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IL VANGELO SECONDO MATTEO



Capolavoro cinematografico di Pier Paolo Pasolini del 1964.

1. Il film di Pasolini
Il film di Pasolini, prodotto nel 1964, si presenta come una reazione alla tendenza della società e conseguentemente come una reazione al cinema di successo hollywoodiano di stampo religioso. Ad un cinema e ad una cultura omologati, svuotati dei più veri e naturali contenuti e guidato da un accentuato consumismo, Pasolini tenta di sostituire il ritorno al senso del sacro. Egli è convinto che il mondo contadino, nella sua semplicità e nel suo legame con la natura è l'unico capace di sentire la chiamata del sacro perché ancora non coinvolto nella logica del calcolo, dell'investimento, dell'accaparramento delle ricchezze. Ecco perché Pasolini sceglie di presentare un Cristo che vive e agisce in una terra povera e contadina, popolata da gente con i volti comuni, segnata dagli stenti. In netto contrasto con i kolossal religiosi e con l'utilizzazione che questi facevano di grandiose scenografie, il regista sceglie ambienti semplici e agresti e sceglie come interpreti per il suo film attori non professionisti.

2. La figura di Maria ne "Il Vangelo secondo Matteo"
"
Scrive Pasolini nella sceneggiatura del suo film riferendosi a Maria: «Maria è una giovinetta, ma lo sguardo è profondamente adulto: vi brilla, vinta. il dolore. Il dolore che si prova nel mondo contadino (l'ho visto in certe giovanette friulane, durante la guerra: un dolore quasi precostituito, uno stato in cui si entra fatalmente, perché si è umili). É una giovinetta ebrea, bruna, naturalmente, proprio «del popolo», come si dice; come se ne vedono a migliaia, con le loro vesti scolorite, con i loro «colori della salute», il loro destino a non essere altro che umiltà vivente. Tuttavia c'è in esse qualcosa di regale: e per questo penso alla Madonna incinta di Piero della Francesca a Sansepolcro: la madre-bambina. Il ventre leggermente gonfio, appuntito, per la miracolosa gravidanza, dà a quella giovanetta che tace, col suo dolore, una grandezza sacrale». E ancora, più avanti, così Pasolini descrive un'altra sequenza ambientata nella casa di Giuseppe: «Maria col bambino che le succhia il seno. Una maternità purissima, ma «realistica». Voglio dire che l'immagine di Maria col Bambino è una di quelle che l'uomo conosce come l'immagine iconografica, insieme a quella della crocifissione, più tipica della sua vita; ma, in questa, non ci deve essere nulla di agiografico o di aprioristicamente sacro. Il realismo consiste nel fatto che intorno alla Madonna ci sono gli oggetti reali, e perciò stesso commoventi e infine sacri, della sua reale vita di sposa povera». Come si vede, preoccupazione principale del regista era quella di evitare l'agiografia tradizionale, ma rapportando la realtà di Maria a una visione parziale, popolana, contadina: lo sforzo tenace di recupero di una realtà concreta e tangibile, per reazione alle ripetute e successive idealizzazioni che avevano rischiato di trasportarla in una sfera troppo lontana dagli uomini. Non a caso, nelle scene del dolore, nella parte della Madonna troviamo la madre del regista, come riferimento diretto alla concretezza di una condizione umana della maternità. Attraverso la sua provocazione di miseria, di povertà, e nello stesso tempo attraverso il registro della quotidianità per mezzo della sua abilità di regista e della sua sensibilità poetica, Pasolini riesce a far emergere la bellezza, negli anfratti più miserevoli di vita, quasi a trasfigurare quei volti. Egli ci spinge a contemplare direttamente la sacralità nascosta in tutto ciò che è umano, anche se sì tratta dell'umano più emarginato e più povero. Notevole è la sintesi espressiva raggiunta fra le diverse forme linguistiche e comunicative nel film: c'è un forte contrasto fra la strategia di accumulo delle presenze musicali, contrapposta, o per meglio dire, accordata con quella di sottrazione a livello di comunicazione verbale, alla quale concorrono i vari elementi tipici del linguaggio pasoliniano, come il gusto estetico, i richiami pittorici, l'espressività in funzione della drammaticità.

3. Il linguaggio del "silenzio cinematografico" e teologico di Maria

Il «silenzio cinematografico» costituisce uno degli elementi predominanti dell'azione filmica. Non è un caso che le sequenze più significative dal punto di vista del silenzio abbiano quasi tutte per protagonista Maria, che, conformemente al testo evangelico, non pronuncia in tutto il film una sola parola. Quasi che il regista, senza volerlo e, probabilmente, senza saperlo, nel suo ferreo tentativo di fedeltà a testo, riesca a trasporre visivamente l'immagine teologica di «Maria, donna del silenzio e dell'ascolto». Tutto ciò appare fin dalle prime scene: il regista racconta di come Maria, promessa sposa di Giuseppe, si sia trovata ad essere incinta per opera dello Spirito Santo e di come Giuseppe sia stato convinto da un Angelo del Signore a tenerla con sé e a dare al bambino il nome di Gesù. Nella sequenza i personaggi non proferiscono una sola parola, come avviene in Matteo (fatta eccezione per ciò che dice l'angelo a Giuseppe e per la voce fuori campo che riporta le parole del profeta). In questo modo Pasolini è in grado di far «parlare» le facce, i visi mediante le loro espressioni, e gli oggetti intorno a loro: è la colonna visiva che svela e descrive, nello stesso momento, gli stati d'animo dei personaggi. Altre sequenze che coinvolgono il personaggio di Maria sono assai significative dal punto di vista del silenzio. Ad esempio, la scena della seconda apparizione dell'Angelo, che in sogno annuncia a Giuseppe che può fare ritorno in Israele. È un momento assai toccante del film, in cui la comunicazione fra Giuseppe e Maria avviene per sguardi, espressioni....La sequenza è costruita in modo tale che già la consequenzialità delle immagini costituisca di per sé un piano semantico compiuto e che non ci sia bisogno di dialoghi per afferrarne il senso. E possibile individuare al suo interno quattro parti ben distinte, che chiameremo:
A) incontro Maria - Giuseppe (inquadrature 1-11);
B) "sogno" di Giuseppe (inqq. 12-20);
C) ritorno a casa di Giuseppe (inqq. 21-23);
D) nuovo incontro tra Maria e Giuseppe (perdono, inqq. 24-29).
Di queste quattro parti, A e D appaiono come un blocco unico, attraversato da B e C che costituiscono una sorta di parentesi, esplicativa all'interno del contesto, o meglio risolutiva ai fini dell'intreccio: grazie alle parole dell'angelo, infatti, Giuseppe scaccia da sé ogni dubbio e si viene a creare una nuova intesa con Maria. 11 costante uso del sintagma alternante in A e D è l'elemento che ci dà l'idea di come queste due parti costituiscano un tratto unico, in cui convergono B e C per dare compimento all'azione. Al di là del discorso diegetico unitario, che ricalca fedelmente, come ho già detto, il Vangelo di Matteo (con un occhio anche al testo degli apocrifi), non si può non tenere conto dell'unicità e della significazione profonda che in sé e per sé producono le parti A e D, del plus-valore di senso che si viene ad aggiungere sul piano connotativo; già dalla trascrizione appare chiaro il modo della comunicazione fra i due personaggi, fatto essenzialmente di sguardi, impressioni ed espressioni, in cui il silenzio gioca un ruolo primario. Ma è anche importante sottolineare il fatto che esso coinvolge non solo i due protagonisti, ma anche il fruitore del film, lo spettatore: si crea così una sorta di triangolo, in cui il silenzio costituisce i lati che uniscono i tre vertici, cioè il modo di comunicazione fra i personaggi e il mezzo di comprensione (insieme - ovviamente - a quello visivo) per lo spettatore. Questa forma di comunicazione è descritta con elementi denotativi di tipo puramente visivo e il silenzio è un dato di fatto, ma è evidente che non è una mancanza, bensì un elemento portatore di senso, carico di significato a livello connotativo, un dato aggiuntivo ancora più pregnante della parola, che qui non trova spazio, né per esprimere ciò che già è chiaro, né per tentare di spiegarlo. In questo modo, utilizzando un linguaggio del tutto personale, Pasolini ricollega la sua opera a un topos religioso (e filosofico), quello del silenzio». La giovane Maria, interpretata da Margherita Caruso, continua a comunicare per mezzo del suo viso, i cui enormi occhi dallo sguardo dolce e malinconico riempiono lo schermo, segnando in modo indelebile la memoria visiva dello spettatore. La sequenza è accompagnata dalla musica di Bach (Adagio dal Concerto BW1060), che, in mancanza dell'evento sonoro verbale, assume una funzione ancora più evidente di connotazione dello stato emotivo delle immagini. La stessa cosa accade per un'altra sequenza «muta», quella della visita dei Magi, in cui lo spiritual Sometimes I Feel Like a Motherless Child riempie lo spazio acustico, fungendo da cornice sonora alle splendide immagini che scorrono sullo schermo. Un'altra sequenza che colpisce per il silenzio di Maria è quella in cui Cristo pronuncia le note parole: «Chi è la mia madre, chi sono i miei fratelli?». Il silenzio sembra sottolineare il dolore di Maria (ormai vecchia, interpretata dalla madre del regista) nel sentire pronunciare quelle parole, e successivamente nel vedere andare via il proprio figlio. Dolore accompagnato dalle strazianti note del motivo «di morte» di Johann Sebastian Bach, l'Adagio dal Concerto BWV 1042. Per rimanere ancora un momento nell'ambito delle scelte sonoro-visive, straordinario è l'accostamento delle ultime immagini del film (Maria si reca con altri alla tomba del Figlio; il sepolcro si apre e Cristo non è più avvolto nel sudano: è risorto!) al Gloria di una messa cantata congolese. Nel canto, il testo è in latino ma la musica ha tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folklore africano, quasi a dare corpo all'esplosione di gioia interiore della madre per la resurrezione del figlio. Si ha quasi l'impressione che Pasolini di fronte alla difficoltà di rappresentare il discorso della resurrezione abbia dovuto ricorrere a moduli espressivi che rifuggono dal razionalismo e dall'ordine tipici della nostra tradizione musicale e attingere invece a sonorità che si radicano invece nelle pulsioni, nell'emotività, nell'istintualità più profonda come quelle alla base della musica africana.

Bibliografia

CARNICELLA M. C.,  Incontro con Maria "per viam pulchritudinis" con il linguaggio del cinema, in Theotokos XIV (2006), n. 2., pp. 540-543; PASOLINI P. P., Il Vangelo secondo Matteo. Edipo re. Medea, Milano 1998; CADONI A., Paesaggio a-sonoro nel cinema di Pasolini. La poetica del silenzio, in KAOS. Giornale di confine, 2 (2002-2003), 3 (novembre-febbraio), 25ss;

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