Ave gratia plena [2] - 4
Lettera Pastorale di Mons. Antonio Ciliberti del 13 maggio 2004
DICESI DI CATANZARO - SQUILLACE

4. La Chiesa imita la santità di Maria

“Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga (cf. Ef. 5, 27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come il modello della virtù davanti a tutta la comunità degli eletti. La Chiesa pensando a lei piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con venerazione e più profondamente nell'altissimo mistero dell'incarnazione e si va ognor più conformando col suo Sposo (…). Onde anche nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che generò Cristo, il quale fu concepito da Spirito santo e nacque dalla Vergine, per poter poi nascere e crescere per mezzo della Chiesa anche nel cuore dei fedeli. La Vergine infatti nella sua vita fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini” (LG 65). Contemplando Maria Santissima, la Chiesa ha sempre riconosciuto in lei l’esempio della perfetta conformazione a Cristo e il modello della propria missione apostolica. La nostra chiesa diocesana, celebrando la santità di Maria in quest’anno a Lei dedicato, è chiamata ad alimentare in sé stessa il fuoco dell’amore materno, che la spinge a consumarsi affinché per suo tramite Cristo possa nascere e crescere nel cuore dei propri figli. Alla scuola di Maria, Madre Immacolata, impariamo a riconoscere e vivere la nostra pastorale come missione di generare Cristo nei cuori. Possiamo donare Cristo, operare perché sia generato nei cuori, se Cristo è già formato in noi. La nostra pastorale ci richiede innanzitutto lo sforzo di debellare il peccato, il desiderio di crescere nella santità, la disponibilità a penetrare nell’obbedienza il mistero del Verbo incarnato, ad ascoltare e custodire la sua parola per conformarci a Lui.


“Serbava tutte queste cose nel suo cuore”
“Ed egli rispose: ‘Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?’. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,49-51). Maria ascolta la Parola di Gesù. Ella riconosce in suo Figlio il mistero eterno e immenso di Dio. Non comprende le sue parole, non può penetrare la profondità del mistero, ma conserva ogni cosa nel cuore. Custodendo nel cuore quel mistero, lo potrà comprendere con la preghiera, la meditazione, l’attenzione a quanto ancora avverrà in Gesù e intorno a Lei, l’ascolto di ogni parola che uscirà dalla bocca di suo Figlio. La sua meditazione del mistero di Gesù e la sua comprensione della volontà del Padre saranno rese chiare con l’aiuto dello Spirito Santo che è su di Lei in pienezza. Maria è per noi il modello di come porci, da veri cristiani, dinanzi a Cristo e al suo mistero, che è sempre oltre i limiti della nostra creaturalità. Per percepire il mistero di Cristo, occorre innanzitutto creare le condizioni per un ascolto costante della sua parola. Il cuore di Maria è sgombro da ogni macchia di peccato e per questo può ascoltare e accogliere in modo perfetto la volontà di Dio; la sua mente non è offuscata dagli affanni e dalle tenebre, e per questo può meditare con chiarezza le opere che Dio compie in Lei e intorno a Lei. La Chiesa deve tendere a creare nel suo seno e nel cuore dei suoi membri le condizioni di grazia e di luce che si ritrovano nel cuore e nella mente di Maria. E’ la santità il terreno su cui cresce e matura perfettamente il seme della parola di Dio, perché porti frutto di conoscenza della verità, di amore della verità, di dono della verità al mondo, e a sua volta generi ancora santità. Per mettere mano al mandato missionario che Cristo stesso ha affidato alla sua Chiesa, occorre ricordare che il vero missionario è il santo. “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Questo Gesù rivelò a Maria e a Giuseppe tra i dottori del tempio. Quella era la volontà attuale del Padre su di Lui. E oggi, cosa vuole fare Cristo per noi? Cosa chiede a noi di fare? Qual è la sua volontà attuale su di noi e sulla nostra storia? E’ Cristo l’unico Salvatore. Siamo certi che non saranno semplicemente i nostri progetti umani, le nostre strategie, i nostri piani di intervento nella comunità e nella società a portare la salvezza, a meno che non saranno altro che risposta e obbedienza alla volontà di Dio ascoltata e meditata. Tutto ciò che possiamo pensare o fare per nostra esclusiva iniziativa umana è solo affanno del nostro cuore o nebbia della nostra mente. La nostra pastorale deve sempre partire dall’ascolto della Parola di Dio e dalla comprensione della sua volontà per noi. Non conta tanto il “fare le cose”, ma il “fare secondo la volontà attuale di Dio” su di noi, sul nostro carisma, sul nostro ministero, sulla nostra missione. Affinché la nostra pastorale parta sempre dalla volontà di Dio e in essa rimanga e perseveri, occorre creare nelle nostre comunità le condizioni per un ascolto costante della Parola. A tal fine, è necessario valorizzare tutte le occasioni di annuncio, ma anche programmare e attuare percorsi sistematici di evangelizzazione, catechesi e formazione. L’evangelizzazione sia il nostro obiettivo primario. Si evangelizza non solo dicendo il Vangelo, ma vivendolo. L’annuncio è parola, ma è anche luce che promana dalla persona che vive di Vangelo. Per essere evangelizzatori siamo chiamati alla grande responsabilità di conformare la nostra vita alla parola di Gesù, a vivere nella sua grazia. Siamo chiamati a una costante conversione. La missione evangelizzatrice costituisce l’essere della Chiesa e del cristiano. L’evangelizzazione non è solo opera che si attua in particolari luoghi o contesti, ma è modo di essere del cristiano, chiamato ad essere se stesso in ogni ambiente o situazione. Evangelizziamo vivendo la nostra identità cristiana. Se siamo luce, allora portiamo la luce in ogni ambiente in cui ci troviamo. Per evangelizzare gli ambienti, occorre formare i cristiani che vivono in essi o li frequentano, in modo che siano in essi come lievito che fermenta la massa. La catechesi è forma privilegiata di missione evangelizzatrice, strumento insostituibile per formare cristiani convinti e maturi che a loro volta diffondano la voce di Cristo. La catechesi sia innanzitutto annuncio e spiegazione del Vangelo, con le necessarie caratteristiche di sistematicità e organicità. Essa mira essenzialmente a formare nei fedeli il “pensare secondo Cristo”. E’ necessario che in essa siano presentati i contenuti di fede con chiarezza di verità, secondo la fede della Chiesa. Non è il luogo appropriato per il dibattito delle idee, per l’esposizione delle opinioni personali, per la discussione su questioni diverse. I fedeli devono sapere che frequentando la catechesi troveranno parola di Vangelo. La metodologia deve essere adatta a tutte le categorie di fedeli, distinguendo la catechesi dalla lectio o dei gruppi biblici. La semplicità nella forma è sempre la via migliore per presentare la profondità dei contenuti. Uno stile dialogico, aperto alle domande dei partecipanti, favorirà senz’altro l’assimilazione del messaggio. Una cura specifica va posta ovviamente alla formazione dei formatori e di tutti i fedeli laici che si rendono più sensibili alla corresponsabilità pastorale. Saranno particolarmente utili in tal senso i corsi di formazione per catechisti e operatori pastorali che in forania saranno di valido sussidio alla pastorale ordinaria delle parrocchie. Non dimentichiamo che in quest’opera di evangelizzazione e formazione il ruolo del presbitero è insostituibile. La sua opera sarà tanto più efficace quanto più si sforzerà di nutrirsi quotidianamente di Vangelo, di curare la propria formazione pastorale, teologica e spirituale e di crescere autenticamente in santità. La storia della Chiesa attesta che la santità del presbitero è segno e strumento fecondo che fa nascere santità nel popolo di Dio.


“Eccomi, sono la serva del Signore”
L’ascolto e l’accoglienza della parola di Dio annunziatale dall’angelo ha dato a Maria la sua identità (“la serva del Signore”) e la sua missione singolare (“avvenga di me secondo quello che hai detto”). La Chiesa, ad immagine di Maria, riconosce e attua la sua identità e la sua missione ricevendole costantemente dalla parola del Signore. Ogni membro della Chiesa, con la forza dello Spirito Santo, può attuare responsabilmente la vocazione ricevuta come unica e perfetta via per realizzare se stesso secondo Dio e per collaborare alla salvezza dei fratelli. Nel cristiano, la crescita personale nella Grazia e la missione di salvezza devono camminare insieme. Il mandato pastorale a cui è chiamata la nostra Chiesa esige da ciascuno di noi la piena attenzione e disponibilità a fuggire dalla tentazione del “sonno morale” e del “sonno missionario”. Il sonno morale è l’assopimento che arresta la crescita personale nella Grazia e nella Verità. L’osservanza dei comandamenti, la vita nelle beatitudini, il progresso nelle virtù conformano il cristiano a Cristo sulla via della santità. Trascurare la propria crescita spirituale è rinnegamento della propria identità di uomo nuovo in Cristo, rifiuto della redenzione di Cristo, sottrazione del proprio contributo all’edificazione del Regno di Dio. Uno dei motivi che fa cadere il cristiano nel sonno morale è l’illusione, che proviene da un accomodamento del Vangelo, secondo cui sarebbe sufficiente la misericordia del Signore affinché possiamo già essere tutti salvi. E’ vero che con la sua misericordia Dio Padre tiene costantemente aperta la sua porta, affinché possiamo tornare a Lui pentiti e rigenerati dalla sua Grazia. Ma Dio può dare il suo abbraccio di perdono al figlio che ha voluto ripercorrere la strada del ritorno; se questi rimane nel degrado del peccato, il Padre, pur soffrendo, pur rimanendo in sua attesa, non lo può riaccogliere in casa, non può far festa per lui. La strada del ritorno è solo la strada della giustizia, del rinnegamento del peccato e dell’obbedienza alla volontà di Dio. Non ci sono altre vie per essere perdonati; le altre vie conducono realmente alla perdizione. Rientrato nella giustizia, il figlio può consegnare nell’amore la sua vita intera al Padre, perché ne faccia uno strumento di salvezza per gli altri figli dispersi. Se, travisando il dono della misericordia di Dio, affermiamo la salvezza per il peccatore che rimane tale, rinneghiamo che la misericordia e il perdono di Dio sono sempre insieme alla giustizia e all’amore, all’obbedienza e al dono di noi stessi. La caduta nel sonno morale trascina inevitabilmente nel sonno missionario. Se non spinge l’amore di Cristo che abita in un cuore rigenerato dalla Grazia, se non muove al dono di sé il desiderio di salvezza per sé e per i fratelli, è impensabile un reale zelo missionario fatto di sacrificio secondo la volontà di Dio. Al limite può restare possibile un impegno a concretizzare certe opere umane, ma un’opera umana che non sia fedele risposta alla volontà attuale di Dio non ha in sé la capacità di salvare, di convertire; questa è una capacità trascendente rispetto alle sole forze umane, quando non sono elevate dalla Grazia, perché si dimora nell’obbedienza verso Dio. La Vergine Maria ha collaborato in modo sopraeminente e perfetto all’opera della redenzione perché ha obbedito, ha amato, in ogni istante della sua esistenza, dal suo concepimento immacolato fino alla sua assunzione in cielo. Per fede e obbedienza Maria ha accolto Cristo nel suo grembo e lo ha dato al mondo. Per fede e obbedienza, per amore e santità, Maria ha donato Cristo non solo portandolo nel grembo, ma anche offrendolo ogni giorno con il sacrificio e il dono totale di se stessa. Sotto la croce Ella ha partorito tutti noi nel suo martirio spirituale. Siamo chiamati anche noi a riscoprire e vivere l’obbedienza come dono di noi stessi, per amore di Dio e dei fratelli. La pastorale si attua con il sacrificio, un sacrificio di amore, che parte dalla fede ed è mosso dalla speranza alla consumazione di sé. Il dono di noi stessi è offerto al Padre perché anche per mezzo nostro i cuori possano rinascere a Cristo e Cristo possa essere generato nei cuori. Il dono di sé nell’obbedienza e nell’amore feconda l’annuncio del Vangelo e rende autentica la testimonianza della carità. E’ la forza del missionario, è l’anima della pastorale. E’ reso possibile ogni giorno dalla preghiera, invocazione incessante affinché cresciamo nell’amore di Dio e perseveriamo sino alla fine. Guardiamo a Maria santissima e non saremo scoraggiati. Imitiamo lei e troveremo la forza per dare noi stessi. Imploriamola con fiducia, perché possiamo amare Cristo, vivere per amarlo e farlo amare.


“Raggiunse in fretta una città di Giuda”
“In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?»” (Lc 1,39-43). La Vergine Maria ha appena detto il suo “eccomi” alla volontà del Signore. Ogni suo pensiero, ogni sua intenzione, ogni sua parola e ogni sua opera da quel momento saranno sempre un compimento di quel “sì”; ella vedrà tutta se stessa, tutta la sua vita, tutto il mondo e la storia attorno a lei solo ed interamente alla luce della volontà particolare di Dio su di lei. In ogni luogo o momento in cui ella dovrà intervenire per attuare la sua missione, ella lo farà come “la Madre del Signore”: questo sarà il suo specifico e la sua identità. E’ la chiamata del Signore che costituisce una persona nella sua capacità di bene e di salvezza per sé e per il mondo. Intorno a noi ci sono tante vie di per sé possibili per fare il bene, ma una sola è quella che ci è personalmente indicata, quella che possiamo percorrere: la via che corrisponde all’identità e alla missione conferiteci dalla volontà del Signore. E’ in questa luce che dobbiamo leggere e discernere ogni nostro intervento nella storia attorno a noi. Questo principio comporta alcune conseguenze. La prima è la coscienza e il rispetto della nostra identità. Abbiamo il dovere di comprendere noi stessi davanti a Dio, davanti al suo dono che costituisce la nostra identità e a ciò che Egli si attende da noi. La nostra identità personale e missionaria è un’identità teologale, si costruisce per rapporto a Dio. Siamo chiamati ad essere e a fare ciò che Dio, nel suo piano d’amore, ha pensato per noi. La nostra identità non può essere smarrita o mutata a secondo delle circostanze in cui di volta in volta ci troviamo. In ogni luogo e in ogni tempo dobbiamo rimanere noi stessi: non ciò cha abbiamo deciso di essere, non ciò che gli altri o le situazioni ci chiedono di essere, ma ciò che Dio ha voluto che noi siamo. C’è un modo di essere cristiano nel mondo e nella società, nella famiglia e nelle istituzioni, nel lavoro e nelle relazioni personali. Al modo di essere cristiano si possono contrapporre mentalità, modelli di comportamento, prassi, luoghi e contesti intrinsecamente contrari. Sappiamo sempre discernere se il nostro modo di essere nel mondo e nella società è conforme alla nostra identità teologale?


“La madre del mio Signore”
L’identità teologale è definita per ogni cristiano dal Vangelo: è la via dei comandamenti e delle beatitudini, delle virtù e della conformazione a Cristo. Ma questa via si attua in modo particolare per ciascuno, secondo il carisma e il ministero ricevuti. Non ogni impegno per il bene, è bene per me. Non sono chiamato semplicemente a fare “il bene”, ma il bene che il Signore mi ha chiesto, quello che è conforme a vivere il mio carisma e il mio ministero. Potrei disperdere il mio carisma, trascurare il mio ministero per dedicarmi non a ciò che è male in sé, ma a ciò che il Signore non mi ha chiesto di fare, a ciò per cui non ho il talento necessario, a ciò che il Signore ha affidato ad altri. Quando a Pietro e agli apostoli fu chiesto di curare l’assistenza alle vedove, un’opera in sé buona e necessaria, Pietro riconobbe che il suo ministero era un altro, quello della preghiera e della parola: un ministero conferitogli da Cristo stesso, da cui nessun’altra opera poteva distoglierlo (cfr At 7, 1ss). Il sacerdote deve riconoscere ciò che deve fare come sacerdote, secondo il ministero pastorale ma anche secondo i carismi personali che gli sono stati conferiti. Così il fedele laico ha il compito di riconoscere il suo posto specifico di fronte al vastissimo campo del regno di Dio. E’ facile incorrere nella tentazione che di per sé non spinge verso il male morale, ma invita a seguire vie di essere e di agire che non sono quelle attinenti al nostro specifico ministero o carisma. Il compimento della volontà di Dio legata al personale carisma o ministero è la forma concreta dell’amore a cui siamo chiamati. La carità di Maria Santissima si compie anche nei confronti della parente Elisabetta. Per mezzo dell’angelo, il Signore le aveva rivelato il suo stato e la grazia che le aveva concesso. Maria vede il bisogno di Elisabetta, vede la propria condizione di poterla aiutare; vede però se stessa e la cugina nella luce del Signore e della sua parola. Intraprende allora il viaggio. La carità di Maria è espressione della pienezza di Grazia che è in lei; la forma di attuare la carità, che procede sempre da un cuore e da una mente totalmente avvolti dalla Grazia, è espressione della chiara conoscenza che Maria Santissima ha della volontà attuale del Signore su di Lei. Da Elisabetta, Maria si presenta come la Madre del Signore, e come tale Elisabetta la riconosce, mossa dallo stesso Spirito che avvolge Maria. La concreta opera di bene che Maria compie per sei mesi nella casa di Zaccaria non prescinde dal suo essere, ma è una forma per vivere la sua missione di Madre del Signore, di colei che deve portare il Signore e far nascere la sua carità nei cuori. E’ questo il modello anche per noi del servizio a Dio e all’uomo. Si serve Dio, amandolo. Lo si ama, mettendo in pratica la sua parola, attuando la missione specifica che ci ha affidato. Questa missione è il vero bene per noi e per il mondo; il sevizio reso a Dio ci consente di donare all’uomo e riversare sul mondo il bene stesso che Dio ha posto nelle nostre mani. Ciò che non è compiuto come servizio a Dio, non serve neanche l’uomo, perché non c’è niente di nostro che possa donare al mondo salvezza. Attraverso di noi passa un bene per la salvezza del mondo solo se è posto in noi da Dio, e passa nella misura della nostra fedeltà e del nostro amore. Riflettiamo sul bene operato dalla nostra pastorale: è il bene che Dio ha posto nelle nostre mani, che Egli ha affidato al nostro specifico carisma o ministero? O è un “bene” che autonomamente abbiamo scelto noi di compiere, o ancora è un “bene” che altri ci hanno domandato? Il bene secondo Dio è compiuto da noi con assiduità, nella sua totalità, con il dono di noi stessi? O è confinato nell’occasionalità, nella parzialità, senza coinvolgerci pienamente? Riflettiamo ancora: Il nostro “sì” a Dio è sul modello del “sì” di Maria? Scegliendo il Signore che la chiamava, ella si è assunta anche interamente tutte le conseguenze di quella scelta. Il suo sì è compiuto nella scelta di tutto il bene che il Signore le aveva chiesto, nel dono di tutta se stessa, nel sacrificio della propria vita. Chi sceglie di seguire il Signore senza volere anche le conseguenze di questa scelta, conseguenze di impegno totale fino al dono di sé, non ha davvero scelto il Signore. Il nostro sì sia pieno e totale; il resto lo compirà in noi il Signore. Sarà lui a fare in noi cose grandi.


“L’anima mia magnifica il Signore…”
“Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia…” (Lc 1,49-54). La nostra opera pastorale ci pone nel cuore della storia e non fuori di essa. Verso il mondo e la storia siamo debitori del compimento dell’opera di salvezza che il Signore ci ha voluto affidare rendendoci partecipi della sua missione. Ma la storia in cui siamo immersi deve essere letta alla luce del Signore, attraverso i suoi occhi. Maria Santissima canta l’opera di Dio nella storia e legge la storia con la sapienza ispirata che viene dall’immersione del suo cuore pieno di Grazia nel mistero di Dio. Lei è dentro la storia, ma legge la storia dalla prospettiva di Dio. E’ facile che la storia ci sommerga. Questo accade quando smettiamo di porre il nostro cuore e la nostra mente in Dio. Basta un attimo, e il mondo ci attrae con il suo modo di pensare il bene, la vita e la salvezza. Qual è il modo più usuale per distogliere un cristiano dalla sua missione nella storia? Non quello di proporgli il male, ma fargli pensare e attuare il bene secondo il mondo e non più secondo Dio. Perché possiamo leggere la storia dobbiamo leggere la Parola di Dio, leggerla in Cristo, attraverso la Scrittura, nella Tradizione della Chiesa. E’ la Parola di Dio che fa cogliere il senso della storia, riconoscere la finalità di redenzione e nuova creazione a cui è chiamata, discernere se singoli fatti e situazioni volgono verso questo fine o gli si oppongono. Nella storia siamo chiamati a vivere da cittadini del cielo. Siamo legati alla storia, perché verso di essa siamo debitori di santità. Proprio vivendo la vocazione alla santità possiamo illuminare la storia con la luce di Cristo e, allo stesso tempo, la santità ci chiama a non vivere per la storia, ma a vivere per il Regno. La storia è il luogo della nostra santificazione, nella misura in cui non ci lasciamo assorbire da essa mentre camminiamo verso il Regno. Maria Santissima, Assunta in cielo, è il “segno di consolazione e di sicura speranza”, Colei che mostra il fine a cui conduce la santità di Cristo attraverso il pellegrinaggio nella storia. Guardando a lei non ci lasciamo appesantire dalle cose della terra; ammirando lei affrettiamo il passo nella sequela di Cristo, implorando lei ci sforziamo di imitarla nella santità del suo “sì”, affinché la nostra vita sia tutta spesa per Cristo, con Cristo e in Cristo, con la forza dello Spirito Santo, come sacrificio a gloria di Dio Padre.


Conclusione

Introducendo questa lettera pastorale, esordivo dicendo che il suo precipuo intento è quello di contemplare la bellezza e la santità della madre di Dio e madre nostra, per poterne imitare le virtù e modellare la nostra vita sulla sua perfezione. Il primo dato importante che si impone alla nostra attenzione e sollecita la nostra compartecipazione è il suo immacolato concepimento. Maria nasce senza macchia di peccato originale, perché a Lei furono applicati preventivamente da Dio i meriti della redenzione, operata da Cristo, figlio della Vergine. In Lei ravvisiamo la nobile condizione in cui l’umana creatura è elevata per opera di Gesù Cristo. Maria è il prototipo dei santi! A quell’altezza sublime Dio chiama ogni suo figlio che, accogliendo l’invito del Padre, rinneghi il peccato, si converta e responsabilmente celebri con Cristo la sua Pasqua. Il secondo aspetto che emerge eloquente contemplando Maria, come afferma l’arcangelo Gabriele, è la pienezza di grazia. Sono stupendi i Padri della Chiesa quando, inebriati da tanti splendori, sollecitano la fantasia e poeticamente immaginano che il Creatore raccolse l’immensità delle acque nella vastità degli oceani e le chiamò Mària. Poi radunò l’infinità delle grazie in un cuore immacolato e lo chiamò Marìa. Ma l’Arcangelo nel suo saluto non evidenziò soltanto l’opera di Dio nel cuore verginale di Maria; contemporaneamente esaltò i meriti della Madonna, evidenziando la prontezza della sua responsabile collaborazione con l’uso greco del perfetto forte “kecharitoméne”. La piena di grazia sollecita tutti noi ad accogliere il dono divino per esperimentare la gioia della novità della vita. La grazia è il dono che Dio fa di se stesso alle nostre anime. Quando siamo in grazia partecipiamo della vita di Dio che costituisce la vera novità della vita cristiana. Questo misterioso evento si attualizza in ciascuno di noi mediante la celebrazione dei Sacramenti e l’accoglienza della Parola. Il terzo momento che caratterizza la nostra contemplazione di Maria è lo strabiliante annunzio della divina maternità, da parte dell’angelo Gabriele alla Vergine Immacolata: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,31-32). Maria, confusa nella sua umiltà, ma forte della sua eroica fede, pronunzia il fiat e il verbo si fa carne nel suo seno. Il nostro atteggiamento, però, non può esaurirsi nell’attonita contemplazione della divina maternità di Maria, perché questa ci sollecita ad accogliere l’Emmanuele nel mistero della nostra esistenza per avere la certezza della salvezza. Come Paolo, dobbiamo adoperarci a concretizzare la nostra quotidiana cristificazione, per poter verificare, nella sicurezza della fede, che Cristo è la nostra vita. Un’altra sollecitazione importante ci proviene in maniera efficace dall’esemplarità della Madonna. Ella, fecondata dallo Spirito Santo, avverte insopprimibile il bisogno e la gioia di portare Cristo ai fratelli. È emblematica la visita premurosa alla cugina Elisabetta ad Ein Karem dove il Messia, prima ancora della sua nascita, è accolto come il Signore. Come Maria, il cristiano che esperimenta la gioia della presenza di Cristo nella sua vita, deve sentire il bisogno di portarlo ai fratelli, mediante la sua azione missionaria nella Chiesa e nel mondo. Questo si realizza, sull’esemplarità dello stesso Signore, facendo di se stessi un’oblazione d’amore, a servizio della comunità dei fratelli. Maria, protagonista con Dio, in questo disegno salvifico, riconoscendo le grandi cose che, dalla povertà del suo nulla, il Signore ha voluto fare per noi, innalza il suo ineffabile canto di gratitudine e di lode: “L’anima mia magnifica il Signore”! Con la stessa gioia della nostra mamma celeste, noi sentiamo il bisogno di esprimere la incommensurabile gratitudine a Dio perché nella voragine del nostro peccato ha innestato l’infinità del suo amore di Padre, affinché la nostra vita risorgesse nuova in Gesù Cristo. Il modo più vero per cantare il nostro inno di gratitudine e di lode è quello di ritemprare la nostra santità sulla perfezione di Cristo che è la perenne lode vivente del Padre con lo Spirito Santo. E mentre benedico e saluto tutti con grande affetto, prego la Vergine Immacolata di utilizzare la sua potente intercessione presso la Beata Trinità, perché i figli della nostra grande famiglia diocesana siano epifania luminosa del suo unigenito, per edificare la nostra diletta Chiesa, quale Comunità di santi.


Catanzaro, 13 maggio 2004
+ Antonio Ciliberti, Arcivescovo





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