«Donna ecco tuo figlio»
Omelia del Card. Tettamanzi del 14 aprile 2002
FESTA DELLA MADONNA GRECA - DUOMO DI RAVENNA 

Dico immediatamente la mia gioia di poter partecipare con tutti voi alla solenne festa della Madonna Greca. Questa gioia racchiude per me il ricordo di colui che fu arcivescovo di Ravenna per cinque anni, dal 1947 al 1952: il card. Giacomo Lercaro. Come sapete, è un prete nato e cresciuto a Genova, in quella stessa Diocesi che il Signore ha voluto affidare alla mia guida e al mio amore pastorale. E proprio al Card. Lercaro ho pensato nell'accogliere volentieri l'invito che mi è stato rivolto a prendere parte a questa vostra festa mariana: mi sembrava un modo semplice e autentico per vivere la comunione tra la Chiesa di Ravenna e la Chiesa di Genova, per testimoniare il ricordo tuttora vivo che la mia Città conserva dell'allora vostro Arcivescovo e soprattutto per richiamare a tutti noi l'amore grande e la devozione filiale del card. Lercaro verso la Madonna.

Mater mea, fiducia mea

Leggendo, infatti, la vita del cardinale ho potuto rilevarne subito la profonda connotazione mariana. I due grandi amori che hanno fatto vibrare tutta la sua esistenza sono stati la Messa e la devozione alla Madonna, come egli stesso scrive nel "testamento": "Ringrazio con particolare riconoscenza il Signore per avermi chiamato al sacerdozio e misericordiosamente concesso un particolare amore alla santa Messa e alla filiale fiducia nella Madonna: la santa Messa e la fiducia in Maria hanno sostenuto la mia vita" (Arnaldo Fraccaroli, Il cardinale che io ho conosciuto, Giacomo Lercaro, p. 31).
E quando, a dieci anni del suo episcopato, fu chiesto al card. Lercaro se vedesse un segno particolare della presenza di Maria nell'incontro fra il centenario dell'incoronazione della Madonna di san Luca e il suo servizio di vescovo, così egli rispose: "Debbo riconoscere con gioia che molte tappe della mia vita furono segnate felicemente da un incontro con la Vergine nelle sue feste o nei suoi santuari: feci la prima comunione nella festa dell'Immacolata, celebrai la prima Messa al santuario principe della Liguria, la Madonna della Guardia; fui parroco dell'Immacolata, al cui altare venni consacrato vescovo… Il quinquennio episcopale si svolse confortato, a Ravenna, dalla Madonna Greca, le cui mani levate a continua preghiera furono la mia protezione…" (op. cit., p. 36).
Vogliamo ricordare ancora due particolari. Il primo è il motto del suo stemma episcopale: Mater mea, fiducia mea. Lui stesso lo commenta così: "…di fronte alla responsabilità che assumevo col governo di una diocesi, volli impegnare per l'opera mia la Madonna, che da più di nove anni servivo in quella sua reggia d'ora che è la Basilica dell'Immacolata a Genova. E mi venne, così, spontaneo aggiungere al vecchio scudo dei Lercaro l'invocazione e affermazione 'Mater mea, fiducia mea'. Oggi, dopo dieci anni, penso di non aver sbagliato…" (op. cit. pp. 30-31).
Il secondo particolare riguarda il suo ingresso in Ravenna: secondo il rituale, il nuovo Arcivescovo doveva dapprima sostare sulla tomba di sant'Apollinare, il primo vescovo, nell'antichissima basilica di Classe, e da qui muovere alla volta della Città esarcale e alla sua cattedrale; ma Lercaro puntò alla chiesa dell'antico porto, quella chiesa che ospita la "Madonna Greca" e che egli poi eleverà a basilica, assumendone il titolo di abate perpetuo. Anche questo è un segno del suo amore filiale e fiducioso alla Madonna.
Che il Signore ci doni di condividere anche noi questo amore di figli e di figli sempre pieni di fiducia in Maria, la Madre, così come ci è stato splendidamente testimoniato dal Card. Lercaro.
Ed ora per alimentare un simile amore ci viene incontro la Parola di Dio che oggi è stata proclamata e che insieme vogliamo brevemente meditare.

Riconosci, o cristiano, la tua dignità!

Il brano della lettera dell'apostolo Paolo (Galati 4, 4-7) ci fa contemplare il meraviglioso disegno che Dio dall'eternità ha pensato e voluto, nella sua sapienza e nel suo amore, per noi uomini. Scrive l'apostolo: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,… perché ricevessimo l'adozione a figli" (vv. 4-5). Il disegno eterno di Dio, dunque, è di chiamare gli uomini, da lui creati, a diventare suoi figli, partecipi della sua stessa vita divina.
Questo disegno, che è da sempre nella mente e nel cuore di Dio, si realizza nel corso del tempo, in particolare quando il tempo giunge alla sua pienezza. E si realizza con l'invio da parte di Dio del suo Figlio unigenito e con il farsi uomo come noi da parte del Figlio. Ma come questi si fa uomo? Entrando nell'alveo delle generazioni umane e assumendo la nostra stessa carne, che gli viene donata da una giovane donna, Maria di Nazaret. E' vero: ella è vergine, ma proprio da questa verginità, colma di fede e di amore, sboccerà la fecondità più straordinaria che la storia umana conosce: quella che rende Maria Madre di Dio stesso. E questo per un purissimo dono ricevuto dall'alto: Maria infatti concepisce per opera dello Spirito Santo.
E' questo stesso Spirito che, mandato da Dio, configura ogni uomo nelle profondità del suo essere a Gesù Cristo, lo costituisce cioè vero "figlio di Dio" e gli imprime un dinamismo di amore e di preghiera che lo sospinge senza sosta verso il Padre. Così scrive Paolo: "E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio che grida: Abbà, Padre!" (v. 6).
Come si vede, quello di Dio è un disegno che non può non aprirci alla meraviglia e allo stupore. Come non ammirare l'amore immensamente gratuito di Dio che ci dona quanto di più caro e prezioso possiede, ossia il suo Figlio unigenito e prediletto? E, nello stesso tempo, come non ammirare l'amore sconfinato e l'umiltà abissale del Figlio che si fa carne umana, anzi carne sofferente e lacerata sulla croce per noi uomini e per la nostra salvezza?
Ma meraviglia e stupore riguardano anche l'uomo così come viene raggiunto dal disegno di Dio. Riguarda, anzitutto, Maria santissima. Dio per puro amore la sceglie come strumento per la realizzazione del suo disegno: è chiamata a donare la sua carne perché il Figlio eterno di Dio possa diventare uno di noi, veramente partecipe della nostra umanità. Come non ammirarla come unica donna al mondo diventata Madre di Dio? Sulle nostre labbra e nel nostro cuore possiamo porre le parole della Liturgia della Chiesa: "Come cantare le tue lodi, santa Vergine Maria? Colui che i cieli non possono contenere, tu lo hai portato nel grembo. Benedetta tu tra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. Colui che i cieli non possono contenere, tu lo hai portato nel grembo"(Responsorio all'Ufficio delle letture nel Comune della beata Vergine Maria).
Ma ciascuno di noi, se legge la verità più profonda che Dio con il fuoco del suo Spirito ha stampato nell'essere stesso dell'uomo, non può non sentirsi preso da sentimenti di meraviglia e di stupore, e insieme di commozione e di gratitudine: siamo figli di Dio, siamo plasmati a immagine e somiglianza di Cristo, il Figlio prediletto del Padre. Come non fare nostro lo stato d'animo estasiato dell'evangelista Giovanni che nella sua prima lettera scrive: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (1 Giovanni 3, 1)?
Oggi si parla molto della dignità personale di ogni uomo. E' giusto, è doveroso parlarne, perché tale dignità è il fondamento dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, e dunque la base d'una convivenza umana ordinata e pacifica. Ma è ancora più giusto e più doveroso rispettare tale dignità, rispettarla sempre e difenderla e promuoverla. Come cristiani, non possiamo essere secondi a nessuno in questo impegno di rispetto, di difesa e di promozione della dignità personale di ogni uomo, senza alcuna discriminazione e a cominciare per giustizia da chi è più povero e debole.
Ma a noi cristiani è chiesto qualcosa di più, qualcosa di veramente nuovo e originale: per noi la dignità personale dev'essere oggetto di un sentimento tipicamente religioso, di una vera e propria venerazione, dal momento che Dio fa di ogni persona un'immagine viva e palpitante di sé, la chiama ad essere suo figlio! Di qui l'impegno a tenere sempre accesa in noi la consapevolezza della nostra dignità, come richiamava il papa san Leone Magno: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità!" (Sermone XXI, 3).
E,' questa, una consapevolezza quanto mai preziosa e benefica! E' fonte di straordinaria serenità nei momenti nei quali, senza alcuna nostra colpa, siamo dimenticati o incompresi o emarginati o rifiutati dagli altri. Come non essere sereni nell'intimo del cuore se mai possono venir meno la stima e l'amore che Dio ha per ciascuno dei suoi figli? Questa consapevolezza, inoltre, è forza che ci sostiene non solo nel rispettare tutte le persone nei loro diritti, ma anche nell'amarle di un amore sincero e operoso, sempre pronto alla comprensione e al perdono.
Se vogliamo che la consapevolezza della nostra dignità personale di figli di Dio sia sempre viva e luminosa in noi, dobbiamo soprattutto nutrire un grande amore alla preghiera e dar voce al nostro essere di figli "gridando", come ci ha ricordato l'apostolo Paolo, "Abbà. Padre!". Nulla, infatti, come il dialogo orante con il Padre è in grado di farci gustare l'amore tenerissimo e forte di Dio per noi e, nello stesso tempo, di farci comprendere la bellezza e la preziosità del dono che ci è stato fatto: quello di essere figli amatissimi di Dio.
Mi ricordo del messaggio consegnato ai bambini dall'allora Card. Montini, arcivescovo di Milano, per la "Missione di Milano 1957". Un messaggio affascinante, fatto di due domande e di due risposte brevissime, con una conclusione operativa semplicissima e immensa. Eccolo: "La più bella parola? La preghiera? La più bella preghiera? Il 'Padre nostro'! Adagio e bene: recitiamolo insieme!". No, non è solo per i bambini questo messaggio; è per tutti noi.
E come abbiamo ascoltato nella prima lettura, sentiamoci chiamati a rivivere l'esperienza della Chiesa delle origini: anche noi, come gli apostoli in attesa dello Spirito rinnovatore della Pentecoste, dobbiamo essere "assidui e concordi nella preghiera, insieme… con Maria, la madre di Gesù" (Atti 1, 14).

Ecco tua madre!

Il brano di Vangelo (Giovanni 19, 25-27) ci conduce sul Calvario ai piedi della croce di Gesù, dove troviamo Maria, la madre. Anche sotto la croce, in un rapporto profondissimo di amore con il Figlio che soffre e muore per la salvezza del mondo, Maria vive la sua maternità, anzi la vive con una pienezza nuova e inattesa: la sua è una maternità universale, estesa a tutta l'umanità.
E' quanto ci viene svelato dalle parole che Gesù pronuncia dall'alto della croce prima di morire, come suo testamento d'amore. Si rivolge a Maria e, invitandola a guardare a Giovanni, il discepolo ch'egli amava, dice: "Donna, ecco il tuo figlio!" (v. 26). Se siamo figli di Dio in Gesù Cristo, anche noi siamo stati generati in qualche modo da Maria: generando Cristo, ella genera tutti noi. Maria è inscindibilmente la Madre di Cristo e la Madre dei cristiani.
Gesù si rivolge poi a Giovanni e invitandolo a fissare i suoi occhi su Maria dice: "Ecco tua madre" (v. 27). Come a Giovanni, anche a noi è rivolta questa parola: Ecco tua madre. Per questo vogliamo confessare, nella gioia dello spirito, la nostra fede nella maternità di Maria nei nostri confronti. La sua è una maternità che significa non un semplice amore per noi, ma qualcosa di più grande e di più radicale: significa che ogni grazia, ossia ogni dono di Dio e ogni suo aiuto, giunge realmente a noi sempre attraverso l'opera di questa madre, scelta come strumento vivo di salvezza e di santità. Com'è confortante questa maternità di Maria che abbraccia e custodisce tutti noi! E' una maternità che non viene mai meno, perché assicurata dal testamento di Gesù e dalla fedeltà di Maria.
E' vero, l'evangelista conclude scrivendo: "E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (v. 27), ossia prese Maria sotto la sua amorevole custodia. Ma è ancor più vero che è innanzitutto la Madonna stessa a prendere il discepolo - e dunque ciascuno di noi - sotto il suo amore e sotto la sua protezione.
Le mani della Madonna Greca levate a continua preghiera sono il simbolo più semplice e più forte della funzione che Maria continua a svolgere presso Dio a nostro favore: ella prega per noi e per le nostre famiglie, prega per le nostre difficoltà e paure, prega per le nostre miserie e i nostri drammi, prega per i dolori e le speranze che abbiamo nel cuore. E prega con quella intensità d'amore e con quella forza d'intercessione che derivano dalle parole di Gesù morente in croce: "Donna, ecco il tuo figlio!". Maria non le può dimenticare, perché sono la sostanza della sua nuova maternità.
Preghiamo anche noi insieme a Maria perché la Chiesa, con la parola e la testimonianza di vita dei suoi figli, faccia risplendere il volto di Gesù al mondo quale unico Salvatore di tutti; e perché l'umanità intera - e in particolare quella che vive in Terra Santa - possa sperimentare finalmente un'era di giustizia, di solidarietà, di riconciliazione e di pace.

+ Dionigi Card. Tettamanzi




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