Gaudet Mater Ecclesia. Nel 50° anniversario dell''apertura del Vaticano II
Data: Venerdi 5 Ottobre 2012, alle ore 12:47:22
Argomento: Mariologia


Editoriale di Silvano Maggiani in Marianum, Annus LXXIV – nn. 181-182 – 2012, pp. 9-16.

Annunciato ai diciassette cardinali che il 25 gennaio 1958 erano riuniti nella sacrestia della Basilica di San Paolo fuori le mura, “quasi in forma di antico concistoro”, dopo aver celebrato, con Cappella Papale, la Conversione di San Paolo;1 indetto con la Costituzione Apostolica Humanae Salutis del 25 dicembre 1961;2 definito il giorno di inaugurazione con il Motu Proprio, Consilium del 2 febbraio 1962;3 il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo è stato aperto solennemente dal beato Giovanni XXIII, attorniato da circa 2500 vescovi provenienti da tutto il mondo, nella Basilica Vaticana, il giorno 11 ottobre 1962. Quel giorno resta contrassegnato, all’interno della macchinosa cerimonia d’apertura, svoltasi lungo l’intera mattinata, dall’Allocuzione di Giovanni XXIII Gaudet Mater Ecclesia: «La madre Chiesa gioisce, poiché, per singolare dono della Provvidenza divina, è sorto il giorno tanto desiderato in cui il Concilio Ecumenico Vaticano II qui, presso il sepolcro di san Pietro, solennemente si inizia con la protezione della Vergine Madre di Dio nel giorno in cui si celebra la sua divina maternità».4 Papa Giovanni ha lavorato a questo discorso dall’estate 1962, apportandovi correzioni fino alla vigilia dell’apertura conciliare. L’allocuzione è stata di un’importanza fondamentale per orientare e far comprendere lo scopo, le finalità e una rinnovata natura dell’esperienza conciliare favorendo il passaggio sogliare dalla preparazione all’inizio dei lavori. Ma per i suoi contenuti ispirati e di vasto respiro l’allocuzione ha non poco aiutato a orientare i lavori conciliari anche dopo la morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963) quando, con ferma risoluzione, Paolo VI ha confermato la volontà di continuare il Concilio, portandolo alla sua conclusione il giorno 8 dicembre 1965.5
La Gaudet conserva anche per l’oggi la sua importanza. Essa racchiude prospettive ben oltre ogni paradigma di intransigenza tra passato e presente, moderno e antimoderno, continuità e discontinuità, autorità e ribellione, prospettive ben oltre ogni “insinuazioni” di «profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo». Le prospettive conducono a far sì «che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace» così da favorire «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze». Il rispetto e l’approfondimento della dottrina certa e immutabile che ispira e orienta la vita della Chiesa, la anima e la fa maturare, deve essere «approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è, infatti, il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse, tuttavia, lo stesso senso e la stessa portata». Grande deve essere l’attenzione alla forma e la sua elaborazione «e si dovrà ricorrere ad un modo di presentare le cose che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale», quella pastoralità che «preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venir incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che rinnovando condanne».
La prospettiva pastorale si apre ancora all’impegno di adoperarsi “perché si compia il gran mistero di quell’unità che Gesù Cristo ha invocato” nella sua ultima Cena, unità impetrata per la Chiesa e che Giovanni XXIII declina come unità dei cattolici, dei cristiani, l’unità nella stima verso la Chiesa da parte delle religioni non cristiane e, finalmente, l’unità del genere umano.

Concilio che s’infutura

Alla luce della Gaudet Mater Ecclesia prendeva inizio per la Chiesa Cattolica un evento di grazia, il più importante del XX secolo, di natura epocale, i cui benefici, le decisioni, gli orientamenti intridono la vita della Chiesa stessa e la sua presenza nel mondo, oltre ogni aspettativa, lungo un pur breve mezzo secolo e, come è prevedibile con fondatezza e come è augurabile, per numerose generazioni future. Un evento di tale portata che ha impegnato la Chiesa ad una sua rinnovata comprensione per «far crescere (augere) sempre più la vita cristiana tra i fedeli; meglio adattare (accomodare) alle esigenze del nostri tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; favorire (fovere) tutto ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo e rinvigorire (roborare) ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa»,6 come leggiamo con volontà programmatica già nel Proemio, 1, della Sacrosanctum Concilium (4-12-1963), il primo documento promulgato dal Concilio stesso; un tale evento ha suscitato e sta suscitando complessi e compositi “conflitti di interpretazione” in questa complessa e composita fase di ricezione.7 Non deve sorprendere: ogni fase post-conciliare ha comportato tempi di faticosa ricezione. Anche se mi sentirei di condividere l’atteggiamento, il forte desiderio espresso da più parti di passare, con sapiente risolutezza e coraggio che discerne, dalle interpretazioni all’attuazione più ampia del Concilio. È fuori dubbio che questo passaggio è possibile se vi è seria conoscenza dello spirito e della lettera del Concilio; se si matura un’obbedienza fiduciosa e costruttiva nei suoi confronti riconoscendo il suo alto magistero; se si è capaci di cogliere la fondamentalità dei suoi contenuti, la transitività operativa di alcuni di essi; se con mente lucida si provi a riflettere come si troverebbe a vivere la Chiesa nella temperie della globalizzazione, degli incontri/scontri di civiltà, di un post-moderno che lambisce non solo siti occidentali, di spinte secolarizzatrici di varia natura, di usura di quella speranza che si è respirata e vissuta nella Chiesa e nel mondo negli anni sessanta quando non è venuta meno, nella fatica del vivere, la fatica di voler cambiare in meglio. Sono consapevole, tuttavia, che per fare questa lettura critica, sarebbe di aiuto la conoscenza diretta dei fatti e dei vissuti. Dobbiamo renderci ben conto che ormai nuove generazioni sono solo relative spettatrici e constatatrici dell’evento conciliare e con difficoltà possono comprendere cosa il Concilio è stato, ed è, nella sua forza di evento per la Chiesa.8 Con queste generazioni, tuttavia, non possiamo non considerare ciò che è già stato attuato in quelle esperienze positive di vita che il Concilio ha suggerito, favorito, indicato per il rinnovamento di noi Chiesa. Il liturgico, il biblico, il teologico, l’istituzionale, l’ecumenico, la presenza nel mondo con le sue gioie e speranze, nel grande solco di una tradizione in divenire, non è più come prima. Ormai “è” in novità e partiamo pure da questo già attuato che giudica nella sua positività e con la sua presenza testimoniale la zavorra delle negatività, delle infedeltà, delle tiepidezze che affliggono il nostro odierno divenire cristiani. Non è la zavorra che può e deve giudicare il non operato, il non ancora riuscito dell’attuazione conciliare. È il contrario. È la luminosa positività, che come dono dall’alto ci è trasmessa dall’evento conciliare e dal già attuato che ci permette di circoscrivere la negatività e ci aiuta a prendere coscienza dei ritardi. Quei gruppi chiassosi conservatori, che portano avanti a sciabolate l’istanza di un’ermeneutica della rottura che avrebbe operato il Vaticano II,9 sembrano non vedere le istanze riformatrici che la messa in atto del Concilio sta già operando: il vino nuovo in otri nuovi. Per gustare più intensamente questo “vino” Benedetto XVI ha indetto l’Anno delle fede, facendolo iniziare in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Nel Motu proprio di indizione, Porta fidei (11-10-2011), il papa, citando il beato Giovanni Paolo II, auspica che questa occasione sia «propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari “non perdono il loro valore e il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa… Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “Se lo leggiamo e lo recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”».10

Mariologia che s’infutura

Il nostro ricordo grato e riconoscente dell’evento conciliare è ulteriormente motivato e giustificato dallo straordinario beneficio che ha ricevuto, rinnovato e qualificato la “questione mariana” in generale e, per quanto ci riguarda, la mariologia, in particolare, all’interno della “questione mariana” e della ricerca teologica.11 Il XXIII Congresso Mariologico Mariano Internazionale organizzato dalla Pontificia Academia Mariana Internationalis, celebrato in Roma dal 4 al 9 settembre 2012, dal tema La mariologia a partire dal Concilio Vaticano II. Ricezione, bilancio e prospettive è l’ultima attestazione, in ordine di tempo, dell’influenza qualitativa del Concilio sulla mariologia. In sintesi il Congresso è apparso un cantiere in piena attività nella ricerca e nello studio mariologico-mariano orientato dal Vaticano II. Gli Atti che saranno pubblicati daranno pienamente ragione a questa mia definizione lapidaria del Congresso. Ma, per restare all’osservatorio della nostra rivista, con attenzione ai contributi orientati dal Vaticano II e pubblicati negli ultimi cinquant’anni, si può attestare come il Concilio abbia favorito un approfondimento del mistero di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa, la sua persona, la sua presenza nell’opera salvifica, la grazia e i doni a lei donati, la sua testimonianza di fede e esemplarità nel cammino dei credenti, la promozione del suo culto e di una regolata devozione. Anche tutti i contributi del presente tomo della rivista, nella loro varietà e diversità di contenuti e di approcci metodologici, sono da ritenersi un’ulteriore risposta alle direttive pastorali del n. 67 del Capitolo VIII della Lumen Gentium. Sono anche un segno della volontà di proseguire guardando al futuro nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a nuove sfide e nuovi scenari culturali dove, dire “Gesù Signore” e su “Gesù Signore”, non è immediata traduzione del desiderio di dirlo, ugualmente e forse maggiore è la difficoltà di dire, con la sapienza del cuore e intelletto d’amore, Maria di Nazaret, la santa Theotokos, la Madre del Signore, nostra Madre e vera sorella.
Vorrei guardare al futuro orientato dalla Gaudet da cui ha preso avvio la nostra memoria conciliare, cogliendo dall’allocuzione alcuni spunti, non esaustivi, scelta limitata, riservando ad altri contesti l’articolazione di prospettive future per la mariologia e l’approfondimento di realtà mariane. È una modalità, la nostra, di riconoscere il soffio primigenio dello Spirito Paraclito che è stato sentito, ascoltato, accolto, tradotto dal beato Giovanni XXIII per servire la Chiesa di Cristo e di cui riconosciamo i benefici.
1. La ricerca mariologica deve guardarsi dalla “cultura del nemico”. È fuori dubbio che qui non si vuole auspicare l’omologazione del pensiero pensante. La dialettica nella ricerca unita alla parresia motivata dell’argomentare produce una maturazione di comprensione del mistero di Maria. A me pare che la ricerca della verità o ulteriori approfondimenti come, ad esempio, il senso e il significato della “presenza” di Maria, la mediazione, il delicato problema della corredenzione…, è chiaro che non possono lasciare neutri i mariologi, ma nello stesso tempo non è né positivo né efficace qualificare l’altro con attributi sprezzanti e a volte violenti perché argomenta diversamente da te. Non è già questa una prova della debolezza che inficia la stessa ricerca? Interpreto bene quando considero il Cap. VIII della Lumen Gentium un risultato eccellente del superamento della “cultura del nemico” presente nella “questione mariana” del tempo?
2. La ricerca mariologica e il “balzo in avanti” da perseguire. L’istanza del “balzo” della Gaudet ha trovato attuazione nei documenti conciliari composti alla luce del criterio biblico, patristico, antropologico, ecumenico, pastorale, con l’arricchimento di un modello teologico che non presuppone più il rivelato, ma attingendo alla historia salutis si pone come modello storico salvifico con la chiave di volta nella persona, nella parola e nel mistero di Cristo e della Chiesa. La mariologia non può non ispirarsi a questo modello che ha già dato frutti e nella pubblicistica mariologica-mariana e nella mentalità di chi si è confrontato con il mariologico.12 Insistere sul “balzo” mi pare necessario perché non sembrano scomparsi rigurgiti di una mariologia ontologico-deduttiva della quale la tradizione conciliare ha permesso di rilevare la fragilità e il limite. Per l’“oggetto” del suo ricercare la mariologia non può perseguire un modello che la isola dalla ricerca teologica in atto, ricerca che, a sua volta, persegue itinerari di rinnovamento.
3. La ricerca mariologica e la formulazione del rivestimento del depositum fidei. I tentativi in atto di essere fedeli alla sostanza di alcune verità dogmatiche come, ad es., l’Immacolata Concezione, l’Assunzione di Maria, tramite i quali si cerca di trovare la forma che rispetti l’eccedenza del mistero e, nello stesso tempo, favorisca una comprensione nell’oggi, sono un processo da seguire e da perseguire con pazienza. Mentre si persegue questo, desidero attirare l’attenzione per la mariologia su un aspetto che concerne la forma nell’uso della lingua. Si sente il bisogno di un rigore nella formulazione dei concetti, di una nobile semplicità verbale che rifugga dal verboso; preoccupati di avere “qualcosa” da dire, di dirlo, per poi tacere. In ambito umanistico, si sa, l’argomentare proprio ad ogni disciplina comporta linguaggi, sintassi, immagini che esigono normalmente un dire più articolato che non un’illustrazione di dati tecnico-scientifici. Così, nella ricerca mariologica-mariana può essere facile lasciarsi prendere la mano da un argomentare infarcito da aggettivazioni e da frasi ad effetto o scontate. Dare ragione del mistero, invece, comporta uno stile in armonia con quell’essenzialità evangelica che ci ha fatto conoscere la Madre del Signore.13
4. La ricerca mariologica e la promozione dell’unità. Il legame indissolubile che unisce la Madre di Gesù al suo Figlio ha reso la figura di Maria un singolare simbolo, nel senso più forte della parola, da duemila anni. La mariologia trova nel simbolo Maria un motivo di approfondimento che permette non solo di relazionarsi vitalmente all’interno della Chiesa Cattolica, ma anche nell’ecumenismo di cui abbiamo già efficaci riflessioni e documenti autorevoli che attendono ulteriori cammini, senza tralasciare di portare a perfezione contatti e ricerche per incrementare “il dialogo interreligioso, la bella testimonianza della serenità e della convivialità tra i figli di Abramo”,14 ma anche con altre esperienze religiose che si accostano alla figura di Maria, ai suoi Santuari, con affettuosa venerazione. Crediamo di non tralasciare quelle aperture culturali possibili nel mondo degli uomini e delle donne del nostro tempo, a cui arrivano spesso immagini mediatiche veloci ed emotive su Maria, che forse suscitano interesse ma mancano di sostanza. Infine urge sempre più il tempo di entrare con fiducia nel dialogo del “Cortile dei gentili”, come si rifletteva nell’Editoriale del tomo 72 (2011) della nostra rivista Marianum.
Se la Chiesa gioiva per l’inizio del Concilio Vaticano II, ha ben più motivi di gioire, oggi, nel constatare come il Concilio s’infutura.

NOTE
1 Cf. il testo del discorso Questa festiva ricorrenza in Acta Apostolicae Sedis (AAS) 51 (1959), I, 63-69. Sull’annunzio del Concilio e la sinossi delle redazioni del discorso, cf. A. MELLONI, Papa Giovanni. Un cristiano e il suo concilio, Einaudi, Torino 2009, p. 195-225, 291-298.
2 Cf. la Costituzione in AAS 54 (1962) 5-13; Enchiridion Vaticanum (EV) 1, Dehoniane, Bologna 2002, 2-19.
3 Cf. il Motu Proprio in AAS 54 (1962) 63-65; EV 1, cit., 20-23.
4 EV 1, cit., 32-33; testo completo p. 32-55; versione ufficiale in AAS 54 (1962) 786-789. Sulla redazione dell’allocuzione e la sinossi delle redazioni cf. A. MELLONI, Papa Giovanni, cit., p. 258-288, 299-335; G. ALBERIGO - A. MELLONI, L’allocuzione «Gaudet Mater Ecclesia» (11 ottobre 1962), in Fede Tradizione Profezia. Studi su Giovanni XXIII e sul Vaticano II, Paideia, Brescia 1984, p. 223-283.
5 Paolo VI, nel discorso di apertura del 2° periodo del Concilio, Salvete fratres (29-9-1963), in ossequio alla memoria di Giovanni XXIII, ebbe a dire: «Il suo nome rievoca in noi… la sua amabile e ieratica figura, quando apriva, il giorno 11 ottobre dell’anno scorso, la prima sessione di questo secondo Concilio ecumenico Vaticano, e pronunciava quel discorso che parve alla Chiesa e al mondo voce profetica per il nostro secolo, e che ancora echeggia nella nostra memoria e nella nostra coscienza per tracciare al Concilio il sentiero da percorrere e per francare i nostri animi da ogni dubbio, da ogni stanchezza, che nel non facile intrapreso cammino ci sorprendesse»:
EV 1, cit., 88-91. 6 EV 1, cit., 348-349.
7 Cf. l’ampia documentazione con aggiornamenti bibliografici in F. S. VENUTO, La recezione del Concilio Vaticano II nel dibattito storiografico dal 1965 al 1985. Riforma o discontinuità?, Effatà, Cantalupa (To) 2011.
8 Cf. G. ROUTHIER, La ricezione del Concilio. Mentalità, soggetti e tempi di un percorso laborioso, in La Rivista del Clero Italiano 91/4 (2010) 263-285.
9 Cf. ID., Sull’interpretazione del Vaticano II. L’ermaneutica della riforma, compito per la teologia. I-II, ibid., 92/11 (2011) 744-759; 92/12 (2011) 827-841.
10 BENEDETTO XVI, Motu proprio, La Porta della Fede. 11 ottobre 2012, LEV, Città del Vaticano 2011, 9-10.
11 Resta referenziale R. LAURENTIN, La question mariale, Seuil, Paris 1963.
12 Cf. il prezioso volume di S. M. PERRELLA, L’insegnamento della mariologia ieri e oggi, Messaggero, Padova 2012.
13 Cf. ibid., le p. 68-73, in particolare la citazione di I. M. CALABUIG e J. C. R. GARCÍA PAREDES.
14 Sono da considerare attentamente i n. 19-28 dell’Esortazione apostolica postsinodale del 14-9-2012 di papa BENEDETTO XVI, Ecclesia in Medio Oriente, LEV, Città del Vaticano 2012, p. 21-30.

 







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