Sposa di Dio: la mariologia di Pietro Crisologo
Data: Mercoledi 9 Ottobre 2013, alle ore 11:16:57
Argomento: Patristica


Un articolo di Paolo Riva in La Madonna della Neve, n. 7 - Agosto - Settembre 2013, pp. 20-21.



A Ravenna, ponte tra oriente e occidente, spicca la figura del vescovo Pietro, detto il Crisologo per la sua eloquenza. Nella prima metà del V secolo ripropone la fede sancita ad Efeso e introduce nuove sottolineature nella devozione alla Madre di Dio.

Se in oriente abbiamo all'inizio del V secolo una «bocca d'oro» (S. Giovanni Crisostomo), in occidente, qualche anno più tardi, troviamo un Analogo corrispondente in S. Pietro Crisologo («parola d'oro»), entrambi famosi per la magnifica eloquenza. Di Pietro si sa molto poco: sembra sia nato ad Imola negli anni intorno al 380. Prima del 431 divenne vescovo di Ravenna, in quel tempo capitale dell'Impero romano d'occidente. Quando esplose la controversia monofisita, scrisse una lettera al monaco Eutiche per esortarlo a sottomettersi alle decisioni del papa Leone Magno, espresse nella lettera inviata al patriarca di Costantinopoli Flaviano. Oscuro rimane anche l'anno della morte, probabilmente intorno al 450. Sono dunque gli anni tra il concilio di Efeso (431) e quello di Calcedonia (451), assai delicati per l'elaborazione e lo sviluppo della dottrina sull'incarnazione del Signore e sul ruolo della Vergine Maria in questo mistero. Pietro si rivelò ottimo divulgatore dell'insegnamento efesino e severo fustigatore dell'eresia di Nestorio, considerando che Ravenna costituisce una sorta di ponte tra mondo greco e latino: «Vengano e ascoltino coloro che si sforzano di annebbiare con la confusione greca la chiarezza della lingua latina, e che bestemmiano chiamando Maria genitrice di un uomo o genitrice di Cristo per rifiutarle il titolo di Theotókos. "Ciò che è nato in lei è opera dello Spirito Santo". E ciò che è nato dallo Spirito Santo è Spirito, perché Dio è spirito».

Maria nostra Signora

Saggiamente, egli però evitava le espressioni latine mater Dei o Dei genitrix, perché nella tradizione latina questi termini avevano una risonanza piuttosto pagana. Preferiva chiamare la madre del Signore con l'appellativo di Vergine o anche semplicemente Maria, nome che egli traduceva con Domina. In Pietro il motivo della verginità di Maria s'intreccia continuamente con quello della maternità. Riecheggiando i grandi padri latini, il Crisologo ne specifica il triplice aspetto: «Vergine concepisce, vergine partorisce, vergine rimane. La carne prende atto del prodigio senza tuttavia fare esperienza del dolore; anzi, attraverso il parto, vede accresciuta la sua integrità, proprio perché ne ha ignorato il travaglio fisico». E davanti a questo mistero, il Vescovo ravennate cerca di sorprendere lo stato d'animo di S. Giuseppe: «Il suo animo santo s'infiammava, colpito dalla novità del fatto. La sua sposa era incinta, ma vergine, era piena di promessa e tuttavia non vuota di pudore; era preoccupata per l'avvenuto concepimento e ciò nonostante si sentiva sicura della propria maternità. Era bensì rivestita del ruolo materno, ma non spoglia dell'onore della verginità. Che cosa avrebbe dovuto fare lo sposo di fronte a una simile situazione? Accusarla di una colpa? Ma egli stesso era testimone della sua innocenza. Rivelare un peccato? Egli stesso era il custode del pudore di lei. Doveva supporre un adulterio? Non era egli stesso l'assertore della sua verginità?».

Colei che ha accolto il lievito della fede

Soprattutto sembra che Pietro Crisologo sia stato il primo, tra i padri della Chiesa latina, a chiamare la Vergine santa «sposa di Dio». Commentando il mistero dell'annunciazione, in cui il vangelo presenta Maria come virgo desponsata con Giuseppe, egli scorge una specie di rapporto sponsale tra Maria e Dio stesso: «Il messaggero vola veloce dalla sposa, al fine di togliere e di porre termine, nella sposa di Dio, ad ogni attaccamento per le nozze umane. Non sottrae a Giuseppe la Vergine, ma la restituisce semplicemente a Cristo, al quale essa era stata promessa fin da quando fu formata nel seno materno. Cristo dunque si prende la propria sposa; non si porta via quella di un altro; né provoca qualche separazione quando unisce a sé, in un solo corpo, tutta intera la sua creatura». Un testo certamente non facile da capire se si dimentica che quanto affermato per Maria in fondo vale per ogni creatura umana: creata in vista dell'intima comunione con Cristo, vocazione che trova nel simbolo nuziale una delle immagini più significative.
È antichissimo anche il paragone tra Maria ed Eva. Ma in Pietro trova nuove risonanze: «La donna, che dal diavolo aveva ricevuto il lievito della perfidia, ha accolto da Dio il lievito della fede. Cosi la donna, che in Adamo rovinò l'intera massa del genere umano mediante il lievito della morte, reintegrò nel Cristo tutta la massa della nostra carne tramite il lievito della risurrezione. Inoltre La donna, che aveva confezionato il pane della sofferenza e del sudore, fece cuocere il pane della vita e della salvezza. Maria infatti risponde alla tipologia del lievito, ne anticipa la similitudine, ne autentica la figura allorché riceve dall'alto il lievito del Verbo e la carne umana nel suo seno verginale: anzi nel suo seno verginale trasfuse l'uomo celeste nell'intera massa».

SIMBOLO NUZIALE

Perché il mistero della celeste innocenza viene destinato a una promessa sposa e non a una ragazza libera? Perché mettere così in difficoltà la premura dello sposo e quella della sposa? Perché una così grande virtù viene ritenuta un crimine e l'intera opera della salvezza un rischio? Perché il pudore degli innocenti doveva affrontare un tale travaglio, la verecondia doveva cedere, la castità stancarsi, la fede subire una ferita, sorgere un'accusa, diventare urgente la conoscenza dei fatti, e ogni possibilità di difesa venire tolta? Che cosa potrà mai scusare una promessa sposa, se c'è un concepimento che l'accusa? Oppure a che gioverebbe un difensore esterno quando esiste un testimone interno del fatto? In questi frangenti, che cosa dobbiamo pensare noi, fratelli? Nel vangelo i segni, le lettere, le sillabe, la parola, i nomi, le persone non mancano di un significato divino. È stata scelta una promessa sposa affinché già allora venisse simbolicamente indicata la Chiesa di Cristo quale sposa, secondo la parola del profeta Osea: «Ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto; ti farò mia sposa nella misericordia e nella benevolenza e ti sposerò nella fedeltà». [Pietro Crisologo, Sermo 146]

 

ASCOLTA L'AUDIO DELL'ARTICOLO







Questo Articolo proviene dal PORTALE DI MARIOLOGIA


L'URL per questa storia è:
/modules.php?name=News&file=article&sid=952