La Vergine Maria e le opere sociali dei cristiani
Data: Venerdi 18 Gennaio 2013, alle ore 9:19:06
Argomento: Società


Un articolo di Bernardo M. Antonini in Riparazione Mariana, n. 3 - 2011, pp. 10-11.



 Karl Ranher dice che «la donna è al centro stesso del mistero cristiano, attraverso il corpo e la persona di Maria di Nazaret». È, quindi, logico ritenere che la Madre di Gesù sia partecipe in modo straordinario della storia della salvezza, prima di tutto nel suo farsi storico, ed è fin troppo facile vedere in questo il fondamento della dimensione sociale della sua persona e presenza.
A lei, infatti, si richiama Paolo quando parla di Gesù, «nato da donna » (Gal 4,4) ed è lei che canta e vive le magnificenze che il Signore ha compiuto e compirà, nascondendosi come lievito divino nella storia dell’umanità. Le parole del canto sono solenni e inequivocabili: il Signore ha disperso i superbi, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote… come aveva promesso ai nostri padri… e per sempre (cf Lc 1,46-55). Se non è corretto cogliere in queste parole un messaggio socio-politico, sarebbe altrettanto ingiusto ritenere che non sia presente in esse anche una dimensione relativa alle problematiche sociali. Questa giovane donna, che canta come Dio manda in rovina i progetti dei superbi e dei potenti, afferma pure che Dio è fedele e pieno di misericordia per tutte le creature e tutte le generazioni come solo l’Amore sa essere, forse come solo la madre sa capire, vivere e insegnare.
 Nell’incontro fra Maria ed Elisabetta nasce il cantico di due madri che raccontano il futuro del mondo e dell’umanità, mentre danzano di gioia, nel loro grembo, quei due figli che crescono dal loro ventre verso il centro della storia di ogni creatura e del mondo intero. Nessuna meraviglia, quindi, che l’esperienza di fede dei cristiani abbia preso forma storica come cura dei più deboli, come misericordia verso tutti, come amorosa accoglienza e perdono, anche in nome della Madre del Figlio dell’uomo. Fin dai tempi più antichi si sono manifestate esperienze di condivisione dei bisogni, prima all’interno delle comunità cristiane e poi sempre di più verso l’esterno. Sono un numero senza fine le opere ispirate a e da Maria verso ogni forma di umanità, dove viene testimoniato l’amore salvifi co di Cristo verso tutte le creature umane, a cominciare dalle più umili e deboli.
Alla luce dello sguardo materno di Maria ci si prende cura delle madri in difficoltà, dei bambini “esposti” all’abbandono fin dalla loro nascita, dei ragazzi più poveri e vittime di ogni rischio, dei giovani spesso prede della ingiusta durezza della vita, dei malati di ogni condizione ed età, degli anziani sofferenti per la stanchezza e per molte altre situazioni in cui la fatica di vivere diventa insopportabile e umiliante.
Oltre alla preziosità ispiratrice della figura della Vergine, si può affermare con certezza che non ci può essere devoto di Maria che non s’impegni a diventare testimone operante di sollecitudine amorosa verso ogni fratello. Nelle Costituzioni dei Servi di Maria si dice: «Poiché il Figlio dell’uomo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, noi, Servi della Madre, vogliamo essere con lei ai piedi delle infinite croci, per recarvi conforto e cooperazione redentrice ». (Cost. OSM, art. 319)
Fra le infinite testimonianze di quanto l’ispirazione mariana abbia penetrato la spiritualità e l’opera dei cristiani mi pare particolarmente interessante (sia dal punto di vista teologico che sociologico) quella realizzata da Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei. Tanti furono gli impegni e le iniziative sociali con le quali questo santo laico, insieme alla sua sposa, diede testimonianza concreta della sua devozione alla Vergine e in molte di esse è chiaramente presente una sensibilità anticipatrice di quell’impegno di giustizia sociale che diventerà presto esplicito annuncio del Magistero della Chiesa. Una di queste iniziative (anche oggi di drammatica attualità!) è particolarmente significativa: l’opera in favore dei figli dei carcerati e degli stessi carcerati.
Sia pure con limiti linguistici e iconografici evidenti, esistono testimonianze che danno il senso profondo di attenzione e cura verso una categoria di persone da sempre (e ancora oggi) cinicamente e crudelmente emarginate dalla società. Da un bagno penale, con trecento reclusi, tra cui cento condannati a vita, giunge una lettera, dove si racconta che i carcerati dopo aver pregato la Madonna di Bartolo Longo: «cantano una canzoncina alla Madonna ritmando il canto, non essendo permessi suoni strumentali, con gli anelli delle catene che portavano ai loro piedi» (G. Mattai).
L’amore e la devozione a Maria devono essere nutriti anche da quella cura verso ogni creatura, tanto più se è debole e ferita, nella quale i credenti sono chiamati a testimoniare la fede nel Dio dell’amore e del totale dono di sé. Non fa meraviglia quindi che i moltissimi istituti religiosi o associazioni di qualunque genere, che si richiamano in un qualche modo al nome e alla persona di Maria, rappresentino anche la storia dell’impegno sociale del mondo cristiano nella costruzione di una società sempre più giusta e umana.
Tutta la fenomenologia che unisce il nome di Maria all’impegno sociale - individuale e comunitario - dei credenti meriterebbe un’analisi dettagliata e una valutazione adeguata; tuttavia non vi è dubbio che la forza “sovversiva” legata alla Madre di Gesù e al suo canto di liberazione e salvezza non solo ispira, ma anche sostiene e guida l’opera soccorrevole di tutti i credenti. L’impegno che da sempre i cristiani hanno profuso, sia pure con limiti ed anche errori, per il miglioramento della società non è stato solo un dono grande per tutti quelli che ne hanno beneficiato, ma anche uno stimolo costante ed esplicito perché la società civile stessa e lo Stato allargassero sempre di più lo spazio del sostegno ai più deboli e dell’assistenza pubblica in generale.
A conclusione di queste brevi riflessioni, mi ritorna in mente la figura di suor M. Teresilla Barillà delle Serve di Maria Riparatrici, che da non molto ha raggiunto la dimora del Padre: è stata una persona straordinaria e quotidiana, un’indomabile testimone di un futuro possibile per tutti, un’inarrestabile sostenitrice del perdono e della misericordia di Dio, una persona capace di portare su di sé la croce di quanti incontrava, come del resto le suggeriva anche il carisma mariano della sua Congregazione. Scrive di lei W. Veltroni nella prefazione del libro «Teresilla. La suora degli anni di piombo» che racconta la sua storia: «Io credo che suor Teresilla fosse davvero una caparbia sostenitrice della possibilità di riscatto del genere umano, e che avesse una profonda fiducia negli uomini, nella loro capacità di capire dagli errori, anche dai più tragici, e di cambiare. Non è un caso che i suoi rapporti con i terroristi nacquero tutti in carcere, perché è lì - oltre che nelle corsie di ospedale, al San Giovanni - che suor Teresilla da sempre aveva speso se stessa per gli altri, e in particolare per gli ultimi, per gli sconfitti dalla vita che però la vita avevano ancora la possibilità di riprendersela, se solo avessero avuto un sostegno, un aiuto, un conforto».
Dovrebbe essere con questo spirito che riprendiamo con maggior passione di sempre il nostro cammino di Serve e Servi di Santa Maria, per trascinare anche altri sul nostro sentiero.


 







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