Maria Assunta un segno grandioso nel cielo
Omelia del Card Dionigi Tettamanzi del 15 agosto 2004
DUOMO DI MILANO



Carissimi, oggi la Chiesa ci accoglie con un solenne invito alla gioia: «Rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando la festa della beata vergine Maria; gli angeli esultano per la sua assunzione e lodano il Figlio di Dio» (All’ingresso). Come si vede, l’invito è a una gioia cosmica, grande come il mondo, una gioia esplosiva che coinvolge tutta quanta la creazione, il cielo e la terra: come la gioia di una nuova Pasqua di risurrezione che penetra in ogni realtà con la sua forza di radicale rinnovamento. In questa nostra celebrazione, ci sentiamo particolarmente vicini ai tanti pellegrini che sono accorsi a Lourdes per partecipare ai sentimenti di fede e di devozione e alla preghiera del Santo Padre che, con la sua presenza, vuole ricordare, a nome di tutta la Chiesa e quindi anche a nome nostro, i centocinquant’anni dalla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Anche questa comunione di cuori nella preghiera e nella lode al Signore per i privilegi concessi alla Madre di Dio renda più significativa e gioiosa la festa mariana dell’Assunta. E ora ci mettiamo in ascolto della parola di Dio per essere introdotti a cogliere i contenuti e le motivazioni della gioia spirituale che oggi riempie il cuore della Chiesa e di tutti i credenti.


Una donna vestita di sole… un enorme drago rosso

È innanzitutto l’apostolo Giovanni a riproporci, nel libro dell’Apocalisse (11, 19; 12, 1-6. 10), la sua misteriosa visione della donna e del dragone. Veniamo così immediatamente afferrati e immersi in una dimensione cosmica e drammatica, perché la visione parla di cielo, di luna, di stelle, di terra, di uomini, di nazioni che vengono coinvolti nel tremendo duello mortale che si svolge tra la donna e il drago. Sì, veniamo afferrati e immersi e finiamo per diventare spettatori, intimoriti e sorpresi, che aspettano l’esito di questa lotta. Nel linguaggio di Giovanni la donna e il drago rosso sono presentati come “segno” (seméion): «Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole… Apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso…» (vv. 1 e 3). Con il termine “segno” l’evangelista vuole fare riferimento a una realtà più profonda che sta oltre a ciò che appare immediatamente. Qual è questa realtà? Ecco: il “segno” della donna tutta splendore – perché «vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (v. 1) – rimanda a Israele, al popolo di Dio, come ci ricorda il famoso sogno di Giuseppe, che ai fratelli dice: «Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me» (Genesi 37, 9). In realtà, anche l’Israele dei tempi messianici viene presentato con l’immagine di una donna che deve diventare “madre” di molti figli (cfr. Isaia 54, 1.5; 66, 7). Non è forse qui indicata la Chiesa, la Chiesa che continua la funzione dell’antico Israele e che può essere rappresentata dagli stessi simboli? Del resto, il chinarsi del creato davanti alla Chiesa, che in tal modo viene avvolta di splendore, non significa forse che essa rappresenta il centro dell’intero disegno divino di salvezza? Sì, quanto è fatto per Cristo (cfr. Efesini 1, 3; Colossesi 1, 15-23), si può dire che viene fatto anche per la Chiesa, che è il “corpo di Cristo”. D’altra parte, il testo dell’Apocalisse sulla donna si riferisce in modo immediato e concreto a Maria, la madre di Gesù, a lei che della Chiesa è come l’immagine e il “tipo”: «Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto… Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono» (vv. 2 e 5). E qui si parla proprio di Cristo: lui è il “figlio maschio”; lui, in forza della sua risurrezione e ascensione al cielo, è giunto a Dio e al suo trono; lui si è assiso «alla destra di Dio» (Marco 16, 19). Ma ecco il punto luminoso: il destino del figlio coinvolge pienamente e diviene il destino della sua stessa madre. Cristo attira, trascina e associa intimamente a sé Maria, anch’essa avvolta e permeata dallo stesso splendore di gloria. E così anche Maria “siede alla destra del Padre”. Ma come tutto ciò avviene? Avviene attraverso una formidabile lotta con l’altro “segno”: quello dell’«enorme drago rosso», rosso come il sangue che versa e ubriacato dal potere che possiede e che viene espresso dalle teste coronate. Scrive l’evangelista: ha «sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi» e «la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra» (vv. 3-4). A combattere contro Cristo, la Chiesa e Maria sta, quindi, questo drago, simbolo di Satana e della potenza ostile a Dio e al suo popolo. C’è il combattimento, dunque. E c’è la vittoria! È la vittoria di Cristo e del suo popolo, come proclama «una gran voce» che risuona in tutto l’immenso spazio del cielo: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo» (v. 10). In tal modo, la Chiesa e Maria, che ne è l’espressione più ricca, hanno raggiunto e raggiungeranno la gloria attraverso una grande lotta. Ma nessun dubbio al riguardo: è il bene a vincere sul male!


Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti

Ed eccoci alla seconda lettura, quella dell’apostolo Paolo, che dà un nome preciso al male e al bene: il male è la morte, il bene è la vita. Proprio questa è la grande vittoria che oggi la Chiesa canta e contempla nella sua perfezione in Maria assunta in cielo. È la vittoria di questa donna su quella morte che «è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e [di cui] fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sapienza 2, 24). Noi crediamo – per usare le parole del papa Pio XII, che ha definito la verità dell’Assunzione nel 1950 (cfr. Costituzione Munificentissimus Deus) – «essere dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio, la sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Ecco il nucleo della nostra fede nell’Assunta: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e già trionfa nella gloria celeste nella totalità del suo essere, «in anima e corpo». San Paolo ci dà la spiegazione di ciò partendo dal fatto centrale della storia umana e insieme della nostra fede: il fatto, cioè, della risurrezione di Cristo, che è «la primizia» e l’inizio di tutti coloro che sono morti e che egli “incorpora” a sé. Sta qui il segreto sorprendente e la realtà chiave dell’intera vicenda umana: “in Cristo”, l’uomo nuovo, siamo tutti “incorporati”, come tutti siamo “incorporati” “in Adamo”, il primo e vecchio uomo. La prima, quella in Cristo, è un’incorporazione che dà la vita. La seconda, quella in Adamo, è un’incorporazione che genera la morte. Lo scrive l’Apostolo in modo inequivocabile: «Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine…» (1 Corinzi 15, 21-24). Ora, ciò che Paolo dice di tutti gli uomini, la Chiesa, nel suo infallibile magistero, lo dice di Maria. Lo dice in questo preciso senso: Maria viene trascinata a tal punto nel mistero di Cristo da ricevere la vita non come avverrà per tutti noi – ossia alla fine della nostra esistenza, quando sarà annientato «l’ultimo nemico», la morte (cfr. 1 Corinzi 15, 26) –, ma già al termine della sua vita terrena. E la ragione è evidente: solo Maria è “incorporata” a Cristo in un modo singolarissimo e unico, ossia in quanto è la “corredentrice” di Cristo. Ed è corredentrice perché, come madre, ha dato la sua carne verginale a Cristo Signore e ha offerto e sacrificato il suo cuore dolorante ai piedi della croce. Come canta il nostro Prefazio: «Tu [Dio onnipotente ed eterno] non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita».


Beata colei che ha creduto

Ci possiamo ora chiedere: quali sono le radici ultime di questa vittoria prodigiosamente anticipata di Maria sulla morte? Le radici stanno nella fede della vergine di Nazaret, come testimonia il brano di Vangelo (Luca 1, 39-56): una fede che è obbedienza alla parola di Dio e abbandono all’iniziativa e all’azione di Dio che l’Angelo dell’annunciazione ha presentato a Maria. È proprio questa obbedienza di fede che, in comunione con l’obbedienza di Cristo, spezza definitivamente l’anello della maledizione che ci trascinava tutti nel peccato. Maria, la donna nuova, è la perfetta antitesi di Eva, la prima donna, come Cristo lo è di Adamo! Maria ha vinto la morte perché già prima, con la grazia di Dio ricevuta dallo Spirito Santo, aveva vinto in sé la forza maligna che genere la “morte”, che è il “peccato” (cfr. Romani 5, 12). La fede, dunque, è la grandezza di Maria, come proclama gioiosamente Elisabetta. Se è “benedetta fra le donne” e “benedetto è il frutto del suo grembo” perché è “la madre del Signore” è per il fatto che Maria crede e vive in maniera unica la “prima” delle beatitudini, appunto la beatitudine della fede. Elisabetta lo confessa nella gioia, sua e del bambino che le sussulta in grembo, dicendo: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (v. 45). A cantare questa beatitudine non è solo Elisabetta. È, innanzitutto, Maria stessa con il suo Magnificat, che è divenuto il cantico dei primi cristiani e dei cristiani di tutte le epoche della storia. Prima che essere espressione della gioia di Maria, il Magnificat è celebrazione della grandezza e della bontà immensa di Dio che si esalta negli umili, in quelli che si fanno suoi “servi”, si aprono completamente a lui e gli permettono così di operare «grandi cose» attraverso deboli strumenti umani. Proprio così ha sempre agito Dio per il passato in tutta la storia di Israele. Proprio così sta ora agendo Dio nei riguardi di lei, di Maria, la “povera di Jahve” per eccellenza. Come già nelle prime due letture eravamo posti di fronte al contrasto tra male e bene e tra morte e vita, così anche nella lettura evangelica ci troviamo di fronte a un nuovo contrasto: quello tra potenza umana e povertà dinanzi a Dio. Da un lato, infatti, si ergono i troni, i potenti, i ricchi; dall’altro lato, si affollano gli umili, i poveri, gli affamati. Maria si trova dalla parte di questi ultimi e riconosce che su di loro, a difenderli e a proteggerli, c’è il «braccio» di Dio. Così ella proclama: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (vv. 49-50). Ecco, allora, la più grande “vittoria” di Maria: mediante la sua fede, si è lasciata possedere tutta da Dio, perché egli potesse manifestare in lei «la potenza del suo braccio» (v. 51). Tutto, proprio tutto, ha nella fede di Maria la sua originale spiegazione: l’essere diventata la madre di Dio; l’essere stata concepita Immacolata; l’essere stata assunta al cielo «in anima e corpo».


L’arcobaleno sul cielo nuvoloso della nostra vita

Carissimi, ora dalla contemplazione ammirata e gioiosa del mistero di Maria assunta in cielo dobbiamo scendere nella concretezza della nostra vita quotidiana e chiederci quali risonanze questo mistero può e deve avere nei nostri pensieri e sentimenti, nelle nostre scelte e azioni. In realtà, tutto ciò che riguarda Maria, nel disegno di Dio, riguarda anche ciascuno di noi: la sua vicenda diviene paradigma, esempio, fascino e forza per la nostra vita. Vorrei prendere spunto da una frase che ho trovato in una lettera pastorale del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster scritta nel 1950 durante l’Ottava dell’Assunzione. Il riferimento mi viene spontaneo, pensando che tra pochi giorni, il 30 agosto, ricorderemo i cinquant’anni dalla sua piissima morte. Parlando della notizia vaticana diffusasi in tutto il mondo, quella appunto del dogma dell’Assunta, il nostro Beato scrive che essa «è apparsa come una specie di arcobaleno sul nostro cielo internazionale, carico, fin troppo, di fosche nubi» (Scritti del card. A. Ildefonso Schuster, Coll. Hildephonsiana, Venegono 1959, pag. 458). Così egli dice della “notizia”. A maggior ragione così dobbiamo dire noi della realtà personale e viva di Maria assunta in cielo. Com’è significativa, anche oggi, questa «specie di arcobaleno» sul mondo di nubi tenebrose! In mezzo alle ingiustizie e alle violenze, alle prove e ai drammi, all’odio e alla morte che gravano sulla vita dell’umanità, c’è spazio, dunque, per una fascia luminosa. C’è spazio per l’aprirsi di una speranza verso un futuro diverso, verso un mondo più umano e più sereno. Proprio così la Chiesa legge, interpreta e affronta la vicenda storica del mondo e di ciascuno di noi. Questa vicenda è sì segnata, come abbiamo rilevato nelle letture bibliche d’oggi, dalla persistente contraddizione tra il male e il bene, tra la morte e la vita, tra la potenza umana e la povertà di fronte a Dio. Si tratta di una contraddizione storica, ma non è affatto un destino cieco e invincibile. A noi è chiesto di non rimanere spettatori indifferenti, impotenti e rassegnati di fronte a queste forme di contraddizione, ma di lasciarci sfidare nella nostra libertà e responsabilità. Ci è chiesto, dunque, di operare la nostra scelta di campo. E non dubitiamo: il Signore non si stanca mai di incoraggiarci e di rafforzarci con la sua grazia nello scegliere il campo del bene, della vita, della povertà e della fiducia in Dio e nella «potenza del suo braccio». Solo in questa precisa direzione ci sarà la vittoria. E di ciò Dio ci dà la massima e inconfutabile garanzia in Maria, in Maria assunta, in lei che possiede e gode della pienezza del bene, della vita e dell’affidamento a Dio. È proprio in questo senso che Maria ci si presenta come luce e forza di speranza. Con la Chiesa, nel Prefazio, canteremo: in Maria assunta in cielo, tu o Dio «riveli il compimento del mistero di salvezza e fai risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza». In questa prospettiva, lo scrittore francese Daniel Rops afferma che «il cristianesimo è un messaggio di speranza nei confronti del bene che è destinato a prevalere, della vita che annienterà la morte, del Dio dei poveri che rovescerà arroganti, ricchi e potenti dai loro intoccabili troni». Se si vuole, è possibile continuare passando da queste affermazioni generali ad aspetti più particolari e specifici che mostrano l’impatto concreto ed esistenziale della nostra fede nell’assunzione della Madonna al cielo sui molti problemi della vita personale e sociale e, quindi, sulle più diverse questioni della cultura oggi dominante. Dobbiamo qui limitarci solo a qualche telegrafico accenno. Così, la fede nell’Assunta ci chiede di non censurare affatto, come invece spesso avviene nella nostra cultura, né il pensiero alla morte né, soprattutto, il pensiero alla condizione personale che segue alla morte. Perché aver paura di porre domande sul senso della morte e sull’aldilà? Ci chiede, ancora, di interrogarci con più coraggio sulla sofferenza che grava nella nostra vita. C’è spazio soltanto per un giudizio di “non-senso” e per una scelta di rifiuto assoluto, a qualsiasi condizione, di ogni forma di dolore, oppure c’è spazio per la riscoperta di un suo significato umano positivo? Ci chiede, la fede nell’Assunta, un atteggiamento “critico”, di vera e propria contestazione di fronte alla “adorazione degli idoli” dell’avere, del potere e del piacere, come capaci di garantirci la piena felicità sulla terra. E non è forse vero che facciamo di tutto e con ogni mezzo per costruire un “paradiso in terra” perché, in realtà, non crediamo più al “paradiso del cielo”? E c’è un altro punto che contraddice la fede nell’assunzione di Maria con il suo stesso corpo umano, un punto che deve dirsi nevralgico per la mentalità e il costume d’oggi, fortemente contagiati dal materialismo, dal relativismo e dall’edonismo. Parlo di una certa cultura del corpo, che lo considera e tratta in un contesto di sessualità banalizzata, strumentalizzata e deformata moralmente, situandolo oltre o in contrasto con la sua nativa dinamica di segno e di luogo del vero amore tra le persone. Proprio su quest’ultimo punto vorrei leggere la parte finale del Messaggio agli Ambrosiani per l’Assunta, che il beato Schuster ha scritto in data 15 agosto 1954, quando si trovava nel Seminario di Venegono, a pochi giorni dalla sua morte. Ecco le parole, semplici e coraggiose ad un tempo, del cardinale Schuster: «Ma l’Assunzione di Maria mi suggerisce un grave monito ai nostri fedeli. Anche il nostro mortale corpo è destinato a risorgere ed a ricongiungersi allo spirito in cielo… Ma ad una condizione: che, ad imitazione dell’Immacolata Vergine, il nostro corpo si mantenga puro ed incontaminato, come conviene al tempio del Signore. Un corpo schiavo del peccato… non può entrare in cielo…». E aggiunge: «Con quanto dolore, innanzi allo spettacolo desolante dello spirito pagano che sempre più penetra nelle vene e nell’organismo dell’odierna civiltà, scrivo queste cose a scanso di pastorale responsabilità, e perché i cristiani non si illudano di potersi formare una specie di Cristianesimo eclettico, che però non è più quello della Cattolica Chiesa, degli Apostoli e dei Martiri». E così conclude: «Dio, per le preghiere della sua Genitrice Immacolata, abbia pietà di noi e ci volga a penitenza. “O Timothee, depositum custodi, devitans profanas vocum novitates”» (Scritti…, pag. 462).


+ Dionigi card. Tettamanzi Arcivescovo di Milano





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