esistano posizioni ambigue e occorrerebbe proporre altri interrogativi preliminari per ottenere una maggiore chiarezza. Essi sono, per esempio: Se Maria conosceva tutto, il suo merito era maggiore o minore? Se intravedeva il mistero, anche solo in penombra, il merito della sua fede aumentava o diminuiva? Si potrebbe affermare, in un certo senso, che quanto minore era la sua conoscenza, tanto più meritoria e maggiore era la sua fede? Molte conclusioni dipendono dal presupposto o dallo schema mentale con cui ci si colloca di fronte alla persona di Maria. Ho anch'io il mio schema che, a quanto pare, concentra sulla Madonna il massimo splendore. Comunque, prima di andare avanti è necessario distinguere chiaramente in Maria la scienza - conoscenza teologica della Madre, circa quello che stava accadendo sul Calvario - dalla fede. La grandezza di Maria non deriva dalla sua conoscenza, maggiore o minore, ma dalla sua fede.
Per conoscere che cosa, in quel pomeriggio, accadeva in Maria - accadeva nel senso vitale della parola - non possiamo pensarla come un essere astratto e solitario, isolato dal suo gruppo umano. Dobbiamo vederla come una persona normale, nel contatto vivo col suo ambiente. Noi uomini siamo così, e così fu senza dubbio Maria. Ebbene, secondo il contesto evangelico, la morte del Signore ebbe per gli apostoli il carattere di catastrofe finale. Tutto era finito. La scena di Emmaus riflette in maniera impressionante questo stato d'animo: Cleopa, triste perché l'interlocutore ignorava gli ultimi avvenimenti, che avevano prodotto in lui una recente ferita, ancora dolente, finisce il suo parlare con uno « speravamo... », come se avesse voluto dire: Tutto è perduto! fu un bel sogno, ma soltanto un sogno... (cfr. Lc 24,21).
Caifa, che rappresenta la fazione opposta, era convinto che, facendola finita con Gesù, avrebbe posto fine al suo movimento. Ed ebbe ragione, perché fu proprio quello che accadde. Quando gli apostoli videro Gesù nelle mani dei nemici, dimenticarono tutti i loro giuramenti di fedeltà e, cercando di salvare la propria pelle, si diedero a una fuga precipitosa. Dopo tre giorni se ne stavano ancora nascosti, con la porta sbarrata (cfr. Gv 20,19) per salvare almeno se stessi, dopo aver perduto il loro amico e « maestro ». Essi credevano che dormisse per sempre, chiuso nel sepolcro, il loro bel sogno, accanto al Sognatore. Si spiega così la loro ostinata resistenza alle notizie della risurrezione. Solo a Pentecoste lo Spirito Santo illuminò tutta la vita di Gesù ed essi seppero chi egli veramente era.
E Maria? Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che Maria faceva parte di quel gruppo umano così disorientato e abbattuto e si muoveva con esso. Io non posso immaginare - tale è la mia opinione - che Maria abbia adorato con tenerezza ogni goccia di sangue che cadeva dalla croce. E non posso nemmeno pensare che Maria conoscesse tutta la teologia della rendenzione attraverso la croce, quale ci è stata rivelata dallo Spirito Santo a partire dalla Pentecoste. Se ella avesse conosciuto tutto ciò che sappiamo noi, quale sarebbe stato il suo merito? In mezzo a quello scenario desolato, le sarebbe stato di grande conforto il sapere che la terra non avrebbe inghiottito invano neppure una goccia di quel sangue; che se perdeva il Figlio, si salvavano in cambio il mondo e la storia. Poi... l'assenza del Figlio sarebbe durata solo poche ore. A queste condizioni, le sarebbe costato poco accettarne in pace la morte. Non posso nemmeno immaginarla dominata dallo smarrimento totale degli apostoli, per la certezza che tutto finisse lì: nemmeno questo!
Sappiamo dal Vangelo che Maria navigò tra luci e ombre; che a volte comprese chiaramente, talaltra rimase nel vuoto; che meditava le antiche parole aderendo alla volontà del Padre, discernendo in forma lenta ma crescente il mistero supremo di Gesù Cristo. Secondo i vangeli, la Madre fece così il suo cammino di fede. Se è così, che cosa sarebbe successo sul Calvario? Sebbene il compito sia difficile, tenterò di entrare nell'esperienza vitale della Madre e di mostrare in che cosa sia consistita la sua suprema grandezza in quel momento. La Madre si trova nel circolo chiuso di una furiosa tempesta, interpretata da tutti come il disastro finale di un progetto dorato e adorato. E necessario ricostruire la scena, nel cui centro ella viene a trovarsi, in piedi. In primo piano, gli esecutori della sentenza, freddi e indifferenti; più in là, i sinedriti con aria trionfale; più lontano, la folla dei curiosi, tra i quali alcune donne coraggiose che, con lacrime impotenti, manifestano la loro simpatia per il Crocifisso. E, per tutti questi gruppi, senza eccezione, quello che stava avvenendo era l'ultima scena di una tragedia. I sogni finivano qui, insieme al Sognatore. E necessario entrare in questo cerchio vitale e fatale, in cui alcuni lamentano il triste finale e altri lo celebrano. In mezzo al tumulto c'è la figura dignitosa e sofferente della Madre, stretta alla sua fede per non soccombere, la quale comincia a percepire nettamente alcune cose - come la profezia della « spada » - mentre altre le scorge solo confusamente... Non sono queste le circostanze in cui ci si può costruire una chiara teologia. Quando si è sbattuti dall'uragano, basta stare in piedi e non cadere.
Capire? sapere? Non è questo l'importante. La Madre non aveva compreso neppure le parole del ragazzetto di dodici anni, e tuttavia ebbe anche là una reazione sublime. Ciò che importa non è la conoscenza, ma la fede, e certamente la fede di Maria raggiunge qui il vertice più alto. Colei che non comprese le parole di Simeone, potrebbe ora comprendere completamente quello che sta succedendo sul Calvario? L'importante non è comprendere, è donarsi. Fu l'olocausto perfetto, l'oblazione totale. La Madre raggiunse un'altezza spirituale vertiginosa: non fu mai tanto povera e tanto grande; sembrava una pallida ombra e aveva allo stesso tempo il portamento di una regina. In quel pomeriggio, la fedeltà eresse un altare sulla vetta più alta del mondo.

NOTE

6 G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Rizzoli, Milano 1941, p. 272.
7 Ivi, p. 272.
8 Ivi, pp. 272-274.
9 F.M. William, Vita di Maria, Morcelliana, Brescia 1944, p. 83.
10 Ivi, p. 84
11 G. Ricciotti, op. cit., pp. 295-296.
12 Cfr. R. Laurentin, Bernardetta vi parla, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986, 5a ed.
 







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